Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    27/06/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 38 ~ 
VOGLIA DI ARRENDERSI
 
“’Cause I’m only a crack
In this castle of glass,
Hardly anything left
For you to see.”
(Linkin Park – Castle of glass)
 
 
 
Quando il Drago si era sollevato dal suolo italiano, Briz aveva osservato pensierosa i luoghi della sua infanzia allontanarsi sempre di più e si era imposta di non lasciarsi prendere dalla malinconia, giurando a sé stessa che, se il destino glielo avesse concesso, sarebbe tornata il più presto possibile, anche solo per un breve soggiorno.
E ora, mentre Pete impostava le coordinate per il rientro in Giappone, le balenò un'idea.
Si alzò dalla sua postazione e andò a chiedere a Daimonji il permesso di metterla in atto, poi si avvicinò a Pete e fece una modifica alla rotta; lui sollevò sulla ragazza uno sguardo interrogativo.
– Segui queste coordinate, voglio solo farti vedere un paio di cose – gli spiegò.
Nel giro di pochi minuti stavano sorvolando una città a pochi chilometri dal mare Adriatico: Briz indicò a Pete alcuni monumenti che si distinguevano dall'alto.
– Ravenna, la mia seconda città; anzi, se fa niente la amo ancora più di Firenze, forse perché ci andavo in vacanza invece che a scuola. Quella cupola grigioverde è il Duomo, e quella chiesa ottagonale e l'altra costruzione accanto sono la basilica di S. Vitale e il mausoleo di Galla Placidia: alcuni dei mosaici più belli dell'epoca bizantina, sono lì. E l'altra cupola a cui ci stiamo avvicinando, quella bianca laggiù, è il Mausoleo di Teodorico.
Pete osservò affascinato ciò che la ragazza gli indicava e gli descriveva.
– Se questo schifo di guerra avrà mai una fine, ti consiglio di farci un viaggio, un giorno, e visitarli come si deve. Conoscendo la tua passione, ti piaceranno, Indiana Richardson.
– Vieni con me a farmi da guida? – le propose lui.
– Mmm… può darsi… se farai il bravo – concesse Briz, sedendosi sul bracciolo della poltroncina e mettendogli un braccio sulle spalle, mentre si chinava in avanti, a indicargli la distesa blu del Mare Adriatico, la spiaggia e un piccolo paese quasi affondato nella pineta.
– Questo è il paesino dove venivo in vacanza al mare con i nonni.
Pete si accorse che Briz aveva parlato con voce sommessa e che faticava non poco a tenere a bada la commozione. La ragazza si riscosse e impostò un'altra rotta verso nord: sorvolarono Venezia e la laguna e non fu necessario molto tempo per raggiungere un altro luogo che Briz amava, sempre per esserci andata in vacanza diverse volte in passato.
– Le Alpi. Che spettacolo, hanno un colore bellissimo!
– Sono le Dolomiti, dette anche Monti Pallidi, e se ti sembrano belle ora, dovresti vederle al tramonto, quando diventano rosa. Quello è il Rosengarten, l'altro il Sassolungo, quello che sembra una torta è il Massiccio del Sella, e quella più in là è la Marmolada. Certo, le Dolomiti non sono le Montagne Rocciose o il Grand Canyon, e il mare Adriatico non è il tuo oceano Pacifico, ma devi ammettere che hanno un fascino tutto loro…
– Eccome, se ce l'hanno! Grazie per avermi fatto vedere questi posti.
– Ammetto che non l'ho fatto solo per te, ma mi piaceva l'idea di mostrarti qualcosa che amo, e che immaginavo ti sarebbe piaciuto;  sono contenta di non essermi sbagliata. E adesso… rotta verso casa: Faro di Omaezaki, Japan.
– Ho l'impressione che tu, la tua casa, la stia lasciando – le disse Pete.
