Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: laylabinx    30/05/2017    3 recensioni
"Hai detto che stava bene, perché invece non mi hai detto che è stato trasformato in un moccioso?"
In cui Steve viene trasformato nel più adorabile bambino di tre anni e Bucky è totalmente, esilarantemente come un pesce fuor d'acqua.
[ Pre Age of Ultron ]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap 1 trigger

NdA

Ok, mi scuso in anticipo se James in questo capitolo sembrerà un po' OOC. Ho basato la sua reazione sulle mie esperienze personali, quindi potrebbe non corrispondere del tutto al suo carattere. Chi tra voi ha figli o ha lavorato come babysitter credo riconoscerà la successione di panico/paura/sollievo/rabbia che si prova quando non si trova più il bambino che si doveva sorvegliare... non è per nulla divertente!
Comunque spero che vi piaccia!


 

Capitolo 4: Avventure al supermercato



«Cosa mangiano i bambini?»

«...che significa?»

«Cosa mangiano i bambini?» ripete James, questa volta in tono impaziente. «Sai, i bambini... umani in dimensioni ridotte. In particolare quelli tra i due e i tre anni.»

«Sì, so cosa sono i bambini,» ribatte Clint dall'altra parte della linea. «Ma non è che siano una specie protetta.»

«D'accordo, quindi cosa mangiano?» torna a chiedere James per la terza volta. Inizia anche a domandarsi se Clint sia la persona migliore da consultare in un momento del genere, soprattutto perché dalla voce sembra che sia ancora mezzo addormentato.

«Sul serio, perché me lo stai chiedendo?» borbotta Clint. «Guarda nella dispensa e fatti venire un'idea, non è fisica nucleare.»

«Sì, beh, è proprio quello il problema,» dice James, controllando che Steve sia ancora occupato a colorare un disegno. «Mini-Steve non vuole avere niente a che fare con quello che mangia di solito maxi-Steve. Ci sono solo uova e barrette proteiche, che diavolo faccio?»

«Non lo so, Barnes. Prova col classico sandwich al burro d'arachidi e gelatina, per i ragazzini è come il crack.»

«Non ce l'abbiamo.»

«...come?!»

«Non ce l'abbiamo,» dice ancora James e apre l'anta della credenza a dimostrazione del fatto, nonostante non ci sia nessuno a vederlo.

«Non ce l'avete...» mormora Clint, incredulo. Almeno sembra più sveglio di quanto non fosse poco prima. «Chi è il mostro che non ha in casa almeno un barattolo di burro d'arachidi e gelatina? Voglio dire, è quasi antiamericano, non posso credere che Capitan America abbia fatto qualcosa del genere. Non è che sotto sotto Steve è comunista?»

James alza gli occhi al cielo. «No, non è comunista! E no, non abbiamo né burro d'arachidi né gelatina. In compenso ho un bambino di tre anni affamato e mi manca l'esperienza in questo campo, sono a corto di idee.»

«Uhm...» riflette Clint per un lungo istante, come se gli servisse tempo per riprendersi dallo shock. «Direi che l'unica soluzione è fare un salto al supermercato. Di sicuro troverai qualcosa da fargli mangiare, hanno interi scaffali solo per gli omogeneizzati. Inizia da lì.»

Si sente qualcuno parlare in sottofondo ma James non riesce a capire cosa sta dicendo. «Bruce dice di cercare i prodotti PediaSure1,» spiega Clint e trattiene un mezzo gemito di disappunto. «Però se fossi in te eviterei, quella roba dovrebbe essere usata solo come punizione.»

C'è un fruscio nel ricevitore e poco dopo una nuova voce è in linea. «James?»

James annuisce leggermente al saluto, realizzando che può trattarsi solo di Bruce stesso. «Dottor Banner...»

«Come sta Steve?»

James lancia un'occhiata al tavolo dove Steve è ancora occupato col suo disegno. Si sta divertendo ma è irrequieto e ben presto passerà dall'agitato al capriccioso, per via della fame. «Sta bene ma ha bisogno di mangiare. In casa non c'è niente che vada bene per lui.»

«Posso immaginare,» dice Bruce, che è un interlocutore dieci volte più facile da tollerare. «Clint ha ragione, la soluzione migliore è comprare qualcosa in negozio. Dovrebbe esserci un supermercato non molto distante dall'appartamento di Steve, cerca qualsiasi cosa abbia il marchio Gerber.»

