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Autore: CHAOSevangeline    17/06/2017    1 recensioni
{ Partecipante al 1° contest Yuri on Ice - Italia Alternative Universe | Prompt: “Yuri subisce un forte trauma nella sua vita e comincia ad andare da uno psicologo per superare la cosa”. | Viktuuri AU }
L’ufficio della dottoressa Mila Babicheva era la stanza che meno gli piaceva dell’intera struttura.
Conosceva solo l’ariosa area di accettazione e qualche ambulatorio, in realtà, e i corridoi per raggiungere ognuna di quelle stanze che sapevano un po’ tutti di ospedale. Ma in fin dei conti questo era, l’edificio: una clinica psichiatrica.
A Yuri non dispiaceva spendere quell’ora scarsa quasi ogni giorno per parlare con Mila, così come non lo disturbava la strada che quotidianamente era costretto a percorrere da casa propria fino alla clinica dove lo studio della sua dottoressa si trovava: voleva dire che almeno non vi era ricoverato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mila Babicheva, Phichit Chulanont, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve a tutti!
Prima di lasciarvi alla fanfiction vorrei ribadire che la storia partecipa al 1° contest Yuri on Ice - Italia Alternative Universe con il seguente prompt: “Yuri subisce un forte trauma nella sua vita e comincia ad andare da uno psicologo per superare la cosa”.
Essendo il contest esclusivamente per le AU, le storie dei personaggi saranno ovviamente diverse da quelle dell'anime.
L'avvertimento "tematiche delicate" mi sembrava opportuno considerando appunto i temi, che ho cercato di trattare nel modo più accurato possibile.
La storia è divisa in due parti, questa e una successiva, che pubblicherò o domani o lunedì.
Spero davvero che questa storia vi possa piacere e che vi vada di dirmi che cosa ne pensate.
Senza ulteriori indugi vi lascio alla lettura!



Absentia



I.


L’ufficio della dottoressa Mila Babicheva era la stanza che meno gli piaceva dell’intera struttura.
Conosceva solo l’ariosa area di accettazione e qualche ambulatorio, in realtà, e i corridoi per raggiungere ognuna di quelle stanze che sapevano un po’ tutti di ospedale. Ma in fin dei conti questo era, l’edificio: una clinica psichiatrica.
Quello studio però era davvero cupo, opprimente: la moquette era scura, così come lo erano i mobili e tutte le librerie, che soffocavano le pareti sembrando pesanti per il legno di mogano di cui erano fatte e la quantità di tomi enormi a colmare gli scaffali.
A Yuri non dispiaceva spendere quell’ora scarsa quasi ogni giorno per parlare con Mila: gli faceva bene. Non lo disturbava nemmeno la strada che quotidianamente era costretto a percorrere da casa propria fino alla clinica dove lo studio della sua dottoressa si trovava; voleva dire che almeno non vi era ricoverato.
« Buongiorno, Yuri », lo accolse Mila, sorridendo. « Prego, accomodati. »
Yuri era già sull’uscio della porta, su cui aveva bussato nel vederla socchiusa.
Quella donna era decisamente troppo radiosa per un ufficio simile. Le onde rosse che le incorniciavano il viso sfioravano le spalle coperte da un dolcevita celeste. Nessun camicie, rigorosamente appeso all’attaccapanni nell’angolo: Mila gli aveva confessato di odiarlo, che era già tanto se si ricordava di appuntare alla cintura il tesserino di riconoscimento mentre si muoveva per la clinica.
Quando la sua situazione sarebbe migliorata, Yuri non escludeva che le avrebbe chiesto di vedersi ancora: magari le avrebbe offerto una cena per l’aiuto che gli aveva dato, pur essendo un indennizzo minimo, e magari avrebbero chiacchierato di qualcosa che non fossero i suoi problemi. Mila era una donna in gamba, gli piaceva il suo modo di ragionare e c’era da aspettarsi che fosse così: se Yuri si stava facendo assistere proprio da lei era perché Viktor la conosceva.
Già, Viktor.
« Buongiorno, Mila », la salutò di rimando mentre si sedeva su una delle poltroncine di fronte alla scrivania.
Mila gli aveva tassativamente vietato le formalità: niente lei, niente “dottoressa”.
Yuri le rispose con il sorriso più sincero che poté, ma il pensiero appena sorto di Viktor non lo aiutò affatto. Avrebbe davvero voluto riuscire a sorriderle con sincerità, ma era maledettamente difficile.
Non era la prima volta che lo pensava: era da tutto il giorno che si tormentava con la sua immagine.
Subito le sopracciglia sottili della donna si aggrottarono in un’espressione che più del falso interesse di un medico parevano la manifestazione più sincera della preoccupazione di un’amica.
« Come stai oggi? Ti vedo… giù di morale. »
Marcò quelle ultime parole dopo averle scelte con cura, perché dubitava che chiunque avesse necessità di recarsi in un luogo come quello potesse essere raggiante e sereno come lo sarebbe se non ne avesse avuto bisogno. Yuri era solo più giù di morale del solito e con “del solito” intendeva gli ultimi tre giorni di sedute.
Yuri sembrò quasi felice di quella constatazione, come se trovasse incredibile e troppo poco scontato che qualcuno tenesse a lui abbastanza da informarsi circa il suo umore.
Alzò le spalle.
« Sto bene », la rassicurò. « Mi manca Viktor. Speravo davvero che in questi giorni arrivasse almeno una sua telefonata, se non una visita, ma mi sbagliavo. Forse però è meglio così. »
Mila annuì silenziosamente, un’espressione stoica che non abbandonava il suo viso.
« Ho pensato che forse si è trattata di un’idea di Phichit. Credo che Viktor starebbe male vedendomi mentre non sono al massimo, quindi forse è meglio se… uhm, lui non c’è », spiegò, titubante.
Non voleva essere egoista. Non doveva. Aveva un bisogno disperato di Viktor, ma non poteva piangersi addosso.
La donna sorrise nel sentire Yuri parlare. Erano trascorsi solo pochi giorni dall’inizio dei loro incontri, ma il giapponese si era davvero lasciato andare molto: alla sua prima seduta Mila non era riuscita a cavargli fuori che poche parole, ora invece si apriva di propria spontanea volontà.
« Non hai nulla di cui vergognarti, Yuri », lo rassicurò lei. « Anzi, essere venuto qui appena ti sei accorto che c’era un problema ti fa onore. Potrai risolvere tutto molto più in fretta, in questo modo. »
Non si espresse su Viktor per non costringere Yuri a rimuginare troppo sulle possibili cause della sua assenza e il giapponese le rispose con un piccolo cenno del capo.
Non era mai stata una persona troppo fiduciosa in se stessa. Quando si era reso conto che avrebbe dovuto affrontare un problema tanto importante da costringerlo a richiedere l’aiuto di una specialista come Mila, Yuri si era convinto che non sarebbe arrivato da nessuna parte e il panico l’aveva assalito.
Aveva riscoperto una strana determinazione in sé, però: voleva stare meglio. Per la sua famiglia, per i suoi amici, per sé. Per Viktor.
« Lo spero davvero. »
Gli incontri con Mila non erano nulla di speciale: il più delle volte la donna gli forniva un argomento e lo lasciava parlare a ruota libera, spesso senza nemmeno interromperlo; diceva che qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca era importante per il loro scopo. Certo, anche ciò che non rivelava spontaneamente poteva esserlo, ma Mila lo aveva rassicurato dicendo che sarebbe stata lei ad insistere, se necessario.
Yuri temeva di poter essere il più grande ostacolo per se stesso.
Sul punto di cominciare a parlare, Mila si accorse che gli occhi di Yuri erano puntati sul vaso di fiori sistemati su una delle mensole più basse della libreria. Un tocco di colore che a Yuri non sarebbe dovuto dispiacere troppo, considerando l’atmosfera cupa dell’ufficio.
« Yuri? Che cosa c’è? » domandò Mila, seguendo il suo sguardo. « Non ti piacciono i fiori? »
Yuri si bloccò, rendendosi conto che la sua risposta a quella domanda sarebbe stata piuttosto diversa dal pensiero comune della massa.
« In realtà no. Non mi sono mai piaciuti », rispose con un sorriso di scuse appena accennato sulle labbra.
La donna parve farsi interessata a quel dettaglio.
« Questo tipo in particolare? O è colpa di qualche allergia? »
« In generale. Non mi piacciono né questi, né nessun altro tipo di fiore. È più forte di me. »
Mila avrebbe voluto indagare oltre, ma Yuri sembrava di diverso avviso.
« Di che cosa devo parlare oggi? »
Gli concesse di cambiare discorso solo perché c’era qualche argomento più interessante a cui dedicarsi.
Il lampo che saettò negli occhi cerulei di Mila, a Yuri non piacque affatto.
Subito pensò alla premessa che la donna si era premurata di sottolineare quando avevano iniziato a incontrarsi: gli aveva detto che prima o poi avrebbe dovuto parlare di questioni capaci di provocargli dispiacere, di trascorsi che avrebbero anche potuto ferirlo. Aveva detto che era uno sforzo che doveva compiere, se voleva uscirne.
Da qualsiasi cosa dovesse uscire, mancando ancora una qualsiasi diagnosi.
« So che forse non ti farà piacere, non proprio oggi almeno, ma ti andrebbe di parlarmi di Viktor? »
Con quella introduzione si sarebbe aspettato una richiesta di gran lunga peggiore. Le sorrise.
« Perché mi dovrebbe infastidire? » domandò Yuri, tranquillo, senza aspettarsi una vera risposta.
Non era arrabbiato con Viktor per la sua assenza e dopotutto parlare di lui lo avrebbe aiutato a lenire almeno in parte la nostalgia che provava nel non averlo accanto.
« Devo raccontarti qualcosa in particolare? »
« Magari di come vi siete conosciuti? Cosa ti ha colpito di lui… quello che ti viene in mente. »
Mila non si aspettava di scoprirlo tanto condiscendente, ma Yuri sembrava non essere mai stato così tanto a proprio agio.

