NdA
Ok, mi scuso in anticipo se
James in questo capitolo sembrerà un po' OOC. Ho basato la sua reazione sulle mie esperienze personali, quindi
potrebbe non corrispondere del tutto al suo carattere. Chi tra voi ha figli o
ha lavorato come babysitter credo riconoscerà la successione di panico/paura/sollievo/rabbia
che si prova quando non si trova più il bambino che si doveva sorvegliare... non
è per nulla divertente!
Comunque spero che vi
piaccia!
Capitolo 4: Avventure al supermercato
«...che
significa?»
«Cosa
mangiano i bambini?» ripete James, questa volta in tono
impaziente. «Sai,
i bambini... umani in dimensioni ridotte. In particolare quelli tra i
due e i tre
anni.»
«Sì,
so
cosa sono i bambini,» ribatte Clint dall'altra parte della
linea. «Ma
non è che siano una specie protetta.»
«D'accordo,
quindi cosa mangiano?» torna a chiedere James per la terza
volta. Inizia
anche a domandarsi se Clint sia la persona migliore da consultare in un
momento
del genere, soprattutto perché dalla voce sembra che sia
ancora mezzo
addormentato.
«Sul
serio, perché me lo stai chiedendo?» borbotta
Clint. «Guarda nella
dispensa e fatti venire un'idea, non è fisica
nucleare.»
«Sì,
beh, è proprio quello il problema,» dice James,
controllando che Steve sia
ancora occupato a colorare un disegno. «Mini-Steve non vuole
avere niente
a che fare con quello che mangia di solito maxi-Steve. Ci sono solo
uova e
barrette proteiche, che diavolo faccio?»
«Non
lo
so, Barnes. Prova col classico sandwich al burro d'arachidi e gelatina,
per i
ragazzini è come il crack.»
«Non
ce
l'abbiamo.»
«...come?!»
«Non
ce
l'abbiamo,» dice ancora James e apre l'anta della credenza a
dimostrazione
del fatto, nonostante non ci sia nessuno a vederlo.
«Non
ce
l'avete...» mormora Clint, incredulo. Almeno sembra
più sveglio di quanto
non fosse poco prima. «Chi è il mostro che non ha in casa almeno un barattolo di burro
d'arachidi e gelatina? Voglio dire, è quasi antiamericano,
non posso credere
che Capitan America abbia fatto qualcosa del genere. Non è
che sotto sotto
Steve è comunista?»
James
alza
gli occhi al cielo. «No, non è comunista! E no,
non abbiamo né burro
d'arachidi né gelatina. In compenso ho un bambino di tre
anni affamato e mi
manca l'esperienza in questo campo, sono a corto di idee.»
«Uhm...»
riflette Clint per un lungo istante, come se gli servisse tempo per
riprendersi
dallo shock. «Direi che l'unica soluzione è fare
un salto al supermercato.
Di sicuro troverai qualcosa da fargli mangiare, hanno interi scaffali
solo
per gli omogeneizzati. Inizia da lì.»
Si
sente
qualcuno parlare in sottofondo ma James non riesce a capire cosa sta
dicendo. «Bruce
dice di cercare i prodotti PediaSure1,»
spiega Clint e
trattiene un mezzo gemito di disappunto. «Però se
fossi in te eviterei,
quella roba dovrebbe essere usata solo come punizione.»
C'è
un
fruscio nel ricevitore e poco dopo una nuova voce è in
linea. «James?»
James
annuisce leggermente al saluto, realizzando che può
trattarsi solo di Bruce
stesso. «Dottor Banner...»
«Come
sta Steve?»
James
lancia
un'occhiata al tavolo dove Steve è ancora occupato col suo
disegno. Si sta
divertendo ma è irrequieto e ben presto passerà
dall'agitato al capriccioso,
per via della fame. «Sta bene ma ha bisogno di mangiare. In
casa non c'è
niente che vada bene per lui.»
«Posso
immaginare,» dice Bruce, che è un interlocutore
dieci volte più facile da
tollerare. «Clint ha ragione, la soluzione migliore
è comprare qualcosa in
negozio. Dovrebbe esserci un supermercato non molto distante
dall'appartamento
di Steve, cerca qualsiasi cosa abbia il marchio Gerber.»
«Gerber?»
si stupisce James. Il nome suona familiare ed è una
reminiscenza del periodo prima
della Seconda Guerra Mondiale. «Davvero esiste
ancora?»
«Sì,»
afferma Bruce. «Se sono ancora in giro vuol dire che i loro
prodotti
funzionano.»
