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Autore: Marysia Lukasiewicz    26/06/2017    5 recensioni
[partecipante al 1° contest Yuri on Ice – Italia a tema Alternative Universe]
Prompt: High School!AU versione angst.
In cui Yurio è vittima di abusi domestici e Otabek è un adolescente problematico tossico dipende.
Otabek Altin e Yuri Plisetsky sono due anime spezzate dal dolore, accomunate dal reciproco e ardente desiderio di redenzione. Il primo, appena diciannovenne, ha già segnato davanti a sé un inevitabile destino di morte. Dilaniato dalle droghe che lentamente lo stanno divorando, sente di non avere la forza necessaria per rialzarsi dal baratro dei suoi errori. Il secondo, sedicenne fragile e immaturo, ha conosciuto dolori che nessun’anima meriterebbe di sopportare, una sofferenza che gli aveva corrotto irrevocabilmente l’innocente mente. Spaventato e ostile verso il mondo è alla disperata ricerca di una svolta nella sua vita di traumi. Attirati l’uno dal dolore dell’altro, impareranno a conoscersi e curarsi l’uno dell’altro senza giudicarsi. Entrambi distrutti dalla vergogna, troveranno la forza di farsi propri i dolori dell'altro e, insieme, trovare la tanto ardita felicità.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Jacques Leroy, Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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Otabek non stava bene, era evidente. Aveva fatto la fila con Yuri, ma una volta arrivato al bancone non aveva preso neppure una fetta di pane. Yuri aveva insistito a finché prendesse qualcosa almeno dal suo vassoio, ma si era rifiutato, aveva gli occhi socchiusi, palesemente stanchi. Stavano seduti in un angolo, dove nessuno avrebbe badato a loro o li avrebbe disturbati. Yuri aveva una voglia matta e sconfinata di parlare, parlare del più e del meno, parlare per tutte quelle volte che nella vita era dovuto rimanere in silenzio. Otabek desiderava lo stesso, voleva conoscerlo e farsi conoscere, ma la testa bruciava, le mani tramavano, non riuscì a dire nulla. Il biondo dalla pelle diafana e pura scrutava l’amico con preoccupazione, ma non si rese conto, in un primo momento, della gravità della situazione, che di lì a poco sarebbe degenerata in una scena disgustosamente dolorosa.

- Yuri… - la voce di Otabek si era trasformata in un flebile lamento disperato e tremante, lo specchio perfetto del male che il suo corpo e la sua mente gli stavano procurando, prosciugandolo lentamente della poca forza rimasta. Yuri sussultò e gli passò una mano sulla fronte, sudata, bollente, ruvida. I suoi occhi smeraldini odiavano vedere il dolore.

- Otabek, cos’hai..? – il contatto con la pelle distrutta e sofferente di Otabek sarebbe stato per chiunque un’esperienza spiacevole, ma non per Yuri, che nel cuore colmo d’odio maturava la delicatezza di una fata. Sudava come se stesse soffocando, era caldo come il fuoco, fragile, come se potesse spezzarsi da un momento all’altro. Il moro, che era una roccia dallo sguardo di ghiaccio e il volto inespressivo, sembrava sul punto di piegarsi in un pianto amaro di dolore. A Yuri continuava a far pena.

Otabek non rispose, aveva lo sguardo perso nel vuoto, si dondolava sulla sedia come un bambino in preda al panico. Gli occhi svuotati di luce e vita, la mente buia, oscura, colma di voci confuse e sensazioni che la pelle del giovane non riusciva più a provare. Nello stomaco sentiva muoversi una colonia di piccole creaturine dagli artigli affilati, che si appendevano alle pareti del suo corpo distrutto e lo laceravano con squarci profondi e dolorosi. Un’improvvisa sensazione di freddo l’aveva travolto, un gelo incomprensibilmente soffocante. Tremava, ma la pelle ribolliva come fosse lava. La mano docile e delicata di Yuri gli accarezzava il volto bollente con la stessa cura che avrebbe una madre con un figlio.

- Otabek…- lo chiamò, Otabek non lo sentì neppure. Ogni suono in quell’immensa sala era amplificato nella sua testa e diveniva mille volte più fastidioso e rivoltante, la voce di Yuri veniva surclassata dalla confusione e dal caos. Un ruggito sconvolse lo stomaco del moro, una frustata di dolore, poi un disgustoso sapore acido a riempirgli la gola. Si bloccò la bocca con le mani, doveva buttare fuori tutto lo schifo che aveva in corpo, ma non lì, non davanti a tutti, non accanto a Yuri. – Otabek! – Yuri vide l’amico alzarsi di scatto, barcollare appena sulle gambe dolenti, e poi correre via, con le mani premute sulla bocca, verso i bagni.

Yuri abbandonò il vassoio e, senza pensarci due volte, gli corse dietro. Otabek si fiondò nel primo bagno disponibile, Yuri alle sue spalle lo raggiunse giusto in tempo per sentirlo sputare fuori il male che in quei giorni di astinenza non aveva avuto modo di reprimere. Yuri rimase in attesa fuori dal bagno, pietrificato, scosso, Otabek intanto vomitava sangue, l’anima a stento riuscì a tenersi aggrappata in lui.

- Yuri…- tossiva, Otabek, Yuri non poteva vederlo ma era sicuro che stesse ancora vomitando. Il biondino era ancora pietrificato, sconvolto da tale improvvisa e violenta reazione. Si avvicinò alla porta, provò ad entrare, a soccorrerlo, ma Otabek la richiuse immediatamente. Non voleva lo vedesse ridotto così, ad uno straccio coperto di sangue. – Nikiforov…- non riusciva a parlare, la gola era serrata dal dolore e dai rifiuti del suo corpo distrutto. Yuri non capì subito. – Nikiforov… Cercalo… Per favore…- aveva un tono disperato, parlava piano, cercava di scandire ogni parola per farsi capire. Yuri strinse i pugni, Viktor Nikiforov aveva la nominata di essere uno spacciatore.