– In effetti… se la nostra casa è dove stanno le persone che amiamo, allora sì, un po' della mia casa è qui e un altro po’ è a Omaezaki. Come per te, direi.
– E diresti giusto – ammise lui, con un sorriso che Briz ricambiò.
Gli diede un colpetto sulla spalla e si alzò, decisa a tornare al suo posto; la sua mano scivolò attraverso le spalle di Pete e le sue dita affondarono per un istante nella zazzera bionda ad accarezzargli il collo e la nuca. Quando si rese conto di cosa stava facendo, ritrasse velocemente la mano e si diresse alla sua postazione. E fu a quel punto, che si sentì richiamare da lui.
– Ehi, matta, aspetta! Torna qui.
Briz lo vide alzarsi in piedi e prendere posto al timone, posando una mano su una mezzaluna d’acciaio e facendole segno con l'altra di riavvicinarsi. Briz diede un'occhiata a Doc e agli altri che la incoraggiarono, incuriositi quanto lei, e la ragazza obbedì incerta, senza capire. Il Capitano la tirò dolcemente davanti a sé, mettendole le mani sui comandi del Drago Spaziale e coprendole con le sue.
– Pete, ma che diavolo stai…? – cominciò lei, sconvolta.
– Shh, fidati di me: fai quello che ti dico, okay? E stacca l’auricolare e soprattutto il microfono – le ordinò con una strizzata d’occhio, rimanendo in piedi dietro di lei e guidando l'astronave tenendo le mani sopra alle sue, mentre lei obbediva.
Pete tirò i comandi verso di loro, e il Drago prese ulteriormente quota. Briz avvertì una sensazione come di vuoto allo stomaco, assolutamente diversa da quella che provava dalla sua postazione e anche da quella che le procurava guidare Balthazar che, pur essendo grande e poderoso, era assolutamente più piccolo e agile del Drago. Raggiunsero una quota spettacolare poi, sempre tenendo le mani sopra quelle di Briz, Pete spinse sui comandi: il Drago sembrò dare un balzo in avanti, lanciandosi rapidamente in mezzo a un banco di nubi color pastello.
– Adesso mantieni questa velocità e segui questa rotta – le ordinò sottovoce, togliendo le mani dalle sue e posandogliele sulle spalle.
Briz fece come le era stato detto; le nuvole sfrecciarono intorno a loro, sfilacciandosi in riccioli e volute azzurre e rosa mentre raggi di sole filtravano tra di esse, inondando il Drago – e anche loro, attraverso lo schermo panoramico – di riflessi oro e argento. Briz si sentì accapponare la pelle.
– Ommioddìoh! Sto! Pilotando! Il Drago! Spaziale! – urlò, ai limiti dell'isterico.
– Aha, sembra proprio di sì – disse Pete tranquillissimo, divertito dalla sua reazione decisamente fabriziesca – E stai facendo tutto da sola. Quasi quasi mi siedo e mi godo il viaggio.
– Non osare spostarti di lì, nemmeno di mezzo centimetro! – ordinò lei, pensando che non fosse tanto la sicurezza che le sarebbe mancata, quanto il contatto con lui.
– Agli ordini, Comandante, come vuoi. Bene… ora sali un altro po'… piano, così… Bravissima!
E mentre Briz obbediva accadde una cosa assolutamente imprevista. Quando si connetteva con Balthazar, lei diventava il grande leone, si muoveva con lui e, soprattutto ultimamente, qualcosa – qualcuno? – le entrava letteralmente nella mente e non avvertiva più niente altro che il bisogno di combattere. Ma ora… era totalmente diverso: la sensazione di vuoto allo stomaco si trasformò all'improvviso in un'impressione di pienezza totale. Il Drago era sotto di lei, ma anche sopra, e ai lati e… dentro. Ma non nella mente: erano due entità separate, umana e meccanica, eppure… si completavano.
