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Autore: Isara_94    09/06/2017    2 recensioni
La vita di John Watson è al servizio dell'Impero Britannico. Una notte incontra per caso uno strano pirata e lo arresta. Il famigerato capitano pirata Sherlock Holmes, invece, lo trascina nel suo mondo fatto di tesori, avventura e leggende.
John comincia a dubitare: è lui ad aver catturato capitan Holmes, oppure il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Le campane di una chiesa vicina avevano battuto i primi rintocchi per chiamare i fedeli alla messa del mattino, e ancora nessuno si era fatto vedere. Oltraggioso, almeno secondo Sherlock quando l’eco delle campane e dei soldati già al lavoro era arrivato fino al piano interrato. A che serviva esser uno degli uomini più ricercati dalle Marine di mezzo mondo, sosteneva spazientito, se poi si veniva comunque ignorati per ore come l’ultimo dei borseggiatori di strada?
John decise fosse meglio tenere ogni tipo di commento in merito per sé. Come poteva quel giovane lamentarsi a quel modo della scarsa puntualità dei soldati, lagnandosene sì scherzosamente, ma anche con la stessa aria di superiorità di un gran signore che si vede ricevere malamente? Era un dannato pirata, avrebbe dovuto ringraziare di non esser sorvegliato ogni minuto!
Certamente, riflettè divertito, le sue rimostranze non avevano nulla da spartire con l’appetito. Anche se lo sapeva il cielo quanto gli avrebbe fatto bene mangiare qualcosa. Il medico si era stupito di come la sua magrezza non corrispondesse alla quantità di energia che aveva da spendere: non era affatto ossuto, ma era comunque molto lontano da quello che i suoi studi gli facevano considerare un peso accettabile.
Nell’attesa snervante di dover restar sveglio e vigile, pena l’immediato rimprovero da parte dell’altro, senza sapere che ci si aspettava da lui si rassegnò al silenzio. Non aveva voglia di battibeccare e apparentemente quello era l’unico tipo di conversazione che riusciva a sostenere con quel bastian contrario. E per quanto riguardava i complimenti si era ripromesso di mordersi la lingua non appena il cervello suggeriva esternazioni simili alle due che avevano debitamente imbarazzato entrambi.
-In un certo senso mi hai risolto un problema- cominciò, inaspettatamente –Se solo ti avessi incontrato prima avrei risparmiato…-
-Ah sì?-
-Cosa credevi che stessi facendo con quella donna, ieri?- ridacchiò il pirata, sicuramente annoiato se di punto in bianco accettava di rivelare i fatti suoi pur di passare il tempo. A suo dire, non valeva la pena di perdersi in donne se non per questioni importanti. Come informazioni dettagliate essendo buona parte dei clienti abituali di quella prostituta di stanza nella fortezza. –Onestamente, avrei preferito trovare un metodo per entrare che non comprendesse un pernottamento in cella, dover recuperare i miei effetti e tutti gli altri inconvenienti del caso, ma a questo punto è un piano buono come un altro…-
L’ufficiale lo fissò poco convinto. Aveva sempre quella sensazione che il pirata si prendesse gioco di lui, eppure ora pareva serio come quando aveva spiegato accuratamente com’era arrivato alla sua diagnosi la sera prima. Annuì, mormorando appena un qualcosa del tipo “non c’è di che”.
Neanche si era accorto che Sherlock aveva continuato a parlare come se niente fosse.
-… ovviamente, tutto quel che è successo stanotte resterà strettamente confidenziale…- richiamò l’attenzione del militare con uno schiocco di dita -… dicevo, nessuno dovrà sapere di quanto è successo-
John alzò un sopracciglio in un’espressione poco convinta invitandolo a elaborare, proprio non capiva da dove veniva questa improvvisa riservatezza.