- Resisti… Torno subito.- Yuri non voleva che si drogasse, non voleva vederlo ricadere ancora in quel baratro dal quale aveva innocentemente tentato di salvarlo. Non voleva andare da Viktor, famoso per i suoi occhi di ghiacco famelici e profondi, e procurargli egli stesso quel veleno che gli procurava tanto male. L’unica cosa che desiderava era che riuscisse a superare quell’ostacolo. E, di conseguenza, era costretto ad andare da Nikiforov.

Non era difficile da riconoscere, Viktor. Spiccava in mezzo agli altri sotto numerosi aspetti, era tremendamente e fatalmente unico. Capelli che fin dalla nascita vantavano rare sfumature d’argento, lo sguardo indecifrabile specchio di un’anima vuota e oscura. Alto, fisico snello, marmoreo, sembrava più grande di quanto in realtà non fosse. Era maturo nello sguardo, negli atteggiamenti, nelle parole, era adulto in tutto e per tutto, un vero gentiluomo. Eppure la sua fama lo precedeva. Giravano voci sulla famiglia Nikiforov, voci che da anni facevano il giro del paese intero. Erano ricchi, i Nikiforov, tra i più ricchi in tutta la Russia, il loro nome era noto da San Pietroburgo sino a Vladivostok, da un estremo all’altro della loro meravigliosa patria. Ma tale ricchezza e prosperità improvvisa divenne un mistero, un enigma segreto che si ricollegava alla cattiva reputazione del bel rampollo dei Nikiforov. Viktor spacciava fin dai suoi primi tempi a scuola, dalle droghette più leggere, fino alle droghe pesanti, il veleno che scorreva nel corpo di Otabek. E come riuscisse a procurarsi tutta quella roba indisturbato, fin da ragazzino, era chiaro a tutti, esattamente com’era chiaro il motivo del prestigio della sua famiglia. In Russia, dopotutto, uno dei modi più noti per raggiungere il successo è proprio la mafia. E che i Nikiforov ne fossero ai vertici non era mai stato un segreto. Viktor possedeva un fascino raffinato, una poetica tutta sua, unica, una filosofia di vita accattivante che riduceva ai suoi piedi ogni ragazza dotata di quel minimo di cultura che bastava per ammirarlo. E non solo ragazze, anzi. Si diceva che Viktor fosse l’esemplare tipico di un malato di AIDS: drogato e omosessuale, dichiaratamente omosessuale.

Yuri lo trovò, guarda caso, proprio in mensa, ben esposto, accomodato elegantemente ad uno dei tavoli al centro, mentre flirtava senza ritegno con un novellino di un paio d’anni più piccolo. Vestito come al solito di tutto punto, tirato a lucido come un modello. Il ragazzino che aveva avuto l’onore di attirare l’attenzione del bello e proibito Viktor si chiamava, per ironia della sorte, proprio Yuri. Eppure era ben diverso dallo Yuri protagonista del racconto, seppur entrambi condividessero ansie e insicurezze. Yuri Katsuki, questo il suo nome completo, aveva un aspetto tenero quasi quanto lo era il suo animo. Guance paffute, sguardo timido e perso, costantemente celato da un paio di enormi occhialoni da vista, i capelli neri come la notte sempre e costantemente spettinati. Era mite, delicato e pacato come lo erano pochi, timido e silenzioso, un ascoltatore con i fiocchi e un grandissimo golosone. Era esattamente il tipo che ci si aspetterebbe Viktor ignorasse completamente, viste le enormi differenze tra i due. Eppure i due erano l’umana rappresentazione della sacra legge degli opposti. Viktor, che era abituato ad una vita elegantemente derivata dall’illegalità, era affascinato dalla semplicità dell’essere del piccolo, passivo e dolce Katsuki. E, come era chiaro che fosse, il caro Yuri era attirato da quello che era il fascino magnetico dello studente più misterioso di tutto l’istituto. Era bramoso, forse, di scoprire i suoi segreti, di estrapolare dalla loro sempre più chiusa intimità un qualcosa, un segno, un Viktor che i suoi occhi di ghiaccio non lasciavano trasparire. E Viktor, quando era con lui, sembrava tutto fuorché uno spacciatore figlio della mafia.

Yuri, quello che fin dalla prima pagina è stato il nostro protagonista, non si fece problemi nell’interrompere il magico momento tra i due innamorati più famosi della scuola, troppo in pena per la sorte del suo amico sofferente. Viktor sfoggiava un sorriso splendente e bianchissimo, elegante quanto misterioso, invitante e unicamente amorevole. Il biondo lo assalì, un nodo a stringergli la gola come a soffocarlo. La paura, l’ansia incontrollabile per quello che stava inaspettatamente accadendo al suo amico lo distruggeva. Yuri aveva gli occhi che chiedevano pietà, occhi che supplicavano aiuto. Viktor lo squadrò con occhi freddi e indecifrabili, non voleva essere interrotto da un ragazzino insignificante.

- Ho bisogno di roba, Nikiforov. – Yuri non riusciva a tenere a freno le mani, tremavano come se stessero gelando. Non diede freno alle parole, le disse tutto d’un fiato, con tono più sicuro e rispettoso possibile. Non bisognava presentarsi male al sommo Nikiforov, né deboli, né scontrosi. Yuri era entrambe le cose. – Roba pesante. – Viktor lo squadrava con occhi di ghiaccio, sul volto aveva stampato un sorriso beffardo. Ne aveva avuti di clienti giovani, ma Yuri sembrava fin troppo immaturo per poter anche solo pensare di avvicinarsi al mondo di cui lui gestiva il monopolio. Non sapeva se ridere o incazzarsi a vedere tanti di quei ragazzini rovinarsi e ridursi a degli stracci usati e sporchi, ma alla fine non poteva pretendere che gl’importasse molto di loro. Dopotutto, era grazie a loro che faceva soldi.