L'astronave non era lei, ma era parte di lei, la sentiva, come una sua estensione. Briz faceva quasi fatica a respirare e le sue parole uscirono in un ansito mal trattenuto:
– Porca miseria, che meraviglia… È quasi come fare l'amore…
– Ah, sì, come se tu sapessi di cosa stai parlando… – ghignò Pete a voce bassissima, per non farsi sentire dagli altri.
Briz non si risentì per quella presa in giro: il suo tono di voce era divertito, ma amichevole, mentre lo diceva; quasi… affettuoso.
– No, hai ragione, infatti non lo so, di cosa parlo – ammise, rammentando ciò che gli aveva raccontato della sua disastrosa notte con Diego.
Nel frattempo, continuava ad essere pienamente cosciente delle mani di Pete sulle spalle, del suo torace muscoloso appoggiato alla schiena, del calore che irradiava dal suo corpo e del suo respiro tra i capelli. Voltò appena la testa per incontrare i suoi occhi, solo per un attimo: le sfuggì una risatina nervosa e avvampò, tornando a guardare dinanzi a sé.
– Però non hai tutti i torti – le concesse lui – Guidare il Drago Spaziale dà una sensazione… inebriante, soprattutto le prime volte.
– Immagino che tu ci abbia fatto l'abitudine.
Briz sentì le mani di Pete scivolarle lungo le braccia, e le sue labbra sfiorarle l'orecchio.
– Ci sono cose alle quali non si fa mai, l'abitudine.
"Oddio, adesso sente il mio cuore che dà di sbrocco definitivamente!" pensò Briz, preoccupatissima.
– Grazie per avermi fatto provare questa esperienza: è uno dei momenti migliori della mia vita – gli disse invece, cercando di mascherare le emozioni che le si agitavano nell'animo.
– Di niente: anch'io sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Rimasero in silenzio, pilotando insieme, i corpi che continuavano a sfiorarsi e i cuori leggeri; Briz si accorse di ridacchiare sommessamente, soddisfatta come una scema: si sentiva spensierata e felice, come non le accadeva da tanto, ed ebbe la vaga sensazione che fosse così anche per Pete.
 
Al-timone
 
Ogni tanto lui posava le mani sulle sue per spiegarle una manovra, o le indicava qualcosa al di fuori: un agglomerato di nuvole un po' particolare, o un riflesso dai colori insoliti.
A nessuno di loro due passò per la testa che cosa potessero pensare Daimonji e i loro compagni, guardandoli: in quell'atteggiamento, chiunque avrebbe trovato complicità, romanticismo e persino sensualità. Sicuramente glieli trovò il solito Yamatake, che a un certo punto ruppe l'incanto.
– No, ma… vi rendete conto, voi due? Neanche DiCaprio e la Winslet sulla prua del Titanic! E per fortuna non sentiamo quello che vi dite!
Briz alzò gli occhi al cielo e sbuffò: – Uff! Ma Yamatake!
– Sì, okay, capito: vado a fare un lavoro al cesso.
– Hai detto tutto tu, io non ho fiatato! Dopo non dite che sono volgare e sboccata! – la chiuse lì la ragazza, mentre tutti se la ridevano.
A dire il vero, persino il lottatore di sumo si accorse che, in realtà, di quello che tutti loro avrebbero potuto pensare, a Pete e a Fabrizia non sarebbe potuto fregare di meno.


 
***
 
 
Il Capitano Richardson era preoccupato, e neanche poco. Nemmeno l'acqua tiepida della doccia riusciva a rilassare la muscolatura indolenzita delle spalle e della schiena.
In seguito all’avventura sul suolo italiano, circa tre settimane prima, non avevano più avuto tregua: gli attacchi si erano susseguiti con una regolarità che era diventata via via sempre più frequente, fino ad arrivare a quegli ultimi sette giorni, in cui si erano ritrovati per ben quattro volte faccia a faccia con i Mostri Neri, negli angoli più assurdi e impensati del pianeta e dello spazio. Avevano combattuto fino allo stremo e rischiato di nuovo catture e rapimenti.