Sherlock non si scompose minimamente a spiegargli con un ragionamento tutto suo, il perché di quella necessità –Passi finire nei guai per colpa di un capitano così zelante da lavorare anche in libera uscita. Ma se si venisse a sapere che in questa situazione ci sono finito per colpa di un ragazzino tremante appena arruolato che passava al momento giusto per origliare, quelli della Baker riderebbero fino alla fine dei tempi!-
Il biondo capitano cercò di far mente locale, tanto per provare a determinare perché dopo una vita vissuta in una relativa normalità gli eventi stessero prendendo quella piega decisamente surreale. Secondo la sua bislacca linea di pensiero quindi, Sherlock riteneva più accettabile essere arrestato da un ufficiale incontrato per caso che da una qualunque recluta?
Beh, come si soleva dire… attento a quel che desideri. Non esisteva da nessuna parte che dopo essere usciti da quel pasticcio gli permettesse di andarsene per la sua strada, nascondere un pirata o consentirgli la fuga era il modo più facile per farsi processare per tradimento. Holmes aveva ancora un bel po’ di conti in sospeso con la legge e John doveva assicurarsi che si prendesse le sue responsabilità. Il massimo che poteva fare per attenuare un po’ le accuse era far presente l’aiuto che gli stava dando al momento, ma nulla di più.
-Ti rendi conto che tutto questo non ha alcun senso?-
-Ha senso per me, si tratta di reputazione: una vita per costruirla, un attimo per giocarsela!- esclamò il pirata –E parola mia, nessuno è più pettegolo di un branco di pirati appena sbarcati. Nessuno. Da’ loro materiale per una storia e loro si inventeranno di tutto-
-Va bene, va bene, ho capito- si arrese l’ufficiale, non volendo imbarcarsi su quell’argomento. Prima di tutto perché non concepiva proprio che un pirata potesse avere una reputazione di cui poter andar fiero. Rubavano, depredavano, causavano distruzione ovunque andassero… di che reputazione dovevano preoccuparsi?! E poi perché se era così importante non dare materiale da raccontare al suo equipaggio, non voleva assolutamente immaginare le storie che già circolavano sul suo conto.
Sospirò, ricordando troppo tardi di non poter dare un’occhiata al suo orologio da tasca. Nella confusione della sera prima aveva incassato un colpo che aveva smosso i delicati ingranaggi, ed ora sotto il cristallo incrinato le lancette erano ferme alle otto in punto. Non del tutto inutile, come ci tenne a ricordargli il pirata, anche se solo per due volte al giorno faceva ancora il suo dovere.
Lo ripose nel taschino, accigliandosi nel sorprendere l’altro distogliere lo sguardo in fretta e furia. La bocca aveva preso una piega amara dopo aver letto l’incisione sul retro della cassa dorata, commissionata dalla sua fidanzata insieme al piccolo ritratto all’interno.
Non potè fare la domanda che gli bruciava sulla lingua, Sherlock si era portato un dito alle labbra suggerendo di far silenzio sporgendosi appena nella direzione delle scale. Restò in ascolto, meravigliandosi del suo udito fine: aveva riconosciuto l’eco della porta aperta e i passi praticamente all’istante. Quali altre peculiari capacità aveva quel mistero ambulante, era una curiosità che purtroppo doveva aspettare.
-Finalmente…-
John non potè far niente per reprimere il brivido sceso lungo la schiena in una cascata gelida a quel sussurro. La stessa sensazione che aveva provato tante volte da bambino quando sua sorella per scherzo gli gettava a tradimento una piccola manciata di neve sotto la camicia direttamente sulla schiena, solo per il gusto di vederlo muoversi tutto a disagio per il freddo.
Non era rimasto nulla di rassicurante nel viso niveo del pirata. Un viso sempre così assurdamente bello, ma di una bellezza pericolosa e spietata. Ecco, quello era il termine esatto: lo trovava attraente allo stesso modo in cui poteva trovare attraente un felino che attende il momento giusto per catturare la sua preda.
Dall’altra parte delle sbarre stavano due soldati. Uno era tra i tre o quattro innominati che la sera prima s’erano lamentati del loro bisticcio, un uomo nella media e a cui qualcuno aveva disgraziatamente dato una divisa e un fucile carico. Si vedeva da chilometri il motivo per cui si era arruolato, c’era una vena di insofferenza malcelata in ogni suo movimento che tradiva la sua fedeltà alla paga piuttosto che al suo sovrano.