*

Un anno prima

« Yuri, moye sokrovishche1, ricordati di respirare per l’amor del cielo: sei blu. »
Yuri era nel panico. Era nel panico perché era nel panico, perché si era dimenticato come si respirasse e perché non metteva una cravatta dal matrimonio della sua amica Yuuko, che gli aveva chiesto di farle da testimone e per cui era appositamente tornato in Giappone. Quella richiesta terrorizzato proprio come lo era in quel momento. Aveva anche dovuto fare un discorso.
Ma era stato anni prima, perciò non sapeva più come occuparsi di qualcosa di simile.
Non se doveva al contempo gestire anche la presenza di Viktor Nikiforov, l’uomo da qualche miliardo di dollari – non ricordava più quanti erano, ma erano tanti – che gli continuava a sistemare proprio il nodo alla cravatta e il bavero della giacca. Soprattutto se doveva gestire anche lui.
Quasi tutte le volte che si trovava in una stanza da solo con Viktor, Yuri era a proprio agio. Per fortuna, dato che stavano insieme da ormai due mesi. Per i primi tempi era stato difficile, però: ogni tanto si svegliava la mattina, accanto a Viktor, e si rendeva conto che in confronto a lui era una nullità. Almeno per l’opinione pubblica.
Gli sembrava di aver derubato il mondo di quel patrimonio russo da molti miliardi di dollari, pensiero che lo scocciava soprattutto perché aveva capito fin da subito che il valore di Viktor andava ben oltre quella cifra a più zeri di quanti ne avesse mai avuti il suo conto in banca.
Però Viktor rimaneva comunque il bellissimo, giovane e brillante – aveva già detto bellissimo? – direttore della Nikiforov & Co. e lui un qualunque sbarbatello dell’ufficio di marketing che aveva superato il colloquio di lavoro solo dopo averlo simulato almeno un centinaio di volte con Phichit Chulanont, il suo coinquilino.
La sua mansione era realizzare le stupende – si chiedeva come venissero approvate – idee dei suoi colleghi più fantasiosi e prestigiosi, che ottenevano i propri quindici minuti di gloria e si ritenevano in diritto di starsene ad urlacchiargli da sopra lo schermo del suo computer che non aveva capito nulla del progetto, che lo stava rovinando. Lui stava solamente cercando di salvare il salvabile, di non far sembrare l’animale stilizzato e non meglio identificato per il manifesto dell’azienda per l’ecosostenibile un qualcosa che avrebbe potuto spaventare i bambini che ogni tanto andavano in gita lì.
Era Viktor l’ultima persona che poteva esprimersi circa qualsiasi proposta, a prescindere dal settore da cui arrivava. Era un uomo di buon gusto e quella specie di aborto del mondo animale non era qualcosa che avrebbe accettato. A sua discolpa in quel periodo era in viaggio in Russia, per diletto o forse no, perciò ogni sua decisione era stata delegata a Christophe Giacometti. Che aveva nel proprio ufficio unicamente esempi di arte astratta, cosa che motivava l’approvazione dell’obbrobrio.
Poi Viktor era tornato e si era ritrovato quella spaventosa creatura ad accoglierlo, subito oltre le porte a vetri dell’ingresso. Così aveva deciso prima di tutto che non avrebbe più affidato un compito simile a Christophe, per quanto fosse suo amico, e in secondo luogo che sarebbe stato meglio fare un giro al piano dell’ufficio marketing per capire cosa diavolo stesse accadendo.
Dopo aver sottoposto la creatrice della bestia ad un test psicologico per scoprire se avesse subito dei traumi, Viktor si era presentato alla postazione di Yuri. A sorpresa, in realtà, perché il giapponese non era stato avvisato e quando si era accorto della presenza di qualcuno oltre il proprio pc aveva subito creduto che si trattasse del suo omonimo nonché ragazzino da qualche altro miliardo di dollari, Yuri Plisetsky. Il giovane aveva con Viktor un legame di parentela non meglio identificato e sembrava il suo legittimo erede a… qualsiasi cosa fosse in suo possesso.
Peccato che a Viktor non importassero affatto gli stereotipi e lo avesse messo a lavorare allo stesso piano di Yuri, come supervisore. Lui aveva votato sicuramente no al terribile panda della pubblicità, perché tutte le volte che vedeva Yuri lavorarci ringhiava qualche insulto sommesso.
Quindi Yuri si era sorpreso molto nel realizzare che la presenza stabilitasi di fronte alla sua postazione l’avesse fatto senza iniziare a sbraitare che dovevano rispettare delle scadenze o qualche battuta un po’ razzista sui cestini del pranzo tipicamente giapponesi che si preparava per sopravvivere alla giornata e alla nostalgia di casa. Viveva a New York da anni, grazie alla borsa di studio che lo aveva strappato al Giappone, ma era ancora come se non ci si fosse abituato.
Beh, almeno da quando lui e Viktor si erano messi insieme le cose con Yura erano migliorate; in un paio di occasioni gli aveva anche sorriso ed erano riusciti a scambiare delle battute che non prevedevano che lui venisse brutalmente denigrato con qualche soprannome poco piacevole.
Ma tornando a Viktor; si era piazzato con molta nonchalance di fronte al suo computer e come se nulla fosse aveva allungato una mano e sfilato un sottile plico di fogli graffettati insieme da sotto il gomito di Yuri.
Era stato in quel momento che il giapponese aveva capito che quella presenza ce l’aveva davvero con lui.
« Oh, interessante… » aveva sentito dire.
Si stava ancora riprendendo dall’infarto dovuto ad aver visto quel braccio fasciato da un impeccabile completo nero comparire nel suo campo visivo e rubargli le sue cose, quando aveva realizzato chi ci fosse davanti a lui.
Viktor Nikiforov era una sorta di creatura mitologica perché tutti lo conoscevano, lo incrociavano in ascensore, ma nessuno aveva davvero occasione di parlarci. Non le persone come Yuri, almeno.
