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Autore: Tessie_chan    16/06/2017    3 recensioni
Amor tussique non celatur.
Questa sentenza fa sorridere e riflettere allo stesso tempo. L’amore non si può nascondere. Si può fingere in ogni modo di non provarlo, si possono trovare scuse, ma se si ama una persona sarà evidente in ogni gesto, in ogni sguardo. Al contrario, laddove amore non c'è, non lo si può fingere, la finzione non può andare oltre qualche bella parola, qualche fatua promessa. Amore non si può nascondere, e chi è amato lo capisce. Così è vero il contrario. Non si può tossire e negare di aver tossito, non si può amare e negarlo.
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- Vorresti insinuare che non mi trovi abbastanza attraente, ragazzina?
- Non è questo il punto, Trafalgar. Non potrei neanche volendo, visto che oggettivamente sei davvero molto attraente.
- Oh ti ringrazio, dolcezza!
- Non ringraziarmi. Il mio non era un complimento, ma una semplice constatazione empirica, che in ogni caso non cambia il risultato. E dolcezza sarà tua madre!
***
- Non posso tollerare di vederti con lui!
- Piantala Ace, non c’è niente tra me e Law.
- Ah, davvero? E quegli sguardi complici che vi lanciate in continuazione me li sono immaginati?
- Cosa dovrebbe essere questa, una scenata di gelosia?
- Sì, dannazione!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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Amor tussique non celatur







Capitolo 2




Le scelte si fanno in pochi secondi,
ma si scontano per tutta la vita.
- Anonimo
 





- Come sarebbe a dire “non possiamo andare a Banaro”?!
Law la fissò annoiato – cos’è dolcezza, improvvisamente sei diventata dura di comprendonio? Non possiamo andare a Banaro e non ci andremo, punto.
- Ma non hai sentito quello che ti ho detto? Mio fratello sta morendo!
- Mi dispiace davvero, ma io non posso farci nulla, e tu nemmeno.
Kate lo fissava con gli occhi che si sgranavano ogni secondo di più, il suo respiro era sempre più agitato. Non stava dicendo sul serio, vero?

Vero?!

Gli avvenimenti dell’ultima ora si erano susseguiti quasi come in un sogno per Kate. Avete presente com’è quando state dormendo e state sognando, e vi si presenta la classica situazione in cui dovete correre per raggiungere qualcosa? Che so, la fine di un corridoio, qualcuno che amate e che è in pericolo, una porta che dovrebbe portarvi alla fine di tutte le vostre sofferenze?
Ecco, è proprio in quel momento che vi sembra di essere spaventosamente lenti, deboli, stanchi: voi vi sforzate di fare più in fretta, di correre più veloce… e invece ottenete l’effetto contrario, le gambe sembrano pesare sempre di più, la vista sembra appannarsi, la coscienza sembra abbandonarvi, e la frustrazione vi tortura, perché volete a tutti i costi arrivare alla vostra dannata meta, e vi sembra di non essere mai abbastanza forti, mai abbastanza veloci, mai abbastanza determinati. E se poteste vi prendereste a pugni per questo.
Ci siete? Bene, è proprio così che s’era sentita Kate nell’ultima ora, mentre correva come una scheggia per le strade della città – facendosi puntualmente riconoscere da mezzo mondo per colpa di quei dannati tacchi che la facevano sembrare un cavallo al galoppo. No, in effetti assomigliava più ad un pony – perdendosi diverse volte nel tentativo di tornare al Catorcio. La preoccupazione per il fratello le aveva annebbiato il cervello al punto di impedirle di ragionare lucidamente, facendole commettere un errore dietro l’altro, cosa imperdonabile per un medico.
Fortuna che alla fine l’istinto aveva prevalso, e in qualche modo era riuscita a tornare al sottomarino. A quel punto aveva puntato dritto verso lo studio di Law, ma lì non l’aveva trovato, così si era precipitata verso la sua cabina, sempre più stanca e afflitta ogni minuto che passava. Quando finalmente c’era arrivata era entrata senza preoccuparsi di bussare – non c’era nulla di nuovo in questo, quando andava da lui lei non bussava mai -, e aveva immediatamente richiuso la porta alle proprie spalle, appoggiandovisi contro con il fiato corto.
Law non era rimasto particolarmente impressionato da quell’entrata ad effetto, anzi inizialmente si era limitato a fissarla con la sua onnipresente smorfia indifferente… ma si era alterato parecchio quando aveva visto la sua ferita alla mano, che tra l’altro Kate aveva completamente dimenticato.
- Si può sapere che diavolo hai combinato? – aveva sbraitato alzandosi dalla scrivania e afferrandole non troppo delicatamente il polso per esaminare i tagli – hai fatto a pugni con la vetrina di un negozio o cosa?!
- No, ho stritolato una tazza. – aveva risposto in fretta Kate – senti, devo dirti una cosa…
- Be’, di qualunque cosa di tratti, non voglio sentire una parola in merito prima che abbia finito di estrarti tutte le schegge dalla mano e ti abbia medicato. – l’aveva freddata lui prendendo un kit di pronto soccorso da sotto il letto.
- Posso farmela da sola la medicazione!
- Zitta e non fare storie. Se proprio vuoi parlare mi piacerebbe sapere chi diavolo ti ha dato il permesso di scendere a terra senza avvisare!
- Chi diavolo mi ha dato… ma chi diamine ti credi di essere, il mio padrone?!
- No, ma sono il tuo capitano, che è praticamente la stessa cosa, dolcezza. – aveva affermato stoicamente il chirurgo estraendo la prima scheggia con delle pinzette.
- Ahi! – aveva strillato indispettita Kate – Non mi chiamare dolcezza! E non potevi farmi l’anestesia locale prima?
- No. Un po’ di dolore non ti ucciderà di certo. Anzi, magari ti farà imparare qualcosa, testa calda che non sei altro.
Kate aveva fatto una smorfia di fronte a quella risposta menefreghista, ma intimamente ne era stata contenta. Per quanto Law potesse essere odioso in quelle situazioni con il suo atteggiamento sgarbato, preferiva di gran lunga quel suo modo di fare a quello che avevano tenuto per anni i suoi fratelli; preferiva di gran lunga la sua indolenza all’essere trattata come una bambola di porcellana fine, che deve essere tenuta costantemente su uno scaffale per evitare che si rompa.
- Senti Law, ho davvero bisogno di parlarti, è importante… ahi, di nuovo!
- E io ti ho detto che non voglio sentire una parola fino a quando non avrò finito qui.
- Ma è davvero importante! Non c’è tempo da perdere, ogni secondo è prezioso!
A quelle parole Law si era finalmente deciso ad alzare lo sguardo dalla ferita e a degnarla della propria attenzione. Kate ne aveva approfittato subito, e aveva sganciato la bomba senza troppi giri di parole.
- Mio fratello sta morendo.
E poi, senza dargli il tempo di replicare, gli aveva raccontato per filo e per segno ciò che era successo sull’isola, limitando al minimo le battute sarcastiche. Law l’aveva ascoltata senza interromperla, affilando solo lo sguardo di tanto in tanto quando Kate per l’ansia perdeva il filo del discorso o si dilungava su dettagli inutili, senza comunque smettere di medicarle la ferita.
- E quindi dobbiamo fare qualcosa! Dobbiamo partire immediatamente per Banaro! È praticamente dietro l’angolo, con il sottomarino in massimo sei ore saremo là! – concluse Katherine gesticolando animatamente con la mano sana – le sue condizioni a quanto pare sono gravissime, ma se lavoriamo insieme come al solito sono certa che potremo curarlo! Io posso usare la mia Essenza per far battere il suo cuore, e operandolo insieme riusciremo di certo a salvarlo! Allora, cosa ne pensi?
Ok, parliamoci chiaro, non è che Kate si fosse aspettata chissà quale eclatante reazione - c'erano più possibilità che un giorno il papa si affacciasse sul balcone di piazza San Pietro e si mettesse a ballare il Gangnam Style piuttosto che Trafalgar Law cominciasse a sclerare per un qualsiasi motivo- : nei tre anni che aveva trascorso con lui Kate non l’aveva mai visto perdere il controllo di sé nemmeno una dannata volta. Lui era più bravo di lei anche in questo, accidenti a lui!
Però diamine, almeno una piccola smorfia avrebbe anche potuto farla, se non altro per solidarietà nei suoi confronti! E invece no, non era Trafalgar Law mica per niente. Il suo viso sembrava praticamente scolpito nel marmo mentre le bendava con cura la mano e le rispondeva:
- Non possiamo andare a Banaro.
Per un momento Kate aveva creduto di aver sentito male, ne era stata davvero convinta. Andiamo, Law poteva anche essere un sadico bastardo, ma era pur sempre umano! Non poteva essere così indifferente...
E invece sì, era davvero così indifferente.
Kate sentì la bocca storcersi in una smorfia terribile, e balzò in piedi trafiggendo Law con lo sguardo.
- Fammi capire. – sibilò con voce avvelenata la ragazza – cosa intendi dire quando dici che non possiamo farci nulla?!
Law sospirò impaziente – ragiona, dolcezza. Hai detto che i tuoi fratelli non hanno nulla per aiutarlo, che stanno aspettando che muoia. Quante possibilità ci sono secondo te che dopo più di ventiquattr’ore sia ancora vivo? Per me sono inesistenti. È inutile precipitarsi là se non c’è niente da salvare.
Quelle parole la colpirono alla stregua di una pugnalata. La parte più razionale di lei sapeva che in fondo il suo ragionamento non era così insensato, e che, per quanto fossero abili, loro due non erano capaci di fare miracoli… sì, da un punto di vista razionale le argomentazioni di Law non erano sbagliate, eppure…
Kate non tentò nemmeno di frenarsi, non gliene fregava niente se era una cosa sbagliata da fare: afferrò con uno scatto repentino Law per il bavero della felpa per tirarlo in piedi e, con tutta la violenza di cui era capace, abbatté il proprio sinistro nel suo stomaco, mandandolo brutalmente a sbattere contro la parete dall’altro capo della stanza, che si crepò sotto la forza del colpo.
Il capitano non riuscì a trattenere un grido di dolore misto ad una risata – la ragazza picchiava davvero forte – e si accasciò contro la parete, senza tentare di mantenersi in piedi. Non aveva nemmeno tentato di schivare il pugno.
- SEI UN MOSTRO! COME FAI AD ESSERE COSÌ CINICO?! LUI È LA MIA FAMIGLIA!
Stranamente Law sembrò trovare in qualche modo divertente quell’esplosione di rabbia - te la prendi con me solo perché sai che ho ragione, eh? – sghignazzò beffardo il chirurgo, rimettendosi lentamente in piedi tenendosi lo stomaco con una mano – mi dispiace deluderti, dolcezza, ma picchiarmi non ti farà stare meglio, né farà stare meglio tuo fratello.
Quelle parole furono come un fiammifero per la polvere da sparo che era la furia di Katherine: come osava quell’imbecille ridere di lei?! Kate fece per sguainare la spada, ma di colpo non le sembrò abbastanza. Scostò con un calcio la sedia che si frapponeva fra loro e si scagliò nuovamente contro lui, fermamente decisa ad ucciderlo a mani nude.
Probabilmente se non fosse stato così ammaccato e dolorante, Law sarebbe riuscito senza problemi a sostenere l’impeto di quell’assalto. La ragazza gli piombò addosso con tutto il suo peso, facendolo barcollare, e insieme caddero a terra, lui sotto e lei sopra. A cavalcioni su di lui lei alzò un pugno, pronta a colpirlo al volto…
Ma aveva dimenticato quanto Law potesse essere rapido. Il pugno non piombò sulla sua faccia, ma sul pavimento, e prima ancora di rendersene conto, lei si ritrovò incastrata sotto di lui, con i polsi bloccati ai lati del viso.
Rendendosi conto della situazione in cui si trovava, Kate sentì buona parte della sua rabbia svanire fatalmente, rimpiazzata un turbamento alquanto indesiderato. Di colpo si accorse di quanto fossero vicini: lei schiacciata sotto di lui con la schiena premuta contro il pavimento e le mani immobilizzate, e lui che si teneva in equilibrio sui gomiti incombendo a così poca distanza da lei da farle percepire chiaramente il suo respiro caldo accarezzarle il viso e la gola.