Erano tutti stanchi, ammaccati e stressati, sia a livello fisico che emotivo e psicologico.
Quell'ultimo periodo era stato orrendo per ognuno di loro, ancora di più per essere cominciato appena tornati dall'Italia, che era stato per tutti l'ultimo dei pochi momenti felici e spensierati di cui disponessero.
E insieme a tutto ciò, la cosa che preoccupava Pete più di ogni altra, era che Fabrizia non si vedeva in giro da almeno tre giorni: la disconnessione, negli scontri di quelle scorse tre settimane, le aveva dato problemi non indifferenti sotto tutti i punti di vista, e l'ultima volta era quasi svenuta. Quando si era reso conto che le sue solite sollecitazioni verbali, benché vivaci e colorite, non portavano a niente, Pete si era risolto ad andare di persona all’hangar a recuperarla in carlinga; aveva fatto appena in tempo a varcare la soglia dell’abitacolo, che l’aveva vista letteralmente collassare e finire riversa a terra, ancora dentro all'armatura. Le aveva sollevato la celata dell’elmo felino e si era spaventato a morte, quando si era ritrovato a specchiarsi nei suoi occhi fissi e vitrei. A forza di scossoni e richiami, Briz si era finalmente ripresa un po’, quanto era bastato per rimettersi in piedi, ma Pete era stato costretto ad avviare personalmente la disconnessione, tanto lei era rintronata.
Quando i componenti dell’armatura si erano rialloggiati nei propri siti, la ragazza era talmente provata e barcollante che Pete era riuscito per miracolo a evitarle di rovinare di nuovo a terra prendendola in braccio, rifiutando poi categoricamente di lasciarla a qualcun altro, finché non l'aveva posata sul lettino dell'infermeria del Drago, affidandola a Daimonji.
Pete non la vedeva da allora: sapeva solo che, dopo un giorno e una notte in clinica, affidata alle cure dei dottori Mori e Watanabe, si era ripresa ed era stata trasferita nella sua stanza alla Piccionaia, ma tenuta costantemente sotto controllo dai due medici.
Pete l'aveva contattata diverse volte col cellulare e le risposte ai suoi messaggini erano state sempre evasive e piuttosto laconiche, cosa che non era molto nel suo stile, tipo: “Ok, non preoccuparti”, “Sono stanca”, “Tranqui”, “Tutto bene”. 
Quando però gliene aveva mandato uno in cui le chiedeva se potesse andare a trovarla, la risposta era stata meno stringata: “Non azzardarti a salire quassù, o ti tiro dietro la prima cosa che mi capita sotto mano. Non sono in condizioni di ricevere visite!”
Nessuno dell'equipaggio la vedeva dall'ultimo scontro e anche Hakiro gli aveva detto che la ragazza non andava dai cavalli da ben più di tre giorni; Daimonji l'aveva temporaneamente esonerata dai turni di guardia, e Midori aveva riferito loro che anche se il momento peggiore di quella crisi era passato, la ragazza era ancora molto provata. La risposta al suo ultimo messaggio di quella mattina, “Dormo, non rompere”, seguito da un’emoticon che faceva la lingua, già più consono alla sua indole, aveva tranquillizzato il capitano solo fino a un certo punto.
Pete uscì pensieroso dal bagno, con addosso, sopra i boxer, solo un paio di jeans ancora slacciati, strofinandosi i capelli umidi con una salvietta.
 
Sexy-Pete
 
Mentre finiva di vestirsi, infilando una t-shirt grigia con sopra scritto Santa Barbara University, cominciò a valutare seriamente di salire fino alla Piccionaia per vedere come stesse la squinternata, anche a costo di farsi davvero tirare dietro qualcosa.