Il giapponese aveva riconosciuto subito il foglio che Viktor aveva preso: era l’abbozzo di un progetto per una nuova campagna pubblicitaria. Non era urgente; quando Yura aveva annunciato la necessità di qualche idea aveva anche detto che c’erano un paio di mesi per metterla a punto prima della presentazione e Yuri aveva voluto tentare, anche se perfettamente conscio che non avrebbe mai avuto il coraggio di esporla. Phichit escluso: gliene aveva parlato durante un pranzo, trovandolo anche alquanto entusiasta.
Yuri si era alzato in piedi senza nemmeno accorgersene, provando ad aprire la bocca in un paio di occasioni per parlare.
« Mi piace », aveva continuato Viktor, porgendogli il plico. « Voglio che la presenti, quando ci sarà la riunione, ma ci sono dei punti da migliorare. Vieni nel mio ufficio prima di tornare a casa, ti mostro cosa aggiustare e… »
Yuri era ancora immobile, gli occhi sgranati e le ciglia che sbattevano ritmicamente, come se ancora stesse mettendo a fuoco il suo interlocutore.
« Sempre che tu ti riprenda per quell’ora. »
A quel punto Yuri capì che aveva fatto la propria solita figuraccia e che poteva anche riscuotersi.
« Certo, signore! Lo farò, signore! »
« Non siamo nell’esercito, rilassati. »
Viktor aveva riso, proprio come tutti erano soliti fare per via del suo essere talvolta maldestro o fin troppo timido. Però quello sbuffo di risata era stato diverso e Yuri giurò addirittura di avergli sentito bofonchiare che fosse carino, dietro un colpo di tosse celato da una mano.
« Allora ti aspetto più tardi…? »
Non si era presentato.
« Katsuki Yuri, signore. »
Ricordava ancora il batticuore di quando era andato da Viktor la prima volta, al lussuoso ultimo piano del grattacielo, dove aveva trovato anche l’altro Yuri.
Andare da Viktor dopo il lavoro era diventata una routine e gradualmente raggiungerlo si era fatto meno spaventoso.
Parlavano del lavoro, del progetto e un po’ di loro, alle volte.. Viktor lo rimproverava spesso, non si faceva scrupolo e la sera in cui Yuri si era mostrato troppo ferito, allora il russo gli aveva offerto una cena in un ristorante di lusso per farsi perdonare.
Era stata un’esperienza che avevano ripetuto, anche se quando Yuri si era imposto per offrire lo aveva dovuto portare in una pizzeria dove lui e Phichit andavano sempre. Yuri se ne era vergognato un po’, ma Viktor era sembrato ugualmente felice.
Quando il progetto era ormai giunto agli sgoccioli e finire tardi di lavorare non più un pretesto per vedersi, allora erano cominciati i loro appuntamenti, tra orari e luoghi scritti su bigliettini che si scambiavano clandestinamente quando facevano in modo di incontrarsi in ascensore.
Viktor aveva pensato bene di baciarlo alla fine del primo appuntamento e a Yuri non era affato dispiaciuto.
Si erano dichiarati in fretta, si erano messi insieme in fretta, ma contava solo che per loro fosse il momento giusto.
« Ti è mai capitato di svenire con gli occhi aperti? Perché credo che tu l’abbia appena fatto. »
La voce di Viktor lo riportò alla realtà.
« Credo che mi sia appena passata tutta la mia vita davanti », sussurrò Yuri, scuotendo la testa per scacciare ogni pensiero.
Non avevano gestito la propria relazione in gran segreto, ma volevano che quel lavoro venisse approvato nella maniera più ortodossa possibile, perché nessuno potesse muovere critiche. Nessun favoritismo: solo Yuri che si meritava quell’approvazione.
« Li conquisterai, ne sono sicuro. »
« Anche se due persone su cinque mi odiano? »
Yura – che aveva chiamato così solo una volta rischiando un pugno – e Christophe, il migliore amico di Viktor, lo odiavano.
Non poteva andare bene.
Viktor si fece più serio.
« Non ti odiano, Yuri », lo rimproverò, prendendogli il viso tra le mani. « E poi abbiamo provato un sacco: sai cosa devi dire e come lo devi dire. Andrà bene. »
« Eravamo in camera dopo la doccia e tu ti sei distratto un sacco. »
« Non mi sono distratto, ti stavo premiando perché sei stato bravissimo! »
La naturalezza con cui Viktor era in grado di smontare ogni sua affermazione lo spiazzava continuamente, ma Yuri aveva concluso di doversene fare semplicemente una ragione.
Non riuscì nemmeno ad arrossire.
Viktor gli prese il viso tra le mani, fronteggiando lo sguardo preoccupato del giapponese. Era come se si fosse reso conto che era stato troppo scherzoso perché Yuri potesse effettivamente credere alle sue parole di incentivo.
« Andrà bene », ripeté, prima di dargli un bacio sulle labbra. « Lo farai andare bene. Quindi togliti quell’espressione dalla faccia e non essere così preoccupato. »
Yuri aveva la capacità di credere a Viktor qualsiasi cosa gli dicesse, o forse era la capacità di Viktor di farsi credere a renderlo possibile.
Se non avesse avuto le dita intrecciate con le sue nel percorso dal suo ufficio all’ascensore e poi da lì alla sala riunioni non ce l’avrebbe fatta. Sapeva che sarebbe scappato.
Per rendere tutto più regolare, Viktor aveva atteso fuori, perché a certi incontri lui non partecipava mai.
Quindi Yuri aveva dovuto gestire lo sguardo di Yura, le domande di Christophe e il semplice dover mettere insieme un discorso di senso compiuto tutto da solo.
Quando Viktor aveva visto Yuri uscire con l’espressione cadaverica di chi aveva appena perso si era seriamente preoccupato di aver sbagliato tutto, di avergli dato delle false sicurezze.
« Yuri, com’è andata? » aveva chiesto ugualmente.
Yuri lo aveva fissato, mordicchiandosi il labbro.
Un sospiro, poi silenzio.
« Approvata. »
Yuri giurava di averlo sentito imprecare in russo, prima di turbare la quiete del corridoio afferrandolo e facendogli fare un giro. Quando lo aveva rimesso con i piedi per terra, Viktor lo aveva baciato con passione.
C’era chi definiva Viktor avido, freddo, scostante, uno squalo capace di valutare solo il proprio tornaconto negli affari.
Con quel sorriso raggiante sul viso e le braccia strette intorno ai fianchi di Yuri, però, avrebbe potuto demolire ogni pregiudizio delle persone in un soffio.