- Potresti ripassare tra dieci minuti? Sai… - Viktor allungò il braccio verso l’altro Yuri, dalle guance paffute e dallo sguardo fanciullesco, cingendolo a sé come fosse il più prezioso dei tesori. Gli sguardi dei due si unirono, il giovane occhialuto non disse nulla, sembrava a disagio per la presenza del biondo. Non aveva mai amato il “lavoro” di Viktor e mai l’avrebbe fatto. Sperava che col tempo, col diploma, cambiasse e si rendesse più idoneo ad una vita da semplice ventenne, ma lui non accennava a cambiare. Non ancora, almeno, Yuri continuava a sperare.

- No, ho bisogno di roba ora.- fremeva, lo Yuri dagli occhi splendenti di un bambino spaventato. Non riusciva a stare fermo, a placare quella preoccupazione che lo affliggeva al solo pensare a cosa Otabek stesse passando, solo e abbandonato col suo male. Aveva bisogno di salvarlo immediatamente o nessuno dei due avrebbe retto al dolore delle conseguenze di quella tremenda crisi d’astinenza.

Viktor si fece d’un tratto serio, un pezzo di ghiaccio integro e compatto, la mascella contratta in un’espressione alquanto infastidita quanto sprezzante. Se al cuor non si comanda, allora neppure ai soldi. Sogghignò e sciolse il tenero abbraccio con la sua giovane e bella preda, bramosa ancora del suo amore, e incrociò lo sguardo con quello ribollente di paura e ansia del piccolo e insignificante ragazzino. Non gli importava davvero nulla di ciò che lo circondava, non aveva interesse nel male che causava ai giovani novelli dell’istituto. Il suo mondo ruotava attorno al suo tenero amato, il resto era solo denaro.

- Ebbene, parliamo in privato. – Viktor conosceva bene il suo dolce Yuri e che il suo modo di fare soldi lo infastidisse non era una novità. Non aveva intenzione di smettere, perché quella sua posizione privilegiata era tanto gratificante quanto utile. Aveva metà scuola in pugno, l’altra metà lo temeva o lo ammirava. Si sentiva come un dio, aveva quel poco di potere che gli bastava per sentirsi anche lui importante, esattamente come lo erano i suoi più stretti parenti.

Yuri sembrava uno scricciolo in confronto a Viktor, possente nella sua eleganza. Quello che sembrava già da sé un bambino sembrava quasi svanire al fianco dell’onorevole Nikiforov. Eppure non si sentiva in soggezione, non percepiva quel distacco che gli altri notavano all’istante. Nella sua testa non c’era spazio per pensieri come quello, temeva per Otabek e non ragionava su nient’altro. La sua mente cresciuta troppo in fretta non riusciva ad elaborare più di un pensiero doloroso alla volta, non avrebbe retto nella sua fragilità. I due si allontanarono, Yuri immerso nella sua felpa, come a voler sparire, Viktor, al contrario, con passo fiero e sicuro.

- Allora… - Viktor lo fissò con i suoi occhi vitrei, specchio di chissà quale profonda e contorta anima. Un sorriso pacato dalle mille sfaccettature si affacciò sul suo viso, non sembrava amichevole, ma neppure minaccioso. – Di cosa hai bisogno, ragazzino?- si poggiò ad una parete, con la sua solita e ammaliante eleganza, nell’imbottitura del cappotto teneva nascosto di tutto. Sembrava un pozzo, Viktor, sia metaforicamente che letteralmente. Un pozzo di mistero e fascino e un magazzino immenso di veleno e morte. Yuri esitò, si sentiva improvvisamente catapultato in un mondo non suo, era a disagio.

- Eroina. – rispose secco, con lo sguardo perso nel vuoto, troppo confuso per reggere gli occhi penetranti di Viktor. Questi lo fissò stupito, squadrandolo da capo a piedi come se, fino a quel momento, non avesse capito bene chi aveva davanti. Non gli era mai capitato, e mai avrebbe sperato fosse successo, che un ragazzino talmente giovane gli fosse venuto a chiedere roba così forte.

- Ci vai giù pesante. – commentò, profondamente scosso nel vedere risplendere nei suoi occhi quella scintilla così infantile e docile che tutti i suoi clienti più anziani avevano ormai perso. Si sarebbe sentito sporco, probabilmente, a vendere morte e dolore ad un ragazzino, ma non avrebbe rifiutato e ben presto se ne sarebbe sicuramente dimenticato. Era una loro scelta, quella di drogarsi e soffrire di conseguenza, lui non era altro che colui che avrebbe portato a compimento quel macabro desiderio, arricchendosi nel soddisfare le fantasie malate dei giovani e frustrati compagni.

- Non è per me, che cazzo. – Yuri si morse un labbro, il solo pensiero di drogarsi come faceva Otabek lo disgustava, lo spaventava. – Quella roba non la tocco neppure sotto tortura. – non aveva mai conosciuto quel dolore, ma sembrava fin troppo atroce per essere sopportato. Avrebbe preferito qualsiasi altro osceno abuso, ma mai avrebbe concesso a quello schifo di prendere possesso di lui nella sua interezza e poi devastarlo dall’interno. Otabek aveva aperto le porte del suo corpo alla droga e quando questi aveva deciso di mandarla via, lei era divenuta aggressiva e l’aveva divorato, l’aveva fatto suo come un amante. Yuri non voleva la stessa sorte e voleva salvare il suo caro amico dall’oscuro destino che si era creato.

- E per chi sarebbe? – non sembrava particolarmente interessato, Viktor, ma si prese la briga di chiedere lo stesso. Si mise una mano nella tasca del giaccone, sul fondo vi era un grosso squarcio tappato alla bella e buona con due toppe a strappo. Infilò la mano in mezzo alla voragine e si mise a frugare con disinvoltura tra le bustine che teneva nascoste nella fodera e nell’imbottitura.

- Otabek.- Yuri non riusciva a stare fermo, tremava e si dondolava da un piede all’altro come in preda all’ansia. Era lento, Viktor, a cercare la roba, ma non se la sentiva di mettergli fretta, di contrastare il più potente guru in quella grottesca e gerarchica società scolastica. Non voleva metterselo contro o infastidirlo.