«D'accordo.
Qualcos'altro che dovrei segnare sulla lista?»
Bruce
rimane
in silenzio per alcuni istanti. «La frutta è
sempre un'ottima scelta. Con
quella vai sul sicuro.»
«Va
bene,» dice James mentre prende un pezzo di carta per segnare
due appunti
al volo. «Frutta e prodotti Gerber. Sembra abbastanza
semplice.»
Dall'altra
parte della linea si sente la risata sommessa di Bruce. «Una
passeggiata. Comunque
chiamaci se hai altre domande.»
«Perfetto,»
replica James e termina la telefonata, rimettendo il telefono in tasca
insieme
al foglietto sul quale ha appuntato il necessario. Il piccolo Capitano
è ancora
seduto al tavolo in cucina, le gambe che ciondolano penzoloni mentre
scarabocchia il foglio davanti a sé. È ancora in pigiama e
ha i capelli tutti
arruffati ma è sveglio e guarda James con vivo interesse.
La
notte
precedente è andata meglio di quanto James si aspettasse:
Steve non ha avuto
altri incubi e lui non ha cercato di strangolarlo nel sonno, quindi si
può
quasi considerarlo un successo. È vero, per il resto della notte Steve
gli si
è spalmato addosso nella perfetta imitazione di una sciarpa
umana, ma James se
lo aspettava. Quello che non si aspettava era che Steve si alzasse alle
sei del
mattino, pimpante come un grillo. James è capace di
resistere per giorni
dormendo solo poche ore, però combinare la mancanza di sonno
con un bambino di
tre anni dagli occhioni azzurri che si sveglia alle ma-che-cavolo in
punto gli
ha reso difficile trascinarsi fuori dal letto quel mattino.
Adesso
il
suddetto bambino dagli occhi azzurri è affamato e non ci
vorrà molto prima che
diventi intrattabile. La soluzione al problema per fortuna si
è rivelata
abbastanza semplice.
«Va
bene, ragazzino, ti va di fare un giro al supermercato?»
chiede rivolto a
Steve, che annuisce con entusiasmo. «Però non puoi
venire in pigiama. Vai
a cambiarti e dopo possiamo uscire.»
Steve
obbedisce e scappa via per il corridoio, in direzione delle camere da
letto.
Dopo qualche istante si sente tonfo attutito; nonostante la sua fiera
indipendenza, è difficile
che Steve riesca a vestirsi da solo. James lo raggiunge nella sua
stanza e, come
previsto, lo trova con la testa incastrata nella manica di una
maglietta
intanto che sta cercando di infilarsi anche i pantaloni. Si inginocchia
accanto
a lui e con cautela lo libera dal garbuglio di vestiti.
Diversi
minuti dopo, Steve è pronto e James ha una manciata di
contanti infilata in
tasca. Sono diretti verso il supermercato più vicino che,
come ha detto Bruce,
non è poi così distante dall'appartamento. Steve
non gli tiene davvero la mano,
più che altro si aggrappa all'orlo della sua giacca e
procede a passi piccoli e
veloci inciampando ogni tanto sui propri piedi. Ogni volta James lo
afferra per
la maglietta prima che possa cadere, anche se lo lascia camminare da
solo per
gran parte del tragitto. Steve ha sempre avuto bisogno di dimostrare di
essere
capace di farcela senza alcun aiuto.
Il
supermercato è abbastanza affollato per quell'ora del
mattino, ma del resto James
pensa che al giorno d'oggi qualsiasi posto sia sempre affollato: tutti
vanno di
fretta, indaffarati a correre da un posto all'altro, e sembra sempre
che lo
spazio non sia sufficiente. Non è mai stato un amante della
folla, le
probabilità che qualcosa vada storto sono direttamente
proporzionali al numero
di persone presenti e quel mattino non fa eccezione. Prende un carrello
e ci
sistema dentro Steve.
Vedendo
l'espressione di protesta comparire sul viso del piccolo Capitano,
James scuote
la testa. «Puoi camminare con me al ritorno. Qui
c'è troppa gente.» Steve
non è soddisfatto eppure tace. Forse per effetto della fame
o perché sta imparando
a scegliersi le proprie battaglie, però James decide di non
sfidare la sorte.
Spinge
il
carrello nella corsia più vicina a loro e si china verso il
bambino. «D'accordo,
pulce... dobbiamo farci venire in mente un sistema per comunicare.