*

« Sai, pensavo che avresti evitato tutti i dettagli da romanzo rosa, Yuri. »
C’erano dei momenti in cui le sedute di Yuri e Mila assumevano un tratto quasi esilarante, diventando dei siparietti del tutto adatti ad una qualche serie televisiva che riguardava la complessa vita di qualche giovane in carriera.
A Yuri non dispiaceva: gli permetteva di abbattere il muro tra paziente e medico, secondo cui Mila sarebbe dovuta essere una donna rigida con il solo dovere di ascoltare i suoi problemi, chiedendogli unicamente ciò che era strettamente legato alla sua condizione.
Così più che ad un dottore sembrava di parlare ad un’amica.
Le guance del giapponese presero colore di colpo.
Yuri era alquanto empatico e sensibile, era impossibile non notarlo; mentre raccontava un qualsiasi ricordo sembrava costantemente scosso dagli stessi sentimenti che doveva aver provato nel momento che stava rivivendo. Mentre parlava di Viktor traspariva tutto l’amore che nutriva nei suoi confronti e anche se al solo racconto di un bacio la sua voce tremava, quasi facendolo balbettare, era chiaro che più che l’imbarazzo, l’unica colpevole fosse l’emozione che sentiva nel rievocarlo. La stessa emozione di quando Viktor lo baciava.
« È che mi è venuto spontaneo! Anche se forse non era strettamente necessario… »
Durante le loro prime sedute avevano parlato quasi solo ed esclusivamente di avvenimenti accaduti negli ultimi giorni.
Parlare un po’ di Viktor, la luce della sua vita, lo aveva rincuorato. Almeno così facendo si era distratto dal pensiero del proprio incidente.
Nessuna storia particolarmente avventurosa da raccontare: stava camminando per strada e lentamente i suoi sensi avevano iniziato ad annebbiarsi, le sue gambe non l’avevano retto ed era caduto a terra, provocando la preoccupazione non solo di Phichit, ma anche di Yura.
Non era stato nulla di grave, forse un calo di zuccheri o l’eccessivo stress dovuto al lavoro.
Il vero problema era quanto successo dopo.
« Se te la sentivi di dirmelo va più che bene. Non devi parlarmi solo di cose negative o estremamente deprimenti, sai? » gli fece presente la donna prima di sorridere appena.
Mila non aveva cambiato espressione mentre lo ascoltava, anche se Yuri probabilmente non se ne sarebbe comunque accorto: la guardava di rado, spesso concentrandosi su qualche difetto del legno della scrivania o su altri minuscoli dettagli della stanza. Gli risultava più facile parlare senza un contatto visivo, per quanto Mila lo cercasse.
« Yuri e Christophe hanno votato per te, alla fine? »
« Sì, entrambi », rispose Yuri, annuendo. « Non me l’aspettavo davvero, ma Viktor aveva ragione. Come sempre. »
Il russo non aveva la tendenza a rimarcare quanto il suo sesto senso riuscisse a centrare il bersaglio con costanza disarmante, si limitava ad esserne consapevole e a sfruttare senza troppe remore quella propria capacità di previsione. Nel caso di Yuri lo faceva per rassicurarlo.
« Christophe lo conosco poco, ci avrò parlato sì e no in un paio di occasioni perché è venuto a bere qualcosa con me e Viktor », cominciò Mila. Decisamente non era una premessa che un normale psicologo avrebbe fatto ad un paziente. « Ma credo che Yuri ti stimi, sai? E anche parecchio. Sia mai che lui te lo dica, però. »
Ogni tanto il giapponese aveva riflettuto su quella possibilità, sul fatto che se Yura era stato tanto scostante nei suoi confronti – anche a distanza di quasi un anno dall’inizio della sua relazione con Viktor – forse era perché si sentiva minacciato dalla sua presenza.
Lo aveva suggerito Viktor, in realtà.
“Non fare caso a Yura, ci farà l’abitudine. Anzi, forse gli farà addirittura bene imparare che può rapportarsi con una persona senza impazzire all’idea che gli porti via qualcuno o il posto in qualcosa.”
Peccato che quella condizione per Yuri fosse vessante, dato che all’inizio della loro relazione era corrisposta una pessima reazione del suo omonimo, che lo aveva evitato come la peste per poi tornare alla carica ogni qualvolta il suo umore lo esigeva.
Ancora non gli sembrava possibile che in quel periodo stesse alloggiando a casa sua per tenerlo sotto controllo.
« Credo fosse vero qualche tempo fa, Mila. Forse », rispose. « Non credo che Yuri mi stimi più di tanto, ora come ora. »
La rossa alzò un sopracciglio, muovendo la penna che teneva fra indice e medio.
« Per quello che mi hai accennato? Quando avete deciso che fosse meglio che vedessi qualcuno? »
Yuri annuì.
Era da qualche tempo che aveva una strana sensazione che lo rendeva nervoso. Non ne aveva voluto parlare con nessuno, convinto di poterla gestire da solo per non dare ad altri ulteriori preoccupazioni. Eppure era costantemente agitato, preoccupato per qualcosa che non riusciva a focalizzare.
Era sempre stato soggetto ad agitarsi, ma non senza motivo. Perdere il controllo come gli era successo aveva fatto scattare un campanello d’allarme dentro di lui, convincendolo che qualcosa non andava davvero.
« So qualcosa della versione di Yuri, potresti raccontarmi la tua? »

