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Autore: Bibliotecaria    03/06/2017    1 recensioni
La magia che conosciamo non è l'unica ad esistere, e questo Arthur lo sa, alcune sono antiche e dimenticate, altre novelle e sconosciute. Ora però una magia oscura sta portando Hogwarts nel terrore, sangue innocente scorrerà, e sotto il velo della paura qualcuno alzerà la testa per affrontare il proprio destino. E c'è un nemico che solo l'erede di Merlino può affrontare.
Attenzione: questa storia è il seguito di "Una nuova generazione - il ritorno dei draghi"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una nuova generazione '
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Cap. 15 L’erede di Serpeverde

 

Quella mattina, al risveglio, Fernand si ritrovò stravaccato nel letto in malo modo, mezzo dentro e mezzo fuori, una bottiglia di vino ancora in mano e tre preadolescenti ronfanti sul suo letto. Hanna nel sonno si era appoggiata nel suo petto e si stava dolcemente strusciando contro, Nathaniel, d’altro canto, si era rannicchiato dall’altra parte del letto stringendosi ad un vecchio e logoro cuscino, Arthur, invece, dormiva abbastanza composto, anche se si teneva una mano sotto la maglietta. All’inizio Fernand non si ricordava cosa fosse successo quella notte, si ricordava che... –Cos’è successo ieri sera?- Si domandò confuso. Aveva i ricordi chiari fino ad un attimo prima di uscire di casa per il suo solito giro notturno, poi tutto era confuso, gli era chiaro che i ragazzi avessero dormito da lui perché era stato lui ad insistere, e gli era anche chiaro che aveva bevuto un bicchierino di troppo a giudicare dalle due bottiglie vuote. –E io che mi ero ripromesso di smettere in maniera definitiva, cielo, devo decidermi a liberarmi di questi alcolici, questa sera devo aver esagerato.- Pensò Fernand notando la bottiglia ancora in mano. Poi però aveva il vuoto, non si ricordava cos’era successo, probabilmente a causa dell’alcol. Però aveva una strana sensazione: era convinto che fosse successo qualcosa di grave ad Arthur, solo non ricordava cosa. Ci pensò su e gli venne in mente quel sogno assurdo avuto quella notte, probabilmente ne era stato influenzato. Guardò l’orologio, era tardi, le nove e mezza, ma essendo sabato poteva lasciarli dormire, avevano un’aria distrutta e non sembravano neppure avere una buona cera. Così Fernand rimase fermo immobile fino a quando, verso le dieci, Arthur non si svegliò di colpo. “Ehi, Arthur.” Lo salutò Fernand a passa voce. Il ragazzo non rispose, e a testa china si alzò, pieno di vergogna e si diresse all’uscita. Confuso Fernand si liberò piano di Hanna e raggiunse il ragazzo. “Ehi, Arthur, che succede?” Domandò il guardiacaccia confuso. “Ho bisogno d’un po’ d’aria.” Spiegò atono il ragazzo mostrando le profonde occhiaie che cerchiavano i suoi occhi stanchi e il viso pallido e consumato. –Cielo… che brutta cera, deve aver avuto gli incubi o deve aver dormito male, fortuna che l’ho lasciato dormire o adesso starebbe peggio. “Va bene, ma non andare via, ti do un po’ di pane e marmellata, così ti carichi un po’.” Disse il professore recuperando in fretta un coltello, finito a terra assieme a tutto quello che c’era sul tavolo la sera prima, inclusa la tovaglia, e un vaso con un fiore. –Cielo, ho davvero bevuto parecchio ieri sera.- Pensò il professore mentre superava i cocci di un vaso e prendeva una pagnotta dalla dispensa, da cui tagliò una generosa fetta per Arthur e vi aggiunse un altrettanto generosa dose di burro e di marmellata di frutti di bosco fatta in casa. “Ecco!” Esclamò a mezza voce Fernand porgendo la colazione al ragazzo, il quale, senza tanti preamboli, la mangiò tutta in un battibaleno. “C’è una po’ di latte?” Domandò Arthur a capo chino accortosi solo ora della fame mostruosa che aveva. Il professore gli sorrise e recuperò dalla dispensa il latte che versò in un grosso bicchiere, e lo appoggiò sul tavolo assieme ad un’altra fetta di pane. Arthur mangiò tutto in silenzio, ma con appetito. “Grazie…” Sussurrò il ragazzo. “Figurati, per così poco.” Disse il professore. “Meglio che torni a scuola, i tuoi amici credo che saranno fuori combattimento ancora per un po’.” Spiegò Fernand. “E se qualcuno ti fa delle domande digli che siete venuti da me a parlare e vista l’ora che si era fatta ho preferito tenervi da me, John non ne sarà contento, ma non è la prima volta che succede, non dovrebbero esserci problemi.” Spiegò il professore. “Va bene, allora io vado.” Disse Arthur alzandosi e uscendo finalmente.