E l’altro… oh, ora sì che capiva come mai Holmes era così tanto divertito. Accanto al suo svogliato collega c’era nientemeno che lo stesso ragazzino che la sera prima era stato lasciato indietro dal resto della pattuglia e li aveva scoperti. Si poteva ben vedere come il suo disturbo non gli fosse valso granchè: aveva un grembiule macchiato sopra l’uniforme, uno straccio altrettanto bisognoso di una lavata gettato sulla spalla, una brocca d’acqua in una mano, due scodelle in bilico nell’altra e sotto quel peso le sue braccia ondeggiavano pericolosamente mentre mandava occhiatacce e forse anche qualche accidenti al suo collega che ancora armeggiava pigramente col mazzo di chiavi, non vedendo l’ora di posar tutto sul tavolo. Dopo il turno di guardia notturno, ora gli toccava pure la corvée nelle cucine. John percepì un certo senso di soddisfazione crescergli dentro, eguagliando la sottile occhiata derisoria del suo compagno di cella. Entrambi avevano passato da un pezzo quel periodo, ricordandoselo però a sufficienza da ritenere quella una giusta rivincita.
Intimarono loro di arretrare schiena al muro e di tenere le mani dove potevano vederle. Lui obbedì, Sherlock parve rifiutarsi in un primo momento. Se si fosse trattato di chiunque altro l’avrebbe spiegato come un gesto di sfida, John aveva cominciato a capire che quel pirata ragionava in modo del tutto differente. Come durante la dama: aveva provato una mossa che non era andata a buon fine.
-el desayuno- annunciò il ragazzino con un tono piatto che voleva mascherare l’inquietudine che gli procurava dover stare così vicino a quello che la sua inesistente cultura continuava a fargli ritenere uno stregone –cometelo rápido…-
Nell’esatto istante in cui aveva dato le spalle a Sherlock, John capì qual era il piano. Quello che capiva la loro lingua era utile, l’altro decisamente no.
La professione medica era spaventosamente più utile in combattimento di quanto non lo fosse in un ospedale, aveva scoperto durante i suoi anni di servizio. Se da una parte non sempre era riuscito a salvare i suoi pazienti, dall’altra era invece sempre sopravvissuto ai suoi nemici.
Bastarono due colpi ben assestati per ridurre in ginocchio il soldato più anziano. Il primo era stato un pugno proprio nel mezzo del diaframma, che l’aveva colto impreparato togliendogli il respiro e lasciandolo completamente incapace di armare il moschetto. Fu facile sfilarglielo di mano e usarne il calcio per finirlo con un colpo alla nuca. Era sicuro di aver dosato bene la forza: si sarebbe svegliato con un mal di testa atroce, un possibile trauma cranico e un bernoccolo assicurato… ma meglio così che morto.
Il ragazzino invece, completamente indifeso già dal principio, era ora alle cure del pirata. Che prima gli aveva impedito di gridare per chiamare aiuto, e dopo s’era fatto carico del’interrogatorio per sapere dove stava esattamente l’ufficio del comandante, l’unica cosa che la sua avvenente informatrice non aveva saputo riferire. Per qualche motivo, aveva più premura di passar lì che d’infilare il portone.
E vedere come ottenne quelle informazioni fu un certo sollievo per il capitano inglese. Aveva temuto qualche spargimento di sangue quando fu chiaro che l’immensa paura nei confronti di quel moro dagli occhi cangianti non era abbastanza da spingere il piccoletto a tradire il suo comandante, ma Sherlock non era tipo da usar violenza se non c’era costretto. Non potendo alzare un dito su quello che era pur sempre un quattordicenne e non potendo rischiare di avere indicazioni sbagliate, aveva deciso per qualcosa di altrettanto efficace e del tutto indolore. Il giovanissimo soldato aveva vuotato il sacco poco dopo, fra risate disperate e tante, tante richieste di pietà perché la smettessero con quella tortura insopportabile. Era bastata una penna tolta dal cappello e un po’ d’aiuto a tenerlo fermo, essendo che al solletico proprio non riusciva a resistere, per farsi dire la pura verità.