Non sono abituata ad averlo così vicino. È destabilizzante.

- Levati da dosso. – ordinò Kate, la voce appena tremante.
- Se lo faccio cerchi ancora di picchiarmi? – le sussurrò serio con voce roca e gli occhi ardenti.
- Non credi di meritartelo?
Sentì il petto di Law alzarsi e abbassarsi contro di lei, in una risata senza divertimento – Tu credi che io mi diverta a parlarti in questo modo? Credi che mi piaccia vederti soffrire?
- Be’, non è che tu abbia mai avuto molto riguardo per i miei sentimenti. In effetti tu non hai riguardo per i sentimenti di nessuno.
Law si lasciò sfuggire un verso roco, incredulo, e si sollevò da lei, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Kate la afferrò senza pensarci, e si lasciò tirare su.
- Sono consapevole di non avere il carattere più amabile del mondo – disse Law con voce tesa come una corda di violino – ma insinuare che io voglia ferirti deliberatamente mi sembra troppo anche per te, Kate.
- Allora perché non ti sforzi di capire? – sussurrò Kate – mio fratello… non so spiegarti quanto sia importante per me. Lui è così affettuoso, sensibile, divertente, e io…

E io non gliel’ho mai detto. Anzi, l’ultima cosa che gli ho detto è che era un egoista e un ipocrita. Ero così arrabbiata con lui e tutti gli altri, e non ho mai pensato che…

No. Non voleva pensare che non avrebbe mai più avuto occasione di dirgli quanto l’amava. Non era un’opzione contemplabile.
- … e io non posso abbandonarlo al suo destino. Devo almeno tentare di… ahi!
- Che succede?
- La mano… - si lamentò Kate, tenendosi il polso con una smorfia. Come una stupida aveva usato la mano ferita per cercare di colpire Law prima, e ora questa stava vivamente protestando lanciando impietose stilettale di dolore dirette dritte al cervello.
- Aspetta. – le disse Law, per poi voltarsi e dirigersi verso l’armadio dei medicinali che teneva in camera. Kate lo sentì trafficare con una qualche boccetta e una pipetta, e un attimo dopo lo vide tornare tenendo in mano un bicchiere pieno d’acqua – Tieni, bevi.
Kate glielo tolse di mano – cosa mi stai dando?
- Un antidolorifico in gocce. Bevi. – le ordinò di nuovo, e Kate obbedì, svuotando il bicchiere in un sorso. Il torpore la invase subito, dandole un immediato sollievo.
- Grazie. – sospirò Kate rendendogli il bicchiere, che lui posò sulla scrivania – senti, tornando al discorso di prima…
- Kate, capisco il tuo punto di vista, e mi dispiace per ciò che stai passando. Ma noi siamo medici, e dobbiamo essere realisti. Tuo fratello non può sopravvivere fino al nostro arrivo, è impossibile.
- Tu non lo conosci! Non sai quanto sia forte e determinato. Si aggrapperà alla vita con le unghie e con i denti, ne sono sicura. Possiamo farcela a salvarlo, credimi. – Kate fece un passo verso di lui e gli toccò il braccio, cercando di nascondere l’inquietudine che ancora la invadeva -Ti prego Law, ho bisogno di te.
Le era costato molto ammetterlo, dannazione. Lei era una donna troppo orgogliosa per ammettere di aver bisogno dell’aiuto o del sostegno di chicchessia, e ammettere di aver bisogno di Law era ancora più difficile. Law questo lo sapeva, non poteva rifiutarsi! In fondo erano una squadra, no?! Lei non avrebbe esitato a offrirgli il proprio supporto, a parti inverse!
Law la fissava con aria apparentemente inespressiva, ma Kate lo conosceva abbastanza bene da sapere che dentro di sé stava vivendo un terribile dilemma.

Ti prego, ti prego, ti prego. Non abbandonarmi.

- Mi dispiace, Kate. – le rispose alla fine il ragazzo con voce ferma, sottraendosi al suo tocco – la mia risposta è no. Non andremo a Banaro, il discorso è chiuso.

La mia risposta è no. No. No. No. No…

Kate strinse i pugni, indecisa se piangere o infuriarsi.
Dunque era così. Arrivare a pregarlo non era servito a nulla. A lui non importava se lei aveva bisogno di lui, non gli importava del fatto che Kate avrebbe perso un fratello. Per lui la risposta era no.
- Perciò non andremo a Banaro. – ripeté lei atona.
- Esatto.
- E non mi aiuterai a salvare mio fratello.
- No.
- Molto bene, allora. In questo caso direi che non abbiamo più niente da dirci. – dichiarò Kate voltandogli le spalle e dirigendosi a passo di marcia verso la porta.
- Dove… Katherine! Dove diavolo stai andando!?
- Scendo dal sottomarino. Ruberò la nave di qualcuno e farò rotta verso Banaro; se tutto va bene forse riuscirò ad arrivare entro l’alba di domani.
- Non puoi farlo! TE LO PROIBISCO!
- Non me ne frega niente. Me ne vado lo stesso, e per quanto mi riguarda tu puoi anche andare a farti fottere…
Le ultime parole le uscirono strane, a malapena era riuscita a farfugliarle. Improvvisamente le pareti della stanza si erano messe a girare vorticosamente, e la vista si era annebbiata. Kate gemette e barcollò, e andò a sbattere con il corpo contro la porta chiusa della cabina, mentre le ginocchia le cedevano miseramente.
- Finalmente fa effetto, eh? – sentì dire da Law. La sua voce sembrava lontana chilometri.
- Che… che co-cosa… m-mi hai…?
- Cloroformio. - rispose Law raggiungendola e prendendola delicatamente tra le braccia per evitare di farla cadere - Mi dispiace Kate, non mi hai dato altra scelta.
Kate non poteva crederci. Avrebbe voluto colpirlo, scuoterlo per le spalle, gridare di delusione, divincolarsi da quella presa così gentile che sapeva di tradimento…
Ma non ne aveva la forza. Non l’avrebbe avuta nemmeno se non fosse stata drogata da quello che solo qualche ora prima aveva chiamato “migliore amico”.
La notte, compassionevole, si chiuse su di lei.