***

Mi diressi fino alla sala centrale, volevo andare nella sala grande e sperare di trovare qualcosa da mangiare poiché avevo ancora una fame da lupi. Non avevo mangiato niente ieri sera e quelle due fette di pane non mi bastavano a saziarmi.  Mi ero appena seduto al tavolo, oramai semi vuoto, quando qualcuno mi chiamò. “Arthur.” Mi voltai: Brian e Sal erano dietro di me. “Mi dici dove cazzo è finito Nath?” Iniziò Brian. “Così lo posso picchiare.” Continuò l’interlocutore. “E Hanna? Diamine, nessuno l’ha vista. E lei non salterebbe mai la colazione!” Continuò Sal. “Oh… ehm…” Pensai velocemente che cosa dire. “Stanno bene, sono da Fernand.” Spiegai vago pensando che la verità fosse il modo più rapido per sbarazzarsi di loro. “Fernand?” Domandò Brian confuso. “Il professor Change.” Spiegai, ma le loro facce restarono confuse. “Quello con le cicatrici.” “Oh… lui… sì…” Iniziò Sal tornando tranquillo, poi però fece una faccia strana, ironica, e mi urlò contro. “Ma cosa cazzo ci facevate da un professore di notte!?!” Dopo aver fatto un mezzo salto indietro lo guardai esasperato. “Solo una cena, ma si era fatto tardi e Fernand ci ha ordinato di dormire da lui, è una persona molto gentile, se lo conosceste lo sapreste.” Spiegai seccato: non era il caso di infastidirmi quella mattina, avevo uno strano senso di insoddisfazione, oltre che i sensi di colpa. “E allora loro dove sono?” Insistette Brian. “A dormire, quando mi sono svegliato ronfavano nella grossa. Temo che prima di mezzogiorno non si sveglieranno.” Spiegai continuando a mangiare le mie uova. “Oh, e va bene, ma di a Nath che mi deve un favore, l’ho coperto io.” Spiegò Brian seccato. “Ho detto che si sentiva male e che era andato in infermeria.” Accennai un grazie. “Hanna invece?” Domandai rivolgendomi a Sal. “Nessuno si è accorto di nulla, sai c’è talmente tanto casino nei dormitori, e Hanna non sta molto simpatica alle ragazze, quindi ne sono rimasti indifferenti.” Spiegò Sal. “Okay, dirò a loro di raggiungervi appena sarà possibile.” Dissi sperando che se ne andassero, non che provassi antipatia nei loro confronti, ma quando Hanna e Nath stavano reciprocamente con Sal e Brian sembravano fregarsene degli altri, compreso me e gli altri due membri rimanenti del quartetto. “Bene, perché lo voglio picchiare quel tipo!” Esclamò Brian furioso andandosene. “Brian, non è che Nath ti piace?” Domandò Sal malizioso. “E a te? Non è che piace Hanna?” Continuò Brian, a quelle parole Sal fece un salto e disse qualcosa, probabilmente offensivo e concitato, che non udii. Sorrisi divertito, poi però tornai a concentrarmi sul problema più prossimo: Ehogan. Il mio maestro non mi aveva ancora chiamato, e forse era meglio così, però presto o tardi lo avrei dovuto affrontare, quindi era meglio che mi preparassi psicologicamente a confrontarmi con lui. Inoltre c’era la questione della camera dei segreti, dovevamo assolutamente capire come si diceva apriti in serpentese. A rigor di logica doveva essere uno nella casa Serpeverde e di circa la nostra età, massimo un paio d’anni più grande minimo un anno più piccolo in base al ricordo che avevo dell’immagine. Iniziai a giochicchiare con il cibo. E poi c’era la questione dell’affrontare i chip, ma di quello ce ne saremo occupati quando avremmo trovato un modo per entrare. Inghiottii un boccone. Per di più il tempo iniziava a stringere: Elaine resisteva bene ma non poteva andare avanti ancora a lungo, e poi la scuola a breve sarebbe finita e una volta chiusa non avremmo più avuto modo di agire, e, inoltre, c’era un forte rischio di attacchi da parte dei chip, era passato troppo tempo dall’ultimo attacco.

***

Hanna e Nathaniel si svegliarono che era mezzogiorno e solo perché il professor Fernand non poteva continuare a tenerli a letto. “Ehi, Nathaniel… Hanna… Ragazzi…” Iniziò con un sussurro, Hanna in tutta risposta si aggrappò al cuscino con un mugugno di protesta, mentre Nath sollevò appena la testa borbottando qualcosa di simile a “cinque minuti”. A quel punto Fernand, stufo di usare le buone maniere, afferrò il materasso e butto letteralmente giù dal letto Hanna e Nathaniel, i quali si ritrovarono una sopra l’altro. “Fernand!” Protestò Hanna. “Hanna, è mezzogiorno, noto che eravate stanchi, ma non potete dormire tutto il giorno.” Decretò il professore. “Vi ho preparato un caffelatte per dopo, così vi svegliate, ma adesso pranzate, o arriveranno le otto e sarete svegli come due grilli.” A quel punto i due ragazzi si sedettero a tavola e mangiarono di gusto, effettivamente avevano proprio fame. “Visto, ora come vi sentite?” Domandò il professore mentre finiva il suo pasto. “Meglio, ma io ho ancora sonno.” Si lamentò Hanna bevendo il caffelatte. “Ma fino a che ora vi ho tenuti svegli?” Domandò Fernand stupendosi di sé stesso. “Saranno state le tre.” Spiegò Nath, anche se sospettava che erano più vicini alle quattro che alle tre. –Fortuna che Ehogan ci ha spediti a letto, o oggi non avrei neanche avuto la forza per pensare.- Pensò il ragazzo sorseggiando il suo caffelatte. “Le tre!” Esclamò il professore. “Cielo! Devo aver bevuto come un Irlandese! Hanna, Nath, se la prossima volta mi metto a bere anche solo un bicchierino, voi, fermatemi!” Decretò imbarazzato. “La colpa è anche nostra che ti abbiamo incoraggiato a fare tardi, poi tu eri anche un po’ brillo, quindi è comprensibile.” Lo giustificò Hanna. “Cielo! E pensare che sono un professore, che vergogna!”

***

Mi addentrai per i corridoi del secondo piano in silenzio. Non c’era nessuno, ma era meglio essere prudenti: non volevo che qualcuno si mettesse a fare domande sul perché stavo andando nel bagno delle ragazze. Entrai quatto quatto e sbirciai controllando che non ci fosse nessuno. Pareva deserto, quando un lungo ululato, qualcosa di simile ad un pianto mi fece retrocedere. –E ora che faccio? Non posso di certo farmi beccare, e come ci si comporta con una ragazza che piange? Oh... perché Ehogan non mi insegna anche queste cose.- Pensai battendo in ritirata dicendomi che quando sarei tornato con Hanna e Nath la ragazza avrebbe smesso di piangere e se ne sarebbe andata, e poi nel peggiore dei casi potevamo mandare Hanna da sola in avanscoperta.