*

Qualche giorno prima

Il suo appartamento era vuoto.
Non letteralmente, non mancava nulla. Era dentro di lui che mancava qualcosa; la sensazione che andasse tutto bene e di sentire quel luogo come casa propria.
Mancava la parte fondamentale.
Yuri era perfettamente conscio di non poterne parlare: sapeva che se l’avesse fatto, sia Yura che Phichit si sarebbero preoccupati ancor di più per lui. Si sarebbero preoccupati a tal punto da non reputare il bivaccare di Yura nel soggiorno del giapponese come una misura sufficiente.
A Yuri non dispiaceva avere compagnia, ma era abbastanza sicuro che quella situazione non potesse continuare all’infinito. Lo sperava, anzi. Soprattutto per il torcicollo di cui Yura si lamentava continuamente dovendo dormire sul divano.
Yuri aveva suggerito di alternare l’utilizzo del letto, ma l’altro si era rifiutato.
Erano passati pochi giorni dal suo incidente, era vero, ma Yuri credeva che dopo lo scongiurato pericolo che potesse sentirsi male ancora, Yura se ne sarebbe andato.
Mancavano ancora da risolvere le sue notti pressoché insonni e la sensazione latente di preoccupazione che ogni tanto lo assaliva, ma i medici avevano detto che si trattava di qualcosa di normale, dopo un evento simile. Soprattutto per un carattere che come il suo tendeva ad agitarsi per ogni nonnulla.
Yuri aveva affrontato una situazione di stress e doveva ancora superarla, ma era un adulto: non poteva pretendere di sconvolgere le vite delle persone che gli stavano intorno.
Non voleva farlo e aveva bisogno di dimostrare che poteva affrontare quella piccola difficoltà anche da solo.
« Io e Yuri stavamo pensando una cosa. »
Tanto per cambiare, quel pomeriggio Phichit era andato a trovarlo. Yura doveva tornare obbligatoriamente lì, avendo il più delle proprie cose parcheggiate nel suo salotto, tra borsoni e valigie. Era però piuttosto impegnato con il lavoro e quando non c’era lasciava che fosse Phichit a coprire le ore buche in cui lui non riusciva ad essere a casa.
Lavorava parecchio, ora che Yuri ci pensava.
Il giapponese non era sempre sotto la supervisione di qualcuno, ma era perfettamente conscio del fatto che quei due si fossero organizzati nella maniera migliore per accudirlo. Yuri ne era grato, davvero, ma non gli serviva.
« Che cosa? » domandò Yuri, accorgendosi perfettamente della mano del ragazzo russo, lì accanto a lui, che abbassava il volume della televisione.
Il ramen istantaneo era una delle cose peggiori che potesse essere propinata ad un giapponese, ma era stato lui ad avere quella voglia, la mattina stessa. Sentiva l’odore delle spezie in polvere salire dal brodo fumante nel contenitore di fronte a lui.
Phichit e Yura erano un’accoppiata che Yuri non avrebbe mai creduto di vedere in azione. Si erano parlati giusto qualche volta, magari perché invitati casualmente lo stesso giorno nell’appartamento di Viktor. Casualmente era un termine inappropriato, dato che se si incontravano era solo grazie ad una tattica speciale di Viktor stesso: perché invitare a cena due persone in due serate differenti, se potevano concentrare ogni impegno in una sera e tenersi tutte le altre solo per loro due?
Aveva anche provato a giustificare la cosa dicendo che a Yura avrebbe fatto bene socializzare con qualcuno che non fosse Otabek, il suo fidanzato, e che Phichit aveva un carattere perfettamente idoneo alla missione.
Quando Viktor gli aveva illustrato il piano, mentre lo disturbava fintanto che Yuri era accuratamente intento a preparare la cena, si era mostrato estremamente serio, quasi si trattasse di una questione di affari internazionali. E Viktor non si occupava di affari internazionali di vitale importanza nemmeno mentre lavorava davvero.
Quanto gli mancava.
« Per ora siamo riusciti ad organizzarci, ma credo che dovremmo trovare una soluzione più stabile del fare semplicemente avanti e indietro fino a qui », spiegò Phichit, soffiando sulla propria forchettata di ramen.
Sembrava quasi nervoso e a Yuri non sfuggì.
Si fece subito più attento nel sentire quell’introduzione, quasi ci fosse qualcosa di cui preoccuparsi. Quasi l’intuizione su dove stava cercando di andare a parare il tailandese lo stesse disturbando più del dovuto.
« E quindi? »
Yuri rivolse uno sguardo anche al biondo, che accanto a loro ancora non aveva aperto bocca. Per quanto si proclamasse perennemente infastidito da chiunque lo circondasse, Yuri Plisetsky non era esattamente una presenza silenziosa, né tantomeno con troppi peli sulla lingua. Aveva guardato lui proprio per questo: sperava che evitasse troppi fronzoli e gli dicesse subito cosa intendeva Phichit.
Invece rimase in silenzio.
Quella situazione sembrava una forzatura: Phichit che parlava in modo così poco spigliato, lui che insolitamente non voleva stare a sentire e Yuri che non apriva bocca, probabilmente obbligato a non farlo.
« Penso che potresti venire a stare da me per un po’, Yuri », disse Phichit, tentando di far sembrare quell’affermazione una proposta.
Yuri giurò di aver sentito il suo omonimo schioccare la lingua per la troppa morbidezza usata dal tailandese.
Non gli piaceva quell’idea.
Poteva accettare anche che Yura o Phichit stesso bazzicassero per casa sua, che dormissero sul suo divano e non lo lasciassero solo nemmeno durante un pasto: erano preoccupati, lo capiva. Lo apprezzava, soprattutto. Si sentiva in colpa, perché sapeva che si stavano preoccupando troppo quando invece avrebbero potuto e dovuto rilassarsi, ma non si sarebbe mai sognato di cacciarli.