Katie... svegliati…
Ace? Sei tu?
Sì, piccola. Coraggio, devi svegliarti… abbiamo bisogno di te…

- ACE! – gridò Kate spalancando gli occhi, il cuore a mille. Cosa…?
- Chi è Ace? – chiese atona una voce, come se non gli interessasse davvero saperlo.
Kate si mise seduta, e si voltò di scatto. Law era appoggiato alla parete, e la stava fissando con le braccia incrociate al petto. Kate non riusciva a vedere la sua espressione – la vista era ancora un po’ annebbiata -, ma avrebbe puntato diecimila berry sull’unghia che era tornata ad essere la solita maschera di ghiaccio. Notò con la coda dell’occhio che in testa non aveva più il cappello.
- Non è affar tuo, capitano. – rispose velenosa Kate, calcando sarcasticamente sulla parola “capitano”.
Law non replicò, si limitò a sospirare. Kate scosse la testa e fece per rimettersi in piedi, ma le gambe non collaborarono.
- Non sforzarti inutilmente. Non sarai in grado di alzarti ancora per qualche minuto, è inutile che ci provi.
- Maledizione, che ore sono?! Per quanto ho dormito?! – chiese Kate in preda al panico, pensando al fratello che probabilmente era già all’altro mondo.
- Tranquilla, sei stata priva di sensi solo per mezz’ora. Non te ne ho dato molto, di cloroformio.
Kate si lasciò sfuggire un gran sospiro di sollievo, e si guardò intorno, tastando il pavimento freddo su cui era seduta. Dove diavolo l’aveva portata Law?!
- Siamo nella stiva, dolcezza. – l’aiuto Law, vedendola in difficoltà.
- Come hai potuto farmi una cosa simile?! – urlò Kate, ignorando le sue parole – mi hai drogata approfittando della fiducia che avevo in te! E per giunta con il cloroformio, che è pure cancerogeno! Che razza di giuda traditore sei?!
- Non credo che ti verrà un tumore per tre gocce di cloroformio, dolcezza.
- RISPONDIMI, CODARDO! E NON CHIAMARMI DOLCEZZA!
- Non mi hai dato altra scelta. Saresti scappata se non ti avessi fermata.
- Certo che l’avrei fatto! – esclamò Kate allibita – ma perché diavolo me l’hai impedito?!
Law assottigliò lo sguardo – non è ovvio? Il tuo posto è qui, Katherine, non sulla nave di Edward Newgate.

Che cosa?!

- Stai scherzando, vero?! – fece Kate, sempre più scioccata – Tu… tu sei pazzo, un maniaco del controllo…
- No, sono il tuo capitano. E quando ti do un ordine mi aspetto che tu mi obbedisca. – Law le si avvicinò – avanti, ora promettimi che non cercherai più di scappare.
- MAI!
- Molto bene. In questo caso resterai qui fino a quando non avrai promesso. O al massimo per tre giorni, se proprio vuoi fare l’ostinata, così sarò sicuro che non potrai più agire.
Kate spalancò gli occhi - No, tu non puoi farmi questo! Io devo andare…
- A salvare tuo fratello? – concluse stancamente Law – Niente da fare, dolcezza. Il discorso è chiuso, te l’ho già detto.
Quel tono pacato le fece salire il sangue alla testa - È così che vuoi metterla, Trafalgar?! – chiese furibonda, mettendosi faticosamente in piedi e sguainando lentamente la spada – Vorrà dire che sarò costretta a passare sul tuo cadavere.
- Non dire sciocchezze. Non riesci neppure a stare dritta sulle gambe, adesso.
Kate sollevò la spada, pronta a scagliarsi contro di lui… ma le ginocchia, quelle bastarde traditrici, cedettero di nuovo, facendola cadere ancora.
- Ora basta, Kate. Smettila di ribellarti. – ordinò Law con il suo tipico tono asettico, quello a cui ormai Kate era tanto abituata, ma che in quel momento la ferì come un colpo di pistola, rimpiazzando la rabbia con il dolore.
Kate avrebbe voluto dirgli tante cose. Avrebbe voluto spiegargli quanto l’avesse ferita con quella sua decisione, quanto fosse orribile sapere che nonostante tutto non poteva fare affidamento su di lui, - lui che, con il tempo, era diventato necessario come l’aria -, che gli voleva bene e che suo malgrado gliene avrebbe sempre voluto qualunque cosa avrebbe fatto. Avrebbe voluto avere il coraggio di confessargli il suo passato, di parlagli di Ace, di Barbabianca, di Thatch, di Marco, di Haruta, di Vista, di Izou, delle infermiere che aveva lasciato e di tutti gli altri, di quanto tutte queste persone continuassero a contare per lei malgrado il risentimento che per anni le aveva avvelenato l’anima, al punto da spingerla a voltare loro le spalle come l’ingrata che era.
Forse, se fosse riuscita a parlargli di tutto questo, forse Law avrebbe capito, e sarebbe ritornato sulla propria decisione; Kate lo sapeva che lui era molto più compassionevole e buono di quanto poteva sembrare. Ma purtroppo Kate non era così coraggiosa come sembrava, specie l’ostacolo da superare erano i propri sentimenti.
- Avevi detto che non mi avresti ferita. – mormorò la ragazza.
Quelle parole sembrarono avere un effetto terribile su Law, che si intristì di colpo, guardandola sinceramente dispiaciuto – mi dispiace, Kate.
- Continui a ripeterlo. – notò stancamente la ragazza appoggiandosi al muro con la schiena – dimmi perché mi stai facendo questo.
Kate non nutriva molte speranze di avere una risposta; Law era sempre stato bravo ad eludere domande e situazioni spiacevoli, e quella domanda probabilmente era la più insidiosa che qualcuno gli avesse fatto da un bel po’ di tempo. Perché si stava comportando così? E chi poteva dirlo.
- Kate, guardami.
Kate sussultò e alzò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che Law aveva attraversato la stanza per avvicinarsi a lei e le si era inginocchiato di fronte, e ora la fissando con uno sguardo talmente infuocato da sembrare irreale, impossibile. Lui era sempre così freddo…
Law alzò lentamente la mano destra, e cominciò ad accarezzarle una guancia con le nocche. Kate lo fissava con gli occhi spalancati, totalmente presa in contropiede da quel gesto così dolce e sentito, che mai avrebbe associato a Trafalgar D. Water Law. Il massimo che potevi avere da lui di solito era un sorriso non troppo strafottente.
- Perdonami. – le sussurrò con voce roca – ma non posso lasciarti andare. Io… non posso sopportare il pensiero che tu ti allontani da me. Se tu andassi via, io…
Kate avrebbe voluto parlare, dire qualcosa per rassicurarlo. Non l’aveva mai visto così indifeso: si mordeva un labbro, chiaramente in difficoltà, e continuava a sfiorarle il viso con la mano, che tremava impercettibilmente.
- … io ne morirei.

Se tu andassi via, io ne morirei.

- Law… - mormorò Kate, sconcertata da quelle parole.
Ma lui si era già raddrizzato, e ora le stava dando le spalle.
- È inutile cercare di scappare. – dichiarò Law con voce ferma, il tono di nuovo impassibile – Alcune settimane fa ho fatto sostituire la porta con un portale blindato in titanio; nemmeno con la tua forza sovrumana riusciresti a sfondarlo. Inoltre Penguin rimarrà qui fuori tutto il tempo, e darà l’allarme se proverai a abbattere le pareti. – concluse, avviandosi poi verso la porta.
- Law! Aspetta, tu…
- Verrò a controllarti più tardi. – disse Law, per poi uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
- Law!
Niente. Era andato via. Kate si accasciò contro il muro, confusa ed esausta.
Come diavolo avrebbe dovuto interpretare ciò che era appena successo? Law l’aveva appena imprigionata nella stiva per impedirle di precipitarsi a curare suo fratello, eppure l’aveva anche pregata di perdonarlo, e le aveva detto che sarebbe morto se lei fosse andata via.
Ripensò alle parole di Bepo nel pomeriggio. Tu sei molto importante per lui, così come lui è importante per te. Lo sai.
Kate sospirò. Certo che lo sapeva. Poteva negarlo quanto voleva, ma la verità era molto chiara, anche per una zuccona orgogliosa come lei: per quanto Law potesse essere spocchioso, arrogante, idiota, egoista, odioso, menefreghista – il tema dei difetti di Law era una delle cose che più l’appassionava al mondo, insieme ai pancakes con lo zucchero, al caffè in ogni versione possibile purché non decaffeinato, alla medicina, a ogni cosa che fosse rossa, alle lanterne di carta, ai piercing e alle azioni clamorosamente avventate e rischiose – era innegabilmente, decisamente, esasperatamente importante per lei. Anche troppo, così tanto da farle paura. Gli doveva così tanto…
Ma fino a pochi minuti prima non avrebbe mai pensato, nemmeno per un momento, che lui potesse avere bisogno di lei tanto quanto lei di lui. Non riusciva ancora a crederci.

Se ripenso a quando ci siamo conosciuti...