***

Hanna e Nathaniel stavano camminando lungo il corridoio quando una voce attirò la loro attenzione. “NATHANIEL!!!” L’interessato si voltò. “Ehilà Jack!” Lo salutò il Serpeverde. “Dove cazzo eri finito? Questa mattina avevamo l’allenamento!” –Merda! Me n’ero completamente dimenticato, ora questo qui mi ammazza.- Pensò il ragazzo vedendo la mole del suo compagno minacciarlo. “S-scusa… J-jack, ma ecco… vedi…” “Nono mi interessa un accidenti di niente!” Urlò il caposquadra afferrando Nathaniel per i baveri della camicia. “Ora, visto che è la prima volta sei avvisato, ma se salti un altro allenamento…” “Sono fuori, giusto?” Lo anticipò il ragazzo spaventato. “No, peggio, prima ti pesto a sangue, poi sarai mio schiavo per un allenamento extra! Sono stato chiaro!?” A quella domanda Nathaniel agitò vorticosamente la testa in segno d’assenso facendosi l’appunto mentale di non saltare mai più un allenamento mentre Jack aveva il ruolo di capitano. Solo quando Jack fu soddisfatto del terrore negli occhi di Nathaniel lo lasciò andare e se ne andò borbottando insulti fino a raggiungere Eric.

“Certo che lo tratti tanto male.” Scherzò Eric. “Devi avere davvero tanto interesse per lui se lo hai trattato così.” Continuò il ragazzo, nonché suo migliore amico. Jack sbuffò. “Non so di cosa tu stia parlando.” Sussurrò trascinando via l’amico.

“Che stronzo!” Si lamentò Nathaniel mentre si sistemava la camicia. “Magnifico, mia madre mi uccide se strappo la camicia.” Borbottò il ragazzo. “Sì, concordo, è un bello stronzo. Spero che venga investito da un auto.” Lo appoggiò Hanna. Stavano per continuare il loro percorso quando qualcuno afferrò Hanna per i fianchi sollevandola da terra. “MIA!” Urlò Sal stringendola. “Brutto idiota! Molla l’osso!” Urlò Hanna liberandosi sforzando appena le braccia. “Okay, okay permalosa.” Disse Sal facendo segno ad Hanna di calmarsi. “Dove sei sparita oggi?” Gli domandò l’amico cominciando a camminare accanto a loro, che avevano ripreso a dirigersi verso la casa Corvonero, dove speravano di trovare Arthur. “Ieri siamo stati da Fernand e abbiamo dormito da lui.” Spiegò Hanna. “Sì, questo Arthur me lo aveva detto. Ma perché ci onorate della vostra presenza solo adesso?” Domandò il ragazzo imitando un inchino. “Niente, avevamo molto sonno, siamo stati svegli fino a tardi.” Spiegò Nathaniel sperando di liberarsi presto di quella cozza. “Ah, capisco, e senti Nath Brian ti sta cercando, è molto preoccupato.” Spiegò il Grifondoro. –Oh, cielo! Povero Brian, appena lo trovo gli dovrò una montagna di scuse, lo andrei a cercare se non fosse per… le priorità.- Pensò sconsolato Nathaniel. “Sal, scusa se non ti ho detto nulla, ma è stata un’improvvisata.” Spiegò Hanna seriamente dispiaciuta. “Sì, immagino, anche i tuoi fratelli ti stavano cercando, e quando ho detto loro dov’eri si sono calmati, ma comunque erano parecchio incazzati. È meglio se ti scusi con loro dopo.” “Sì, certo.” Disse Nathaniel, facendosi nota di andare a cercare Brian per scusarsi più tardi. “Senti, ma hai visto Arthur? Lo abbiamo cercato d’ovunque ma è sparito.” Domandò Nathaniel speranzoso. “L’ultima volta che l’ho visto è a pranzo, pareva pensieroso.” Spiegò Sal rievocando l’immagine di un agitato Arthur che continuava a guardarsi avanti e indietro nella speranza di vedere qualcuno dei suoi amici. “Va bene, grazie comunque.” Disse Nathaniel continuando a camminare. Stavano salendo le scale quando Hanna si bloccò. “Arthur!” Urlò la ragazza verso il lato opposto delle scale. Arthur, accortosi solo in quell’istante della loro presenza, fece loro cenno di venire con lui. “Okay, ora io vi lascio, ho una ricerca da fare. E dovresti farla anche tu Hanna, e ricordati che dobbiamo studiare assieme più tardi.” Le ricordò il ragazzo imboccando uno dei corridoi. “Certo, certo, non ti preoccupare.” Disse Hanna tranquilla mentre salutava l’amico con la mano.

Quando Sal sparì dietro l’angolo, Hanna afferrò Nathaniel per il colletto della divisa e lo trascinò fino ad Arthur con una velocità impressionante saltando i gradini a due a due e spintonando il ragazzo affinché andasse più veloce. Ad un certo punto, Nathaniel, si divincolò, ma venne riacchiappato subito da Hanna la quale, dopo averlo fatto quasi cadere giù dalle scale, mollò la presa e Nathaniel si scontrò contro Arthur finendo l’uno, scompostamente avvinghiato all’altro. “Allora? Che hai visto?” Domandò Hanna senza tanti preamboli fissando Arthur da sotto il corpo di Nathaniel. Dopo che Arthur venne rimesso in piedi ed ebbe spiegato a grandi linee ciò che aveva visto. “Sei già andato nel bagno?” Domandò Nathaniel il quale per tutto il discorso si era messo da parte e aveva ascoltato in religioso silenzio ciò che Arthur aveva detto con il volto cupo. “No, o meglio ci sarei andato ma ho sentito qualcuno piangere e mi sono dato alla fuga.” Spiegò il ragazzo imbarazzato. “E ci credo, quella è Mirtilla Malcontenta, io ed Elaine stavamo per entrare lì una volta, ma ci hanno bloccate avvertendoci che lì c’è questo fantasma che non fa altro che piangere per ogni sciocchezza.” Spiegò Hanna con sufficienza. “Aspetta… perché non ho mai sentito parlare di questo fantasma prima d’ora?” Domandò Nathaniel perplesso. “Perché tendenzialmente resta sempre lì, si dice che quello sia il luogo in cui sia morta.” Aggiunse Hanna diventando all’improvviso più lugubre. Arthur sentì i brividi freddi lungo la schiena ma si impose di calmarsi. “Va bene, se è davvero sempre deserto dovrebbe essere semplice accedere alla camera, muoviamoci.” Esclamò Nathaniel iniziando a dirigersi verso il secondo piano, ma venne subito superato da Hanna che gli fece strada mentre Arthur stava dietro iniziando a pensare a come muoversi in seguito.

