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Autore: Isara_94    03/06/2017    4 recensioni
La vita di John Watson è al servizio dell'Impero Britannico. Una notte incontra per caso uno strano pirata e lo arresta. Il famigerato capitano pirata Sherlock Holmes, invece, lo trascina nel suo mondo fatto di tesori, avventura e leggende.
John comincia a dubitare: è lui ad aver catturato capitan Holmes, oppure il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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-È la prima volta che finisco in parità da quando sono qui, immagino di dovervi un grazie- il pirata offrì la mano, magari aspettandosi pure di vedersi ricambiare in modo altrettanto amichevole la stretta di mano –Capitan Sherlock Holmes, della Baker. È stato un piacere-
John considerò freddamente sia la mano sia le monete che gli venivano rese –Vorrei poter dire altrettanto- rispose a denti stretti.
Sherlock parve non averla presa a male ma da qualche parte sulla sua destra qualcuno fece scattare la sicura della pistola, armando il colpo e lasciando intendere che non tutti prendevano la mancanza di rispetto con quella stessa filosofia.
John era rimasto al suo posto osservando il giovane capitano pirata rivestirsi con calma e lasciare la locanda senza fretta, fumante di umiliazione mentre veniva tenuto sotto tiro. Avrebbe dovuto dare un’occhiata in giro invece di studiare solo chi gli interessava di più. E invece si era fatto mettere nel sacco da uno che per quel che poteva saperne era possibile fosse diventato capitano l’altro ieri.
Dopo alcuni minuti le armi tornarono al loro giusto posto in cinture, foderi, bandoliere e fusciacche, lasciandolo libero di andare dove preferiva. Il più lontano possibile da loro e dal loro capitano, se aveva interpretato correttamente il sottinteso negli sguardi dei vari pirati. Fu allora che se ne accorse: con un rapido colpo d’occhio contò i presenti capendo che erano tutti ancora lì.
Stavolta il moro era davvero solo. Se l’avesse raggiunto alla svelta, e si fosse ricordato di non commettere un’altra volta lo stesso errore, capitan Holmes avrebbe potuto dire addio alle scorrerie in alto mare.
L’aveva ritrovato dopo una breve ricerca nei pressi di una porta altrimenti indistinguibile da quella delle case vicine da cui veniva un odore che ogni medico avrebbe saputo identificare con quello dell’oppio messo a scaldare vicino a una fiamma, ma che da quelle parti doveva servire a scopi che c’entravano poco con la medicina. John si attardò a voltare l’angolo osservando le falcate eleganti e sicure per niente simili a quelle di un marinaio che finalmente rimette i piedi sulla terraferma dopo settimane di navigazione, era davvero una vista insolita da contemplare, pensò, tutto in quel tipo gridava “aristocratico” eppure eccolo lì in mezzo a un branco di furfanti e delinquenti della peggior specie con un agio allarmante.
Sbuffò fra sé, accorgendosi di essersi perso nuovamente fra i suoi pensieri. Prima il dovere, poi il piacere. Una volta averlo messo saldamente dietro le sbarre poteva dilettarsi quanto voleva ad elencare ogni stranezza di quel pirata. Ma appunto, le cose andavan fatte con ordine. E diventava sorprendentemente più agevole avere a che fare con quella gente quando aveva le mani trattenute dietro la schiena da qualche giro di corda e buoni nodi. Meno stratagemmi potevano provare e meglio era.
Quando fu a pochi passi, sguainò la spada, aspettandosi qualunque scorrettezza da Holmes.
-Bada non fa differenza come ti consegno, fintanto che respiri- avvertì, con la sua voce più autoritaria. Sperava di far leva sulla paura dello scontro aperto, i pirati difficilmente giocavano pulito quando si sentivano minacciati.