- Otabek Altin… - commentò Viktor tra sé e sé, tirando finalmente fuori dalla tasca una bustina bianca sigillata. Richiuse le toppe a strappo e si lasciò andare poi in una flebile quanto sinistra risata. – Quella zecca ha mandato te per non mettersi nei guai, che codardo. – Yuri lo fissò confuso, infastidito da quelle parole, poi Viktor gli allungò la bustina di eroina con fare fin troppo poco furtivo. Non temeva di essere visto, anzi, godeva nel sentirsi al centro dell’attenzione e sapeva che mai nessuno avrebbe osato puntargli un dito contro. Yuri fece per prenderla, ma si sentì puntare addosso gli occhi freddi e intimidatori dell’affascinante Nikiforov e questi ritirò la mano. – Prima i soldi. –

La voce ruvida e fredda di Viktor gelò istantaneamente il sangue nelle vene del povero Yuri. Rimase paralizzato, un groppo gli salì in gola a soffocarlo quando si rese conto di non avere dietro neppure un centesimo, figurarsi se poteva permettersi una dose di eroina. Il sommo Nikiforov lo scrutava in attesa, sembrava essere sul punto di perdere completamente la pazienza davanti a quel misero ragazzino tremante e dall’aria confusa. Cosa credeva di fare senza soldi, Yuri, al cospetto del ragazzo più avido e materialista della scuola? Non ci aveva minimamente pensato, era talmente in pensiero per il suo caro amico che non si era fatto il benché minimo problema per il pagamento. Non poteva permettersi quella dose, non poteva permettersi di salvarlo e si sentì inutile, uno schifoso parassita.

- Non li ho… - ammise con voce assente, tremante, Viktor lo guardò con aria schifosamente stupita e contrariata. Otabek era molto indebitato nei suoi confronti, ma era stato clemente con lui. Sapeva che non viaggiasse in acque neppur lontanamente calme e gli aveva concesso di posticipare il pagamento di numerose dosi, i debiti che aveva accumulato arrivavano a cifre quasi vertiginose per due studenti del liceo. Non sapeva cosa stesse accadendo ad Otabek in quel preciso istante, soffocato da vomito e sangue mentre si contorceva in preda a spasmi di dolore, ma non sarebbe stato di nuovo così comprensivo. Il fatto che non avesse neppure la faccia per affrontarlo, ma avesse mandato un ragazzino dallo sguardo innocente, a ritirare una dose lo mandò su tutte le furie. Non aveva intenzione di graziarlo ancora una volta.

- Allora nulla, ragazzino. – si rimise la bustina in tasca e la infilò nell’imbottitura della giacca, poi, senza aggiungere altro, si apprestò a tornare dal suo amato che lo attendeva a tavola. Yuri sussultò, non poteva permettere che lo lasciasse senza eroina, che lasciasse morire Otabek così. Gli afferrò il braccio senza pensarci due volte, tremante e spaventato per la sorte del suo compagno. Viktor si voltò schifato, infastidito da quel gesto a suo avviso troppo arrogante.

- Ti prego, ne ha bisogno! Otabek ne ha bisogno ora!- non si rese neppure conto di ciò che stava dicendo, né riuscì a controllare quella nota di disperazione che gli riempì la voce. Non l’avrebbe lasciato andare senza aiutarlo, non avrebbe abbandonato Otabek al suo destino e pur di proteggerlo era arrivato addirittura ad umiliarsi in quel modo irrefrenabile ed esilarante. Viktor trattenne una risata sprezzante, lo trovava ridicolo esattamente come il suo amico morente. Entrambi disperati e volubili, una feccia.

- Ora come ora per me può pure crepare, ok? – il suo sguardo freddo fece rabbrividire il giovane Yuri, quelle parole gli fecero male. – Mi deve una barca di soldi, sai cosa m’importa di come stia? – sbuffò come fosse spazientito, si passò una mano tra i capelli e si sistemò l’ordinato ed elegante ciuffo argentato che gli ricadeva sul viso. Non aveva altro da aggiungere ed era stanco di discutere con quell’inutile ragazzino, voleva tornare dal suo Yuri, non gl’importava di lasciare l’altro nei guai. – Ora devo andare, mi hai fatto solo perdere tempo.- Yuri provò a trattenerlo ancora, ma Viktor non gli diede minimamente ascolto. Fiero e sicuro del suo potere, del suo prestigio, decise deliberatamente di abbandonare quei poveri disgraziati al loro destino, avido di una ricompensa che loro non potevano concedergli.

