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Autore: _Pulse_    18/06/2017    4 recensioni
Sherlock, immerso nel buio del laboratorio, fissò ancora una volta la parola che brillava di luce azzurrina sul retro del biglietto da visita: "Fede". [...]
Le luci al neon del laboratorio si accesero di colpo e Sherlock strizzò gli occhi, incrociando lo sguardo sorpreso di Molly, sulla porta.
«Non sapevo fossi qui».
Si alzò in fretta togliendosi gli occhiali di plastica arancione e senza dire una parola si infilò il cappotto, il biglietto ancora stretto in mano.
«Sherlock, stai...?».
«Scusami, devo andare», la interruppe e la superò, avvertendo uno strano peso sul cuore mentre le parole del Ladro Gentiluomo gli rimbombavano nel cranio: «L'amore... L'amore è e sarà sempre ciò che ci renderà diversi, mon ami».
[Post 4th Season - Crossover!]
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Buonasera! :-)
Come annunciato sulla mia pagina facebook, Sherlock is back and the game is on!
Quello che state per leggere - o almeno lo spero - è il primo capitolo di un progetto ambizioso e al momento non ancora concluso. Ultimamente l'ispirazione scarseggia, ma ho buone speranze! Certo, sapere da voi che ne vale la pena sarebbe un ulteriore incentivo... :-P
Anyway, la storia è ambientata dopo la quarta stagione e ci sarà un nuovo antagonista, molto particolare, e che io amo follemente!
Non vi dico altro per non spoilerare troppo!
Grazie e a presto!

P.S. I personaggi non sono miei e questa storia non è scrtta a scopo di lucro.

Vostra,

_Pulse_


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WHAT'S GREY IN A BLACK & WHITE WORLD