Potrebbe
essere un po' complicato ma proviamoci, ok?» Steve annuisce
in risposta,
così James continua. «Quando ti faccio vedere
qualcosa indicami sì o no
con la testa. Ci sei?»
Steve
ride
divertito e annuisce di nuovo. James si costringe a trattenere una
risata a
propria volta. «Ottimo. Al lavoro!»
I
due
seguitano a farsi strada per le corsie successive, procedendo fra un
cenno d'approvazione
o dissenso. Qualcosa finisce nel
carrello a prescindere da quello che indicherà Steve,
perché James sa che quando
Steve tornerà se stesso (il più presto possibile,
si spera) avere una dispensa
piena di cibo per bambini non sarà l'ideale, così
fa scorta di provviste utili anche
in futuro. Steve storce il
naso e James risponde con una smorfia. Adesso il piccolo Capitan
America non
riesce a comprendere l'importanza di prodotti come il caffè,
a differenza della
sua versione adulta.
In
poco
tempo il carrello si riempie con una combinazione di cibi per i
più grandi e per
i piccini - questi ultimi scelti in gran parte sugli scaffali dedicati
al
marchio Gerber. James si assicura di prendere anche un vasetto di burro
d'arachidi e gelatina, perché è certo che Clint
non smetterà di insistere col
patriottismo. Alla fine rimane da scegliere solo qualcosa nel reparto
ortofrutta, come ha
suggerito Bruce.
James
porta
il carrello nella corsia e lo parcheggia accanto alla lattuga.
«Ok,
campione, sempre le stesse regole. Sei pronto?» Steve
annuisce.
«Carote?»
Sì. «Sedano?» No.
«Broccoli?» No. «Uva?»
Sì. «Arance?» Sì.
Il
sistema
per indicare con un cenno della testa funziona a dovere e Steve
annuisce anche
quando James gli propone di prendere delle mele. Peccato che il
dispenser delle
borse di plastica sia vuoto. James impreca sottovoce, poi si guarda
intorno.
«Aspettami
qui,» dice a Steve. «Torno in un
secondo.» L'unico altro
distributore disponibile si trova dall'altra parte della corsia e James
ci
arriva contemporaneamente a una signora anziana, che strappa una busta
e gli
sorride mentre lui le si avvicina. «Ma che bellissimo
angioletto quel
bambino!»
James
inarca
un sopracciglio in risposta. «Grazie... suppongo.»
«Quanti
anni ha?»
La
domanda
coglie James alla sprovvista. Deve fare conversazione?! Non
è
molto bravo a
fare conversazione; le poche volte in cui gli capita è
perché qualcuno lo sta pregando di risparmiargli la vita o
succede in altre occasioni simili. «Novanta...»
inizia a rispondere, correggendosi subito alla vista
dell'espressione confusa della vecchietta. «Ehm... tre. Ha
tre anni.»
La
donna gli
sorride di nuovo e riempie la propria busta di verza. «È adorabile.
Meglio tenerlo d'occhio, le signorine gli staranno tutte addosso non
appena
sarà un po' più cresciuto.»
James
è di
nuovo preso alla sprovvista. Non è sicuro se debba trattarsi
di un complimento
o di un commento inquietante. All'improvviso realizza che l'anziana
signora
deve averlo scambiato per il padre di Steve e l'idea rende la
situazione ancora
più imbarazzante. «Sì...
vedrò di starci attento.»
La
vecchietta per fortuna sembra soddisfatta e, dopo uno sguardo
d'approvazione,
si allontana dal banco delle verdure. James tira un sospiro di sollievo
e si
volta per un attimo, lanciando uno sguardo al proprio carrello. Il
cuore gli
salta in gola e gli si gela il sangue nelle vene.
Steve
è
scomparso.
La
spesa è
dove l'ha lasciata, ma Steve no. Non è di fianco al
carrello, non sta nemmeno
andandosene a spasso per il reparto ortofrutta. James percorre in un
lampo la
breve distanza che lo separa dal carrello e inizia a cercare ovunque il
piccolo
Capitano. Non riesce a vederlo, non ha idea di dove possa essere:
è come se
Steve fosse svanito nel nulla.
Il
cuore
sembra esplodergli nel petto, brividi freddi gli corrono lungo la
schiena e arrivano
fino allo stomaco. E se qualcuno l'avesse portato via? Cosa
succederebbe se
qualcuno l'avesse rapito? Forse la vecchietta è stata
mandata apposta per
distrarre lui intanto che altri strappavano Steve fuori dal carrello?