Yuri si ritrovò improvvisamente più solo che mai. Il frastuono della mensa affollata si placò improvvisamente, nella sua fragile e delicata mente alleggiava solo il più spaventoso dei silenzi. Un ammassarsi di pensieri assordanti, la confusione, l’ennesima dolorosa ed inaccettabile sensazione di abbandono, sconforto. Non sapeva più che fare. Il dolore di Otabek, i suoi gemiti angoscianti, la sua disperata richiesta di aiuto lo tormentavano. Non era riuscito a salvarlo e mentre lui se ne stava immobile a fissare il potente Nikiforov che si allontanava, il suo amico pativa il peggiore dei dolori. Era stato uno sciocco, Yuri, a chiedergli di compiere un suicidio simile. Non immaginava neppure quello che la droga potesse fare, non si aspettava che rinunciare all’ebrezza dell’eroina anche solo per poco tempo potesse ridurre un ragazzo in uno stato talmente pietoso. Era forse convinto, nella sua fragile ingenuità, che la droga fosse solo una medicina, proprio come quelle che era costretto a prendere lui stesso. Otabek gli aveva detto che l’eroina serviva a dimenticare, che alleviava i dolori, e non aveva potuto non accostarla ai suoi antidepressivi. Quando gli erano stati prescritti, lo psichiatra gli aveva giurato che l’avrebbero aiutato a dimenticare e a stare meglio, ma non avevano mai realmente fatto effetto, esattamente come non sembrava fare effetto l’eroina su Otabek. Era disperato, Yuri, giunto al limite della sopportazione. Voleva solo stare bene, voleva che quell’ansia andasse via, voleva avere il suo amico sano e cosciente, voleva che quel delirio di angosce finisse. Ed era ormai pronto a tutto per proteggere il suo caro amico, che a sua volta era ormai allo stremo, svuotato da quel dolore che voleva allontanare. Vomitava ininterrottamente, si contorceva, i muscoli erano pervasi da spasmi dolorosi, violenti e improvvisi.
Pensava a Yuri come ad un angelo, alla sua venuta come un miracolo e, nonostante non avesse fede in nulla che non fosse il dolore, pregava affinché potesse avere le sue tanto gentili attenzioni. Pregava affinché non l’avesse abbandonato lì, nel sangue, nel dolore, pregava di non essere più solo e intanto Yuri si dannava per poterlo aiutare. Corse in classe, voleva urlare, voleva chiedere aiuto, ma come al solito nessuno gli avrebbe dato ascolto. A nessuno importava dell’inutile biondino scontroso e solitario. Decise di compiere una follia, una follia che avrebbe potuto condannare ad una serie di spiacevoli inconvenienti sia lui che l’amico. Ma se non poteva chiedere aiuto a nessuno, compiere una follia era la sua unica soluzione. Fortunatamente in aula non trovò nessuno, neppure il professore, così poté agire completamente indisturbato senza essere colto in fragrante. Si avvicinò al suo zaino è frugò frettolosamente e ansiosamente nella tasca anteriore. Né tirò fuori una scatolina colma di pillole, che si portava costantemente dietro nonostante non volesse mai prenderle. Da quando gli era stata diagnosticata quell’innominabile, peculiare e mutevole malattia quale era la depressione, sentiva il costante e irrefrenabile desiderio di avere quelle pasticche con sé, eppure le prendeva raramente, fin troppo raramente. Le strinse al petto, le strinse tra le mani, e il desiderio di prenderne una si fece forte, la vana speranza di poter stare meglio non lo abbandonava. Erano medicine per la mente, che servivano a dimenticare e a stare bene. Non erano, appunto, tanto diverse dalla droga. E seppur fosse un rischio, era l’unico modo che gli venne in mente per aiutare il suo amico anche solo a stare vagamente meglio. Si mise la scatolina in tasca, si lasciò andare in gemito disperato, carico di ansie e paure. Era troppo fragile per sopportare tutto quello. La corsa in bagno fu tanto breve quanto angosciante e ansiogena, Yuri correva col fiato sospeso, un nodo a soffocargli la gola.

Otabek era ancora lì, devastato da dolori umanamente inconcepibili, sveglio, ma non cosciente, tremava come se stesse gelando. Una vista rivoltante, sembrava essere sul punto di morire tanto era bianco in volto, gli occhi erano svuotati della loro luce vitale. Yuri non era più abituato a tutto quel dolore, il sangue gli faceva ribrezzo, lo terrorizzava, quella situazione era per lui devastante. Otabek si accasciò a terra, il suo amico dalla pelle diafana al suo fianco gli passò tremante una mano tra i capelli fradici e spettinati, un disperato quanto delicato gesto per alleviare quelle infernali pene. Tremava come una fogliolina in autunno, fragile e dimenticata, il piccolo Yuri mentre tirava fuori una delle sue pillole dalla scatola. Gli occhi di Otabek non erano vigili, neri come la pece, sembravano morti. Non vedeva, non sentiva, non capiva. Yuri gli prese il viso tra le mani, la pelle ruvida e secca dell’altro gli apparve stranamente più morbida e delicata. Yuri non riusciva a smettere di piangere, i singhiozzi asfissianti gli facevano morire tra le labbra ogni parola di conforto. Otabek non sentiva nulla, neppure le tenere carezze dell’amico o le sue ingenue suppliche.

- Otabek… a… apri la bocca…- lo stomaco prese a bruciargli come l’inferno, divorato dalla paura più cieca. Non provava una sensazione tanto orrenda da mesi. Otabek non lo ascoltò, i muscoli contratti dal dolore erano pervasi dai soliti violenti spasmi, Yuri temeva addirittura che potesse fargli male. Ma Otabek non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe mai fatto del male a nessuno, in particolar modo a quell’angelica creatura dagli occhi smeraldini. – Per favore… - Yuri, terrorizzato, riuscì ad infilare a forza la pasticca tra le labbra di Otabek e questi la ingerì in preda alla disperazione. La follia era compiuta, restava solo da sperare che non sarebbe accaduto nulla di grave.

Yuri si accasciò contro una parete, lasciandosi andare in un gemito disperato di terrore. Lo stomaco faceva male, gli occhi gonfi di pianto bruciavano come l’inferno e i lamenti incessanti dell’amico lo ferivano come la punta di mille aghi sul cuore. Lo fissava senza il coraggio di intervenire, attendeva che la pillola che gli aveva dato facesse effetto, attendeva un segno, un qualsiasi segno. Se ne stava rannicchiato, la testa sulle ginocchia, come faceva sempre per isolarsi dal mondo. Si richiudeva nel suo piccolo spazio e tremava, aspettava solo che il male che c’era attorno a lui svanisse, rimaneva chiuso in sé stesso finché non si sentiva al sicuro. Otabek aveva la mente che era un tripudio di caos, talmente tanto confusa da mescolare il dolore più cieco ai più indecifrabili deliri, respirava piano, pacato, come se facesse fatica a prendere aria. Era pervaso da una sensazione strana, indescrivibile, che mai aveva provato prima. Il dolore era lancinante, ma era un dolore lontano e confuso, lo percepiva più potente che mai, ma sembrava come fosse un sogno. Era un dolore strano, acuto, ma pur sempre strano. Yuri tremava come se riuscisse a percepirlo a sua volta in tutto il suo orrore. Il dolore di Otabek non si placò mai, ma la pillola ebbe un lieve effetto su di lui, quanto bastò per calmarlo e alleviare la confusione che gli annebbiava la mente. Era come se qualcosa avesse rimesso in ordine i suoi pensieri come fa un magazziniere con la merce. Nel giro di poco aveva la mente sgombra, buia, vuota, si ritrovò immerso nel silenzio più armonioso e soave, riaveva il controllo del suo corpo, dolente e rotto, e riaveva la percezione del mondo attorno a sé. Era fradicio di sudore, ma aveva freddo. Sentiva un lamento, flebile, tremendamente angosciante e candido, una triste ninna nanna a risuonare nel silenzio che gli si era creato attorno. Vide così lo splendore dei prati del suo Kazakhstan, verdi come la speranza, e l’oro del sole splendente simbolo fiero della sua patria. Riconobbe Yuri per i suoi occhi incredibilmente sofferenti, ma tanto coraggiosi da incutere timore, sembrava un soldato. Un soldato piangente.