       

O’Rourke D. Katherine stava seduta al tavolo più appartato e buio della locanda, e rimestava con aria cupa la zuppa che aveva davanti a sé, incapace anche solo di considerare l’idea di mandar giù qualche cucchiaiata. Non che la zuppa fosse male – al contrario, aveva un aspetto davvero delizioso -, ma Kate si sentiva la gola così serrata dallo sconforto e dall’angoscia da essere matematicamente certa del fatto che, se avesse provato a buttar giù anche solo una goccia di quella zuppa, si sarebbe soffocata di sicuro.
Non sapeva neanche più cosa la turbasse maggiormente, se il fatto di essere sola in compagnia della propria solitudine, senza uno scopo preciso e in un luogo sconosciuto, o il fatto che fosse così debole da aver permesso appunto a questa condizione di farla deprimere. Senza contare che, tra le altre cose, stava soffrendo per amore.
In condizioni normali Kate avrebbe cercato un po’ di conforto nell’alcool – beandosi del fatto che nessun fratello maggiore o padre fosse lì a rimproverarla o a farle notare che era troppo giovane per bere, eheh -, ma nelle sue attuali condizioni – sola, indifesa, con nessuna altra arma con sé se non il proprio istinto di autoconservazione – non poteva permettersi di fare passi falsi; avrebbe potuto pagare molto caro un cedimento del genere. Così se ne stava lì a rimescolare quella deliziosa zuppa ancora intonsa bevendo di tanto in tanto un sorso d’acqua, lanciando di tanto in tanto occhiate indagatrici intorno a sé per assicurarsi di non essere diventata il bersaglio di nessuno, e rimuginando nel frattempo sulle possibilità che aveva a disposizione.
La prima settimana era stata veramente difficile. Quando aveva preso la decisione di andarsene dalla Moby Dick, inizialmente Kate aveva pensato di darsi immediatamente da fare e trovare un modo per imparare a combattere, o quantomeno a difendersi… ma accade molto raramente che la realtà sia proprio come noi ce la immaginiamo nei nostri utopici film mentali, dove noi siamo gli eroi della situazione che trionfano sul nemico/problema/difficoltà con la stessa facilità con cui di solito ci allacciamo le scarpe. E quella volta non fece eccezione.
Kate – l’ingenua, sbadata Kate, che si era già immaginata capitano di un vascello gigantesco, armata fino ai denti e con il mondo in pugno - non aveva avuto neanche il tempo di arrivare alla prima isola prima che la paura e il dolore prendessero il sopravvento. Paura perché non aveva mai viaggiato da sola prima di allora, e temeva per la propria vita quasi quanto temeva la solitudine; dolore perché quel legame spezzato così bruscamente l’aveva lacerata dentro, facendola sanguinare e soffrire come mai in vita sua. L’immagine del volto di Ace l’aveva perseguitata sia di giorno sia di notte in quella settimana, rubandole il sonno e la voglia di vivere, lasciandole le forze solo per contemplare con rimpianto i ricordi felici che aveva insieme a lui, e per ascoltare il suono del proprio cuore che gocciolava sangue, ferito a morte.
L’aveva voluta lei quella situazione, lo sapeva; non poteva prendersela con nessuno che non fosse lei stessa. Avrebbe dovuto immaginare che i sentimenti che provava per Ace non l’avrebbero abbandonata così facilmente…
Non avrebbe mai creduto che si potesse soffrire tanto per amore.
Tuttavia lei restava sempre O’Rourke D. Katherine, e piangersi addosso per una situazione che aveva creato con le proprie mani piuttosto che agire non era proprio nel suo stile. Così dopo una settimana si era decisa ad asciugarsi le lacrime e a rimettersi in viaggio, decisa a realizzare il suo primo obbiettivo: incontrare il proprio padre biologico.
Trovarlo si era rivelato più facile del previsto; d’altronde lui aveva sempre vissuto nello stesso posto, non c’era pericolo di sbagliarsi. Aveva passato un po’ di tempo con lui, l’aveva conosciuto, e si era sentita molto meglio. Memphis era una gran brava persona, anche se un po’ imbranato, un medico dalle conoscenze inimmaginabili, che le aveva dato un gran conforto, e Kate era stata davvero contenta di aver assecondato il desiderio di incontrarlo che ormai da troppi anni accarezzava nella mente.
Tuttavia non poteva restare con lui per sempre, e così dopo un mese era ripartita, con la promessa di mantenere i contatti. E adesso era lì, in quella locanda, senza sapere che fare o dove andare, o da dove cominciare per reinventarsi da zero, e trasformarsi da dolce, ingenua e indifesa ragazza medico – ok, magari non dolce, e forse nemmeno ingenua, ma sicuramente indifesa – a temibile pirata. Poteva sembrare un’ovvietà, ma era più facile a dirsi che a farsi.
Che doveva fare? Cercare di imparare da autodidatta? No, impossibile, non era come studiare un manuale di medicina. No, le serviva un maestro. Ma a chi avrebbe potuto affidarsi? Essere una figlia di Edward Newgate comportava l’avere un gran numero di nemici, e Kate non sapeva di chi poteva fidarsi. D’altro canto, anche se avesse evitato di rivelare la propria identità, non c’era nessuna garanzia di non essere comunque riconosciuta…
Era una situazione dannatamente complicata, e Kate stava davvero cominciando a scoraggiarsi. Una parte di lei già si stava rassegnando al pensiero che aveva fatto tutto quel trambusto da bambina viziata sulla nave del padre solo per poi finire a fare il medico sulla terraferma, magari incastrata in un ambulatorio su una piccola isoletta dove la malattia più complicata e interessante con avrebbe potuto avere a che fare sarebbero state le emorroidi.
Già si vedeva, vecchia, alcolizzata, con i bigodini in testa, l’osteoporosi e la faccia plissettata per l’amarezza a soli trent’anni, con buona pace dei suoi vani sogni di gloria. Quell’immagine la fece rabbrividire fin nelle ossa. Possibile che fosse davvero destinata ad una fine simile?
- Posso sedermi?
Kate alzò gli occhi dalla zuppa, presa alla sprovvista. Si era lasciata talmente trasportare dai propri pensieri autolesionisti che non si era nemmeno accorta che un uomo le si era avvicinato, e si era stravaccato con nonchalance sulla sedia di fronte alla sua, e ora le stava sorridendo con aria decisamente poco rassicurante; non minacciosa, ma comunque di uno che è venuto a portare guai.
Eppure Kate non ne ebbe paura. Nondimeno era chiaramente un tizio dall’aria poco raccomandabile, con tutti quei tatuaggi e la nodachi sulla spalla, e il Jolly Roger sulla sua felpa parlava chiaro, era un pirata, eppure…
Qualcosa nel suo sorriso la urtò profondamente, scacciando ogni timore. Aveva un modo di sorridere particolarmente strafottente e arrogante, come se si credesse infinitamente più in gamba e furbo di lei, e avesse voglia di divertirsi con la mocciosetta che ora gli stava davanti, probabilmente convinto di poterla rimorchiare solo schioccando le dita.
Kate non riuscì a trattenere un sorrisino di derisione di fronte a quel cretino gonfio di superbia; poteva anche avere un aspetto patetico in quel momento, ma aveva ancora una reputazione da difendere. Lo avrebbe fatto sloggiare da lì in un paio di minuti.
- Che lo chiedi a fare? Ti sei già seduto.
- Giusto. Allora posso restare? Vorrei scambiare due parole con te.
- No, non puoi. – lo freddò Katherine, riportando la sua attenzione sulla zuppa - Addio.
Per un millesimo di secondo il pirata sgranò gli occhi davanti a quelle parole: evidentemente non si era aspettato quella risposta così fredda e tagliente. Ma fu lesto a riprendersi, e le rivolse un ghigno divertito.
- Suvvia, ti chiedo solo qualche minuto del tuo tempo. – le sussurrò suadente – avrei una proposta da farti che credo ti interesserà parecchio.
Kate inarcò un sopracciglio - no, io non penso proprio.
Il pirata non rispose, ma il suo ghigno si accentuò. Kate strinse gli occhi: aveva un’aria stranamente familiare.
- Come ti chiami? – le chiese interessato.
- Non è affar tuo.
- Ok, ci riprovo. Comincio io: mi chiamo Trafalgar Law.
- Bene, perché non te ne vai, Trafalgar Law? – replicò Kate, fingendo disinteresse.
Trafalgar Law… il Chirurgo della Morte. Aveva sentito parlare di lui. Era una supernova, uno molto promettente, tutto possibilità, e si vociferava che fosse uno dei più abili medici del mondo. Kate sentiva già di odiarlo.
- Perché dovrei? Mi piacciono le ragazzine carine con la lingua tagliente.

Ehm, ragazzina a chi?!

- Buon per te. Ora sparisci.
- Altrimenti che fai, figlia di Barbabianca? – la sfotté divertito il ragazzo, sganciando la bomba.
Ok, Kate avrebbe voluto fortemente non impallidire, ma quella era una reazione fisiologica che non poteva essere controllata. Come diavolo aveva fatto a riconoscerla?!
Si guardò freneticamente intorno, controllando che non l’avesse sentito nessuno.
- Ora ho la tua attenzione? – sghignazzò lui compiaciuto.

E va bene. Potrei, e sottolineo potrei, averlo sottovalutato. Pensò Katherine. Uno a zero per lui.