Sherlock invece non prese nemmeno in considerazione l’idea di sfoderare la sua arma, un po’ datata ma ancora magnifica. A giudicare dall’elsa a cesto di gusto italiano, l’armaiolo che l’aveva forgiata aveva pensato a creare non solo una buona difesa per la mano ma anche qualcosa di piacevole alla vista. E soprattutto doveva essersi curato di far corrispondere tutto all’altezza non esattamente nella norma del suo committente, dedicando tutto il suo impegno per consegnare un’arma ben bilanciata. Decisamente tutto un altro paio di maniche se comparata alla sciabola che aveva in dotazione ogni ufficiale di Marina. Erano più rifinite delle semplici lame da abbordaggio a disposizione delle giubbe rosse ma comunque erano fatte per essere prima di tutto armi di servizio, senza fronzoli puramente decorativi che potessero intralciare in combattimento.
Il pirata semplicemente si voltò, sereno come lo era stato mentre finiva il gioco alla locanda, spostando appena la punta della spada del biondo ufficiale con un gesto più canzonatorio che sdegnato.
-Sappiamo entrambi che non attaccherai fintanto che sono disarmato-
-Una così bella spada, almeno due pistole… difficile poterti definire disarmato- ribattè John, deciso a non lasciarsi distrarre da quella voce calma dall’accento tipicamente inglese e signorile. Quella da sola trovava facesse distrarre anche più del resto. Profonda, piacevole, a tratti persino musicale.
-Oh, ora capisco-
-Cosa avresti capito? Che essendo un pirata dovresti almeno provare a difenderti invece di stare a parlare quando un ufficiale intende catturarti?-
Quello alzò gli occhi al cielo –È noioso, è uno spreco di tempo e a voler essere brutalmente onesto avrei altro da fare per questa notte che duellare con un ex-medico di bordo che pensa di poter avere qualche tipo di compensazione per la zoppia rimediata grazie a un attacco pirata in mare aperto con il mio arresto- elencò rapidamente. Forse un po’ troppo rapidamente, considerato che quasi non aveva preso fiato fra una parola e l’altra e che chiunque non fosse pratico con quella lingua avrebbe finito col non comprendere buona parte del discorso.
John ammutolì, ragionando su cosa fosse meglio fare. Da una parte quell’irritante giovane aveva ragione: il suo onore gli impediva di torcere un capello a chi era disarmato o seriamente intenzionato a non opporre resistenza. Dall’altra però un pirata certi diritti come quello a cui si stava appellando li perdeva nel preciso istante in cui decideva di unirsi a una ciurma che navigava sotto la bandiera nera, per cui tecnicamente disarmato o meno era nel suo pieno diritto fare quel che preferiva di lui.
E quando decise di parlare, quel che gli uscì di bocca sconvolse pure lui.
-Meraviglioso!-
Davvero? L’unica cosa sensata che gli era venuta in mente era che quel delinquente aveva indovinato per la seconda volta per filo e per segno qualcosa che non andava a raccontare troppo in giro nemmeno sulla sua nave? O forse non aveva pensato proprio, da qui il complimento che aveva preso di prepotenza il posto della formale dichiarazione con cui effettuava gli arresti. Sì, decisamente trovava che quella seconda ipotesi avesse molto più senso…
Il pirata, Sherlock, dal canto suo era ancora più allibito. Aveva l’espressione esterrefatta di chi invece di un complimento aveva ricevuto un ceffone. Se ne stava lì, pietrificato nel mezzo della strada a guardarlo in tralice. Poi, molto lentamente, parve tornare in sè.
-Non… non me lo dice mai nessuno- mormorò in un momento di profonda sincerità, ringraziando la luce fioca delle lanterne che non bastava a mostrare anche l’altro effetto collaterale di quel complimento insaspettato: una delicata sfumatura rosata che gli aveva imporporato le guance altrimenti nivee. In momenti del genere odiava il suo pallore con ogni fibra del suo essere.
Fu a quel punto che John capì che la situazione non poteva essere più strana di così. Non si supponeva che si mettesse a far conversazione, figurarsi mostrarsi meravigliato. Ma la frittata l’aveva fatta, tanto valeva togliersi la curiosità già che poteva –Che ti dicono di solito…?-
-Beh dipende, quelli come te tendono ad augurarmi di ritrovarmi con un metro di canapa inglese al collo. Tutti gli altri il più delle volte dicono solo…-
-¡Brujo!- esclamò un soldato che portava l’uniforme coi colori della guardia spagnola, una giovanissima recluta che oltre a essere nel posto sbagliato al momento giusto doveva avere anche qualche conoscenza dell’inglese. Il ragazzo puntava il suo moschetto contro il pirata con la faccia di qualcuno che ha visto un fantasma. Non che avesse davvero intenzione di sparare, per come tremava era più facile che colpisse chiunque altro tranne lui.