Quando, qualche giorno prima, l'aveva tenuta in braccio semisvenuta, pallida e febbricitante, che si aggrappava a lui come alla sua ultima possibilità di sopravvivenza, un odioso senso di impotenza lo aveva assalito. L'aveva stretta a sé, come se temesse che qualcosa potesse portargliela via, sussurrandole parole rassicuranti e sfiorandole con le labbra la fronte infuocata. Come se ne avesse il diritto, poi! Briz non era la sua donna, avevano praticamente deciso insieme che quell' assurda attrazione, passione repressa, o quel che fosse – fra l'altro scaturita dopo un rapporto iniziale molto vicino all'odio – non dovesse venire assecondata: il prezzo da pagare, il rischio di renderla infelice, era troppo alto.
Quando uscì dalla propria stanza, deciso a prendere l'ascensore per salire all'ultimo piano, quasi si scontrò con Fan Lee.
– Pete, ciao. Sai che finalmente la nostra desaparecida è rispuntata? Ti dirò che ero davvero preoccupato!
– A chi lo dici. E dov'è, adesso? Come sta?
– Mezz'ora fa era in terrazza, credo sia ancora lì: la dottoressa Mori le ha detto di uscire a respirare un po’ ma, anche se sta meglio, l’ho trovata un tantino acciaccata, devo dirlo.
Il Capitano salutò Fan Lee e si precipitò, letteralmente, verso la grande terrazza inondata dai raggi dorati del sole al tramonto, pensando che qualunque fosse stato il problema di Fabrizia, ad esso si era certamente aggiunto anche il pensiero che, proprio in quel periodo, ricorreva il terzo anniversario della morte di Alessandro e di suo padre, ed era più che sicuro che ciò aggiungesse un carico emotivo non indifferente al suo stato di prostrazione fisica.
Sulla terrazza c'erano anche Yamatake, Jamilah e Sakon, e Sanshiro con Midori. Era raro ormai, vedere questi ultimi due da soli, salvo quando uno di loro era di turno; e anche se nessuno aveva più fatto commenti maliziosi, tutto l'equipaggio si era accorto che Sanshiro passava raramente la notte nella propria stanza. Nemmeno Daimonji aveva obiettato, naturalmente: oltre a voler bene a Sanshiro, riteneva giusto che, chi ne aveva la possibilità, avesse una vita privata e si ritagliasse momenti felici ogni volta che poteva.
Fabrizia era a un angolo della terrazza, seduta su una poltroncina di plastica, le gambe allungate davanti a lei: indossava una canotta nera con un disegno astratto sul davanti in colori fluo e teneva in grembo un blocco da disegno con gli anelli; sul tavolino a fianco, una scatola di pastelli. Voltò la testa, quando sentì arrivare Pete, e gli sorrise.
– Ehi.
– Ehi…
Non ci fu bisogno di altri scambi: che fossero sollevati e contenti di vedersi era stato palesato in quelle due parche, identiche sillabe.
Briz tornò a dedicarsi al suo disegno, e Pete si fermò dietro di lei, osservando il lavoro da sopra la sua spalla. I capelli della ragazza, raccolti sulla sommità della testa con un fermaglio colorato, lasciavano scoperto il tatuaggio alla base del collo.
Con un pastello marrone scuro, Fabrizia dava gli ultimi ritocchi sfumando i capelli disordinati della persona ritratta. A Pete venne da sorridere, un po' per il sollievo di vederla finalmente fuori dalla sua stanza, un po' per il soggetto del suo disegno.
– Senti, credo che tu sia l'unica persona al mondo capace di ritrarre Yamatake facendolo sembrare bello. Perché gli hai fatto gli occhi verdi?
– Uhmm… Forse perché Yamatake ha gli occhi verdi?
– Ma da quando?
– Mah, da sempre, direi. Si vede che non hai l'occhio dell'artista, profano materialone. Controlla tu stesso – rispose Briz, vedendo sopraggiungere il soggetto della loro discussione.