Si è
allontanato per un minuto, non possono aver fatto molta strada...
Quasi
si
scontra con un ragazzotto poco più che adolescente,
impegnato a rifornire di
verdura un ripiano della corsia. In preda al panico lo afferra e lo
scuote un
paio di volte. «Hai visto un bambino, qui
intorno?!» chiede mentre il
commesso lo guarda con aria intimorita.
«Un...
bambino...?»
«Sì,
un
bambino!» ripete James, furente. «È alto poco
più di mezzo metro, ha
i capelli biondi, due occhi da cucciolo abbandonato e zero istinto di
autoconservazione!!»
«N-No,
mi spiace, non l'ho visto...» balbetta il ragazzo e a quanto
pare è la
risposta peggiore che potesse dare, perché James lo spinge
con forza contro una
cesta piena di sacchi di patate. Il commesso si lamenta quando la
mano di metallo gli stringe un poco di più la spalla.
«Se
gli
è successo qualcosa...»
«Bucky!»
squittisce in quel momento una vocina dietro di loro e James si volta
di
scatto, in tempo per vedere Steve spuntare da sotto un bancone della
frutta.
Tiene una mela in una mano e una busta di plastica nell'altra,
agitandola come
fosse un trofeo. «Ho trovato una busta!»
James
lascia
andare il commesso per inginocchiarsi di fronte al bambino.
«Ma che cavolo
pensavi di fare?! Perché sei sceso dal carrello?»
Lo
sguardo
soddisfatto di Steve scompare e il sorriso non è
più così convinto. «Ho trovato una
busta,» risponde, perché per lui è la
spiegazione più logica al mondo.
James
non sa
bene se sollevarlo di peso o sparare a qualcosa, quindi opta per un
ringhio
sommesso. «Non azzardarti a farlo mai più! Se ti
dico di non muoverti tu
non ti muovi, hai capito?» Steve annuisce. Sembra che sia sul
punto di
scoppiare a piangere e a James non interessa; pensare che Steve potesse
essere
stato rapito gli ha rilasciato in corpo una scarica di adrenalina, non
riuscirà
a calmarsi tanto facilmente.
Rimette
Steve nel carrello, insieme alla busta di plastica e alla mela.
«Non
provare a uscire di nuovo da qui,» sibila scandendo bene ogni
parola per
rimarcare il concetto. Steve annuisce ancora e rimane in silenzio, la
testa
china per la mortificazione.
Il
commesso che ha aggredito poco
prima non si è
mosso, impaurito, ed è rimasto a fissarlo ad occhi
spalancati. «Mi spiace,»
borbotta James, poi si affretta ad andarsene. Alcuni degli altri
clienti hanno seguito la scena e, a giudicare dalle loro facce, non
hanno
apprezzato i suoi metodi educativi. Che pensino quello che vogliono.
I
due pagano
la spesa, lasciano il supermercato e tornano all'appartamento senza che
James
rivolga una sola parola a Steve. Si giustifica dicendosi che
è troppo impegnato
a destreggiarsi fra le borse che sta portando e che non c'entra nulla
il fatto
che stia ancora tremando per lo spavento che Steve gli ha fatto
prendere. Sa
bene che Steve non l'ha fatto apposta, però girarsi e non
trovarlo più l'ha
davvero scosso nel profondo. Una certezza nella sua vita è
sempre stata il
pensiero che Steve fosse più importante di qualsiasi altra
cosa.
Così
camminano in silenzio, James pensieroso e intento
a non perdere di nuovo la calma e il piccolo Capitano che gli
trotta accanto, con una scatola di cereali infilata sotto un braccio e
in
spalla un sacchetto riempito di tovaglioli. Ogni tanto prova a
decifrare
l'espressione sul viso di James ma lui continua a fissare davanti a
sé. La
verità è che solo incrociando lo sguardo di Steve
gli tornerebbe voglia di
sgridarlo e preferisce evitare.
Ritornano
a
casa nel giro di pochi minuti e James apre la porta aiutandosi col
gomito.
Steve entra e deposita a terra la propria parte di provviste, in attesa
di
istruzioni.
«Vai
a
sederti mentre io metto via questa roba,» gli dice James.
Steve annuisce,
avvilito, e lascia la stanza; per James è una sofferenza,
eppure non è ancora
certo di riuscire a parlargli senza farsi prendere dal nervoso.