Arrivati al bagno Hanna si diresse subito verso il lavandino indicatogli da Arthur e iniziò ad ispezionarlo. “Ehi, ma tu guarda, giovani studenti in cerca di guai.” Iniziò un fantasma dall’aspetto d’una giovane studentessa con due lunghi codini appena sopra le orecchie e degli spessi occhiali, di quelli orribili a bottiglia, come li definiva Hanna, che le coprivano i piccoli occhi vispi. “Ah, sei tu Mirtilla, sparisci, non abbiamo tempo per te.” La liquidò Hanna facendola scoppiare a piangere e con un urlo buttarsi dentro un gabinetto. Nathaniel e Arthur guardarono Hanna in una via di mezzo tra il confuso e lo schifato. “Si sarebbe messa a piangere comunque, non ho ne voglia ne tempo di mentire ad un fantasma.” Spiegò Hanna mentre un piccolo rilievo veniva calcato dalle sue dita, era contorto e piccolo, con una estremità tondeggiante. Hanna si chinò per vederlo: un serpente con un piccolo occhio smeraldo. “BINGO!” Esclamò Hanna facendo vedere il piccolo serpente ad Arthur e Nathaniel. “Arthur, sei stato mitico! Queste tue visioni sono davvero utili!” Commentò Hanna abbracciando Arthur in perda all’euforia. “C-certo.” Balbettò Arthur improvvisamente in imbarazzo. Per qualche strano motivo quel giorno Hanna le pareva diversa, anche se non sapeva bene come, una debole indefinitezza che fino ad ora aveva ignorato, ma che ora gli appariva chiara, e allora Arthur parve accorgersi per la prima volta che Hanna era una femmina e non un maschiaccio come l’aveva sempre vista. Ma fu solo un attimo perché subito dopo Hanna gli mollò un pugno sulla spalla facendogli i complimenti.

“Okay, a questo punto Arthur non ci resta che capire chi mai sia l’erede di Serpeverde. Sei sicuro di non avere nessun altro indizio?” Domandò Hanna speranzosa. “No, Hanna, non lo so. L’unica speranza è quella di trovare qualcuno che parli serpentese appartenente ai Serpeverde, ma dubito che sarà semplice: di norma chi ha questa abilità se la tiene per sé, soprattutto se appartiene alla casa Serpeverde, dopo l’ultimo che si è dichiarato tale, nessuno ci tiene ad assumere questo titolo.” Spiegò Arthur tornando a guardare il serpente. “Beh… qualunque cosa sia non lo risolveremo oggi, e di certo non tu Hanna: sbaglio o oggi hai da studiare?” Domandò Nath. “Ma non voglio starmene qui con le mani in mano, vi voglio aiutare!” Si lamentò Hanna. “Lo sappiamo, ma se vieni bocciata poi chi la sente Elaine? Si sentirà in colpa a vita perché non ti ha permesso di finire l’anno, e tu di certo non ci tieni ad affrontare l’ira di tuo padre e di tua madre, ed essere canzonata dai tuoi fratelli.” Le ricordò Nathaniel. “Ma… ma…” Iniziò Hanna pensando a come ribattere: sapeva di essere indietro e che se non si dava una mossa la finale la guardava con il binocolo, ma non voleva lasciarli soli. “Tranquilla, adesso non puoi fare molto Hanna, non sei mai stata brava con le ricerche e non sei neppure un membro dei Serpeverde, per adesso è meglio che pensi alla scuola, poiché esiste anche quella.” In risposta Hanna borbottò qualcosa di vagamente simile ad un sì e si voltò seccata andando verso la sua casa dove sapeva che Sal la stava aspettando. “Sei stato saggio Nath. Hanna è troppo nervosa per poter pensare lucidamente.” Disse Arthur. “Anche tu Arthur, va nella tua casa, sei quello che ha lavorato di più in questi giorni, devi riposarti.” Arthur squadrò il suo amico attentamente. “Nathaniel… mi nascondi qualcosa?” Domandò il ragazzo serio. “No, nulla, dico solo la verità: questa ricerca è la mia.” Spiegò Nathaniel sperando di non tradirsi troppo. “Nathaniel?” Insistette il giovane druido. “Arthur per favore… fidati.” Sussurrò Nathaniel in fine. “Va bene, mi fido, basta che fai quel che devi fare.” Decise Arthur, stava per andarsene, ma qualcosa lo trattenne. “Un giorno ce lo dirai chi è?” Domandò Arthur preoccupato. “Non so se sia lui, ma… devo provare.” Sussurrò Nath. “E sia… mi fido del tuo giudizio, ma ricordati che in gioco c’è la vita di Elaine e di un altro centinaio di studenti.” “Come potrei dimenticarlo?” Domandò retorico il ragazzo mentre Arthur se ne andava effettivamente provato dalla lunga notte.