– Ti rendo noto che in Archeologia, un minimo di senso artistico bisogna averlo! – rimarcò Pete.
– Il senso artistico degli archeologi si limita agli oggetti; a me piacciono di più le persone, gli animali… le cose vive, insomma. E poi, tu non sei nemmeno un archeologo finito…
– Anche questo è vero – ammise lui, e, facendo un cenno di saluto al lottatore di sumo che si era avvicinato, lo guardò negli occhi, per controllare ciò che Fabrizia aveva appena affermato.
– Ebbene sì, Capitano – disse Yamatake – Che ti piaccia o meno ho gli occhi verdi, anche se di una sfumatura più scura e torbida, di quella color smeraldo della nostra bella amica qui presente!
– Okay, non posso fare a meno di constatare che è proprio così. E adesso che ti guardo, Yamatake, sei sempre incombente come un armadio, ma ho l'impressione che tu sia meno, come dire… morbido. Che hai fatto?
– Corsa, palestra e dieta, e già da alcuni mesi, se non te ne fossi accorto. L'unico strappo l'ho fatto in Italia, con quella cavolo di salsiccia e quella meravigliosa… com'è che si chiama…? Piadina romagnola, ecco! Beh, non sarò mai un fuscello, questo è pacifico, ma almeno ora dalla ciccia è spuntato qualche muscolo – si vantò il giovanottone, piegando un braccio e mostrando un possente bicipite.
Briz staccò con cura il foglio dall'album e si alzò, porgendolo a Yamatake.
– Te lo avevo promesso, ho mantenuto, e come puoi vedere dal ritratto, io i tuoi muscoli li ho notati. Spero ti piaccia.
– Mi piace molto e Pete ha ragione: sembro quasi bello.
– Chi è bello dentro, lo è anche fuori, amico mio: io ti vedo così.
– Dici? Peccato, allora, che la maggior parte delle ragazze non abbia la vista a raggi X come te, e quelle che ce l’hanno… chissà dove sono! Comunque grazie, Anoressina. E non dirmi di non chiamarti così: in questo momento hai davvero l'aria di chi non mangia da un po'. Sono contento di rivederti in piedi, ero un po’ in ansia – e così dicendo, Yamatake stampò un bacio sulla guancia di Briz e si allontanò, raggiungendo gli altri amici, anche perché… ebbe la netta sensazione di essere di troppo.
Briz si appoggiò alla ringhiera e lo seguì con lo sguardo, chiedendosi se anche i suoi compagni di battaglia non cominciassero davvero a sentirsi più che logorati da ciò che stavano passando. Yamatake malinconico – e a dieta! – era davvero qualcosa al di fuori degli schemi. I suoi occhi si spostarono sul Capitano Richardson che stava al suo fianco, le braccia appoggiate alla ringhiera e lo sguardo perso verso il mare: anche lui sembrava stanco, ma era maledettamente bello anche con quell’aria un po’ triste e tesa.
 
Pete-pensieroso
 
 
Sembrava preoccupato… Per lei? Possibile… Per gli ultimi sviluppi di quell'assurdo conflitto? Sicuramente.
Pete si voltò, appoggiandosi all’indietro e incrociando le braccia sul petto, osservando a sua volta l'amica ancora pallida, nonostante l'abbronzatura estiva. Aveva l'aria fragile: le lentiggini sul naso risaltavano più del solito, aveva gli occhi segnati e le labbra livide e screpolate; Dio, quelle labbra carnose e morbide, che ormai aveva assaggiato un numero sufficiente di volte per sentire terribilmente la mancanza del loro sapore! A lui sembrò comunque bellissima. Richiamò alla mente, per qualche istante, le sensazioni che aveva provato pilotando il Drago Spaziale insieme a lei, e al loro scambio di battute dai sottintesi divertenti ma quantomeno intimi. Di conseguenza, tornare col pensiero ai sensuali e sconvolgenti minuti passati più di un mese prima, sul divano nella stanzetta delle scuderie, fu questione di poco. E per un fugace attimo, senza nemmeno volerlo, si chiese se sarebbe stato poi così sbagliato lasciare che le cose facessero il loro corso e che quello che c'era tra loro si concretizzasse.