«Gerber?» si stupisce James. Il nome suona familiare ed è una reminiscenza del periodo prima della Seconda Guerra Mondiale. «Davvero esiste ancora?»

«Sì,» afferma Bruce. «Se sono ancora in giro vuol dire che i loro prodotti funzionano.»

«D'accordo. Qualcos'altro che dovrei segnare sulla lista?»

Bruce rimane in silenzio per alcuni istanti. «La frutta è sempre un'ottima scelta. Con quella vai sul sicuro.»

«Va bene,» dice James mentre prende un pezzo di carta per segnare due appunti al volo. «Frutta e prodotti Gerber. Sembra abbastanza semplice.»

Dall'altra parte della linea si sente la risata sommessa di Bruce. «Una passeggiata. Comunque chiamaci se hai altre domande.»

«Perfetto,» replica James e termina la telefonata, rimettendo il telefono in tasca insieme al foglietto sul quale ha appuntato il necessario. Il piccolo Capitano è ancora seduto al tavolo in cucina, le gambe che ciondolano penzoloni mentre scarabocchia il foglio davanti a sé. È ancora in pigiama e ha i capelli tutti arruffati ma è sveglio e guarda James con vivo interesse.

La notte precedente è andata meglio di quanto James si aspettasse: Steve non ha avuto altri incubi e lui non ha cercato di strangolarlo nel sonno, quindi si può quasi considerarlo un successo. È vero, per il resto della notte Steve gli si è spalmato addosso nella perfetta imitazione di una sciarpa umana, ma James se lo aspettava. Quello che non si aspettava era che Steve si alzasse alle sei del mattino, pimpante come un grillo. James è capace di resistere per giorni dormendo solo poche ore, però combinare la mancanza di sonno con un bambino di tre anni dagli occhioni azzurri che si sveglia alle ma-che-cavolo in punto gli ha reso difficile trascinarsi fuori dal letto quel mattino.

Adesso il suddetto bambino dagli occhi azzurri è affamato e non ci vorrà molto prima che diventi intrattabile. La soluzione al problema per fortuna si è rivelata abbastanza semplice.

«Va bene, ragazzino, ti va di fare un giro al supermercato?» chiede rivolto a Steve, che annuisce con entusiasmo. «Però non puoi venire in pigiama. Vai a cambiarti e dopo possiamo uscire.»

Steve obbedisce e scappa via per il corridoio, in direzione delle camere da letto. Dopo qualche istante si sente tonfo attutito; nonostante la sua fiera indipendenza, è difficile che Steve riesca a vestirsi da solo. James lo raggiunge nella sua stanza e, come previsto, lo trova con la testa incastrata nella manica di una maglietta intanto che sta cercando di infilarsi anche i pantaloni. Si inginocchia accanto a lui e con cautela lo libera dal garbuglio di vestiti.

Diversi minuti dopo, Steve è pronto e James ha una manciata di contanti infilata in tasca. Sono diretti verso il supermercato più vicino che, come ha detto Bruce, non è poi così distante dall'appartamento. Steve non gli tiene davvero la mano, più che altro si aggrappa all'orlo della sua giacca e procede a passi piccoli e veloci inciampando ogni tanto sui propri piedi. Ogni volta James lo afferra per la maglietta prima che possa cadere, anche se lo lascia camminare da solo per gran parte del tragitto. Steve ha sempre avuto bisogno di dimostrare di essere capace di farcela senza alcun aiuto.

Il supermercato è abbastanza affollato per quell'ora del mattino, ma del resto James pensa che al giorno d'oggi qualsiasi posto sia sempre affollato: tutti vanno di fretta, indaffarati a correre da un posto all'altro, e sembra sempre che lo spazio non sia sufficiente. Non è mai stato un amante della folla, le probabilità che qualcosa vada storto sono direttamente proporzionali al numero di persone presenti e quel mattino non fa eccezione. Prende un carrello e ci sistema dentro Steve.

Vedendo l'espressione di protesta comparire sul viso del piccolo Capitano, James scuote la testa. «Puoi camminare con me al ritorno. Qui c'è troppa gente.» Steve non è soddisfatto eppure tace. Forse per effetto della fame o perché sta imparando a scegliersi le proprie battaglie, però James decide di non sfidare la sorte.