- Come l’hai capito? – indagò indispettita la dottoressa.
- Mia cara, se vuoi nascondere il tuo legame con l’imperatore forse portare quell’anello non è una grande idea. – le rispose indicando la sua mano destra, dove l’anello con il Jolly Roger di Edward Newgate scintillava dando bella mostra di sé.
Kate si maledisse per quell’errore così grossolano. Come aveva fatto a non pensarci? Probabilmente erano le pene d’amore a farla rimbambire.
- Che cosa vuoi da me? – sibilò la ragazza.
Law si leccò le labbra – prova ad indovinare.
Kate fece un sorriso di derisione – se sei venuto a propormi di venire a letto con te, caschi male. Ho gusti di gran lunga migliori in fatto di uomini.
Il sorriso strafottente del pirata scivolò via, con grande soddisfazione di Kate. Pungolare la vanità di un uomo faceva sempre il suo porco effetto. Quanti anni poteva avere quello, una ventina? Non aveva importanza, per certe bambinate non c’era età.
Uno pari. gongolò mentalmente Kate.
- Vorresti insinuare che non mi trovi abbastanza attraente, ragazzina?
A quella risposta a Kate non riuscì a trattenere una risatina. Nemmeno con uno sforzo di immaginazione si sarebbe potuto definire quell’uomo “non abbastanza attraente”. Schifosamente alto, pelle olivastra, occhi grigio mare, capelli neri, pizzetto… sembrava un cavolo di fotomodello, però più sensuale. Nemmeno le marcate occhiaie che gli segnavano il volto riuscivano a penalizzarlo, anzi se possibile contribuivano a renderlo più affascinante.
Non che questo le facesse un qualche tipo di effetto, è chiaro.
- Non è questo il punto, Trafalgar. Non potrei neanche volendo, visto che oggettivamente sei davvero molto attraente.
Inutile negarlo. Non le avrebbe creduto nessuno.
- Oh ti ringrazio, dolcezza!
- Non ringraziarmi. Il mio non era un complimento, ma una semplice constatazione empirica, che in ogni caso non cambia il risultato. E dolcezza sarà tua madre! – concluse irritata. Ma che confidenze si stava prendendo quel bellimbusto?!
Lui non sembrò affatto impressionato dall’ultima affermazione. Al contrario, sembrava al colmo del divertimento.
- Allora come dovrei chiamarti?
Kate lo guardò male. Non le andava di dirgli il suo nome, non le andava affatto.
Lui si chinò su di lei e le sussurrò – Forza dolcezza, voglio il tuo nome.
Per una frazione di secondo Kate dimenticò come si respirava. Non emozionatevi, fu solo per un attimo.
- Katherine. O’Rourke D. Katherine.
- O’Rourke D. Katherine… - ripeté lui, assaporandone il suono – Davvero interessante. Un altro membro del clan della D….
- Clan di cosa?
- Lascia stare. – replicò lui alzandosi in piedi – tra poco farà buio. Ci conviene andare.
- Eh? Andare dove? – fece Kate perplessa.
Law ghignò – sul mio sottomarino. È per questo che sono venuto a parlarti. Voglio che tu ti unisca a me, O’Rourke D. Katherine.
Kate scoppiò a ridere di gusto – sì, come no. Sei divertente, sai?
- Sono serissimo.
- Hai la memoria corta, pivello? – non riuscì a trattenersi Kate, mostrandogli l’anello – Figlia di Barbabianca, ricordi?
- Bel tentativo, dolcezza. Ma se viaggi da sola e scegli di nascondere la tua identità, c’è una sola spiegazione possibile: ti sei ritirata.

Accidenti, due a uno per lui.

- Questo lo dici tu. Magari sono in missione, che ne sai? – cercò di recuperare Kate.
- Oh ti prego! Chi manderebbe mai in missione una dolce e innocente fanciulla come te? –
Quelle parole fecero scattare qualcosa in Katherine. Senza neanche sapere cosa stava facendo, e con una velocità che non avrebbe mai sospettato di avere, Kate si fece scivolare un bisturi giù dalla manica e lo puntò alla giugulare del pirata.
Lui in tutta risposta scoppiò a ridere. A Kate quella risata non piacque affatto, sembrava la cosa più sbagliata del mondo.
 – Oh, non ti offendere per così poco! A questo possiamo tranquillamente rimediare.
Quelle parole fecero sussultare Katherine – Di che diavolo parli?!
- È evidente che non sai combattere. Prima di avvicinarmi ti ho osservato per un bel po’. Non hai muscoli, non hai altre armi addosso a parte questo bel bisturi, e non hai nemmeno un po’ di istinto di autodifesa e aggressività, altrimenti ti saresti accorta che ti tenevo d’occhio.

Tre a uno.

Kate ringhiò furibonda. Come diavolo aveva fatto a non accorgersi che quel tizio la osservava? Si figurò la scena di lui che la esaminava con cura alla ricerca di armi, per poi analizzare con altrettanta cura il suo corpo cercando tracce di muscoli, magari indugiando un po’ troppo su zone off limits… e sentì la propria bocca venire invasa dal sapore metallico della rabbia.
- Ma, come ti dicevo, a questo si può rimediare. – proseguì lui come se nulla fosse – se vieni con me ti insegnerò a combattere, e anche altro. Strategie di guerra, cartografia…
Kate non lo stava ascoltando più. Doveva ucciderlo? Per quanto fosse seccante ammetterlo, non credeva di poterci riuscire. Quello era una supernova con almeno duecento milioni di berry come taglia, e lei… be’, lei neanche ce l’aveva una taglia.
Era il caso di levare le tende. Inutile dire che la sua offerta non l’avrebbe mai presa neanche in considerazione. Piuttosto che mettersi al servizio di un arrogante pieno di boria come quello preferiva davvero diventare una vecchia dottoressa infelice con la faccia plissettata.
- Grazie, ma la risposta è no. Addio! – lo interruppe bruscamente lei gettando con violenza il bisturi sul tavolo, per poi alzarsi e uscire a grandi passi dalla locanda.
Non voleva vederlo più. Sembrava impossibile, ma era riuscito a farla deprimere ancora di più; si sentiva un’inetta, un’incapace buona a nulla. Proprio lei che si credeva tanto furba era stata messa al suo posto dal peggior cretino che si potesse immaginare. Le venne voglia di prendere a calci qualcosa.
- Ehi bambolina!
Kate piantò con stizza i piedi a terra, e si voltò esasperata – Trafalgar, sei davvero l’uomo più indisponente…
La voce di Kate si affievolì. Non c’era nessun Trafalgar alle sue spalle, ma un gruppo di quattro uomini molto corpulenti e molto ubriachi, che la stavano guardando con aria decisamente poco equivocabile.

Dannazione.

- Una ragazza carina come te non dovrebbe andarsene in giro tutta sola, sai? – fece roco uno di loro facendo qualche passo verso di lei.
Kate strinse i pugni, imponendosi di non indietreggiare. Era una delle poche cose che la madre era riuscita ad insegnarle: mai indietreggiare e mai abbassare lo sguardo. Era troppo umiliante, e spesso poteva anche segnare la tua fine.
- Girate alla larga, non è aria. – sibilò sprezzante la ragazza tirando fuori un altro bisturi, sperando di intimorirli.
- La gattina ha tirato fuori le unghie! – esclamò divertito il più grosso del gruppo, superando il primo che aveva parlato – su bambolina, non fare storie e vieni con noi, vedrai che non te pentirai…
Era chiaro che non l’avrebbero lasciata in pace. Kate sollevò il bisturi, pronta a riceverli. Non sarebbe mai riuscita a batterli tutti, ma avrebbe venduto cara la pelle.
Il primo l’attacco frontalmente. Era lento e malfermo, sicuramente per colpa dell’alcool; per Kate fu semplice schivarlo e fargli perdere l’equilibrio, per poi piantargli il bisturi nel collo, proprio dove sapeva trovarsi l’aorta. Il sangue zampillò copioso, e l’uomo si accasciò all’istante, soffocando nel proprio sangue.
Non provò nulla quando lo colpì: era un medico, era abituata a trattare con la morte.
Il secondo era decisamente più veloce. Kate ebbe a malapena il tempo di tirare fuori un terzo bisturi prima che lui la atterrasse schiacciandola a terra con tutto il suo peso, bloccandole i polsi sopra la testa. Kate urlò di dolore perdendo la presa sull’attrezzo, e l’uomo che le stava sopra rise, alitandole in faccia il suo respiro nauseabondo.
- Cattiva, cattiva gattina! Hai ucciso il nostro amico, ti toccherà una bella punizione per questo!
Kate sentì una mano viscida raggiungere il bottone dei suoi shorts, e le voci degli altri energumeni che strillavano eccitati… e gridò di disgusto, serrando gli occhi e scalciando per tentare di liberarsi…
- Room.
L’ubriaco si fermò.
- Giù le mani dalla mia sottoposta, feccia – sibilò gelida una voce, e il peso dell’energumeno le sparì da dosso.
- Cosa diavolo…? – esclamò irritato l’energumeno.
- Shambles.
Un lieve fruscio di vento le arrivò alle orecchie, e all’improvviso Kate avvertì una strana sensazione di calore. Aprì gli occhi per guardare…
La ragazza spalancò la bocca, non credendo a ciò che vedeva. Fino ad un attimo prima era bloccata per terra sotto quel maniaco, e adesso invece era in braccio ad un certo pirata particolarmente irritante, che se la stava stringendo al petto con una possessività decisamente eccessiva, come se volesse proteggerla a costo della propria vita.
- Ma come…? – sussurrò incredula la ragazza, troppo scioccata per arrabbiarsi con lui. Forse era un frutto del mare…?
- Non vale neanche la pena di uccidervi. – ringhiò Law rivolgendosi ai tre ubriachi ancora in vita, ignorandola totalmente – sparite dalla mia vista, prima che io possa cambiare idea.
Quei tre miserabili non se lo fecero ripetere, e si dileguarono così come erano venuti.
Dopo qualche secondo Kate si concesse di rilassarsi leggermente, e alzò lo sguardo verso il suo “salvatore”: lui la stava fissando a propria volta con un’espressione assolutamente impassibile, che faceva molto contrasto con il fatto che la stava tenendo in braccio come se fosse una dolce principessa in pericolo, e lui il principe senza macchia e senza paura giunto a salvarla, e con il mondo in cui la stava ancora stringendo contro di sé, come se non avesse alcuna intenzione di lasciarla andare.
In effetti era alquanto imbarazzante, ora che Kate ci faceva caso.
- Hai intenzione di rimettermi a terra o continuiamo il remake di King Kong fino a domattina?
- Stai bene? – le chiese ignorando la battuta sarcastica, il tono sorprendentemente atono – non ti hanno toccata, vero?
- Tranquillo, virtù intatta. Ora, se non ti dispiace…
Law la rimise a terra senza parlare, e Kate si tolse la polvere dai vestiti con aria esasperata. Decisamente quella era stata una giornata da dimenticare.
- Hai provato ad affrontarli. – osservò Law vagamente sorpreso.
Kate inarcò un sopracciglio - ti stupisce? Che avrei dovuto fare, accoglierli con un sorriso e improvvisare uno streap tease?
Un lieve sorriso increspò le labbra di Law, che tuttavia non si lasciò distrarre – sapevi di non poterli battere, eppure li hai affrontati ugualmente senza tentare di scappare o indietreggiare. Non hai neanche abbassato gli occhi, ti ho visto.
- Perché, stavi guardando?! – fece Kate incredula – cioè, hai aspettato prima di intervenire?!
- Esatto. Ti ho seguita quando sei uscita dalla locanda, e ti ho osservata quando ti si sono avvicinati. Volevo vedere come avresti reagito, e mi hai sorpreso parecchio. Non credevo avresti osato tanto.
- Bene, sono contenta che lo spettacolo sia stato di tuo gradimento! – sbottò sdegnata la ragazza – e adesso magari vorresti pure essere ringraziato, eh?
- No, non importa. Ho agito per tutelare i miei interessi, non i tuoi. Mi dimostrerai la tua gratitudine servendo nella mia ciurma.
- Ancora con questa storia?! Ti ho già detto che non voglio seguirti!
- Be’, a questo punto non hai scelta. Tecnicamente ti ho salvato la vita, perciò posso fare di te quello che voglio.
- Sei un folle! Non accetterò mai!
- Riflettici. Credi davvero di poter rifiutare?
Law le aveva parlato con tono pacato e tranquillo, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio a una bambina dell’asilo. Quel tono quasi canzonatorio le fece venire i nervi a fior di pelle, avrebbe tanto voluto lanciarsi contro di lui e prenderlo a pugni…
Ma non lo fece. Perché sapeva che aveva ragione lui.
Quella consapevolezza la investì come un tornado, facendola vacillare. Era la verità, lui l’aveva salvata e ora poteva disporre di lei a piacimento.
Era questa la legge dei pirati: se sei in pericolo e qualcuno ti salva sei in debito, e per ripagarlo devi fare ciò che ti chiede il tuo salvatore, qualunque cosa sia.
Avendo capito di essere con le spalle al muro, Kate per una volta decise di lasciar perdere le strategie di persuasione e i giochetti mentali. Ormai era chiaro che aveva davanti un avversario terribilmente astuto, che non si faceva incantare facilmente, e che era schifosamente bravo a rigirare le situazioni a suo favore, quindi era inutile cercare di confonderlo. Tanto valeva giocare a carte scoperte.
- Perché? – chiese, sinceramente desiderosa di saperlo.
Lui per la prima volta da quando l’aveva salvata le fece il suo solito sorrisetto strafottente- Perché cosa?
- Lo sai. Perché mi vuoi così tanto nella tua ciurma. – rispose Kate alzando le spalle – per come la vedo io, non è grande affare per te.
Il ghigno del pirata si addolcì impercettibilmente – non sono d’accordo. Anzi, credo che una collaborazione potrebbe essere vantaggiosa per entrambi.
- E che vantaggio pensi di trarre da me? – chiese Kate con un sospiro. Non aveva più voglia di fare del sarcasmo – sono debole, l’hai visto anche tu. Non so nemmeno difendermi da simile gentaglia. – gli fece notare, indicando il cadavere dell’uomo che aveva ucciso – se tu non fossi intervenuto sarebbe finita molto male, per me.
- È vero. Ma, come ti ho detto, a questo possiamo rimediare.
- E tu vorresti prendermi con te e assumerti l’impegno di addestrarmi solo per il gusto di avermi nelle tue fila? Non ha molto senso. Ci sono molti altri pirati che di sicuro…
- Si, ma io voglio te. – la interruppe Law con voce sorprendentemente ferma, che non ammetteva repliche, e per un momento Kate quasi si lasciò convincere. Ho detto quasi, non era mica nata il giorno prima, e poi quel tizio continuava a non piacerle, salvata o non salvata.
- Trafalgar, guarda che se non mi dici il vero motivo che ti spinge a volermi con te giuro che non muoverò un passo da qui, regole o non regole – dichiarò senza mezzi termini Kate incrociando le braccia al petto, avendo ormai esaurito la pazienza. Credeva davvero di poter raggirare il discorso in quel modo?!