« So che anche solo averci per casa ti sta stretto e so che non sei più stato male, ma se potessi accettare… magari per una settimana, intanto », gli propose Phichit, tentando di abbozzare un sorriso. « Non vogliamo essere invadenti, lo sai. Siamo soltanto preoccupati per te. »
Anche dopo quelle parole, Yuri guardò il russo.
Non lasciava mai che le persone parlassero per lui.
Yuri tentò di abbozzare il sorriso più convincente che quella situazione gli consentiva di sfoggiare. Doveva essere uscita una smorfia, una sorta di ghigno ansioso nel trovarsi di fronte ad un’opzione che non voleva neanche lontanamente contemplare.
Non aveva alcuna intenzione di lasciare quell’appartamento, non vedeva davvero alcun motivo per farlo.
« Apprezzo davvero tanto tutto ciò che state facendo per me e sul serio, sono fortunato ad avervi, ma non voglio che vi preoccupiate così! » tentò di rassicurarli. « Sto bene ora, posso badare a me stesso. E poi devo aspettare Viktor. »
Il sorriso tirato sul volto di Phichit si congelò.
Lo stridore intenso delle gambe di una sedia contro il pavimento costrinsero Yuri a girarsi e a fronteggiare la figura adirata del russo, silenzioso dall’inizio della cena.
Le mani strette a pugno, così forte da far sbiancare le nocche, così forte che Yuri fu sul punto di dirgli di fermarsi, che si sarebbe fatto male.
« Viktor, Viktor… perché devi aspettarlo e non puoi semplicemente fare quello che ha detto Phichit?! »
Le sopracciglia scure di Yuri si aggrottarono e la confusione gli impedì quasi di sentire Phichit che intimava all’altro di calmarsi.
« Perché non dovrei aspettarlo? Tornerà presto e… »
« Viktor non tornerà presto! » ringhiò.
Gli occhi verdi brillarono per un attimo sotto la luce della lampada.
Yuri rimase immobile e nella stanza calò il silenzio, Phichit troppo concentrato sulle sue reazioni, Yura troppo intento a fissare il suo omonimo furente, quasi fosse in attesa di una risposta.
« Perché devi dire così? » domandò il giapponese, la voce tremolante e un sorriso sempre più flebile sul volto. « Viktor torna sempre alla fine, non vedo perché questa volta dovrebbe essere diverso. »
Il breve momento di calma che Yura era riuscito a raggiungere si infranse a quelle parole.
« Perché non sappiamo neanche se tornerà, cazzo! »
« Yuri, adesso basta! »
Il richiamo di Phichit non servì a nulla, perché la mano del giapponese, troppo scosso per poter pensare, afferrò il colletto della felpa del biondo, strattonandolo.
« Finiscila di dire idiozie », urlò Yuri, il volto completamente inondato dalle lacrime.
Perché stava piangendo?
Aveva davvero un motivo per farlo?
Sentiva che ce n’era uno, oltre al nervosismo dovuto alle grida del ragazzo, ma non riusciva a trovarlo.
Il suo cuore stava battendo all’impazzata, il suo corpo compiva gesti che non ricordava di aver ordinato. Si sentiva quasi come se fosse intrappolato in una gabbia da cui non poteva uscire, da dove non poteva controllare i propri arti. Sapeva solo che anche in quella presa salda che stava strattonando uno Yuri alquanto basito, le sue mani tremavano. Anche le sue labbra tremavano mentre parlava e il suo intero corpo era scosso da fremiti.
Aveva paura.
Era da giorni che aveva paura. Che alzava lo sguardo, dopo essersi sciacquato il viso, e quando si guardava negli occhi allo specchio sentiva una strana sensazione. Mancava qualcosa, ma era tutto così incerto.
Non riusciva a darsi una spiegazione e questo faceva solamente più male.
Prima ancora che le mani di Phichit afferrassero le sue spalle, Yuri lasciò la stoffa diventata ruvida in quella stretta fin troppo salda.
« Mi dispiace… » mormorò, arretrando lentamente e finendo inevitabilmente contro il corpo dell’amico, che lo sorresse del vederlo barcollare. « Scusa Yuri, io… non volevo, non so che cosa mi sia preso... »
Non si riconosceva più e dallo sguardo che Yuri gli aveva rivolto, doveva valere lo stesso anche per lui.
Sembrava ferito e deluso, e aveva ogni ragione di esserlo.
« Tu non stai bene. Forse tu non te ne accorgi, ma noi sì. »
Quando il ragazzo si voltò per andarsene, scomparendo nel corridoio, Yuri non riuscì a smettere di scusarsi. Si voltò verso Phichit del tutto smarrito, passandosi le mani sul viso per asciugarlo.
Vide il solito sorriso rassicurante del tailandese comparire dinnanzi ai propri occhi, ma non si calmò.
« È ok Yuri… quando tornerà qui chiarirete. Ora ha bisogno di sbollire. »
Phichit lo mise lentamente a sedere sulla sua sedia, versandogli un bicchiere d’acqua e porgendoglielo. Si accucciò a terra, quasi stesse parlando ad un bambino in lacrime per un giocattolo perso o andato in frantumi. Yuri si sentiva trattato in quel modo da giorni, ma in quel momento non ci fece nemmeno caso: non era il suo problema più grande.
« Che cosa devo fare, Phichit? Non so che cosa mi sta succedendo… è da giorni che mi sento strano e… » singhiozzò con fare sconnesso. « Non voglio perdervi, ma io non me ne sono reso conto, davvero, non… devo andare da Yuri. »
Provò a mettersi in piedi, ma Phichit lo risistemò sulla sedia.
« Dovete calmarvi entrambi, ora. Lascia che vada io a vedere come sta, ok? » Gli rivolse un sorriso. « Nessuno è arrabbiato con te, Yuri. Però devi lasciare che ti aiutiamo. »