Spinge il carrello nella corsia più vicina a loro e si china verso il bambino. «D'accordo, pulce... dobbiamo farci venire in mente un sistema per comunicare. Potrebbe essere un po' complicato ma proviamoci, ok?» Steve annuisce in risposta, così James continua. «Quando ti faccio vedere qualcosa indicami sì o no con la testa. Ci sei?»

Steve ride divertito e annuisce di nuovo. James si costringe a trattenere una risata a propria volta. «Ottimo. Al lavoro!»

I due seguitano a farsi strada per le corsie successive, procedendo fra un cenno d'approvazione o dissenso. Qualcosa finisce nel carrello a prescindere da quello che indicherà Steve, perché James sa che quando Steve tornerà se stesso (il più presto possibile, si spera) avere una dispensa piena di cibo per bambini non sarà l'ideale, così fa scorta di provviste utili anche in futuro. Steve storce il naso e James risponde con una smorfia. Adesso il piccolo Capitan America non riesce a comprendere l'importanza di prodotti come il caffè, a differenza della sua versione adulta.

In poco tempo il carrello si riempie con una combinazione di cibi per i più grandi e per i piccini - questi ultimi scelti in gran parte sugli scaffali dedicati al marchio Gerber. James si assicura di prendere anche un vasetto di burro d'arachidi e gelatina, perché è certo che Clint non smetterà di insistere col patriottismo. Alla fine rimane da scegliere solo qualcosa nel reparto ortofrutta, come ha suggerito Bruce.

James porta il carrello nella corsia e lo parcheggia accanto alla lattuga. «Ok, campione, sempre le stesse regole. Sei pronto?» Steve annuisce.

«Carote?» Sì. «Sedano?» No. «Broccoli?» No. «Uva?» Sì. «Arance?» Sì.

Il sistema per indicare con un cenno della testa funziona a dovere e Steve annuisce anche quando James gli propone di prendere delle mele. Peccato che il dispenser delle borse di plastica sia vuoto. James impreca sottovoce, poi si guarda intorno.

«Aspettami qui,» dice a Steve. «Torno in un secondo.» L'unico altro distributore disponibile si trova dall'altra parte della corsia e James ci arriva contemporaneamente a una signora anziana, che strappa una busta e gli sorride mentre lui le si avvicina. «Ma che bellissimo angioletto quel bambino!»

James inarca un sopracciglio in risposta. «Grazie... suppongo.»

«Quanti anni ha?»

La domanda coglie James alla sprovvista. Deve fare conversazione?! Non è molto bravo a fare conversazione; le poche volte in cui gli capita è perché qualcuno lo sta pregando di risparmiargli la vita o succede in altre occasioni simili. «Novanta...» inizia a rispondere, correggendosi subito alla vista dell'espressione confusa della vecchietta. «Ehm... tre. Ha tre anni.»

La donna gli sorride di nuovo e riempie la propria busta di verza. «È adorabile. Meglio tenerlo d'occhio, le signorine gli staranno tutte addosso non appena sarà un po' più cresciuto.»

James è di nuovo preso alla sprovvista. Non è sicuro se debba trattarsi di un complimento o di un commento inquietante. All'improvviso realizza che l'anziana signora deve averlo scambiato per il padre di Steve e l'idea rende la situazione ancora più imbarazzante. «Sì... vedrò di starci attento.»

La vecchietta per fortuna sembra soddisfatta e, dopo uno sguardo d'approvazione, si allontana dal banco delle verdure. James tira un sospiro di sollievo e si volta per un attimo, lanciando uno sguardo al proprio carrello. Il cuore gli salta in gola e gli si gela il sangue nelle vene.

Steve è scomparso.

La spesa è dove l'ha lasciata, ma Steve no. Non è di fianco al carrello, non sta nemmeno andandosene a spasso per il reparto ortofrutta. James percorre in un lampo la breve distanza che lo separa dal carrello e inizia a cercare ovunque il piccolo Capitano. Non riesce a vederlo, non ha idea di dove possa essere: è come se Steve fosse svanito nel nulla.