- Yuri… - lo chiamò con un fil di voce, roca, profonda, rotta, devastata dal dolore che non accennava a lasciarlo. Yuri ebbe un fremito, sollevò titubante il capo e i loro occhi, arrossati, gonfi, stanchi e tristi s’incontrarono in un armonioso attimo di pace. Yuri non aveva il coraggio di sorridere, Otabek non né aveva la forza, ma entrambi avrebbero desiderato farlo. Entrambi, in quell’istante, si sentirono più sollevati nel trovarsi l’uno accanto all’altro. – Cosa mi hai dato..? – Yuri strinse a sé la scatolina, poi chinò di nuovo il capo e la nascose frettolosamente sotto la felpa. Le mani tremanti e una scintilla di spiacevole dolore che s’accese nei suoi occhi fecero allarmare Otabek, che di dolore ne stava già subendo abbastanza.

- Nulla… - tentò di sbrigarsela il ragazzino, la voce sottile era spezzata dalla paura. Non era pronto per raccontargli la sua storia, non voleva che scoprisse la sua malattia, non voleva essere giudicato. Chi a scuola sapeva della sua depressione lo derideva, lo umiliava, e non sopportava più tanta cattiveria. Gli avevano detto che solo i pazzi andavano dallo psichiatra e che di conseguenza solo i pazzi prendevano gli psicofarmaci. E non voleva più essere giudicato come un pazzo.

- Yuri… - si stava preoccupando, Otabek, sia per sé stesso che per Yuri. Non avrebbe mai dovuto mandarlo da Viktor, non avrebbe dovuto lasciare che s’intromesse nel suo giro deplorevole. Vedeva la paura nei suoi occhi e temeva che gli fosse accaduto qualcosa per colpa sua e della sua schifosa astinenza. Tentò di tirarsi su, le gambe tremanti e i nervi tesi che gli bruciavano in corpo, e si trascinò accanto a lui. Yuri si rannicchiò su sé stesso, non gli avrebbe permesso di prendersi le pillole. Otabek allungò un braccio verso di lui, non sapeva neppure se fosse per abbracciarlo o per recuperare la scatola che stava nascondendo, Yuri si allontanò di scatto. – Che mi hai dato, Yuri..? – i loro sguardi s’incontrarono di nuovo. Otabek lo guardò preoccupato, gli occhi stanchi e smorti lo squadravano con una dolcezza a cui Yuri non era abituato. Aveva paura fosse arrabbiato, ma si accorse immediatamente di quanto fosse in realtà comprensivo e gentile. Yuri trattenne un singhiozzo, non riusciva a nascondere i propri mali davanti agli occhi amorevoli del suo amico. Tirò fuori titubante la scatola, Otabek esitò, poi ebbe un fremito. – A… Antidepressivi...?

– Otabek non sapeva se essere sorpreso o allarmato. Yuri non disse nulla, rimase rannicchiato, con il capo chino e lo sguardo mortificato perso nel vuoto. Non sapeva che reazione aspettarsi e questo gl’incuteva ansia. – Come li hai avuti..? – Otabek avvicinò cautamente la mano al suo viso, gli accarezzò la guancia con la delicatezza di una madre. Lo vedeva così spaventato, non voleva soffrisse anche lui.

- Sono miei. – rispose secco, con gli occhi fissi nel vuoto, in cerca di conforto. Non aveva il coraggio di guardarlo, eppure desiderava la sua comprensione e quella calda mano sul suo viso lo faceva sentire quasi meglio.

- Come sono tuoi? – Otabek non aveva la più pallida idea di come sentirsi. Guardava quei suoi occhi spenti e spaventati e vedeva in loro la fragilità e la tristezza di un bambino abbandonato. Per arrivare al punto da prendere psicofarmaci vuol dire superare il limite della stabilità psicologica, vuol dire essere rotti dentro, spezzati, vuol dire aver sofferto e star soffrendo troppo per vivere una vita tranquilla. Yuri aveva gli occhi di chi ha l’anima rotta e lacerata, Otabek, nel suo essere a sua volta instabile, voleva proteggerlo da qualsiasi ombra annebbiasse il suo essere.

- M… mi servono…- voleva chiudere quella conversazione, non voleva parlarne. Era felice di vedere che Otabek stava meglio, o almeno quanto bastava per riuscire a ragionare. Voleva godersi quegli attimi di pace senza pensare ad altro, senza ricordare, voleva solo abbracciare il suo amico e vivere quel momento in tranquillità. Ma Otabek, che aveva gli occhi profondi e indecifrabili, aveva un viso tanto preoccupato quanto premuroso e non avrebbe mai ignorato l’argomento. Yuri ebbe un fremito.

- Che ti è successo Yuri..? – Otabek incuteva quasi timore, una presenza vaga e silenziosa, vuota e imperscrutabile, eppure celava il cuore d’oro di un angelo. Yuri si sentiva protetto con lui accanto, non lo temeva e non lo disprezzata. Esitava perché aveva paura del suo passato e non aveva il coraggio di riviverlo. Distolse lo sguardo, Otabek gli prese delicatamente il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo. I suoi occhi neri come la pece apparivano incredibilmente caldi. – Ti prego, dimmelo. – Yuri esitò ancora, il suo sguardo era ipnotico, la sua voce un’armoniosa e profonda melodia.