*

« Perché quello che ha detto Yuri ti ha fatto innervosire così tanto? »
La voce di Mila fu una sorta di appiglio che Yuri non esitò ad afferrare per uscire da quella spirale di ricordi. Gli faceva male rammentare il modo in cui aveva risposto a Yura e allo sguardo che gli aveva lanciato. Lo sguardo che avrebbe rivolto ad un perfetto estraneo.
Era stato proprio per le parole che gli aveva detto e per quegli occhi spaesati, che Yuri aveva deciso di farsi aiutare; non voleva più che una persona a lui vicina gli rivolgesse un simile sguardo. L’idea che un episodio come quello potesse ripetersi di nuovo con Yuri stesso, che potesse accadere con Phichit o magari con Viktor lo aveva letteralmente distrutto.
Un singolo episodio di aggressività non era poi così grave, poteva essere dettato dallo stress e il giorno della prima seduta Mila aveva fatto tutto ciò che era possibile per convincerlo che non aveva nulla che non andava solo per quello scatto isolato.
« Ero nervoso, no? Sai, ero uscito dall’ospedale da poco. Volevo solamente vedere Viktor, ma sapevo di non poterlo fare e Yuri continuava a ripetermi e ripetermi che non sarebbe tornato », spiegò Yuri, il tono di voce colpevole. « Non ho scusanti per aver reagito così male, in fin dei conti era solo preoccupato per me, ma volevo che smettesse. »
Mila annuì, inclinando le labbra rosse in un sorriso.
« Non ti agitare, Yuri. Ti ho già detto che è una cosa normale nelle situazioni stressanti. Che Yuri abbia alzato la voce non ha aiutato », lo rassicurò Mila. « Sappiamo entrambi che ha un bel caratterino. »
L’espressione di Yuri parve volerle dare ragione, ma non risultò poi così convinta.
« Insomma, Yuri mi ha fatto innervosire perché mi è parso esagerato. Viktor era solamente in viaggio per affari. È una cosa che succede spesso. Stava facendo una scenata senza motivo e io non ero nelle condizioni per gestirla. Probabilmente se mi avesse detto che sarebbe stato meglio mi trasferissi da qualcuno senza comportarsi in quel modo, allora forse… »
Forse avrebbe accettato, voleva dire. Per qualche motivo Yuri sentiva che non lo avrebbe fatto ugualmente, che schiodarsi da quell’appartamento dove attendeva Viktor ogni volta che si allontanava per lavoro gli sarebbe parsa una scelta fin troppo ingombrante.
« È ancora in viaggio per lavoro? »
« Eh? »
Yuri si riscosse rapidamente.
« Viktor, intendo. Hai litigato con Yuri… mercoledì scorso, o mi sbaglio? Da giovedì abbiamo iniziato ad incontrarci praticamente tutti i giorni. Quando sei arrivato, prima, non mi sembrava che sapessi perché Viktor non si sta facendo né vedere, né sentire. »
Il giapponese parve colto in contropiede, sorpreso dalla constatazione della donna. Un velo di confusione parve offuscare i suoi occhi, neanche gli avesse sottoposto chissà quale rivelazione a cui lui però non era stato in grado di arrivare da solo. La sua sorpresa si ritirò in fretta come era apparsa.
« Devo essermi spiegato male », rispose. « Viktor è ancora in viaggio. Il nome della destinazione mi sfugge, ma non è raro che si trovi in paesi dove gli è difficile comunicare, vuoi per gli impegni, vuoi per problemi di segnale. »
Ridacchiò dopo aver parlato, esattamente come avrebbe fatto ricordando un aneddoto di qualche viaggio passato a preoccuparsi non sentendo la voce del fidanzato, quando invece di motivi per preoccuparsi non ce n’erano.
« Quindi il giorno dell’incidente lui era già partito? » incalzò Mila, scarabocchiando qualcosa sul blocco notes di fronte a sé.
Yuri la vedeva sistemare sul tavolo il solito blocco ad ogni loro seduta. Talvolta vedeva ancora gli appunti dell’incontro precedente, con qualche freccia che prima non c’era, qualche nota a margine che non gli era parso di scorgere la volta prima.
Lo faceva sentire sotto esame e l’idea che Mila pensasse ai loro colloqui anche quando non erano insieme non lo aiutava come avrebbe dovuto.
Yuri esitò un momento.
« Quale incidente? »
Mila si fermò per un istante.
« Non so, Yuri. Tu a che incidente hai pensato? »
Il giapponese esitò. Già a quale aveva pensato?
« Io ecco… non sapevo se ti riferissi al mio svenimento o alla mia discussione con Yuri. Ma ti ho già detto che quel giorno non c’era, perciò… niente, mi sono un po’ confuso », ridacchiò, ignorando il collegamento piuttosto tirato a cui aveva dato voce. « Comunque è partito la stessa mattina del mio svenimento », rispose Yuri. « Quando mi sono svegliato in ospedale c’era solamente Phichit. Era davvero preoccupato e per un attimo ho pensato che fosse esagerato per un semplice malore. Dopotutto i medici hanno subito detto che non c’erano danni, a parte qualche ammaccatura dovuta alla caduta », proseguì. « Ma nonostante questo Phichit era pallido come un cencio. Credo anche che stesse piangendo, ma non gli ho chiesto nulla. »
Gli sembrava di arrampicarsi sugli specchi, di cambiare discorso.
« Avete parlato, appena ti sei svegliato? »
Yuri si era addentrato da solo in un punto cruciale del suo problema, aveva parlato senza che gli facesse alcuna domanda e Mila certo non intendeva fermarlo, quanto piuttosto indirizzarlo verso la giusta destinazione.
« Mi pare di sì, ma ero ancora abbastanza intontito. Credo che non ricorderei di preciso e… »
O forse era meglio non insistere?
« Va bene così, Yuri », lo interruppe Mila. « Mi hai già detto tante cose oggi, sarai stanco. »
L’espressione tirata sul suo volto non era una maschera che sentiva solamente lui, allora.
« Un po’ », rispose lui. « Ma serve, giusto? Perciò non posso lamentarmi. »
Il giapponese abbassò lo sguardo verso le proprie dita, tormentandole silenziosamente.
« E poi ancora non ti ho ringraziata a dovere, Mila. Non ti obbligava nessuno ad aiutarmi e invece… »
« Oh, nessun ringraziamento! Ti sto aiutando perché mi fa piacere, Yuri! »
A quel punto gli occhi di Mila saettarono sulla piccola fede dorata che circondava l’anulare sinistro del ragazzo. Calzava perfettamente, spiccando sulla pelle pallida del suo dito.
« Ma dato che ora la seduta è finita e stiamo chiacchierando tra amici… » cominciò, curiosa. « Porti da sempre quell’anello, Yuri? Non ci avevo davvero fatto caso! »