-Non ci avrei mai pensato- ammise John.
-Non hai conosciuto chi mi ha insegnato il mestiere, i suoi due scassinatori di fiducia e lo squinternato che si ritrova per figlio erano gli unici a bordo che non si azzardava a colpire. Ma se trovava ci servisse una lezione diventava tremendamente inventivo- Sherlock aveva spogliato il soldato privo di sensi in fretta, facendosi poi aiutare a legarlo insieme alla recluta che non aveva opposto alcuna resistenza, ancora troppo impegnata a riprender fiato dopo aver riso abbastanza da farsi venire il mal di pancia. L’uniforme ottenuta era della misura perfetta per John.
Si vide porgere la corda che avevano tenuto da parte, insieme ai polsi del pirata. Sotto i tatuaggi la pelle era così chiara che le vene erano completamente visibili.
-Saprai farci un paio di manette- lo invitò Sherlock, quando gli fu chiaro che forse c’era bisogno di un invito esplicito –Basta non stringere troppo l’ultimo nodo, se le cose non vanno come previsto potrebbero farti comodo due mani in più-

.:O:.

Era stato incredibilmente semplice gironzolare per tutto il forte indisturbati. Avevano lasciato i due spagnoli in cella al loro posto, ed erano partiti in cerca dell’armeria dove avevano trovato tutta la loro roba. Quel che si poteva nascondere come le pistole, finì sotto il lungo soprabito, il coltello tornò al suo posto in uno stivale e le due spade John si risolse a portarle con la mano con cui non stringeva il braccio del pirata. A chiunque lo fermasse chiedendo perché non era sotto chiave, rispondeva che il comandante lo voleva nel suo ufficio. Si era perfino dovuto esercitare un paio di volte prima che la sua pronuncia fosse ritenuta accettabile.
A sapere dove andare era Sherlock, che, attenendosi alla sua parte con la maestria dell’attore consumato, si mostrava poco collaborativo e bendisposto come ci si aspettava che fosse un qualunque fuorilegge in una situazione simile. Puntava i piedi o strattonava per suggerire quando John stava per prendere la direzione sbagliata o per segnalare da che parte girare, non potendo parlare per il bene della recita.
Per il biondo invece, l’unico vero sforzo attoriale era fingere di non esser disgustato dalla divisa straniera che portava. La sua pesante giacca blu da capitano coi bottoni lucidi e orlata di passamaneria in filo d’oro mai gli era mancata come in quel momento. Il mezzo commento di scherno su quanto se la stesse prendendo per aver messo dei panni che di diverso dai suoi non avevano niente tranne il colore non gli piacque troppo. A un fuorilegge ogni uniforme pare uguale forse, ma lui sentiva la differenza e proprio non riusciva a dargli ragione.
Esattamente come indicato, l’ufficio era al primo piano vicino al bastione. Il proprietario era convenientemente assente, cosa che risparmiò loro il disturbo di mandarlo al tappeto come i suoi due sottoposti.
I muri di pietra qui erano stati coperti da una passata d’intonaco ingiallito dal sole che si riversava nella stanza dall’ampia vetrata composta della finestra aperta sulla città. Era possibile vedere buona parte di Santo Domingo, dalla cittadella nelle immediate vicinanze, punteggiata di giardini e terrazze fiorite delle ricche case di alta borghesia e nobiltà fin giù, dove la città con le botteghe e le strade affollate diventava sempre meno rispettabile e lasciava il posto al grande porto sempre brulicante di merci, pescatori, marinai e navi che andavano e venivano come formiche indaffarate sotto l’impietoso sole tropicale.
Bene, nonostante il tipico livello di ordine che ci si poteva aspettare da qualunque militare, quel posto era pieno di oggetti. Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Sherlock nel liberarsi da solo del nodo che gli bloccava le mani, aveva menzionato una mappa che doveva assolutamente recuperare per conto di qualcuno che la voleva a tutti i costi ma non poteva prenderla di persona.