Il cuore sembra esplodergli nel petto, brividi freddi gli corrono lungo la schiena e arrivano fino allo stomaco. E se qualcuno l'avesse portato via? Cosa succederebbe se qualcuno l'avesse rapito? Forse la vecchietta è stata mandata apposta per distrarre lui intanto che altri strappavano Steve fuori dal carrello? Si è allontanato per un minuto, non possono aver fatto molta strada...

Quasi si scontra con un ragazzotto poco più che adolescente, impegnato a rifornire di verdura un ripiano della corsia. In preda al panico lo afferra e lo scuote un paio di volte. «Hai visto un bambino, qui intorno?!» chiede mentre il commesso lo guarda con aria intimorita.

«Un... bambino...?»

«Sì, un bambino!» ripete James, furente. «È alto poco più di mezzo metro, ha i capelli biondi, due occhi da cucciolo abbandonato e zero istinto di autoconservazione!!»

«N-No, mi spiace, non l'ho visto...» balbetta il ragazzo e a quanto pare è la risposta peggiore che potesse dare, perché James lo spinge con forza contro una cesta piena di sacchi di patate. Il commesso si lamenta quando la mano di metallo gli stringe un poco di più la spalla.

«Se gli è successo qualcosa...»

«Bucky!» squittisce in quel momento una vocina dietro di loro e James si volta di scatto, in tempo per vedere Steve spuntare da sotto un bancone della frutta. Tiene una mela in una mano e una busta di plastica nell'altra, agitandola come fosse un trofeo. «Ho trovato una busta!»

James lascia andare il commesso per inginocchiarsi di fronte al bambino. «Ma che cavolo pensavi di fare?! Perché sei sceso dal carrello?»

Lo sguardo soddisfatto di Steve scompare e il sorriso non è più così convinto. «Ho trovato una busta,» risponde, perché per lui è la spiegazione più logica al mondo.

James non sa bene se sollevarlo di peso o sparare a qualcosa, quindi opta per un ringhio sommesso. «Non azzardarti a farlo mai più! Se ti dico di non muoverti tu non ti muovi, hai capito?» Steve annuisce. Sembra che sia sul punto di scoppiare a piangere e a James non interessa; pensare che Steve potesse essere stato rapito gli ha rilasciato in corpo una scarica di adrenalina, non riuscirà a calmarsi tanto facilmente.

Rimette Steve nel carrello, insieme alla busta di plastica e alla mela. «Non provare a uscire di nuovo da qui,» sibila scandendo bene ogni parola per rimarcare il concetto. Steve annuisce ancora e rimane in silenzio, la testa china per la mortificazione.

Il commesso che ha aggredito poco prima non si è mosso, impaurito, ed è rimasto a fissarlo ad occhi spalancati. «Mi spiace,» borbotta James, poi si affretta ad andarsene. Alcuni degli altri clienti hanno seguito la scena e, a giudicare dalle loro facce, non hanno apprezzato i suoi metodi educativi. Che pensino quello che vogliono.

I due pagano la spesa, lasciano il supermercato e tornano all'appartamento senza che James rivolga una sola parola a Steve. Si giustifica dicendosi che è troppo impegnato a destreggiarsi fra le borse che sta portando e che non c'entra nulla il fatto che stia ancora tremando per lo spavento che Steve gli ha fatto prendere. Sa bene che Steve non l'ha fatto apposta, però girarsi e non trovarlo più l'ha davvero scosso nel profondo. Una certezza nella sua vita è sempre stata il pensiero che Steve fosse più importante di qualsiasi altra cosa.

Così camminano in silenzio, James pensieroso e intento a non perdere di nuovo la calma e il piccolo Capitano che gli trotta accanto, con una scatola di cereali infilata sotto un braccio e in spalla un sacchetto riempito di tovaglioli. Ogni tanto prova a decifrare l'espressione sul viso di James ma lui continua a fissare davanti a sé. La verità è che solo incrociando lo sguardo di Steve gli tornerebbe voglia di sgridarlo e preferisce evitare.

Ritornano a casa nel giro di pochi minuti e James apre la porta aiutandosi col gomito. Steve entra e deposita a terra la propria parte di provviste, in attesa di istruzioni.

«Vai a sederti mentre io metto via questa roba,» gli dice James. Steve annuisce, avvilito, e lascia la stanza; per James è una sofferenza, eppure non è ancora certo di riuscire a parlargli senza farsi prendere dal nervoso.