Due a tre, forse posso ancora recuperare.

- Voglio dire, neanche mi conosci! Non sai nulla di me, ma vuoi che io ti segua per mare! Dimmi perché! – un dubbio terribile le attraversò la mente – se stai facendo tutta questa sceneggiata solo per provarci con me…
- Non mi prenderei mai tutto questo disturbo. Non sei poi così affascinante, dolcezza.
- Eh?!
- Dai, scherzavo.
- Oh insomma, smettila di cercare di sviare e rispondi alla domanda!
L’espressione fastidiosamente impassibile di Law finalmente svanì, lasciando posto ad una sinceramente pensierosa, come se stesse valutando il modo migliore di spiegare le proprie ragioni. Ci mise parecchio a risponderle:
- Ecco cosa so di te, O’Rourke D. Katherine. Tanto per cominciare so che sei un medico…
Kate si alzò di scatto lo sguardo su di lui, ma stavolta non si fece cogliere impreparata – già, i bisturi. Ma che te ne fai di un medico? Sei tu un medico!
- So che hai molto talento per il combattimento, anche se hai parecchio di imparare. – continuò lui come se Kate non avesse parlato, ghignando divertito di fronte alla sua espressione sorpresa davanti a quelle parole.
- Io non… – cominciò a farfugliare lei, ma Law la interruppe.
- E so che hai molte qualità dalla tua parte: sei audace, sei ambiziosa, e sospetto anche particolarmente astuta, ma soprattutto c’è moltissimo potenziale in te. – il ghigno del pirata si allargò - per come la vedo io tu potresti anche diventare Regina dei Pirati, un giorno. Perciò voglio assicurarmi di averti dalla mia parte quando avrai sviluppato le tue doti nascoste, perché sospetto che a quel punto sarai veramente pericolosa.
Per un momento Kate non seppe cosa dire. Quel tizio sembrava pensare davvero ciò che aveva detto, e Kate aveva un disperato bisogno di credergli, per il proprio stesso bene. Eppure…
- Ti ho chiesto di dirmi il vero motivo per cui mi vuoi nella tua ciurma, non di adularmi. – ribatté la ragazza, complimentandosi con sé stessa per il tono disincantato che era riuscita ad usare.
Law lasciò cadere spalle con un sospiro – E va bene, lo ammetto. Sei una figlia di Barbabianca, e quindi sei già stata nel Nuovo Mondo. La tua esperienza potrebbe essermi davvero utile.

Non è possibile, mi sta mentendo ancora! Ma che razza di problemi ha questo…

Kate aprì la bocca per dare voce al proprio risentimento… e la richiuse subito, impedendosi di parlare, consapevole che non sarebbe servito a nulla.
Non le avrebbe detto la verità, ormai era chiaro: avrebbe continuato a sviare, a negare, a fingere fino a quando lei non avrebbe ceduto, oppure fino a quando non avrebbe esaurito le carte che aveva, e probabilmente a quel punto l’avrebbe portata via di peso. In ogni caso non le avrebbe mai rivelato cosa lo spingesse ad agire così. Kate doveva arrendersi a quella realtà.

Non posso crederci. Ho perso.

- Tu non mi piaci affatto. – dichiarò alla fine la ragazza.
- Eppure sei ancora qui a parlare con me.
- Perché dovrei fidarmi di te?
- Non dovresti, infatti. – replicò lui con il suo solito ghigno, per poi avvicinarsi a lei e mormorarle all’orecchio con voce suadente – ma la domanda giusta che dovresti porti è… ti piace così poco azzardare?
Kate sussultò.

Ti piace così poco azzardare?

Eccola lì, l’ex medico capo dei pirati di Barbabianca: sola, senza meta e senza uno scopo, con un sogno da realizzare e un amore da dimenticare, una vita da vivere e una scelta da fare, in quel momento o mai più. Poteva o ascoltare la ragione e la logica come aveva sempre fatto e mandare al diavolo quel pazzo con occhiaie ed ego smisurati che prometteva più guai e problemi di tutti i pirati e i marines del mondo messi insieme, rassegnandosi così con tutta la dignità di cui era ancora capace ad una vita schifosamente piatta, tranquilla e infelice, oppure…
Oppure poteva ignorare tutto ciò in cui aveva sempre creduto, trascurando deliberatamente i segnali di pericolo che il suo cervello continuava disperatamente ad inviarle, e per una volta scegliere di ascoltare il cuore e l’istinto, accettando di seguire quel medico manipolatore bugiardo e arrogante, con la speranza di poter davvero stravolgere la propria vita.
A lei non piaceva azzardare… ma le cose potevano anche cambiare. E non era per quello che aveva mandato all’aria la sua vita? Non era per avere la possibilità di osare, di superare i propri limiti?
Law si allontanò da lei e le porse una mano con ghigno, un chiaro invito – Allora, vieni con me o no?

Non dovresti farlo. È una pessima idea! Non dovresti…

- So già che me ne pentirò. – sospirò Kate, per poi sollevare molto lentamente il braccio e afferrare la sua mano, prima di avere il tempo di cambiare idea. – e continuo a pensare che non hai fatto un buon affare.
Lui le sorrise, le sorrise davvero, per una volta senza ironia né arroganza, e intrecciò con delicatezza le proprie dita con le sue.
- Diciamo che ho appena scommesso su di te, dolcezza.
A quelle parole Kate alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a nascondere un lieve sorriso, il primo che gli aveva mai fatto, e che, ancora non lo sapeva, sarebbe stato il primo di una lunga serie.

- Sei veramente un folle… mio capitano.