Arrendersi… che maledetta, meravigliosa tentazione!
"Oh, andiamo, Richardson! Ci hai già pensato dieci minuti fa!" si rimproverò, riprendendosi immediatamente e dandosi dell'egoista "È stata chiara, con te: non è quello che lei vuole veramente. E se anche così fosse, a che servirebbe? Solo a spezzarle di nuovo il cuore, lo sai di non essere adatto a lei! Se davvero la ami, fai quello che ti ha chiesto, e lasciala in pace".
– Come stai? – le chiese in tono gentile.
– Come una che ha passato due giorni e due notti abbracciata al water: non ho più niente da espellere tranne l'anima, ormai. E il terzo giorno l’ho passato a letto schiantata, a ronfare come un drago. Yamatake non sbaglia, dicendo che sembro una che non mangia da giorni.
– Ma cosa ti è successo? Eravamo tutti preoccupatissimi.
– Non lo so! – tagliò corto lei.
– Balle! Dimmela tutta! E, giusto per chiarire, sappi che mi ricordo benissimo che questo periodo dell'anno per te è molto difficile. Sono tre anni, Briz… lo so – insistette Pete ammorbidendo i toni e, rinunciando a resistere, le accarezzò il dorso della mano che lei teneva posata sulla ringhiera.
Briz guardò le loro mani, reprimendo l'impulso di girare la sua col palmo all'insù e intrecciare le dita con quelle di lui. Anzi, la sfilò lentamente, privandosi volontariamente di quel tenero contatto.
– Non fare il carino con me – disse, un po' più aspra di quanto avrebbe voluto.
– Ho avuto l'impressione che, poche settimane fa, non ti fosse dispiaciuto guidare il Drago Spaziale con me, o che io avessi fatto il carino, la sera prima alla fattoria dei Del Rio – disse lui, rendendosi perfettamente conto che quelle parole facevano decisamente a pugni con ciò che si era prefisso appena un minuto prima. Per fortuna Briz si rivelò, ancora una volta, più saggia.
– Se parli del fatto che avevamo voglia di baciarci, rimuovi, e anche alla svelta: abbiamo preso una decisione, io e te. È vero che ti ho anche detto che ogni tanto non è un male infrangere qualche regola, ma… non mi piace stabilirne, per poi essere anche la prima a contravvenirle. È stato un momento di smarrimento, e lo sai: ritrovarmi di colpo a Boscombroso, vedere la mia casa ricostruita, tuo fratello e Jessie che si baciavano e il chiaro di luna… e le lucciole, Pete! Le lucciole… e tu che, ammettilo, mi hai provocato. E nonostante tutto ciò, sono rimasta ferma sulle mie convinzioni: me lo hai insegnato tu, ad essere dura.
– Hai ragione, come sempre: rimuoviamo e torniamo qui. Cosa ti è successo in queste ultime battaglie? Su questo non transigo: voglio saperlo!
Briz desiderò follemente accostarsi a lui di quel passo che li separava, allacciargli le braccia intorno alla vita, e sentirsi circondare dalle sue. Aveva un bisogno disperato di lui; si fece quasi violenza, per resistere a quella tentazione. Ma aveva anche bisogno di confidarsi su ciò che aveva vissuto durante quegli ultimi scontri con i mostri dell'Orrore Nero. Lanciò un'occhiata agli amici che, all’altro lato della terrazza, a tratti li osservavano, e tornò a girarsi, chinando la testa in avanti, la ciocca bianca a velarle lo sguardo triste.