Come se non bastasse rendersi complice di furto: c’erano mappe ovunque! Arrotolati e riposti su file di scaffali, impilati in ogni angolo libero, rilegati in raffinate copertine di pelle stampigliata, spiegati sul grande tavolo al centro della stanza,appesi al muro stavano portolani, carte nautiche e geografiche, atlanti, taccuini, almanacchi nautici, perfino un paio di mappe stellari… che se ne faceva di una descrizione così?
-Quella che serve a me è antica. E sbagliata, per qualche motivo…-
-E tu invece di uscire subito stai perdendo tempo per una mappa che non serve a niente?!-
Sherlock continuò a frugare tra rotoli e cassetti, sempre più spazientito nei confronti del suo anonimo ma sicuramente detestato committente mormorando fra sé che la prossima volta “avrebbe dovuto alzare il suo regal sedere” di persona invece di spedir altri a fare il lavoro –Perché no? Una volta fuori di qua ci sarai tu pronto a farmi perdere altro tempo portandomi dove non voglio andare-
D’accordo, Holmes aveva un punto… ma esisteva modo e modo di spiegare la faccenda. Sapere che stava correndo un rischio attardandosi per rovistare in cerca di una carta che per di più era inesatta lo mandava in bestia. Aveva senso rubare qualcosa di esatto e inaccessibile ai più, come la mappa che ogni Regia Marina dava in dotazione ai propri velieri e su cui erano segnati luoghi che dovevano restare un segreto di Stato. Avrebbe tanto voluto vedere di persona chi era quel personaggio disposto a pagare per commissionare un furto simile.
Bene, cercavano una carta particolarmente vecchia, no? Quelle di solito stavano sulle pergamene…
Sfilò una scatola cilindrica, di quelle che si usavano per conservare rotoli e documenti importanti. Aveva un’etichetta dove era riportato in inchiostro scolorito “Piri Reis 1513”. Ruppe il sigillo di ceralacca, scoprendo che all’interno era conservata la copia di una carta nautica dell’intera Europa con le linee di rotta già tracciate, i porti segnati con dovizia di informazioni e una legenda a lato per dare una rapida spiegazione al significato dei vari simboli. Soltanto, era completamente illeggibile. Al posto delle complicate abbreviazioni latine, o un più moderno stile in lingua spagnola, c’erano svolazzi che per lui erano di fatto senza senso.
Poteva esser quella la mappa “sbagliata” che al pirata sembrava interessare tanto?
Seppe chi si era avvicinato nel preciso istante in cui il naso prese a pizzicargli a causa dell’odore di tabacco forte rimasto sugli abiti. Ricci di un profondo color cioccolato gli solleticavano la guancia mentre Sherlock continuava a studiare la carta da sopra la sua spalla. John si sentì avvampare d’imbarazzo per quella posizione poco decorosa, gli ricordava odiosamente la differenza d’altezza che passava fra loro due.
-Oh, eccola qui. Il tuo turco com’è?- domandò casualmente, come stesse commentando il tempo, rivelando che la miriade di scarabocchi in realtà era più leggibile di quanto si poteva credere.
-Inesistente, credo- ribattè seccamente il biondo, scrollandoselo di dosso. Tenne in alto la mappa, eludendo il tentativo del pirata di sottrargliela di mano –Tanto trambusto… per questa? Cos’ha di tanto speciale questa mappa?-
-“Capitano”, non mi sembra affatto il momento opportuno per discutere…- d’un tratto Holmes era allarmato, gettava occhiate nervose oltre la soglia quasi stesse cercando di capire meglio cos’aveva visto.