Si tiene occupato sistemando scatolette e verdura, un compito puramente manuale che non lo distrae comunque dai pensieri che si agitano nella sua testa. Non avrebbe dovuto prendersela in quel modo con Steve, però la paura e l'angoscia possono causare reazioni inappropriate e spesso sono proprio la prima risposta emotiva ad una situazione del genere. Lo sa perché si è trovato più volte nella posizione opposta. Non l'aveva mai capito sul serio, prima, ma adesso gli è tutto chiaro.

Ha un vago ricordo di una giornata di tantissimi anni prima, quando ancora lui e Steve vivevano in una catapecchia nel cuore di Brooklyn. Non cerca di opporsi né di forzare altri dettagli a venire a galla - durante le sessioni col Dr.Chandler ha imparato come rilassarsi e lasciare che la sua memoria lavori spontaneamente.

Aveva più o meno sedici o diciassette anni e lavorava al porto, il suo primo vero lavoro con stipendio fisso. Erano turni massacranti, uno sforzo fisico notevole, però serviva per mantenersi un tetto sulla testa e non poteva lamentarsi. Soltanto una volta si era permesso di perdere la calma, durante una giornata torrida in cui l'afa aveva messo a dura prova la pazienza di tutto il personale.

Una collisione di troppo nelle operazioni di carico e scarico aveva scatenato qualche scazzottata, con tanto di labbra spaccate. Il caposquadra era stato costretto a intervenire per sedare più di una rissa e alla fine aveva sentenziato che un altro episodio simile si sarebbe concluso col licenziamento di tutti gli operai coinvolti. Perdere il lavoro significava perdere anche i soldi per l'affitto, così James si era allontanato per recuperare il controllo e aveva finito per passeggiare per un'ora e mezza.

Quando era tornato al lavoro, nel pomeriggio, aveva trovato polizia e un discreto gruppo dei suoi colleghi ammassati lungo la banchina. Si era sporto al di là delle protezioni per capire cosa fosse successo: c'era stato un incidente con la gru e tre degli scaricatori erano caduti nell'acqua torbida insieme al carico che stavano spostando. Non erano mai risaliti a galla. Dato che era successo quasi un'ora prima non potevano che essere annegati. Una tragedia, di certo, ma ciascuno di loro sapeva bene che si trattava dei rischi del mestiere.

Il caposquadra li aveva mandati a casa prima intanto che la polizia si occupava delle indagini del caso e James aveva preso la strada verso il proprio appartamento tagliando per viuzze e strade secondarie. Era convinto di trovare Steve lì ad aspettarlo, così era rimasto quantomeno sorpreso nell'aprire la porta e non trovare nessuno. Non c'era alcun biglietto, neanche un messaggio scritto di fretta: Steve era sparito.

Una parte di lui voleva credere che Steve fosse solo andato a comprare qualcosa al negozio all'angolo. O meglio ancora, che con una buona dose di fortuna avesse incontrato una bella ragazza con la quale passare il pomeriggio... anche se quell'ipotesi non era molto plausibile. Non che Steve non fosse in grado di trovare compagnia femminile, però non sarebbe mai sparito senza lasciar sapere all'amico dove fosse andato. L'ultima opzione rimasta era che Steve fosse in giro a farsi pestare a sangue, perché non sapeva mai quando era il caso di lasciar perdere.

Sospirando per lo sconforto si era precipitato fuori dalla porta e giù per le scale. Avrebbe rastrellato tutti i vicoli di Brooklyn per trovare Steve. Avevano sempre badato uno all'altro, sempre e per sempre, e in particolare il suo compito era quello di tenere Steve al sicuro. Stava per svoltare l'angolo e dirigersi in strada quando si era quasi scontrato con Steve stesso, del tutto in preda al panico.

L'aveva afferrato e l'aveva costretto a fermarsi. «Ehi, quanta fretta! C'è un incendio?»

«Bucky?!» aveva esclamato Steve a metà fra l'essere incredulo e rincuorato. Poi aveva spintonato James con entrambe le braccia. «Ma dov'eri finito?!» aveva domandato mentre gli occhi blu sprizzavano scintille.

«Arrivo adesso dal lavoro,» aveva risposto James, continuando a tenere Steve ben saldo nonostante l'altro cercasse di divincolarsi. Non avrebbe saputo dire da dove arrivasse tutta quella furia. «Dov'eri tu, piuttosto?»