Nath andò in biblioteca e in breve trovò gli articoli che gli interessavano, se li portò in dormitorio, nello stesso luogo trovò la persona che gli interessava. “Nath!” Urlò la voce del suo amico. “Si può sapere dove cazzo eri sparito!?! Dio santissimo!  Iniziavo a credere che fossi stato ammazzato dai fulmini come ti meriti!” Sbraitò il ragazzo. “Scusa… ho passato una nottataccia ieri, mi sono svegliato che era ora di pranzo e solo perché mi hanno buttato giù dal letto.” Confessò Nathaniel dispiaciuto, poi però tirò fuori un sorrisetto divertito e aggiunse. “E va a purificarti o quel che è da un parroco: non si nomina il nome di dio* invano.” Scherzò Nathaniel mettendosi le mani davanti alla bocca. “Vaffanculo!” “È con quella bocca che baci tua madre?” Continuò scandalizzato.

 

“Lord Voldemort, in passato conosciuto anche come Tom Orvoloson Riddel, era il mago più oscuro di questo secolo, il suo potere non conosceva limiti e il suo desiderio di potere e la sua paura di morire erano così grandi da spingerlo a dividere la sua anima in sette parti così da poter rinascere altrettante volte. Nessuno era mai riuscito a batterlo prima di Harry Potter, a seguito della sua scomparsa tutti erano convinti che fosse stato sconfitto per sempre, ma si sbagliavano: quattordici anni dopo la sua scomparsa ricomparve al torneo tre maghi (vedi voce) alla quale partecipavano Harry Potter, Sedric Diggory, deceduto per mano di un mangiamorte durante il torneo, Fleur de la Cure e Victor Krunch. Solo durante la battaglia di Hogwarts avvenuta tre anni dopo Voldemort venne ucciso dal giovane Harry Potter. Su Lord Voldemort non ci sono molte certezze: si sa che parlava il serpentese, che da giovane frequentò la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts rivelandosi un brillante studente, da piccolo fu affidato ad un orfanotrofio e, girano voci, che fosse l’erede di Serpeverde poiché anni addietro risvegliò il Basilisco causando la morte di una studentessa.

Erede di Serpeverde…. Secondo la leggenda sarà in grado di parlare il Serpentese e porterà ad Hogwarts un male talmente grande da distruggere la scuola.”

Nathaniel aveva riletto quelle frasi centinaia di volte, le aveva analizzate e aveva consunto quelle pagine da quante volte erano state lette. Lui però non ci voleva credere, non poteva essere vero, non poteva essere lui. Si stiracchiò la schiena portando indietro le braccia –No, lui non può esserlo, insomma centinaia di persone parleranno il serpentese… e appartengono alla casa Serpeverde… e sono ottimi studenti… e hanno un atteggiamento un po’ oscuro… e…- Nath bloccò i suoi pensieri. “Nathaniel.” Il ragazzo si voltò. “Brian.” Lo salutò. “Che hai di recente: non riesco quasi più a parlarti, sei sempre preso da quella mappa!” Disse indicando la mappa con le tubature che in effetti era bene distesa sul tavolo. “Scusa… è che… con Elaine in quello stato…” Sussurrò Nathaniel pentendosi subito di usare lo stato dell’amica come scusa. “Ah… sì scusa… sono stato insensibile…” Borbottò Brian abbassando lo sguardo. “Senti… ti va se cerchiamo qualcosa su tuo padre… è da un po’ che non lo facciamo.” Propose Brian sperando di staccarlo da quei libri, ieri avevano parlato, o meglio battibeccato un po’, ma aveva voglia di passare un po’ di tempo con il suo amico. Nath guardò fuori dalla finestra sovrappensiero. “Non mi va di passare altro tempo sui libri. Piuttosto usciamo un po’: sono stanco della biblioteca, ho bisogno d’aria.” Disse Nathaniel alzandosi. “Sì, va bene…” Acconsentì l’altro sorpreso. “Che c’è?” Chiese Nath notando la faccia strana dell’amico. “Niente… solo che… di solito non dici mai di no alle ricerche su tuo padre…” Spiegò il ragazzo grattandosi la nuca. “Beh… non è così importante… insomma anche se fosse, di sicuro non vorrebbe sapere di me…” Brian guardò l’amico dispiaciuto. “Non dovresti vederla così.” Stava per aggiungere altro ma Nathaniel lo stroncò sul nascere, adesso c’era un’altra priorità. “Possiamo parlare d’altro! Ho bisogno di distrarmi: sono nervoso di recente.” Lo interruppe Nathaniel abbassando lo sguardo.

Parlarono per un po’ camminando senza pensare, senza una meta precisa, ma si bloccarono quando le loro gambe li portarono di fronte all’infermeria. Nath fissò per qualche istante la porta: erano giorni che non andava da Elaine e un vago senso di colpa, unito alla nostalgia, fece capolino nel suo cuore. “Pensi spesso a Elaine.” Notò Brian, Nathaniel non se n’era accorto, ma la sua espressione si era fatta improvvisamente più grave. “Siamo amici… è ovvio che penso spesso a lei.” Non finì il suo pensiero che, in quel momento, uscì Hanna dall’infermeria, si muoveva furtiva e, questo, per fortuna, lo notò solo Nath, la sua borsa si muoveva. “Ma mai quanto Hanna.” Commentò con un triste sorriso. “Per lei è dura… non ama stare con le mani in mano… anche per Arthur è dura: non sa come comportarsi e fa fatica a starle vicino…” Pensò il giovane ad alta voce. “E tu Nath? Come stai?” Chiese Brian, sapeva perfettamente che per Nathaniel era difficile vedere Elaine in quello stato, ma non osava parlarne con nessuno, anche se il suo sguardo lo tradiva. “Come vuoi che mi senta: uno schifo, non posso fare niente contro quei cosi e lei è in bilico tra la vita e la morte.” Era una mezza verità ma Brian voleva capire anche come mai l’amico fosse così in pena. “Non sono ancora andato a vederla…” Iniziò Brian sperando di convincerlo. “Potresti accompagnarmi, non me la sento di andarci da solo.” Spiegò il ragazzo anche lui con una mezza verità. “Meglio di no: Madama Cips dice che non può ricevere troppe visite al giorno o rischiamo di stancarla…. Andiamocene per favore.” Decise Nathaniel dirigendosi in direzione dell’uscita. Nath non ce la faceva a vederla in quelle condizioni, per lui e per Arthur era troppo. Invece Hanna andava da lei in qualsiasi momento, con o senza Godren. Hanna era una persona coraggiosa, ma spesso il suo coraggio coincideva con la sua impulsività, invece ora si stava dimostrando molto più coraggiosa e leale di Arthur e Nathaniel, per questo Nath invidiava e rispettava Hanna, che malgrado la situazione sorrideva sempre quando andava a trovare Elaine.