Sherlock sospirò con fare eccessivamente esasperato accompagnando il tutto con un gesto plateale come per dire “che avevo detto?”.
Era bastata una manciata di secondi perché risuonassero i passi marziali di tanti, troppi piedi che marciavano all’unisono, attirati dal grido del ragazzo. John non ebbe bisogno di guardarsi intorno per sapere che erano circondati. Fece un cenno all’elsa decorata che ancora spuntava dal fodero di pelle scura al fianco del pirata. Al diavolo marchi e quant’altro, anche se non dei più virtuosi quello era sempre un suddito di Sua Maestà. E non era il caso di fare gli schizzinosi contro almeno venti lame spagnole.
-Questo potrebbe essere un ottimo momento per riconsiderare le tue posizioni circa la non violenza, sai?-
 
.:O:.
 
-Ora io vorrei sapere perché…- cominciò John con la voce che tremava di irritazione mal repressa in un tentativo di restar calmo che sapeva esser fallimentare già dal principio –… perché di tutti quanti, dovevo restare bloccato qui proprio con te!-
-Lungi da me rinfacciare qualcosa ma hai fatto tutto da solo a cominciare dall’incredibile scemenza che hai tentato alla locanda, compare…-
Sherlock indietreggiò appena vedendolo voltarsi di scatto, intuendo che forse non era proprio il momento di provocarlo ulteriormente. Da quando l’aveva visto combattere si era fatto un punto d’onore di non voler provare in prima persona quello che era toccato ad almeno cinque degli spagnoli. Essere medico rendeva John Watson paradossalmente un avversario ancor più pericoloso: aver studiato come salvare vite significava pure che sapeva bene cosa fare nel caso gli andasse di spegnerle.
-Non sono compare tuo, chiaro? Sono John Watson, capitano della HMS Northumberland, e tu sei tenuto a rivolgerti a me come tale- ringhiò minacciosamente il biondo.
Un sorrisetto sghembo comparve sulle labbra piene del più giovane, che parlò ben prima di potersi mordere la lingua. Aveva perso il conto di quanta gente gli aveva fatto notare che un giorno quel suo vizio un giorno gli sarebbe costato caro –Tecnicamente la nave è del Re e tu sei solo quello incaricato di comandarla, per quanto mi riguarda non sei più alto in comando del mio primo ufficiale-
-Tu non puoi considerarti il legittimo capitano di una nave rubata, tanto per cominciare!- fu il turno di John di scoprire d’aver toccato un tasto dolente scatenando una viva protesta da parte del pirata. A quanto pareva, tanto per ribadire quanto fuori dall’ordinario era Sherlock Holmes, la nave se l’era procurata con mezzi a suo dire del tutto leciti.
Essendo chiaro però che quei due avrebbero continuato a scornarsi ancora per un bel pezzo, a metter fine alla discussione ci aveva pensato il carceriere del forte che si alzò con fare minaccioso dal tavolo, dove giocava a carte con alcuni colleghi esasperati quanto lui di sentir bisticciare in una lingua che non comprendevano, dopo che già altre due volte aveva sbraitato un avvertimento al loro indirizzo. Abbaiò loro di starsene zitti una volta per tutte insieme a qualche minaccia riguardante cosa avrebbe fatto se avessero continuato a fare di testa loro che però capì unicamente Sherlock, il quale disponeva di uno spagnolo più fluente di quello conosciuto dal suo improbabile compagno di cella.
John brontolò qualcosa, zoppicando stancamente verso la panca scricchiolante addossata alla parete di fondo e lasciandocisi cadere con un tonfo esausto. Diede un’occhiata al miserevole posto in cui era capitato, massaggiando la gamba dolorante mentre borbottava maledizioni rivolte a quello che gli aveva sequestrato il bastone.