«Idiota!» aveva replicato Steve. Stavolta sembrava essere meno incattivito. «Il signor Thomas ha detto che c'è stato un incidente, giù al porto! Sono andato a controllare che stessi bene ma sembravi scomparso, nessuno sapeva dove fossi... qualcuno ha detto che eri caduto in...» Steve non era riuscito a finire la frase e si era limitato ad agitarsi ancora nel (vano) tentativo di liberarsi.

Solo allora James aveva realizzato. «Oh, Stevie...»

«"Stevie" un bel niente!" gli aveva detto Steve, la rabbia tornata a imporsi nel rapido succedersi di emozioni. Aveva smesso di provare a liberarsi ed era passato ai pugni, colpendolo a una spalla. «Che cosa ti è saltato in mente?! Prendere e andartene senza dire una parola, pensavo fossi morto... imbecille!»

Il pugno non gli aveva fatto neanche la metà del male che Steve avrebbe voluto causare. James l'aveva stretto a sé in un abbraccio soffocante. «Scusami, non avevo intenzione di spaventarti.»

Steve aveva cercato di nuovo di divincolarsi, senza successo. Era ancora arrabbiato, nervoso e terrorizzato e l'abbraccio di James lo stava rendendo solo più stizzoso ed irritabile. «Lasciami andare, Buck,» aveva sibilato in tono minaccioso, ma James non gli aveva dato ascolto.

Anzi, aveva aumentato la stretta e gli aveva posato il mento sulla testa. «No, finché non ti darai una calmata.»

Steve a quel punto era stato costretto ad arrendersi; aveva posato la fronte sullo sterno di James, i pugni serrati intorno alla sua maglietta. L'adrenalina ancora in circolo si stava esaurendo e tutto il suo corpo sembrava tremare affannato, dalle spalle fino alle gambe scheletriche.

«Mi hai fatto morire di paura, Buck,» aveva detto in un filo di voce col viso ancora premuto contro il petto di James. Non si era ancora calmato del tutto, anche se gran parte della rabbia sembrava aver lasciato il posto ad un genuino senso di sollievo.

«Scusami, Stevie,» aveva mormorato James e gli aveva assestato una pacca sulla schiena. «Non succederà più.»

«Sarà meglio,» aveva ribattuto Steve, strappandogli un sorriso.

«Te lo prometto, ragazzino.»

Il ricordo sfuma pian piano come le increspature sulla superficie dell'acqua in un piccolo laghetto. Lo lascia andare e non cerca di trattenerlo, in modo da tornare a concentrarsi sul presente. La spesa adesso è sistemata e lui è seduto al tavolo della cucina, il pugno di metallo abbandonato davanti a sé. Allenta la stretta e guarda le dita rilassarsi lentamente.

All'improvviso sente qualcuno tirargli i pantaloni all'altezza del ginocchio e quando abbassa lo sguardo vede Steve, fermo accanto a lui. Il piccolo Capitano ha un'espressione timorosa e gli sta porgendo un oggetto rotondo. James si sporge per allungare una mano: Steve gli mette sul palmo la mela che aveva preso al supermercato. Un modo per chiedere scusa e un'offerta di pace allo stesso tempo. James sospira e scuote la testa. Al diavolo tutto...

Si abbassa e solleva il bambino da terra per farlo sedere sulle proprie gambe, tenendogli un braccio intorno alla vita. «Senti, Stevie,» inizia a dire mentre un paio di occhi blu lo scrutano con attenzione. «Mi spiace per quello che è successo, non avrei dovuto alzare la voce.» Passa le dita tra i soffici capelli di Steve. «Mi hai fatto morire di paura, pulce,» sussurra, come nell'eco del proprio ricordo.

«Scusa,» dice Steve in tono sincero intanto che tormenta la maglietta nei pugni.

James sorride e posa il mento sulla testa di Steve in un gesto identico a quello di tanti anni prima. «È tutto a posto, adesso,» risponde a fior di labbra dopo alcuni istanti. «Solo... non farlo mai più, ok? Non so cosa farei se dovessi perderti.»

Steve annuisce e si stringe a lui. «Promesso.»

 

 

1. Linea di integratori alimentari per bambini dai due anni in su.  [NdT]

 

 
Capitolo originale dell'autrice

Show her some love!

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: laylabinx