Ci aveva giocato per tutto il tempo, mentre parlava, ruotandola con le dita dell’altra mano e fissandola più e più volte.
« Oh, sì », spiegò, abbassando gli occhi sulla fedina e sorridendo appena. « Era nel portagioie in bagno. Sai, me l’hanno tolto in ospedale e ho scordato di rimetterla. »
Quando Yuri alzò lo sguardo dall’anello si scontrò con il sorriso malizioso di Mila. Sembrava più che decisa a spettegolare circa l’identità del mandante del regalo.
« E dimmi un po’… te lo ha preso Viktor? »
Gli occhi del giapponese si illuminarono. Poteva anche non aver visto Viktor per giorni, ma era sempre entusiasta di parlarne. Le sue guance si fecero leggermente rosse e subito le frange del tappeto persiano divennero incredibilmente interessanti.
« Sì, è… il nostro anello di fidanzamento. Lui ne ha uno uguale. »
« Posso dirti una cosa che ho notato, Yuri? »
Quel cambio di argomento lo lasciò alquanto spiazzato: Mila era sembrata tanto interessata alla risposta che aveva ottenuto. Ora nemmeno la considerava?
Il giapponese si fece subito più attento e annuì.
Mila spesso commentava ciò che lui le raccontava, ma lo faceva senza tanti fronzoli o premesse. Pensò che avesse cambiato tono pronta per dare vita ad un risvolto simile.
Al cenno del capo di Yuri, la donna proseguì.
« Mi sembra che nella tua testa ci sia un po’ di confusione », cominciò, con calma, come a dare il tempo al ragazzo di metabolizzare ogni sua parola. « E che ci siano un po’ troppi punti bui. A te non pare? »
Yuri tentò seriamente rifletterci, scosso da un brivido. Era sempre stato piuttosto suggestionabile e si chiese se Mila non avesse ragione, se lui non se ne fosse accorto. Si scoprì insolitamente convinto del contrario, con una fermezza che non gli era mai stata propria in alcuna situazione.
« In realtà non ho questa impressione, no », rispose.
Avrebbe spiegato a Mila della pungente emozione che provava, ma non credeva nemmeno che ci potesse essere un nesso tra quel sentimento e quanto affermato dalla donna. O forse aveva paura di quanto potesse essere collegato alle sue parole.
« Prova a seguirmi un momento », riprese lei. « Poco fa mi hai raccontato di quando ti sei risvegliato in ospedale, giusto? Hai detto che non ricordi di preciso cosa ti ha detto Phichit, solo che ti sei agitato e che sono arrivati i dottori. »
Avrebbe avuto presente quella scena anche se non l’avesse appena raccontata. Ricordava quella sensazione di vuoto, sì, ma sapeva che non era per ciò che stava insinuando Mila.
Ne era sicuro.
« Ero intontito. Mi ero appena ripreso dopo essere stato male, avevo diversi farmaci in circolo », rispose tranquillamente Yuri.
Gli occhi azzurri della donna si fissarono così intensamente nei suoi che Yuri desiderò di poter distogliere lo sguardo, senza però cedere.
« Ci sono state anche altre occasioni in cui l’ho notato », proseguì. « Tralasciando il motivo dell’assenza di Viktor di cui abbiamo già discusso, anche il perché non ti piacciano i fiori mi è parso abbastanza confuso. Ma tu mi dirai che si tratta semplicemente di gusti. »
Per quanto Yuri rispondesse sinceramente alle domande di Mila sembrava che lei avesse già deciso di avere ragione.
Si stava sentendo un idiota.
« Davvero non ti sei mai sentito strano in questo periodo, Yuri? Niente di diverso da solito, a parte lo scatto avuto con Yura? »
Il ragazzo si morse il labbro, esitante.
« Anche io mi sono sentito confuso ogni tanto, ma… pensavo si trattasse della botta che ho preso cadendo. I medici hanno detto che era normale. »
Le dita esili del ragazzo ripresero a tormentare la fede dorata.
« Quand’è che Viktor ti ha regalato quell’anello? »
Yuri sussultò improvvisamente.
« Che cosa c’entra ora? » domandò, leggermente stizzito.
« C’entra. Vorrei che mi rispondessi », incalzò la donna.
Le avrebbe risposto e avrebbe cercato di capire dove diamine stava tentando di andare a parare.
« Beh, è stato… »
Sbiancò.
Rimase a fissare un punto indefinito oltre la spalla di Mila, la mente improvvisamente svuotata.
Era confuso solamente perché si lasciava suggestionare. Sì, doveva essere quello il motivo.
Un piccolo respiro e il ricordo sarebbe tornato a galla. Sarebbe riuscito a dare uno sfondo al volto sorridente di Viktor in ginocchio di fronte a lui, avrebbe ricordato ogni singola parola che gli aveva detto.
Si chiese se forse non si fosse inventato tutto, anche quel sorriso.
« Yuri? »
Aveva le guance completamente segnate dalle lacrime, ma non ci aveva fatto caso.
« Oh? » fece, sorridendo nervosamente nel realizzare che stava piangendo.
Le mani tremavano e fu faticoso per lui riuscire a portarle sulle guance per asciugarle.
Mila si alzò dalla sedia, ma Yuri non ci presto troppa attenzione.
La donna fece il giro della scrivania e gli si avvicinò, portando una mano sulla sua spalla.
« Vorrei che facessi uno sforzo e guardassi questo », disse, tentando invano di non soffermarsi sulla tristezza del ragazzo.
Non ancora, almeno.
Porse a Yuri un foglio su cui era stampata una serie di messaggi.
« Ho chiesto a Yuri di farmela avere. È una conversazione tra lui e Viktor della settimana scorsa », spiegò.
Il dito della donna puntò una foto in cui comparivano lui e Viktor che mostravano entrambi gli anelli alla fotocamera.
« Leggi la data. »
Yuri la cercò, sbatté gli occhi per riuscire a metterla a fuoco.
« È del giorno dell’incidente… » sussurrò.
Gli occhi smarriti di Yuri furono un duro colpo per Mila.
« Viktor non era già partito il giorno dell’incidente e tu non eri da solo, per strada », spiegò. « Eravate insieme. »
La consapevolezza di aver modificato senza nemmeno saperlo dei ricordi nella propria mente aveva fatto cominciare a piangere Yuri. Ora era la consapevolezza di non sapere assolutamente nulla, di non avere alcuna certezza a far scendere ancora copiosamente le sue lacrime.
« Mila… dov’è Viktor, davvero? »






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Note:
1 Moye sokrovishche: "tesoro mio", in russo.
   
 
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