Si
tiene
occupato sistemando scatolette e verdura, un compito puramente manuale
che non
lo distrae comunque dai pensieri che si agitano nella sua testa. Non
avrebbe
dovuto prendersela in quel modo con Steve, però la paura e
l'angoscia possono causare
reazioni inappropriate e spesso sono proprio la prima risposta emotiva
ad una situazione
del genere. Lo sa perché si è trovato
più volte nella posizione opposta. Non l'aveva
mai capito sul serio, prima, ma adesso gli è tutto chiaro.
Ha
un vago
ricordo di una giornata di tantissimi anni prima, quando ancora lui e
Steve
vivevano in una catapecchia nel cuore di Brooklyn. Non cerca di opporsi
né di forzare
altri dettagli a venire a galla - durante le sessioni col Dr.Chandler
ha
imparato come rilassarsi e lasciare che la sua memoria lavori
spontaneamente.
Aveva
più o
meno sedici o diciassette anni e lavorava al porto, il suo primo vero
lavoro
con stipendio fisso. Erano turni massacranti, uno sforzo fisico
notevole, però
serviva per mantenersi un tetto sulla testa e non poteva lamentarsi.
Soltanto
una volta si era permesso di perdere la calma, durante una giornata
torrida in
cui l'afa aveva messo a dura prova la pazienza di tutto il personale.
Una
collisione di troppo nelle operazioni di carico e scarico aveva
scatenato qualche
scazzottata, con tanto di labbra spaccate. Il caposquadra era stato
costretto a
intervenire per sedare più di una rissa e alla fine aveva
sentenziato che un
altro episodio simile si sarebbe concluso col licenziamento di tutti
gli operai
coinvolti. Perdere il lavoro significava perdere anche i soldi per
l'affitto, così
James si era allontanato per recuperare il controllo e aveva finito per
passeggiare
per un'ora e mezza.
Quando
era tornato
al lavoro, nel pomeriggio, aveva trovato polizia e un discreto gruppo
dei suoi
colleghi ammassati lungo la banchina. Si era sporto al di là
delle protezioni per
capire cosa fosse successo: c'era stato un incidente con la gru e tre
degli
scaricatori erano caduti nell'acqua torbida insieme al carico che
stavano
spostando. Non erano mai risaliti a galla. Dato che era successo quasi
un'ora
prima non potevano che essere annegati. Una tragedia, di certo, ma
ciascuno di
loro sapeva bene che si trattava dei rischi del mestiere.
Il
caposquadra li aveva mandati a casa prima intanto che la polizia si
occupava
delle indagini del caso e James aveva preso la strada verso il proprio
appartamento
tagliando per viuzze e strade secondarie. Era convinto di trovare Steve
lì ad
aspettarlo, così era rimasto quantomeno sorpreso nell'aprire
la porta e non
trovare nessuno. Non c'era alcun biglietto, neanche un messaggio
scritto di fretta:
Steve era sparito.
Una
parte di
lui voleva credere che Steve fosse solo andato a comprare qualcosa al
negozio
all'angolo. O meglio ancora, che con una buona dose di fortuna avesse
incontrato una bella ragazza con la quale passare il pomeriggio...
anche se quell'ipotesi
non era molto plausibile. Non che Steve non fosse in grado di trovare
compagnia
femminile, però non sarebbe mai sparito senza lasciar sapere
all'amico dove
fosse andato. L'ultima opzione rimasta era che Steve fosse in giro a
farsi
pestare a sangue, perché non sapeva mai quando era il caso
di lasciar perdere.
Sospirando
per lo sconforto si era precipitato fuori dalla porta e giù
per le scale.
Avrebbe rastrellato tutti i vicoli di Brooklyn per trovare Steve.
Avevano
sempre badato uno all'altro, sempre e per sempre, e in particolare il
suo
compito era quello di tenere Steve al sicuro. Stava per svoltare
l'angolo e
dirigersi in strada quando si era quasi scontrato con Steve stesso, del
tutto
in preda al panico.
L'aveva
afferrato e l'aveva costretto a fermarsi. «Ehi, quanta
fretta! C'è un incendio?»
«Bucky?!»
aveva esclamato Steve a metà fra l'essere incredulo e
rincuorato. Poi aveva
spintonato James con entrambe le braccia. «Ma dov'eri
finito?!» aveva
domandato mentre gli occhi blu sprizzavano scintille.
«Arrivo
adesso dal lavoro,» aveva risposto James, continuando a
tenere Steve ben
saldo nonostante l'altro cercasse di divincolarsi. Non avrebbe saputo
dire da dove
arrivasse tutta quella furia. «Dov'eri tu,
piuttosto?»