Non si poteva certo dire che il comandante della fortezza tenesse in gran conto il benessere di chi veniva rinchiuso lì sotto. I muri in alcuni punti trasudavano acqua e il pavimento di rozzi blocchi di pietra era sconnesso e quasi più infido dei gradini consunti e scivolosi delle ripidissime scale a chiocciola che dalla corte interna scendevano lì. Qualcuno aveva gettato in ogni cella una bracciata di paglia e giunchi così da tenere l’umidità del pavimento lontana dalle ossa, ma l’aveva fatto di evidente malavoglia. Non ce n’era a sufficienza né per rendere quel posto un minimo più salubre nè per farsi un giaciglio decente su cui riposare. C’erano solo un tavolo traballante, quella panca che a giudicare dagli scricchiolii sinistri che mandava a ogni minimo spostamento di peso sembrava sempre in pericolo di spezzarsi e mandarlo a gambe all’aria da un momento all’altro e alcuni anelli di ferro infissi nel muro. Nemmeno una finestrella, una feritoia che facesse entrare un po’ di aria fresca o luce… niente. Una nicchia nella parete, sulla sinistra, ospitava ancora un piattino di terracotta scheggiata dove era stata accesa una candela esaurita da tempo e che nessuno si era preoccupato di sostituire. La loro unica luce veniva dai supporti di ferro nero fissati a intervalli regolari nel corridoio su cui bruciavano candele e lampade da cui si levavano fili di fumo untuoso che finivano con l’annerire ancor meglio le basse volte già coperte da ampie striature di fuliggine.
John suppose che magari ritenevano in qualche modo un rischio mettere a disposizione di Sherlock una candela accesa; aveva presto scoperto che sebbene nessuno lo chiamasse per nome e per tutti era semplicemente “El Brujo”, davano a intendere di averci già avuto a che fare. Trovò di non essere affatto sorpreso dalla cosa, con ogni probabilità Holmes non dava noie solo alla Compagnia delle Indie ma depredava carichi preziosi a prescindere da chi li trasportava. Gente così era ricercata praticamente da ogni nazione che si definisse civile.
Oppure era possibilissimo che considerassero uno spreco di denaro dare un po’ di luce a qualcuno di cui avevano tutta l’intenzione di sbarazzarsi magari già l’indomani. Se c’era una cosa che accomunava Inglesi e Spagnoli, era proprio che entrambi i pirati li preferivano appesi. Anche se Sherlock avrebbe dovuto preoccuparsi di più fra loro due, si accorse che essendo in quella situazione nemmeno lui era certo di potersi definire al sicuro. Era pur sempre in territorio dei nemici giurati dell’Impero Britannico.
Pensare al pirata gli fece tornare in mente che era da quando erano stati bruscamente invitati al silenzio quello non aveva smesso per un solo istante di fare avanti e indietro da una parte all’altra della cella, lo sguardo trasognato di chi è immerso nei propri pensieri e le mani giunte appena sotto il mento come in preghiera. Strana posa, non sembrava esserci una motivazione religiosa dietro, John ne era abbastanza convinto. Il vero problema però non era tanto che Sherlock stava pensando, ma che la cella era troppo piccola per uno con il suo passo svelto. Con quelle sue gambe lunghe per arrivare dal muro alle sbarre e ritorno non gli occorrevano più di sei passi. Il risultato era un calpestio costante che cominciava a dargli veramente sui nervi.
-Ottimo lavoro, davvero- fece a un tratto, la voce grondante sarcasmo –Vedo che sta procedendo bene…-
Sherlock non smise di passeggiare, ma gli sfuggì un mugugno irritato a mo’ d’avvertimento.
John finse di non sentirlo, proseguendo con maggior convinzione –Vuoi una mano per caso?-
A quel punto anche il pirata arrivò al limite della sua scorta di pazienza. Una scorta che il biondo ufficiale non poteva sapere essere già minima.
-Di che diavolo vai blaterando?!-
Per la prima volta in quella serata, John sorrise sinceramente –Del tunnel per fuggire di qui. Se continui così entro una decina d’anni riuscirai a farci un gran bel buco in quel pavimento!-
Il capitano pirata sbottò su quanto fosse stupido quel che aveva appena detto, prendendo a brontolare che quando si ritirava nel suo palazzo mentale esigeva assoluto silenzio e quando pensava qualcosa lo doveva pur fare perché stare fermo troppo a lungo non lo aiutava e altre simili stranezze.