Non ci sarebbe cascato, nossignore. Se era capace di metter su tutta la messinscena con cui erano arrivati fin lì sicuramente era capace di mentire su qualunque cosa. Pestò un piede, ribadendo la sua posizione -Lo decido io quando è il momento buono, visto che mi hai costretto a farti da complice!-
-E considerato che non hai deciso di fare il palo, ora ti costringerò anche a seguirmi…-
John riconobbe il familiare scatto che risuonò nel silenzio del corridoio. Qualcuno aveva appena caricato un’arma da fuoco, e c’era una buona possibilità che avesse intenzione di sparare. Che s’era aspettato, tutti i trucchi prima o dopo vengono scoperti. E se venivano scoperti prima del dovuto, l’unica cosa sensata da fare era correre. Per un attimo sentì una sensazione di euforia invaderlo da capo a piedi, invece d’esser spaventato, e quando se ne accorse percepì distintamente il cuore perdere un battito: la gamba non doleva più.
 
.:O:.

Saltò goffamente un muricciolo, tentando di star dietro al giovane pirata che invece l’aveva saltato senza alcuna difficoltà. Si sarebbe stupito del contrario, era forse l’unica cosa buona che veniva da quel chilometro di gambe.
Era agile, Sherlock, cominciava a capire perché il pirata che l’aveva iniziato all’illegalità l’avesse considerato una risorsa preziosa a bordo. Era furbo, con l’udito acuto e le dita svelte doveva avere una certa maestria nello scassinare, e con quella velocità aveva ottime chance di seminare possibili inseguitori che volessero riprendersi il maltolto.
Correva sempre due passi davanti a lui, zigzagando per non rendersi un bersaglio facile, completamente ignaro di che spettacolo offriva dando prova della sua agilità felina. Era un’arte anche quella, a modo suo, ogni svolta nel percorso, ogni ostacolo superato… nulla era lasciato al caso. Sapeva dove andare, quali salti evitare perchè troppo ampi, e come raggiungere la destinazione che si era prefissato in modo sicuro, semplice e veloce. Il trovare passaggi alternativi aveva il piacevole effetto collaterale di aiutarli a mantenere un vantaggio prezioso sui soldati che li inseguivano, rallentati dalla folla e dall’armamentario pesante.
Da quanto non correva a quel modo, aveva creduto di non poterlo fare mai più da quando era rimasto ferito ed era stato fatto sbarcare al primo porto inglese che disponesse di un ospedale. Sotto i ferri c’era andato con una spalla lesa e ne era uscito con una mano tremante e una gamba che non lo reggeva. Non aveva mai capito esattamente quando era cominciato, se già prima dell’intervento o dopo, sapeva solo d’essersi svegliato dal sonno profondo del laudano con un malessere che era andato peggiorando ogni giorno di più. Durante la lunga convalescenza costretto a letto a sopportare il dolore a denti stretti rifiutando testardamente le droghe per lenirlo, memore della dipendenza che causavano, aveva temuto di doversi cercare un altro impiego; un chirurgo che non aveva più le mani salde non andava lontano e un soldato che zoppica ancor meno. Si era quasi commosso quando si era visto restituire la sua uniforme, insieme a un bastone e una lettera in cui gli veniva annunciata la promozione al grado di capitano come ricompensa per i suoi meriti, non potendo più operare né combattere come prima.
Invece ora correva a perdifiato come se nulla fosse accaduto. Dunque era quello ciò di cui aveva bisogno? Davvero gli servivano tutti quei guai per star bene?
Per poco non finì steso addosso al pirata, che aveva rallentato senza una ragione apparente. Lo tirò su appena in tempo prima che perdesse l’equilibrio. Ansimava. Pur tenendo a mente che fumava, il suo respiro era troppo irregolare. Avevano ancora qualche minuto di vantaggio, potevano fermarsi a riprendere fiato.
Sherlock si era appoggiato contro il muro lasciandosi scivolare giù restando seduto sui talloni, una mano sotto il cappotto a stringersi il fianco. John non capì subito. Dopo una corsa così sentir dolore non era raro, ma la parte più suscettibile a quella reazione era la sinistra e non la destra. Nell’abbassare la testa, pure lui col fiato corto per lo sforzo, notò una scia di grandi gocce rosse che girava l’angolo dietro cui si stavano riparando e finiva sotto di loro.