Cominciò a piangere, prima piano, poi sempre più forte e disperato. Ricordava ancora tutto, ogni singola dettaglio del suo dolore. Ricordava la paura, la sensazione di abbandono, ricordava gli incubi e i pianti, ricordava il bambino che era stato e che non sarebbe tornato più. Iniziò a singhiozzare pesantemente, sembrava sul punto di soffocare, tremava, nella sua testa vedeva orribili e macabre scene degne del peggiore dei film horror. Vita vissuta, vita vera, era la sua storia rivoltante e oscena.
Otabek sussultò, non si aspettava una reazione del genere, vederlo così era uno strazio per gli occhi. Provò ad avvicinarsi a lui, provò ad avvolgerlo tra le sue braccia, macchiate di peccato, voleva farlo sentire al sicuro. Ma Yuri si allontanò, si rannicchiò ancor di più e piangeva, piangeva come non mai. Cercò di trattenere un gemito strozzato, improvvisamente il ricordo del suo dolore si fece vivo come non lo era mai stato.

Lui non aveva una madre, l’aveva avuta, ma quella se n’era andata con chissà chi quando lui era ancora troppo piccolo per ricordarsela. Non aveva mai avuto nessuno che tenesse davvero a lui, suo padre l’aveva tenuto solo perché era l’unico ricordo di un amore che aveva inseguito disperatamente e che aveva perso in pochi anni.
Era un oggetto, il piccolo Yuri, e come tale veniva trattato. Parlava pochissimo, quando iniziò ad andare a scuola sapeva molte parole in meno rispetto ai suoi compagni, pretesto per essere chiamato stupido o idiota. Yuri non era un bambino stupido, anzi, le maestre lo notarono subito. Semplicemente non aveva avuto nessuno che badasse ad insegnargli le basi della vita. Era magro, uno scricciolo, e mangiava poco e male, sia a scuola che, soprattutto, a casa. Non aveva giocattoli, non aveva amici, e passò i primi anni della sua vita nel buio e nella solitudine. Il piccolo Yuri, però, godeva di una bellezza che tutti gli altri bambini non potevano fare a meno che invidiare. Aveva preso tutto dalla madre, i lineamenti dolci e morbidi, i capelli morbidi e dorati, e labbra di un rosa invitante e genuino, gli occhi felini e docili di un gattino abbandonato. E quando un bambino dalla bellezza fin troppo matura per la sua età cresce sotto lo stesso tetto di un uomo mentalmente instabile, devastato dal dolore del perduto amore, tenuto in vita solo da bottiglie di alcool, la tragedia è solo che inevitabile. Un bambino magro, esile, troppo spaventato dal mondo, non poteva in nessun modo reagire quando un uomo grande, possente e pazzo andava a mettergli le mani addosso. Forse non capiva neppure, il piccolo Yuri, quanto quel dolore fosse straziante e indelebile. Non sapeva che quegli abusi sarebbero stati il suo incubo per sempre. Le prime volte, ricorda, aveva fatto davvero male, un dolore troppo straziante per essere anche solo vagamente ricordato. Un bambino, un angelo innocente, che si ritrova a subire una violenza troppo adulta da parte di chi, invece, avrebbe dovuto proteggerlo. Per il piccolo Yuri gli abusi erano una punizione, nulla di più e nulla di meno rispetto alle bacchettate che riceveva dalle maestre quando faceva un errore in un compito. Era una realtà che per lui era fin troppo quotidiana, nella sua mente innocente quello era un male che spettava a tutti i bambini disubbidienti. Nel suo piccolo mondo, gli stupri erano la normalità e anzi, accusava sé stesso di essere un debole quando quel dolore diventava insopportabile. Vedeva gli altri bambini correre e giocare, mentre lui doveva rimanere seduto, perché faceva troppo male. Quanto poteva essere doloroso per un bambino rifiutare di giocare perché quella sofferenza che provava era troppo forte? Un bambino che del mondo non conosce ancora nulla, come può sopportare un’oscenità simile? Aveva paura di tutto, perfino della sua ombra, e si vergognava della sua debolezza. Era convinto di essere un bambino cattivo, nonostante il suo essere mite e delicato. Era sottomesso e fragile in qualunque situazione, voleva essere un bambino ubidiente ed essere amato, non voleva più quelle punizioni. Eppure più s’impegnava per essere un figlio modello, più le violenze ingiustificate aumentavano. E crescendo si sentiva sempre più inutile, disgustoso e il dolore cominciava a lasciar spazio anche alla vergogna. Più cresceva, più la consapevolezza che tutto ciò che viveva fosse sbagliato si faceva largo in lui. Più cresceva e più le violenze non si risparmiavano e più cresceva più il desiderio di ribellarsi si faceva forte. Eppure non ci riuscì mai. Accucciato lì, sul pavimento del bagno, sentiva le gambe bruciare come l’inferno, le cicatrici che gli aveva lasciato suo padre non sarebbero mai guarite. Yuri piangeva disperato, le gambe tese, si teneva stretto ad Otabek come aveva fatto ai poliziotti quella sera, sentiva ancora il sangue scorrergli tra le cosce.

- Yuri…- Otabek lo teneva stretto a sé, gli accarezzava i capelli, lo accudiva come fosse un figlio. Yuri teneva il viso poggiato sul suo petto, le sue braccia lo avvolgevano teneramente e si sentiva al sicuro, come in una fortezza indistruttibile. Teneva gli occhi chiusi e non aveva il coraggio di riaprirli. Vedeva in piedi, davanti a sé, gli occhi assetati di sangue del padre, quella notte, mentre Yuri si stringeva ai poliziotti.