-Senti, tu forse riuscirai a ragionare ma tutto questo sta facendo impazzire me- chiarì l’ex medico, provando a usare un tono più gentile. Aveva bisogno che si fermasse, almeno per qualche minuto.
Notando lo scarso effetto che avevano avuto le sue parole, fu svelto a sporgersi in avanti ed afferrare un lembo della manica del suo soprabito per impedirgli di ricominciare daccapo. Lo costrinse ad arretrare con fermezza fino a spingerlo nell’angolo dov’era ammassato il piccolo covone di paglia, lasciandogli solo due scelte: sedersi di sua spontanea volontà, o farlo per scelta d’altri.
Holmes decise per la prima opzione, fortunatamente, sistemandosi giù con le ginocchia strette al petto e un’espressione imbronciata che per poco non fece ridere di gusto il militare. Quando mai si era sentito di un pirata, uno che pareva essere la spina nel fianco di chiunque fra l’altro, mettere il broncio come fosse un bambino rimproverato per i suoi capricci?
Non era davvero compito suo cercare di esser comprensivo nei suoi confronti, eppure si ritrovò ad aggiungere –Qualunque sia il piano che stai architettando non funzionerà mai se ti stanchi già ora. Ad ogni modo, se volessi includermi nel progetto ti sarei particolarmente grato-
Il moro lo gelò con uno sguardo, scattando sulla difensiva –È davvero confortante che ti preoccupi per la mia condizione fisica, dopo che mi hai puntato contro una spada…-
John era affascinato da suoi occhi mutevoli ed espressivi, avrebbe giurato che ora avevano la stessa sfumatura color ardesia delle nubi che annunciano tempesta. C’era qualcosa in quelle iridi cangianti che lo metteva a disagio. Non era come essere semplicemente osservato, si sentiva come un libro che viene lentamente, inesorabilmente, sfogliato una pagina alla volta. Qualcuno più superstizioso di lui avrebbe detto che c’era un che di davvero poco umano in quegli occhi, che se gli spagnoli da quelle parti lo chiamavano stregone forse c’era una buona ragione. Represse un brivido, facendo appello a ogni briciolo di razionalità. Dannazione, era un medico, un uomo di scienza, non poteva farsi turbare a quel punto da una innocua eterocromia come il più ignorante dei marinai!
Lasciò perdere la mezza intenzione di ricordargli che per primo era stato lui a farlo tenere sotto tiro da non meno di dieci dei suoi uomini quando ancora erano alla locanda, per cui potevano considerarsi pari. Si appoggiò contro il muro provando la spiacevole sensazione di non avere indosso abbastanza abiti per proteggersi dal tocco umido della pietra.
-Va bene- fece, alzando le mani in segno di resa –Padrone di startene lì imbronciato quanto vuoi, Holmes-
-Sherlock- corresse quello, con meno veemenza –Holmes è come si fa chiamare qualcun altro-
John scelse saggiamente di non indagare oltre, non sarebbe uscito di lì ficcando il naso in affari che non lo riguardavano –Quando pensi di aver qualcosa di cui dovrei essere messo a conoscenza, fammi un fischio-
Il grigio che aveva rannuvolato le iridi troppo chiare era già svanito, veloce come un temporale estivo, lasciando il posto al consueto colore acquoso che le caratterizzava quando il giovane era di umore più ciarliero. Trovava immensamente frustrante aver studiato anni, chino su ogni libro su cui riusciva a mettere le mani, e non sapere ugualmente dare un nome a quanto stava vedendo.
Sherlock lo prese in parola, letteralmente. Dopo un’ultima rapida osservazione se ne uscì con assoluta noncuranza, che aveva il sospetto sempre più fondato che quella zoppia era di natura puramente psicosomatica.