Si era fatto qualche graffio, l’indomani si sarebbe ritrovato qualche livido forse, nulla di serio. E poi l’illuminazione: era Sherlock che sanguinava. Uno dei soldati doveva essere riuscito a mandare a segno un colpo, impossibile dire a chi di loro avesse mirato in particolare. Doveva essere accaduto nei pressi della fortezza dove non c’era troppa gente che poteva esser colpita per sbaglio, e il pirata non se n’era reso conto subito, l’adrenalina in circolo aveva coperto il dolore.
-Sto bene- soffiò quest’ultimo, i denti stretti mentre rifiutava di lasciarlo guardare.
-Sicuro, stai solo morendo dissanguato!- sbottò esasperato, con la poca pazienza che lo contraddistingueva quando gli veniva impedito di tener fede al giuramento solenne che aveva fatto all’inizio della sua carriera medica –Forza, fammi controllare-
Le macchie rosse sbocciate sulla camicia non erano molto rassicuranti. Una rosa di schegge, senza dubbio una pallottola andata in pezzi, prendeva per metà il fianco destro insieme ad altre piccole ferite di striscio lasciate da quelle che gli erano solo passate accanto. La tipica qualità spagnola, pensò seccato, risparmiavano sulle munizioni e questo era il bel risultato. Il classico lavoraccio che ogni chirurgo detestava: dimenticarsi di estrarre qualche pezzo, nella fretta di far smettere al più presto il tormento per il paziente, capitava spesso e volentieri. A preoccuparlo maggiormente però era il foro d’entrata appena sotto il pettorale. Lì il proiettile era arrivato integro. Era da lì che partiva l’emorragia che stava indebolendo il pirata. Per ora doveva lasciar tutto dove stava, ma serviva un posto tranquillo dove estrarlo e fermare il sangue, in fretta.
Non potevano passare in strada, il battere di piedi avvertiva che gli spagnoli erano troppo vicini. Li avrebbero ripresi in un attimo.
-C’è una farmacia da queste parti- rivelò Sherlock, quasi inciampando nei suoi stessi piedi cercando di alzarsi –ci vado spesso-
John prese una decisione drastica. Se Holmes non poteva correre, doveva portarlo in braccio pure se l’idea non lo attirava in modo particolare. Memore però del poco decoro da quest’ultimo dimostrato quando si trattava di spazio personale e simili convenzioni sociali, l’avvertì di tener le mani a posto o l’avrebbe lasciato lì al suo destino.
Per almeno una decina di metri gli parve d’esser stato chiaro, poi lo sentì imprecare a mezza voce. Doveva fidarsi di lui, non potendosi più voltare senza andare in terra entrambi.
Una mano affusolata scivolò velocemente giù verso la sua cintura, cercando qualcosa che non stava effettivamente trovando.
-T… tira via quella mano da lì o giuro che ti lascio andare!- minacciò, in preda all’imbarazzo più totale.
Sherlock si voltò a guardarlo in faccia, un cruccio di fredda sufficienza stampato in viso –Per l’amor del cielo, stavo solo cercando la tua pistola!-
-Stessa storia, che ci devi fare con…-
Prima che finisse la frase, il pirata si volse nuovamente appoggiandosi sulle sue spalle per stabilizzarsi e non sbagliare mira. In appena due secondi aveva fatto fuoco e qualche metro più indietro un soldato ululò di dolore. John si voltò il tempo necessario a vederlo saltellare sulla gamba rimasta sana, stringendosi il ginocchio colpito e gridando ogni genere d’insulto rivolto al pirata, sua madre e qualcosa circa la professione più antica del mondo.
-Bel tiro- si congratulò riprendendo a correre con tutta la velocità di cui era capace dovendo portare oltre a se stesso anche il peso del moro.
Sherlock si lasciò andare, fidandosi del medico e del fatto che non l’avrebbe lasciato cadere -… stavo mirando alla testa- bofonchiò.
 
.:O:.

La farmacia la raggiunsero passando per cortili, lontano da occhi indiscreti.