Aveva parlato, Yuri, a quindici anni trovò il coraggio di reagire. A scuola continuava ad essere molto bravo e aveva stretto uno strano ma confortevole rapporto di fiducia con il suo professore di arte. Yuri amava l’arte, amava il disegno, amava l’ideale poetico dei colori e delle linee, esprimeva tutte le sue parole nelle sue opere stravaganti e uniche. A lui disse tutto, di come suo padre lo prendesse, lo spogliasse e poi l’aveva visto inorridire mentre gli raccontava di ciò che gli faceva. Spesso lo implorava,
Yuri, gli chiedeva pietà perché quel dolore era troppo insopportabile. Suo padre lo guardava con disprezzo e gli diceva che lo meritava, meritava tutto quel male e anche di più. Il lavoro che aveva fatto sul giovane e fragile Yuri era un vero e proprio lavaggio del cervello. Gli ripeteva che anzi, lui era fin troppo buono e lo risparmiava, che avrebbe meritato più dolore ma che lui lo proteggeva. L’aveva convinto che in realtà fosse dalla parte del bene e per un po’ Yuri ci aveva creduto. Poi aveva raccontato tutto e suo padre lo scoprì prima ancora che potessero intervenire per aiutarlo. Quella sera il giovane Yuri conobbe l’inferno. L’avrebbe ucciso, ne era convinto, gli avrebbe squarciato la gola così che non potesse parlare più. Ma ucciderlo era troppo semplice, quell’uomo, pazzo e furioso, doveva distruggerlo. E così fece. La polizia irruppe in casa quella sera stessa e si trovarono davanti la scena più straziante della loro vita. Yuri era sempre stato un ragazzino fragile, vederlo ridotto in uno stato tanto pietoso era un colpo al cuore. I poliziotti lo portarono in ospedale che era completamente viola per il freddo e per le botte subite, le gambe erano un lago di sangue.
Se c’era un qualcosa di ancora innocente in lui, non esisteva più. Quello che aveva subito nella sua vita non può essere raccontato, nessuno ci riuscirebbe, ma il dolore che i suoi occhi trasmettevano era fin troppo chiaro. Rimase in ospedale qualche mese e in quel periodo gli venne diagnosticata una gravissima forma di depressione e una leggera psicosi, prendeva più medicine che cibo. Saltò un anno di scuola, poi ricominciò sotto consiglio dello psichiatra stesso. Venne mandato in una casa famiglia, circondato da disgraziati come lui, si sentiva al sicuro lì ma era solo. Aveva bramato l’affetto di qualcuno da quando era nato e finalmente aveva trovato qualcuno che, in pochi giorni, si era affezionato a lui. L’abbraccio di Otabek era un sogno che finalmente era diventato realtà. Stava prendendo la decisione più importante della sua misera e sconvolta vita. Voleva dirgli tutto, voleva la sua comprensione e voleva essere protetto. Sperava di essere capito.

- Mio papà…- sussurrò, tremante e spaventato, si teneva stretto ad Otabek disperato, questi lo accarezzava teneramente. Contrasse le gambe e trattenne un gemito, sentiva dolore, sempre lo stesso, sempre più forte. Otabek aveva capito, ormai, e non aveva la forza di dire nulla, non aveva il coraggio di accettare l’idea che il suo caro e fragile amico avesse subito un male simile. Non lo trovava umanamente accettabile, abusare di un ragazzino come lui. Yuri singhiozzava disperato, voleva urlare, ma la presenza di Otabek lo calmava quel minimo che bastava per mantenere il controllo.

Il moro non ce la faceva a sentirlo piangere. Gli faceva male al cuore, era una sofferenza insopportabile, perfino maggiore dei dolori che lo laceravano da capo a piedi. Vedere quel viso meraviglioso e puro ridotto ad un pianto tanto disperato era tremendamente triste. Gli passò una mano tra i capelli, poi gli accarezzò la guancia e avvicinò il viso al suo. I loro sguardi s’incontrarono, Yuri si perse nella profondità dei suoi occhi, voleva solo fuggire dai suoi ricordi. Entrambi rimasero incantati alla vista dell’altro, entrambi vantavano visi peculiari e incantevoli. Otabek gli prese delicatamente il mento tra le dita e Yuri placò il suo pianto. Nessuno dei due voleva spezzare il contatto dei loro sguardi, nessuno dei due voleva separarsi da quell’abbraccio tenero, cado e confortevole. Le morbide e delicate mani del biondo dal viso fatato si posarono sulle guance scavate del duro Otabek, entrambi bramavano comprensione, affetto, amore. Avvicinarono le labbra l’uno a quelle dell’altro, e si baciarono. Non dissero nulla, non ne sentivano la necessità. Avevano bisogno l’uno dell’altro, non serviva altro. Si scambiarono un bacio dolce, amorevole, interminabile. Nessuno dei due aveva il coraggio di interrompere quel momento, nessuno dei due voleva separarsi dalle labbra dell’altro. Era una sensazione meravigliosa che non avevano mai provato, una gioia indescrivibile. Otabek lo stringeva a sé, Yuri gli accarezzava i capelli arruffati e scuri. Si sentivano al sicuro, si sentivano felici.

- Ti amo… - sussurrò Otabek, il cuore colmo di una dolcezza che aveva dimenticato di avere. Non pensò neppure a quelle parole, gli vennero dritte dal cuore, sincere, quel sentimento dolce era tanto vero e potente da riempire il vuoto che il dolore aveva lasciato in entrambi. Yuri non disse nulla, singhiozzava ancora, ma non piangeva più. Non sapeva cos’era l’amore, ma era sicuro di amarlo a sua volta.

E così iniziò il percorso che portò entrambi alla felicità. Insieme, devastati dai propri mali, si fecero carico del dolore l’uno dell’altro mentre un amore delicato e fine li unì in un legame indistruttibile che di lì a qualche anno li avrebbe portati a vivere una vita tranquilla, fatta di affetto e dolcezza. In breve, questa è la storia di come si conobbero, del dolore che li accumunava e del reciproco desiderio di redimersi, di come nacque un tenero amore che durò fino alla fine del mondo. 
   
 
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