Ecco com’era cominciata. Quel giorno Kate non avrebbe scommesso neanche un centesimo sulla buona riuscita di quel piano… e invece si era sbagliata. Non avrebbe potuto essere più fortunata.
Perché lui era stato di parola. L’aveva addestrata, con pazienza e dedizione – nel senso che non si arrendeva se lei non riusciva a fare qualcosa; i suoi metodi d’insegnamento in realtà erano sempre stati alquanto bruschi-. L’aveva incitata a diventare più forte, le aveva insegnato le arti marziali, le aveva messo in mano una spada e le aveva mostrato come usarla, l’aveva iniziata all’arte della guerra e della strategia militare… ma tutto questo ora pareva insignificante, paragonato all’altra cosa che aveva fatto per lei.
Non le aveva mai ordinato di restare indietro. Mai, nemmeno agli inizi, le aveva impedito di fare qualcosa solo perché la riteneva troppo pericolosa per lei. Al contrario, l’aveva sempre spronata ad osare, a tirare fuori le unghie, ad infrangere gli schemi, e a lottare per ciò che voleva, di qualunque cosa si trattasse.
Non l’aveva mai fatta sentire di troppo, o irrilevante. Al contrario, l’aveva sempre resa importante, aveva sempre tenuto alla sua opinione, e dopo appena due anni di servizio, l’aveva addirittura nominata suo braccio destro…
E, a distanza di tre anni, Kate ancora non sapeva perché. Certo, lei sin dal primo giorno aveva fatto di tutto per sostenerlo e per rendersi utile – non avrebbe mai tollerato il pensiero di essere di peso –, ma non aveva fatto assolutamente nulla che potesse giustificare una simile lealtà. Specie se veniva da lui, che apparentemente sembrava apprezzare solo sé stesso.
La loro era un’amicizia strana, indubbiamente. C’era qualcosa di intenso fra loro, qualcosa che li legava a tal punto che, se per qualche motivo si sarebbero dovuti separare, sarebbero crollati entrambi. Perciò Kate aveva così tanta paura di quel legame; la gente ha sempre paura di ciò di cui ha bisogno, perché è consapevole che se lo perdesse questo comporterebbe anche la sua fine.

Se tu andassi via, io ne morirei.

Per questo che il pensiero di dovergli disobbedire deliberatamente la faceva sentire così male. Ma non aveva altra scelta, la sua famiglia aveva bisogno di lei. Non poteva tirarsi indietro, doveva a Thatch una possibilità di sopravvivere, come medico e come sorella.
La vecchia Katherine probabilmente si sarebbe rannicchiata in un angolo della stanza a piangere per la frustrazione; la nuova Katherine invece non si arrendeva al destino, ma si rimboccava le maniche per rimodellarlo secondo i propri desideri.
Kate si rimise in piedi, saggiando la forza delle gambe per assicurarsi che sarebbero state in grado di sorreggerla. Apparentemente sembrava di sì, ma per non sapere né leggere né scrivere Kate si tolse le scarpe, beandosi dell’immediato sollievo di non portare più i tacchi.

E adesso?

Be’, non poteva uscire da lì senza avere un buon piano per riuscire ad arrivare a Banaro senza essere fermata; e ovviamente non poteva uscire da lì senza prima trovare un modo per uscire da lì…
Doveva riflettere. Kate si rimise seduta a gambe incrociate, e intrecciò le dita sotto il mento, in posizione meditativa.
Allora, partendo da un bilancio positivistico della situazione, c’erano da risolvere almeno quattro problemi:
  1. Doveva trovare un modo per uscire da lì senza sfondare nè porta nè pareti;
  2. Doveva trovare il modo di rubare una barca senza che qualcuno al porto potesse riconoscerla, e quindi eventualmente fare la spia a Law;
  3. Doveva trovare qualcuno che l’aiutasse con l’operazione: a Kate sarebbe servito tutto il supporto medico possibile per curare Thatch, e visto che Law non era disponibile avrebbe dovuto trovare qualcun altro;
  4. Doveva trovare il modo per rallentare l’inseguimento di Law, o in alternativa depistarlo. Perché non c’erano dubbi sul fatto che Law, non appena avrebbe scoperto la sua fuga, l’avrebbe inseguita, e lei doveva trovare il modo per non farsi intralciare da lui fino a quando il lavoro non fosse finito;                         
Ecco, questi erano i problemi più insidiosi da risolvere; certo, c’era anche la questione di riuscire a scendere dal sottomarino senza essere fermata, ma per quello aveva già un piano. Una cosa era sicura, non poteva uscire dalla stiva senza aver trovato una soluzione per tutti questi problemi.

Pensa, O’Rourke, pensa…

Era il caso di cominciare dalla cosa più importante: uscire da lì.
Kate si alzò e andò ad esaminare la porta, facendo attenzione a non fare il minimo rumore.
Mmh… porta in titanio, resistenza a trazione 1050 N/mm²… Law ha ragione, è troppo resistente anche per me. Ci deve pur essere un altro modo…
Kate si chinò a studiare la grossa serratura: non era in titanio come il resto della porta, ma era comunque antiscasso. Non poteva sperare di forzarla con un grimaldello – che in ogni caso non aveva con sé -, e non poteva neanche tentare di romperla con la forza, non sarebbe servito a nulla.

Mmh…

Kate si guardò intorno, cercando l’ispirazione per un’idea. Intorno a lei c’erano accatastati una gran quantità di oggetti: botti piene d’acqua o rum, cibo di vario genere, prodotti per pulire, munizioni... tutto coperto con cura da teli bianchi di nylon.
Ehi, un momento! Nylon, candeggina, metallo… ci sono!
Kate corse verso le casse di munizioni e cominciò a frugare al loro interno, pregando di trovarci ciò che le serviva. Proiettili, polvere da sparo, palle di cannone… eccoli, i piombini!
(Per chi non lo sapesse, i piombini sono dei minuscoli proiettili privi di polvere da sparo incapaci di ferire qualcuno, si usano solo per fare esercizio con le pistole.)
Kate prese cinque di quei proiettili e corse verso la cassa con i prodotti per pulire: frugò anche là dentro finché non trovò ciò che cercava, la candeggina in polvere; infine tirò fuori uno dei suoi bisturi e tagliò un pezzo di nylon.
Adesso vedremo se è così semplice tenermi in gabbia! Pensò la ragazza mettendo la candeggina e i piombini sul pezzo di nylon, per poi richiudere tutto in un minuscolo fagotto.
Ecco qua! Pensò Kate, mettendosi al lavoro. Il nylon è infiammabile, quindi brucia facilmente, anche con un semplice attrito. Sfregando il metallo delle pareti con il metallo dei piombini il nylon prenderà fuoco. E combinando il fuoco con la candeggina in polvere si ottengono delle esalazioni tossiche che non devono assolutamente essere respirate, ma se inserisco il fagotto nella serratura… quelle esalazioni deformeranno i pistoncini del cilindro, aprendo quindi la porta!
Kate si appiattì contro la parete laterale alla porta, facendo in modo di essere nascosta quando la porta si sarebbe aperta, e attese in perfetto silenzio.
L’attesa non durò a lungo. Dopo appena trenta secondi si sentì un particolare tintinnio, simile a quello che fanno le monete quando cadono a terra; il tintinnio fu seguito da un leggero scatto della serratura, e la porta si aprì appena.
Grazie di esistere, chimica!
- Ehi, cosa diavolo succede? – esclamò allibita una voce, che Kate riconobbe all’istante: era quella di Penguin. Il ragazzo spalancò la porta ed entrò nella stanza. – Kate, dove sei? Cosa diavolo…?
Il poveretto non riuscì a finire la frase; non appena ebbe fatto qualche passo nella stanza Kate gli piombò alle spalle, e gli tappò bocca e naso con la mano destra, mentre con la sinistra gli bloccava i polsi dietro la schiena.
Il povero Pen provò a divincolarsi dalla presa della donna, ma era inutile: Kate aveva una forza spaventosa, quindici volte più grande di quella di un comune essere umano, forgiata da un particolare allenamento durato per anni, e cercare di contrastarla era impossibile, in pratica era come se un topo cercasse di liberarsi dalla stretta di un leone; ben presto Pen perse i sensi per la mancanza di aria, e Kate lo depose con delicatezza a terra.
Mi dispiace tanto, vecchio mio! Giuro che mi farò perdonare!
Ok, un problema era risolto, pensò Kate accostando la porta per evitare di dare nell’occhio. Ora il secondo: come poteva fare a non farsi riconoscere mentre se ne andava in giro per il porto alla ricerca di una barca? Kate intrecciò di nuovo le mani sotto il mento per riflettere.

Mmh…

Forse sarebbe stata una buona idea cambiarsi d’abito, tanto per cominciare. Così era un po’ troppo appariscente, specie per colpa del jolly roger che aveva sulla schiena… ma anche così non sarebbe stato sufficiente. Ci sarebbe voluto un travestimento, qualcosa che la rendesse del tutto irriconoscibile…
Ehi, un momento! Ma io un travestimento ce l’ho eccome! Quello che avrei dovuto usare per la missione che mi aveva affidato Law! Non l’ha mai visto nessuno a parte me, è perfetto!
Kate esultò mentalmente – ringraziando Madre Natura per averla fornita di una ragguardevole dose di inventiva e astuzia per sopperire alla sua mancanza di curve e altezza – e uscì dalla stanza a passo felpato, diretta alla propria cabina.
Fortuna che non è lontana.
Durante il tragitto Kate trattenne il fiato, tenendo inconsapevolmente la testa incassata nelle spalle per paura di essere beccata.

Se mi scoprono adesso… per me è finita!