1. Bernard d'Andrésy


Era raro, rarissimo che Sherlock trovasse una lettura così interessante da ignorarlo completamente. Nella quasi totalità dei casi si stancava ed insultava l'incompetenza dell'autore dopo poche pagine.
John l’aveva trovato così quando finalmente era riuscito a lasciare Rosie sul letto del detective ed era tornato in salotto: infossato in quel divano che accoglieva così bene le forme del suo corpo leggermente spigoloso, avvolto nella sua vestaglia preferita e col naso nascosto tra le pagine di un grosso volume scientifico.
Dopo aver tentato ben due volte di avviare una conversazione si era arreso: se voleva passare del tempo col suo migliore amico, la cosa migliore da fare era sedersi sulla propria poltrona e concedersi qualche minuto di relax, coi piedi vicino al fuoco scoppiettante nel camino.
Sentì il campanello suonare al piano inferiore, ma non ci badò troppo, certo che ci avrebbe pensato la signora Hudson. L’idea che si trattasse di un cliente lo sfiorò solo per un istante, il tempo necessario a dirsi che se anche fosse stato ci sarebbe voluto un caso davvero straordinario per attirare l’attenzione del consulente investigativo.
Non avrebbe saputo dire con certezza quanto tempo fosse passato dal suono del campanello, ma sobbalzò quando sentì la signora Hudson scoppiare in quella sua risata che in un’occasione molto speciale Sherlock aveva paragonato al verso di un gufo sotto tortura.
Gettò un’occhiata verso l’amico, ancora nella stessa identica posizione, e aprì la bocca per chiedergli chi potesse farle visita a quell’ora, ma la richiuse non appena udì un verso simile ad un grugnito, uno di quei versi che si fanno inconsciamente durante il…
Il dottor Watson si alzò di scatto dalla poltrona e con cautela tolse il libro dalle mani di Sherlock, scoprendo che in realtà il grande detective non era tanto immerso nella lettura da non accorgersi della sua presenza: si era semplicemente addormentato col libro sulla faccia.
Trattenne a stento una risata, mentre si aggirava per l’appartamento alla ricerca di una coperta, pensando a quanto spesso si dimenticasse che anche Sherlock era un essere umano e come tale aveva bisogno di dormire, ogni tanto. Specialmente dopo un intero pomeriggio trascorso dietro ad una Rosie novizia eppure già così entusiasta del gattonamento.
La signora Hudson aveva ricominciato a ridere come una matta e John non riuscì più a trattenersi. Sulle scale pensò a quale scusa poter usare per entrare in casa sua e vedere coi propri occhi il suo misterioso ospite, ma non ebbe il tempo materiale per scegliere quella adatta: un uomo elegantissimo, con una folta chioma di capelli color biondo platino e due occhi verdi particolari quanto il viso perlaceo in cui erano incastonati, aveva appena afferrato il corrimano con la mano guantata di bianco, intenzionato a raggiungere il 221B.
«Oh, buonasera», esclamò e il suo volto si illuminò grazie ad un sorriso perfetto ed affascinante come tutta la sua persona. «Lei deve essere il dottor Watson. È un vero piacere fare la sua conoscenza, sa? Seguo con infinito piacere il suo blog e posso affermare con certezza di essere il vostro più fedele ammiratore, suo e del monsieur Holmes».
John fu colpito da quel flusso di complimenti, dal suo accento francese, dai suoi occhi brillanti come quelli di un bambino di fronte al suo eroe preferito e dalla sua stretta di mano decisa ed energica, in contrasto con la raffinatezza del suo aspetto.
«Ne sono lusingato», riuscì a dire, prima che l’uomo misterioso riprendesse a parlare.
«A proposito del monsieur Holmes. La vostra padrona di casa, madame Hudson – che donna incantevole! – mi ha detto che è in casa».
Stava per superarlo, quando John stese un braccio e lo fermò sul suo stesso scalino, trovandosi così a pochi centimetri dal suo corpo. Solo in quel momento si rese conto della sua vera altezza – doveva di fatto sollevare il viso per poterlo guardare negli occhi – e di quanto in realtà fosse in forma sotto quel completo impeccabile e con un prezzo che lui avrebbe potuto pagare soltanto digiunando per diversi mesi.  
«Veramente il signor Holmes non si sentiva troppo bene ed è andato letto presto».
L’uomo misterioso lo fissò per un paio di secondi interminabili, durante i quali John non si sentì solo in soggezione, bensì anche un po’ spaventato. Sotto i suoi occhi ora privi di ogni traccia di allegria e simpatia, colmi invece di fastidio e scetticismo, si sentì indifeso, quasi nudo, e alla sua mercé.
Sherlock l'aveva scandagliato più volte, cercando in lui tutte le risposte alle sue domande, ma mai si era sentito intimorito. Era come se quell'uomo, al contrario del suo migliore amico, potesse leggere i suoi pensieri peggiori.
Bastò un battito di ciglia, però, perché tutto tornasse alla normalità.
L’uomo fece per posargli le mani curatissime sulle spalle ma all'ultimo momento le ritrasse, stirando un sorriso reticente e scuotendo lievemente il capo.
«Mon Dieu! Ho dovuto fare i salti mortali per riuscire a ritagliarmi un’ora di libertà – ho persino cancellato un appuntamento a cui tenevo particolarmente – e il mio vecchio amico è già tra le braccia di Morfeo!». Sospirò e all’improvviso iniziò a ridacchiare, scendendo le scale e dirigendosi verso la porta.
«Gli dica che sono passato, caro dottor Watson, e di non preoccuparsi: anche io sono ansioso di vederlo e sono sicuro che ci incontreremo prestissimo».
«Non so nemmeno il suo nome».
L’uomo si voltò e socchiuse gli occhi, portandosi teatralmente una mano alla fronte. «Mi perdoni, è la stanchezza. È stato un lungo viaggio».