«Idiota!»
aveva replicato Steve. Stavolta sembrava essere meno incattivito.
«Il
signor Thomas ha detto che c'è stato un incidente,
giù al porto! Sono andato a
controllare che stessi bene ma sembravi scomparso, nessuno sapeva dove
fossi...
qualcuno ha detto che eri caduto in...» Steve non era
riuscito a finire la
frase e si era limitato ad agitarsi ancora nel (vano) tentativo di
liberarsi.
Solo
allora
James aveva realizzato. «Oh, Stevie...»
«"Stevie" un
bel niente!" gli aveva detto Steve, la rabbia tornata a imporsi nel
rapido
succedersi di emozioni. Aveva smesso di provare a liberarsi ed era
passato ai
pugni, colpendolo a una spalla. «Che cosa ti è
saltato in mente?! Prendere
e andartene senza dire una parola, pensavo fossi morto...
imbecille!»
Il
pugno non
gli aveva fatto neanche la metà del male che Steve avrebbe
voluto causare.
James l'aveva stretto a sé in un abbraccio soffocante. «Scusami, non avevo intenzione di
spaventarti.»
Steve
aveva
cercato di nuovo di divincolarsi, senza successo. Era ancora
arrabbiato,
nervoso e terrorizzato e l'abbraccio di James lo stava rendendo solo
più
stizzoso ed irritabile. «Lasciami andare, Buck,»
aveva sibilato in
tono minaccioso, ma James non gli aveva dato ascolto.
Anzi,
aveva
aumentato la stretta e gli aveva posato il mento sulla testa.
«No, finché
non ti darai una calmata.»
Steve
a quel
punto era stato costretto ad arrendersi; aveva posato la fronte sullo
sterno di
James, i pugni serrati intorno alla sua maglietta. L'adrenalina ancora
in
circolo si stava esaurendo e tutto il suo corpo sembrava tremare
affannato,
dalle spalle fino alle gambe scheletriche.
«Mi
hai
fatto morire di paura, Buck,» aveva detto in un filo di voce
col viso
ancora premuto contro il petto di James. Non si era ancora calmato del
tutto,
anche se gran parte della rabbia sembrava aver lasciato il posto ad un
genuino
senso di sollievo.
«Scusami,
Stevie,» aveva mormorato James e gli aveva assestato una
pacca sulla
schiena. «Non succederà più.»
«Sarà
meglio,» aveva ribattuto Steve, strappandogli un sorriso.
«Te
lo
prometto, ragazzino.»
Il
ricordo
sfuma pian piano come le increspature sulla superficie dell'acqua in un
piccolo
laghetto. Lo lascia andare e non cerca di trattenerlo, in modo da
tornare a
concentrarsi sul presente. La spesa adesso è sistemata e lui
è seduto al tavolo
della cucina, il pugno di metallo abbandonato davanti a sé.
Allenta la stretta
e guarda le dita rilassarsi lentamente.
All'improvviso
sente qualcuno tirargli i pantaloni all'altezza del ginocchio e quando
abbassa
lo sguardo vede Steve, fermo accanto a lui. Il piccolo Capitano ha
un'espressione
timorosa e gli sta porgendo un oggetto rotondo. James si sporge per
allungare
una mano: Steve gli mette sul palmo la mela che aveva preso al
supermercato. Un
modo per chiedere scusa e un'offerta di pace allo stesso tempo. James
sospira e
scuote la testa. Al diavolo tutto...
Si
abbassa e
solleva il bambino da terra per farlo sedere sulle proprie gambe,
tenendogli un
braccio intorno alla vita. «Senti, Stevie,» inizia
a dire mentre un
paio di occhi blu lo scrutano con attenzione. «Mi spiace per
quello che è
successo, non avrei dovuto alzare la voce.» Passa le dita tra
i soffici
capelli di Steve. «Mi hai fatto morire di paura,
pulce,» sussurra,
come nell'eco del proprio ricordo.
«Scusa,»
dice Steve in tono sincero intanto che tormenta la maglietta nei pugni.
James
sorride e posa il mento sulla testa di Steve in un gesto identico a
quello di tanti
anni prima. «È tutto a posto, adesso,» risponde a
fior di labbra dopo
alcuni istanti. «Solo... non farlo mai più, ok?
Non so cosa farei se dovessi
perderti.»
Steve
annuisce e si stringe a lui. «Promesso.»
1. Linea di integratori alimentari per
bambini dai due anni in su. [NdT]
Capitolo originale dell'autrice
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