Una volta fuori, lontano dalle preoccupazioni, Nathaniel poté finalmente liberare la mente. –Okay, o ora o mai più.- Si decise il ragazzo. “Brian….” Iniziò Nath tranquillo. “Sì?” “Come procede con... il Serpentese?” Nathaniel sussurrò quest’ultima parola pur sapendo che non c’era nessuno nei dintorni. Brian si incupì leggermente: non amava parlarne e questo era anche comprensibile, ma ora Nath non poteva farne a meno, e doveva sperare che Brian non si insospettisse. “Beh… sto facendo pratica… sai non è che ci sia molto da sapere: parlo, impongo la mia volontà e i serpenti mi obbediscono.” Spiegò Brian mentre tirava dei leggeri calci a terra. “Hai mai… non so… provato a controllare qualcosa di più grosso di quella tua serpe?” Domandò Nathaniel. “No, perché mi fai questa domanda?” Chiese Brian sorpreso da questo improvviso interesse, da parte di Nath, per i suoi poteri. “Si chiama conversare Brian.” Lo rimproverò Nathaniel. “Certo okay, e che domanda intendi farmi adesso per conversare?” Domandò Brian scherzoso. Nathaniel sgranò gli occhi, era un’occasione irripetibile, anche se avesse posto la domanda che aveva in mente Brian non si sarebbe sorpreso per la sua richiesta strana. Fece un profondo respiro. “Dimmi come si dice “Apriti” in serpentese?” Ordinò Nathaniel ostentando una falsa autorità. “Che razza di domanda scema è?” Esclamò Brian a metà tra il perplesso e il divertito. Nath fece spallucce. “Sarà anche una domanda scema, ma è la mia domanda scema, avanti rispondi!” Brian scrutò ancora per un po’ Nathaniel con un sorrisetto divertito. –Questo scemo, non ha idea di quanto sia oscuro questo potere.- Pensò Brian prima di pronunciare una sequenza di lettere sibilanti e profonde che fecero venire i brividi a Nathaniel. Brian alzò lo sguardo e gli bastò un’occhiata per capire che Nath non gli avrebbe mai più chiesto di parlare serpentese. “Sembra un sibilo di morte, vero?” Scherzò Brian ma Nathaniel non rispose, fu solo sicuro di aver percepito qualcosa in quel potere, qualcosa che già una volta aveva fatto tremare quelle mura. “Nath?” Al richiamo di Brian, Nathaniel si riscosse. “Sai, se parlassi il serpentese durante le lezioni faresti prendere un colpo persino a Jhonson.” Scherzò Nathaniel. “Magari, così ci liberiamo di quel vecchio auror scorbutico!” Esclamò Brian.

 

Hanna si stava dirigendo verso la biblioteca, nella speranza di trovare Nathaniel, quando lo percepì di nuovo: quella sensazione di braccaggio. Immediatamente il suo istinto di orso la investì facendo urlare ai muscoli di muoversi, di scappare via di lì. Ma Hanna si impose e iniziò a muoversi velocemente per i corridoi fino a ché non raggiunse un corridoi affollato, ma lì la situazione non migliorò. Quella sete di sangue che ora impregnava ogni parete la tormentava e dovette fare uno sforzo enorme per riuscire a contenere la trasformazione. Camminò a grandi falcate, sperando di allontanarsi abbastanza. Ma, come sempre, si rivelò inutile. La paura le attanagliava lo stomaco, e i suoi istinti più grandi le impedivano di stare calma. Poi ci fu il culmine, un’immensa sete di sangue le invase la mente, in quello stesso istante un urlo di dolore e terrore invase i corridoi. –Un’altra persona… maledizione!- Urlò Hanna dentro di sé picchiando con forza contro la parete. Subito gli auror lì intorno corsero in quella direzione alla ricerca dell’ennesima vittima.

La notizia si espanse a macchia d’olio, appena trovarono il corpo, che si contorceva, in preda ad atroci agonie, il bacino e la parte bassa della schiena circondate da quei chip maledetti, era una Tassorosso, era del secondo anno, era viva. Hanna la vide mentre la portavano in infermeria su una barella, nessuno sapeva che fare: se i chip avessero colpito un arto com’era successo ad Elaine questa volta avrebbero agito senza richieste, ma questa volta i chip avevano raggiunto la colonna vertebrale, facendo muovere a scatti il corpo della ragazza.