Si aprì di nuovo il cappotto - molto simile a quello di Sherlock, notò - e da una delle tasche interne tirò fuori un bigliettino da visita, per poi controllarlo alla luce dell'ingresso. John lo trovò strano, ma trovò ancora più strano ciò che vide guardando con più attenzione: non c'era scritto niente su quel cartoncino, entrambi i lati erano immacolati. Quindi l'uomo estrasse una stilografica, posò il piede sul primo scalino ed usò il proprio ginocchio come appoggio per scrivere qualcosa sul bigliettino. Infine, tenendolo tra l’indice e il medio, glielo porse con un sorriso.
«Bernard d'Andrésy», lesse il nome, scritto con una calligrafia svolazzante ma chiara e precisa. «Tutto qui?».
«È tutto ciò che serve al monsieur Holmes», rispose quasi con dolcezza.
John si rigirò nervosamente il bigliettino tra le dita e in uno slancio di coraggio scese le scale fino a trovarsi di nuovo al suo cospetto.
«Non capisco... Vi conoscete già?».
L’uomo aprì la porta e si fermò sulla soglia, col vento freddo che gli scompigliava i capelli. Non rispose alla sua domanda, ma gli rivolse un sorrisetto malizioso ed esclamò: «Mon Dieu, sono stato via per troppo tempo. Lo Sherlock che conosco non avrebbe mai sopportato di stare nella stessa stanza con una bambina per più di cinque minuti».
La mandibola di John fu sul punto di crollare. «Come... come fa a sapere di Rosie?».
«Non può dire sul serio», esclamò con un risolino. Leggendo l'incredulità sul volto di Watson, però, si incupì. «Oh, dice sul serio. Si guardi, dottore! Borse sotto gli occhi per mancanza di sonno, segno che qualcosa o qualcuno la fa dormire poco o in maniera irregolare; macchie di omogenizzato e pappa di mela con due diverse fasi di seccatura sulla camicia, segno che sono stati somministrati a distanza di qualche ora l'uno dall'altro; sempre sulla camicia, ci sono delle pieghe poco sopra i fianchi che indicano chiaramente che ha tenuto un cucciolo d'uomo in braccio per un lungo periodo di tempo, forse per farlo addormentare».
«Lei ha detto... ha specificato "bambina"».
L'uomo fece una pernacchia. «Brillantini sulla sua spalla sinistra. Una fascia, un qualche oggettino per capelli... Prettamente femminili». Lo stesso sorriso reticente comparve sulle sue labbra mentre sollevava una mano per agitare le dita. «È per quelli che non l'ho toccata, prima».
John rimase scioccato dalle sue deduzioni, tanto da pensare: Oh no, un altro.
L'uomo attese per qualche minuto, invano, che proferisse verbo; poi scoppiò in una risata allegra che si concluse con un sospiro soddisfatto.
«Sa, dottor Watson... Mi sono giunte voci riguardo ai progressivi cambiamenti di monsieur Holmes e volevo verificare di persona. Il fatto che sua figlia al momento sia sola con lui, nel suo appartamento, mi meraviglia».
John strinse i pugni lungo i fianchi, sentendo la rabbia iniziare a scaldargli il sangue nelle vene. L'unico motivo per cui non disse nulla fu il pensiero che mai, mai avrebbe osato lasciare una creatura dell'età di Rosie sola con lo Sherlock di qualche anno prima.
Il biondo gli rivolse un cenno d'assenso, quasi come se avesse seguito per filo e per segno il suo ragionamento, e finalmente uscì dalla porta. John lo seguì e rimase sulla soglia, sferzato dal vento, a guardarlo a bocca aperta mentre saliva su una Porsche argentata e sfrecciava via facendo ruggire il potente motore.
Chi diavolo era quell'uomo? E perché sembrava sapere così tanto di Sherlock?
Il desiderio di chiederlo immediatamente al diretto interessato lo ammaliava, ma sapeva che se avesse svegliato Sherlock per qualcosa di inutile questo gli avrebbe tenuto il broncio per giorni, e che se invece si fosse trattato di un altro arcinemico sarebbe stato lui a non poter più chiudere occhio fino alla fine del gioco.
Finalmente si chiuse la porta alle spalle, cacciando fuori il freddo, e dirigendosi verso l'appartamento della signora Hudson si infilò il bigliettino nella tasca dei jeans.
Bussò lievemente ed entrò, trovandola intenta a sciacquare un paio di tazze da tè.
«Penso di averle già detto come la penso a proposito di prendere il tè con gli sconosciuti, signora Hudson».
La donna spense l’acqua e si tolse i guanti di gomma viola, ridendo: «Ma quel giovanotto non è affatto uno sconosciuto, mio caro!».
John corrugò la fronte, sentendo la confusione crescere come un’erba rampicante nella sua mente. «Non lo è?».
«Oh no, lui e Sherlock sono amici di vecchia data!».
«Come lo sa?».
«Me l’ha detto lui!».
Di bene in meglio, pensò gravemente il dottore, sedendosi al piccolo tavolo della cucina.
«Non lo trova tremendamente affascinante?», disse ancora la signora Hudson. «Se solo avessi qualche anno di meno! Anche se credo che le donne non siano proprio la sua… zona di caccia, se capisce cosa intendo».
John si massaggiò la mascella, meditabondo.
La donna, la finta relazione con Janine e l'ultima, sconvolgente confessione che aveva fatto a Molly - nonostante fosse stata una prova della sua pazza sorella Eurus, - avevano reso la vita ancora più complicata a tutti, ma specialmente a John, il quale non riusciva a non chiedersi quale fosse la zona di caccia del detective, o se ne avesse una almeno.
Unì le mani sul tavolo e con aria seria chiese: «Lei pensa che tra lui e Sherlock…?».
«Non saprei proprio, caro. Starebbero bene insieme però, non trova?».
L’ex medico militare pensò alla gioia nei suoi occhi e subito dopo alla loro severa superiorità, capace di mettergli i brividi.
Aveva parlato con lui per… quanto? Dieci minuti? E al suo cospetto aveva provato prima simpatia e un pizzico di ammirazione, subito dopo timore e disagio.
Quell’uomo aveva qualcosa che non gli piaceva e il solo pensiero che fosse un amico di Sherlock, o addirittura qualcosa di più, lo rendeva inquieto, anche se doveva ammettere che anche lui ce li vedeva bene insieme. Di sicuro avevano molto in comune, a partire dalle straordinarie capacità deduttive.
«È di sopra, ora?», gli chiese la signora Hudson, interrompendo i suoi ragionamenti.
«No, Sherlock dormiva e ho preferito non svegliarlo. A questo punto mi chiedo se ho fatto la cosa giusta».