-Cosa hai detto?-
-Sei un medico, uno di quelli competenti se l’ammiraglio ha preferito darti una promozione invece di una lettera di congedo, hai capito perfettamente di cosa sto parlando. Il dolore che senti in questo preciso istante non viene dalla gamba, è solo nella tua testa- lo zittì impaziente, riprendendo a spiegare come era arrivato a quella conclusione –È la spalla a essere rimasta ferita, l’ho notato vedendo che hai sempre evitato di farci peso mentre giocavamo. Qualcosa di piccolo, probabilmente un colpo di arma da fuoco, ma un buon tiratore non avrebbe mancato il cuore su una distanza così ridotta, se sei ancora fra noi significa che il proiettile ti ha colpito mentre davi le spalle al tuo aggressore. Guarda caso, ci sono solo due tipi di uomini che in un momento simile stanno in ginocchio voltando le spalle al combattimento: i codardi e i medici. Dal momento che in questa situazione ci siamo finiti soprattutto grazie al fatto che il tuo coraggio tende a sostituirsi alla tua ragione più spesso di quanto tu sia disposto ad ammettere, l’unica spiegazione logica resta la seconda-
John sgranò gli occhi, sorvolando perfino sul vago insulto. A volte aveva bisogno del bastone anche solo per alzarsi dal letto ma spesso passava anche intere ore sul ponte di comando senza sentire alcun bisogno di riposare nonostante gli venisse spesso offerta una sedia, proprio come se si dimenticasse del dolore. Volle vederci chiaro, chiedendo come faceva a esser sicuro di quanto affermava.
Gli occhi azzurri dell’altro luccicarono vittoriosi –Sono sicuro perché quando ti hanno catturato nessuno ti ha sequestrato il bastone… l’hai dimenticato alla locanda nella tua fretta indiavolata di seguirmi-
Dunque era così che funzionava, nessuna stregoneria. Solo… osservazione. Tanta, acuta, minuziosa osservazione. John sentì l’impellente bisogno di reprimere una risata. Il temibile stregone che faceva tremare come foglie i soldati di Santo Domingo, era solo un trentenne con l’occhio di falco per i dettagli!
-Stupendo, assolutamente stupendo!- esclamò, divertito da quella scoperta.
Di nuovo il pirata lo squadrò poco convinto. Beh, se la maggioranza delle persone erano ignoranti a sufficienza da scambiare le sue deduzioni troppo accurate per magia nera John poteva capire come mai era così poco avvezzo a veder apprezzate le proprie capacità.
-Lo pensi su serio?- domandò cautamente, come se avesse preferito sentirsi dire qualcosa di poco lusinghiero come sempre. Gli insulti aveva imparato a gestirli, i complimenti invece… doveva lavorarci ancora un po’.
-Certo! È… straordinario. Dove hai imparato a fare tutto questo?-
-Era l’unico gioco divertente che si poteva fare in una casa come quella dove sono cresciuto. Stare ad ascoltare quel vecchio incartapecorito del nostro precettore che parlava solo di date, battaglie e gente morta da secoli era una noia mortale, così stavo alla finestra con mio fratello e ci sfidavamo a dedurre a turno tutto quel che potevamo sulle persone che passavano in strada- raccontò Sherlock, sancendo di fatto il paradosso che un pirata avesse avuto un precettore –Vinceva sempre lui, il guastafeste-
 
.:O:.
 
-John… John!-
Il medico si stiracchiò, in un osceno scrocchio di articolazioni anchilosate a causa della scomoda posizione in cui aveva dormito. Quando si era addormentato? E perché lo chiamava qualcuno che aveva quel buffo modo di pronunciare il suo nome? Gli ci volle qualche attimo perché gli eventi della serata riaffiorassero dai meandri della sua mente ancora impastata di sonno.
-Che c’è?- biascicò fra uno sbadiglio e l’altro.
Il pallido viso del pirata era guastato da un bel paio d’occhiaie violacee, nuove di zecca -È l’alba-
-Non hai dormito?-
-Oh ma sicuro, perché pensare a un piano per salvarci il collo quando posso riposarmi tutta la notte e fare una bella impressione quando ci trascineranno in pubblica piazza per farci fuori?- lo rimbeccò beffardo Sherlock –Avanti, mi serve che tu sia sveglio quando arriveranno con la nostra colazione-
   
 
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