Hanna si allontanò da lì con furia. –Dobbiamo agire presto: gli attacchi non si fermeranno, Elaine è sempre più debole, abbiamo quasi tutti i pezzi del puzzle. Manca poco amica mia, resisti solo un altro po’.- Pensò Hanna mentre si stringeva con forza le braccia per farsi forza. Quando raggiunse il piano terra si trovò davanti Arthur distrutto: Ehogan lo aveva chiamato quella domenica mattina ed era tornato ora alle sei di sera. Hanna quasi inconsciamente allungò le braccia fermando la caduta del giovane verso il pavimento. Era tutto sudato e i suoi occhi erano vuoti. “Arthur…” Iniziò Hanna con in mente già un paio di imprecazioni verso quel vecchiaccio. “Niente domande.” Disse il giovane espirando l’aria dai polmoni. Il suoi respiri erano lunghi e irregolari, l’aria usciva a fatica con sbuffi. Distrutto si reggeva a stento sulle sue gambe e a fatica comprendeva cosa gli stava attorno e dove si trovasse. Era così disfatto che la ragazza lo dovette trasportare fino al suo dormitorio sulle spalle e dovette attendere che qualcuno dei Corvonero uscisse prima di poter entrare nella casa e adagiare il suo amico sul letto a baldacchino nelle soffici coperte nere. Hanna gli rimase accanto per un po’ aspettando che lui fosse pronto a parlare. Quando Arthur riprese quel minimo di lucidità si decise a parlare. “Hanna… vattene.” Due parole taglienti come il ghiaccio ferirono il cuore di Hanna: voleva urlare, voleva imprecare voleva… probabilmente neanche lei sapeva bene cosa voleva, ma sa bene quel che fece; inspirò lentamente con gravezza ed espirò liberando la sua rabbia insensata. La giovane si alzò lentamente e uscì dalla stanza come gli era stato chiesto trattenendo la sua rabbia e pronta a scaricarla contro il primo malcapitato.

***

Poggiai un braccio sopra i miei occhi cercando di non far sgorgare le lacrime. –Scusa Hanna, ma ciò che ho fatto con Ehogan… mi ha svuotato.- Quando tutti uscirono per andare a cena, io rimasi nella sala comune e andai in bagno. Lì mi tolsi la camicia e studiai il mio Triskell, oramai rosato, nel petto, con la mano lo ripassai. Quel giorno da Ehogan mi aspettavo che mi avrebbe sgridato, che mi avrebbe fatto ragionare sui miei errori oppure che mi avrebbe punito come si fa con i bambini e invece no. Era rimasto zitto, lasciandomi capire dal suo sguardo la sua rabbia e la sua delusione. Mi aveva messo alla prova per decidere cosa fare con me, se stavo prendendo seriamente ciò che mi stava insegnando o se per me era solo uno scherzo. Mi aveva fatto provare ogni singolo incantesimo che mi aveva insegnato: un incantesimo d’acqua, uno di terra, uno di fuoco, uno di aria uno di magia pura o, come lo chiamano i druidi, di nebbia, uno d’energia, uno di spirito, la telecinesi, cinque poemi, centoventicinque stelle con le reciproche costellazioni, dozzine di piante e le loro proprietà curative, sedici leggende, quattro riti e tutte le regole dei druidi. Ero distrutto, non avevo neanche la forza per scendere e mangiare, non avevo la forza per pensare, volevo solo dormire, ma pure quello mi pareva dispendere troppe forze.

Mi appoggiai al lavandino, chinando la testa e respirando a fondo. Oggi Ehogan avrebbe deciso se era il caso di impartirmi una lezione, poiché avevo mostrato leggerezza usando una festa potente come Ostara per scoprire qualcosa che in realtà potevo scoprire con altri mezzi. Eppure Ehogan sapeva perché lo avevo fatto: per amore d’un’amica, niente di più, niente di meno. È vero non avevo pensato alle conseguenze, ma per me in quel momento era troppo importante scoprire la verità. Sperai che Ehogan capisse che non lo avevo fatto con leggerezza solo perché mi pareva la via più semplice, non perché volessi ostentare il mio potere, avevo delle grandi abilità, lo riconosceva, anche se a modo suo, lui stesso, perché non potevo usarli?

Mi tolsi anche i pantaloni e mi gettai sotto la doccia con questi pensieri in testa. Il contatto con l’acqua calda mi fece subito sentire rilassato, i muscoli si sciolsero, le membra si distesero, gli occhi si socchiusero, tutta la stanchezza e la tensione della giornata mi scivolarono via con l’acqua della doccia fino a sparire. Non mi asciugai neppure o mi coprii, andai direttamente a letto raccogliendo distrattamente i miei vestiti. Le membra erano diventate pesanti e si muovevano trascinandosi. Scostai appena le coperte, poggiai meccanicamente occhiali e bacchetta sul comodino e crollai in un sonno senza sogni.

***

Nathaniel cercò Hanna e Arthur per tutta la sera senza trovarli, li cercò con lo sguardo, camminando per i corridoi, per la sala grande, ma niente, non li trovò. Il suo cure pulsava nervoso al ritmo dei suoi veloci pensieri, si guardava intorno come una fiera smarrita con scatti della testa cercando in continuazione dove sperava di trovare i suoi amici, andò persino da Elaine. Ma non trovò nessuno, tranne l’amica e un’altra ragazza che stava combattendo tra la vita e la morte. Aveva sentito la notizia a cena assieme a Brian.