Dopo qualche minuto Kate esultò di nuovo mentalmente mentre chiudeva la porta dietro di sé, e promise grandi sacrifici al dio della Fortuna, per ringraziarlo della sua benevolenza, visto che le aveva permesso di arrivare in cabina senza incontrare nessuno.
Ok, ora al lavoro! Pensò la ragazza mentre si spogliava e si levava gli orecchini, rimanendo così solo in biancheria intima, per poi tirare fuori una piccola valigia da sotto il letto e aprirla.
C’era tutto: abiti, stivali, corsetto, parrucca, barba finta, lenti a contatto, trucco… una volta pronta non l’avrebbe riconosciuta nessuno!
Cominciò dall’accessorio più importante: il corsetto. Ok, in realtà non era un vero e proprio corsetto, era più una specie di bustino/imbottitura che aveva creato lei stessa con l’aiuto di Bepo, che aveva il compito di comprimere la pancia, nascondere il seno e la curva della vita, allargarle le spalle in maniera simile ai para spalle che si usano nel football e, cosa più importante, di simulare il busto e i pettorali di un uomo.
Avete capito bene, ragazzi. Il travestimento di Kate consisteva nel mascherarsi da uomo!
Dopo averlo indossato, Kate passò ai vestiti: pantaloni neri larghi, camicia di batista bianca dalle maniche vaporose per nascondere l’esilità delle braccia, panciotto grigio per dare volume al petto, e mantello scuro, giusto per fugare ogni dubbio sulla presenza di forme muliebri.
Ah, dimenticavo il tocco di classe: stivali con tacco interno per sembrare più alta senza che nessuno potesse sospettare nulla.
Quando ebbe finito di vestirsi Kate si rimirò, estremamente compiaciuta.
Accidenti, dal collo in giù sembro davvero un uomo! Un uomo un po’ basso forse, ma pazienza.
Ok, ora toccava alla parte più complessa: il volto. Kate si sciolse rapidamente la treccia, lasciando che i lunghi capelli scuri le cadessero sulle spalle, e subito li raccolse nuovamente, infilandoli nella retina di supporto della parrucca di capelli biondo vimini lunghi fino al mento che subito si affrettò a sistemare, simulando un’acconciatura studiatamente spettinata per coprire totalmente il tatuaggio sulla fronte. Subito dopo si applicò la barba finta, che non era alto che un fantastico pizzetto della stessa tonalità dei capelli.
Ottimo. Ora gli occhi.
Kate sogghignò mentre tirava fuori dalla custodia le lenti a contatto nero pece e se le infilava, nascondendo così il verde primavera dei suoi occhi.
Se continuo così alla fine non mi riconoscerò più nemmeno io.
E infine toccava alla fase finale: il trucco.
Quella era la parte più difficile del lavoro: in vent’anni di vita Kate si era truccata sì e no tre volte, e un solo errore avrebbe potuto rovinare l’intero effetto del travestimento. Kate rivolse una rapida preghiera al dio della Fortuna affinché le impedisse di combinare un macello, e si mise all’opera.
Con tutta la cura e la precisione di cui era capace, Kate si spalmò un leggerissimo strato di fondotinta per far sembrare la propria pelle più scura; dopo afferrò un correttore in stick dal prezzo esorbitante e se lo applicò in abbondanza sul tatuaggio che aveva in fronte, giusto perché non si era mai abbastanza prudenti; poi si armò di un sottilissimo pennellino e lo intinse in un fondotinta dalla tonalità più scura, e con quello cominciò ad applicarsi qualche minuscola lentiggine sotto gli occhi.
Che bellezza. Ho sempre voluto avere le lentiggini!
Infine concluse il lavoro applicandosi un sottilissimo strato di rossetto opaco tonalità nude, che provvide a nascondere il rosa naturale delle labbra, e ammirò nello specchio il risultato finale.
Be’, a quanto pare alla fine il lavoro che avevo fatto per la missione non è andato del tutto sprecato.
Lo specchio le restituiva l’immagine di un ragazzo giovane e molto avvenente: biondo, occhi scuri, basso e tarchiato, dai tratti eleganti e vagamente femminei, ma senza dubbio parecchio affascinante.
Non so se essere felice perché il travestimento è credibile, o essere amareggiata perché sembro più attraente ora che sono travestita da uomo di quanto lo sia quando sono vestita da donna. Vabbè, lasciamo stare. Pensò mentre sbirciava dalla cabina per controllare che la via fosse libera, per poi afferrare il suo borsello con gli strumenti da medico e avviarsi verso la poppa del sottomarino.
Bene, bene. Ora ci divertiamo! Adoro creare i diversivi!
Quando fu arrivata nel punto giusto, Kate individuò per terra il condotto di areazione che stava cercando e lo aprì, beandosi del fatto che era abbastanza piccola per infilarvisi dentro senza alcun problema; alzò gli occhi verso l’alto, adocchiando i dispositivi antincendio fissati al soffitto, e ghignò così malignamente da fare non solo un baffo ma un bel paio di basette a quel bastardo di Law.
Dannati aggeggi, mi avete dato il tormento per anni! Ora è il momento della vendetta! Gongolò compiaciuta Kate nella propria testa; tirò dunque fuori l’accendino e l’inseparabile pacchetto delle sigarette e, con estremo piacere, si accese una bella sigaretta, facendo scattare quel lagnoso allarme.
Ovviamente quegli affari non facevano piovere – in un sottomarino a tenuta stagna la pioggia avrebbe rappresentato un serio problema – ma si limitavano a segnalare il fatto che da qualche parte nel sottomarino probabilmente c’era un incendio. Sentendo dei passi concitati avvicinarsi Kate si affrettò ad infilarsi nel condotto di areazione, richiudendoselo sopra la testa un attimo prima che l’intero equipaggio, o quasi, si riversasse proprio in quel corridoio.
- Che succede?! Andiamo a fuoco?! Presto, portate gli estintori!
Ihih, che deficienti! Ci sono cascati come degli allocchi! Ridacchiò Kate mentre strisciava in fretta e furia nel condotto, dritta verso la libertà.

Ho sempre sognato di fare Solid Snake nei condotti!
 

Dai, non è possibile. È troppo culo per una persona sola!

Kate sapeva che avrebbe dovuto darsi un contegno, ma aveva la netta sensazione che in quel momento fosse una cosa totalmente impossibile. Stava fissando l’imbarcazione che aveva davanti a sé sorridendo con aria talmente trasognata ed ebete che la gente che affollava il porto di tanto in tanto si fermava a fissarla, chiedendosi da quale istituto di igiene mentale fosse scappato quel giovane uomo biondo che stava lì impalato da più di dieci minuti.
Ed è pure ormeggiata a soli venti metri dal Catorcio! Constatò incredula la ragazza. Forse è il caso che offra anche qualche sacrificio umano al dio della Fortuna. Una dozzina di vergini dovrebbero essere sufficienti.
Cosa stava ammirando Kate, volete sapere? Ebbene, stava ammirando un sontuoso motoscafo da almeno 70 piedi, categoria Charter, che ad occhio e croce doveva raggiungere minimo 30 nodi, con tanto di cabina chiusa con i vetri oscurati, e soprattutto totalmente incustodito.
Seh, vabbè… pensava Kate mentre saltava a bordo. Guarda che razza di bomba! E posso anche guidarlo! Law il Catorcio non me lo fa guidare mai…
La sala comandi era a dir poco fenomenale. Tutta rivestita in acciaio cromato, con il timone che troneggiava scintillante al centro dell’ambiente, sembrava uscita direttamente da un film di James Bond.
E indovinate qual era la ciliegina sulla torta? Un magnifico lumacofono che la fissava, impaziente di essere usato. Se ne avesse avuto il tempo, Kate si sarebbe volentieri lanciata in una ola sfrenata.
Voi direte, ma che cavolo se ne faceva Kate di un lumacofono in un momento simile? Ebbene, proprio mentre faceva Solid Snake nei condotti – era stato a dir poco spettacolare! – a Kate era venuta la regina delle idee geniali, che le avrebbe permesso non solo di depistare l’inseguimento di Law e coprirsi le spalle, ma anche di ottenere il supporto medico che le occorreva per salvare la vita del fratello. E non un supporto medico qualunque, ma il migliore che avrebbe potuto sperare di avere escluso quello di Law.

È incredibile come io riesca ad essere efficiente quando sono sotto pressione.

Incapace di aspettare oltre andò al lumacofono, sollevò la cornetta e compose il numero della persona che l’avrebbe tirata fuori dai pasticci, pregando che rispondesse alla svelta.
“Pronto?” Gracchiò il lumacofono riscuotendosi dal torpore, e Kate sussultò lievemente nel risentire la sua voce dopo così tanto tempo.
- Ciao, sono io. Sono così felice di risentirti! – esclamò Kate, senza sforzarsi di nascondere la gioia che provava nel parlare di nuovo con lui – È successa una cosa gravissima. Ho bisogno del tuo aiuto.



Angolo autrice:
Eccomi di nuovo, miei cari!
Che ne pensate di questo secondo capitolo? Vi piace? Spero di sì.
Insomma, le acque stanno cominciando ad agitarsi! Tra Law e Kate è sfida aperta, ormai... lo so che molti di voi speravano di sapere già cosa accadrà a Thatch, ma questo capitolo era assolutamente necessario, credetemi. Croce sul cuore che nel prossimo vi racconterò in che modo Kate aiuterà il fratello!
Ringrazio di cuore chi ha recensito, chi ha messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate, e vi mando un bacio gigante! Alla settimana prossima, tesorini! <3
Tessie
   
 
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