John ci mise poco a capire d’esser nel posto giusto. Oltre al pozzo e ai fili di panni stesi ad asciugare al sole che aveva visto altrove, c’era un giardino dove insieme ai fiori erano state piantate quelle che a prima vista parevano erbacce. Nelle aiuole ordinate crescevano timo, salvia, valeriana, angelica, lavanda, digitale, camomilla, elleboro, belladonna, erba ruta e tante altre piante officinali ordinate con criterio. Le aromatiche ben divise da quelle che notoriamente le guastavano, le più tossiche in un angolo lontano, quelle delicate in vasi protetti da teli che smorzavano la luce solare, le rose e il gelsomino lasciati liberi di arrampicarsi attorno a una pergola così da spandere sulla veranda una piacevole ombra profumata sia di giorno che di notte.
Sotto quel rigoglioso baldacchino verde, una donna seduta accanto a una porta approfittava della frescura per pulire del pesce. La pelle aveva la sfumatura color caffelatte dei creoli e i lineamenti esotici confermavano che uno dei suoi genitori non era un bianco. Aveva un abito modesto, di cui aveva rimboccato le maniche, un grembiule e portava i suoi scuri ricci crespi avvolti in un voluminoso turbante dai colori vivaci come era costume per le donne di Antille e Caraibi da quando erano arrivate le prime schiave africane che usavano quel sistema sia per togliersi d’attorno i capelli sia per star più fresche durante il lavoro.
John si abbassò, permettendo a Sherlock di tornare coi piedi per terra ma continuando a sostenerlo per sicurezza. Lei aveva continuato il suo lavoro senza degnarli di uno sguardo.
Inaspettatamente, per primo le si rivolse il pirata rivolse chiamandola anche per nome –Credevo detestassi questo impiego, Sally-
-Dal momento che il mio datore di lavoro ieri notte ha pensato bene di sparire nel nulla…- replicò la donna, mettendo da parte le ceste e sempre senza alzare lo sguardo, sporgendosi oltre la tenda che impediva di vedere oltre la porta aperta chiamando a gran voce una certa “Molly”.
Solo dopo si degnò di voltarsi dalla loro parte –Perché non sono sorpresa di vederti mezzo morto e con un perfetto estraneo?- domandò, l’accento delle isole ben riconoscibile nella voce insieme una generale sfacciataggine nei loro confronti che colpì John, che era abituato a tutt’altro contegno femminile quando occorreva rivolgersi a un uomo. Non era abituato a sentirsi trattare da pari, al contrario del pirata.
La conversazione finì lì. Da dietro la tenda era arrivato un ticchettare frettoloso di scarpette col tacco e un fruscio di stoffe. Era una giovane dama dai tratti tipicamente britannici, le guance arrossate dall’agitazione e i capelli castani raccolti in un’acconciatura elegante. Il suo abito rosa e azzurro tutto fiocchi e merletti era molto più ricercato di quello della creola, che John a quel punto supponeva fosse la cameriera, sottolineando la sua appartenenza a una classe sociale più elevata.
Restò pietrificata sulla soglia, incapace di muovere un muscolo. John lesse in lei diversi stati d’animo in rapida successione: paura, sollievo e rabbia. Oh, non semplice rabbia, vera e propria furia. E dal sospiro appena percettibile che sfuggì a Holmes, il destinatario di tanto risentimento era proprio lui.
Stavano solo perdendo tempo prezioso, la signora avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per risolvere qualunque fosse il suo problema con lui a patto di poterlo operare prima.
-Quest’uomo ha urgente bisogno di cure mediche e sostiene di conoscere il proprietario di questa farmacia. Se vorrete farmi la grazia di chiamare vostro marito…-
Fu il suo turno di sopportare un’occhiata che rendeva bene il concetto “se gli sguardi potessero uccidere”. Il pirata tossì, avendo scoperto che pessima idea era ridere con del piombo in corpo, facendo presente che era lei la proprietaria di quella bottega e che con quel commento l’aveva appena offesa mortalmente.
-Non occorre che lo chiami, signore- ribattè lei, piccata –è proprio lì accanto a voi-
   
 
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