C’era stata una grande agitazione ad un certo punto fuori dai corridoi. All’inizio non ci aveva fatto caso, poi un fiume di gente iniziò ad uscire. Brian e Nathaniel si erano guardati attorno perplessi, indecisi sul da farsi. Si scambiarono un’occhiata e si alzarono, dirigendosi verso l’uscita, seguiti poco dopo da altri compagni e professori. I due ragazzi camminarono per un po’ senza sapere bene cosa fare, incerti ad ogni passo compiuto, mentre la calca si faceva sempre più invadente e voci sommesse riempivano le orecchie. Senza accorgersene i due ragazzi si ritrovarono ad accelerare piano piano, sempre di più, un passo alla volta, fino a correre spaventati dall’ignoto. Una corsa all’inizio lenta, poi sempre più veloce e angosciata. Nathaniel non aveva il sesto senso di Hanna e desiderò che lei fosse lì con lui, malgrado fosse una testa calda, li avrebbe condotti in un luogo sicuro, invece ora poteva solo correre tenendo d’occhio Brian, correvano spalla a spalla, senza parlare, senza aspettarsi niente, correvano. Nathaniel iniziò a sentire il petto stringergli il cuore con le sue corde forti ed invisibili, sentiva un dolore fisico al petto, una paura attanagliante e opprimente, così forte da spingerlo ad afferrare la manica di Brian per non perderlo in quella calca. Brian si voltò a guardare Nathaniel, e gli venne in mente quella volta nella foresta proibita, anche in quell’occasione gli occhi di Nathaniel parevano argento vivo. Occhi concentrati e taglienti in contrasto con il calore di quel marrone scuro, occhi preoccupati certo, ma soprattutto concentrati nel momento presente, senza distrazioni o pensieri. Brian respirò a fondo, confortato dall’appoggio dell’amico. “Nath….” Ma le parole di Brian vennero interrotte da un urlo acuto e agghiacciante. Nathaniel e Brian si fecero spazio a spallate, sgattaiolando tra gli spiragli degli studenti più grandi e scansando i più piccoli. Dopo numerose spallate contro muri invalicabili Nathaniel la vide: una ragazza, una Tassorosso, del secondo anno, si stava contorcendo per il dolore sul pavimento della scuola. A Nathaniel mancò il respiro e si lasciò cadere a terra. “Ehi, Nath!” Lo chiamò preoccupato Brian, ma il ragazzo non rispose. La ragazza davanti a lui non assomigliava neanche lontanamente ad Elaine, però vederla le fece tornare in mente il terrore provato quel giorno, la paura di perderla gli si iniettò nelle vene fino a farlo tremare di rabbia. “Brian… io… distruggerò i chip…” Non gli importava che lo sentisse, che importanza avrebbe avuto, ora contava solo la salvezza di Elaine e del resto della scuola. “Nathaniel ma che stai dicendo?”

Scocciato Nath cancellò il ricordo e si diresse fino all’entrata dei Corvonero e chiese in giro se avevano visto Arthur o Hanna, la maggior parte gli rispose che non lo aveva visto per l’intera giornata, a quel punto Nath iniziò a temere il peggio e chiese a tutti quelli dei Corvonero finché uno di questi non gli disse che lo aveva visto arrivare lì prima di cena distrutto accompagnato da una ragazza che sicuramente era Hanna e che era andato direttamente a letto. Allora Nath corse fino alla torre Grifondoro e lì trovò Salomon che stava per raggiungere l’entrata. “Sal!” Lo chiamò il Serpeverde fermandolo prima che entrasse. “Sì?” Rispose il ragazzo voltandosi. “Sal hai visto Hanna, le devo parlare.” Spiegò Nathaniel speranzoso. “Avete litigato?” Chiese il Grifondoro. “No… perché?” Domandò il ragazzo allungando le vocali esprimendo tutta la sua perplessità. “Quando l’ho vista arrivare era d’un umore nero, se le devi parlare meglio che aspetti domani.” Gli consigliò l’amico. Ma Nath non poteva aspettare, era questione di vita e di morte. Poteva salvare una vita o più se agivano quella stessa notte. “Sal, lasciami entrare, le devo parlare!” Si impose il giovane. “Nath!” Urlò il Grifondoro. “È tardi, Hanna è stanca, è arrabbiata, seriamente arrabbiata, a meno che Elaine non stia rischiando qualcosa meglio se per oggi la lasci stare. Domani le potrai parlare.” Disse il Grifondoro cercando di farlo ragionare “Domani?” Esclamò il giovane “Sì, domani.” Con queste parole il Grifondoro chiuse la porta alla cui guardia c’era una donna grassa dipinta. “Parola d’ordine?” chiese la signora. “Vaffanculo!” Si sfogò il giovane con ira.

Scese le scale a grandi passi pesantemente con furia. Per mesi aveva ignorato il problema illudendosi di poter far finta di niente, ora che tutti i pezzi del puzzle combaciavano non riusciva ad agire. Se fosse stato un altro sarebbe corso al secondo piano, avrebbe pronunciato la parola stampata a fuoco nella sua mente, sarebbe sceso in quei corridoi inesplorati, avrebbe affrontato i chip da solo e la persona che li controllava anche a costo della vita. Ma non era un’altra persona, era Nath e lui conosceva i suoi limiti, e sapeva di non poterli affrontare da solo, senza la forza di Hanna e l’intelligenza di Arthur. Il Serpeverde si diresse alla sua casa con ira e irritazione. Si gettò nelle sue coperte e si addormentò.

 

Note dell’autrice:

* Per chi non lo sapesse gli ebrei non chiamano dio come i cristiani ma bensì Yhwh, ma di norma si riferiscono a lui come Hashem letteralmente “il nome”, inoltre per gli ebrei la prima legge la prendono molto più seriamente dei cristiani, e non lo pronunciano mai, per di più l’utilizzo delle quattro consonanti è apposito per cui sia impronunciabile.

Lo so *Arrivano a raffica verdure e frutti marci* Possiamo discuterne in maniera civile? *Domando nascondendomi dietro un ombrello che viene tempestato da cavoli amari, frutta ed altre verdure* Vi giuro che c’è una spiegazione. *Altra raffica di frutta e verdura* La scuola mi ha presa parecchio in queste ultime settimane e ho trovato davvero poco tempo per sistemare il capitolo, mi dispiace infinitamente, mi meriterei qualcosa in più delle verdure. *A quel punto qualcuno, dalla folla mi lancia contro il libro di letteratura italiana, fisica, filosofia e inglese che mi colpiscono in pieno e mi fanno cadere a terra svenuta, a quel punto entra l’ambasciatore che mi prende per le gambe e  mi trascina via.* Il prossimo capitolo arriverà a breve, saluti da Bibliotecaria. *Dice mentre mi trascina via.* Ma non potevi lasciar perdere e prenderti un 4? *Mi domanda.* Se prendo 4 i miei mi uccidono!

   
 
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