***

John si sentì un po' in colpa nei confronti di Sherlock quando rientrando nell'appartamento andò a controllare Rosie. Dormiva pacifica sopra il letto rifatto, un pugnetto vicino alla bocca e il cerchietto coi brillantini rosa storto tra i boccoli biondi.
Quindi tornò in salotto e una volta sprofondato nella propria poltrona fissò Sherlock, rannicchiato sul fianco e con un lembo della vestaglia che sfiorava il pavimento.
Tirò fuori dalla tasca dei jeans il bigliettino da visita che gli aveva lasciato Bernard d'Andrésy e lo girò e rigirò, più volte. Completamente bianco, fatta eccezione per il nome che aveva scritto a penna.
John chiuse gli occhi, continunando a chiedersi: Chi mai se ne andrebbe in giro con dei bigliettini da visita bianchi?
Qualcuno sempre pronto a cambiare identità, rispose Mary dolcemente.
Spalancò gli occhi e scandagliò l'appartamento, ma di lei nessuna traccia.
Era da un po' che non la vedeva né sentiva. Da quando si era riavvicinato a Sherlock si era fatta da parte poco a poco, gradualmente, fino a quando non era scomparsa del tutto. John si era detto che era meglio così, che era giusto così, ma una parte di lui ne aveva sofferto terribilmente.
Ed ora eccola lì, di nuovo, pronta ad aiutarlo nel momento del bisogno.
Abbozzò un sorriso e tornò a chiudere gli occhi per ripetere l'esperimento.
Non ha senso, si disse. Nessuno può cambiare identità in questo modo.
Mary non rispose e John aspettò, fino a quando non cedette al sonno. 
   
 
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