– È stato stress da battaglia, Pete, un po' come quando siamo scappati da Zhora. Quanti scontri abbiamo sostenuto in questi ultimi venti giorni? Otto, dieci? Ho perso il conto. Ho chiesto molto, forse troppo, al mio fisico e alla connessione. In più, come hai detto tu, c'è la componente emotiva: sì, sono passati tre anni, da quando ho seppellito Ale e papà; fra poche settimane ne compirò ventidue, ma mi sembra di averne quaranta, in questo momento.
– Beh, anche se sei un tantino ammaccata, li porti bene – sdrammatizzò il giovane, strappandole un sorriso che le illuminò lo sguardo, e a lui fece battere forte il cuore.
Briz tornò quasi subito seria, vide che anche gli amici si erano zittiti e forse li ascoltavano, e lei lasciò fare; tanto… non aveva più segreti per nessuno, ormai.
– Già da parecchio prima dell'Italia, è cambiato qualcosa, quando combatto. Lo hai visto anche tu, no?
Lui assentì: – Ho l'impressione che tu sia come… non so… più forte e decisa. Combatti meglio, con più determinazione e più freddezza; e non credo sia solo per l'esperienza che hai messo insieme e i consigli che ti ho dato io in tutti questi mesi.
– Esatto: i tuoi insegnamenti e le tue lezioni, e l'esperienza, sono stati sicuramente preziosi, ma… è la connessione a essere diversa, già da qualche tempo. E questa stranezza ora si è accentuata, forse proprio per il fatto che gli scontri si sono intensificati tanto.
– Cosa intendi per diversa? 
– Se te lo dico… non mi prenderai per pazza?
– Sono stato il primo a credere a Midori, rammenti? E poi tu, sei già pazza di tuo, che vuoi che sia? Non mi stupisco più di niente, per quel che riguarda te – rispose Pete, cercando di metterla con leggerezza, cosa davvero insolita, visto che era lei quella che spesso trovava un lato divertente in tutto, mentre lui era quello pratico e serioso.
– Non so come prenderla, questa tua considerazione – commentò lei con un altro sorriso – Ma il fatto è che… oh, non so come dirlo… non sono più io, a combattere con Balthazar. O meglio, non sono solo io.
Pete la guardò sconcertato.
– Spiegati meglio, perché non sono sicuro di aver capito – le disse, tornando serissimo e sentendosi anche un po' spaventato da quella singolare affermazione.
– Ricordi cosa accadde la prima volta che usai il Thunderbolt?
– Sì: un residuo del DNA di Ale interferì temporaneamente col tuo, quanto bastò per metterti a conoscenza della nuova arma.
– Ecco, il DNA di mio fratello: Doc dice che ora non si limita più ad interferire; ora… si fonde letteralmente col mio, durante la connessione.
– Briz… io a volte ti ho sentita. Anche quella volta con Zhora: è come se tu parlassi, con qualcuno. Ma ho sempre creduto che la tua fosse solo… suggestione, o… uno dei tuoi metodi strampalati per affrontare le battaglie e le prove difficili a cui ti ha sottoposta questo conflitto.
Lei scosse appena la testa.
– Anch’io ero convinta che fosse così, ma… no, non è suggestione. Io lo sento, Pete. E una parte di me… diventa lui! Alessandro, intendo. Io… mi sento lui! E a volte percepisco… la sua voce, che mi suggerisce cosa fare: lui… parla davvero con me, combatte con me! Anche se a volte è come se… volesse dirmi di più, ma non ci riuscisse.
Pete rimase senza parole; sembrava una cosa ben oltre la fantascienza: un film fantasy. Eppure non gli riuscì difficile accettarla, esattamente come a tutti gli altri, che ascoltarono questa rivelazione senza stupirsi più di tanto. Anche loro la sentivano, durante le battaglie, rivolgersi a qualcuno, e nessuno aveva avuto bisogno di fare domande, su chi potesse essere questo qualcuno. La mente di Pete si illuminò su un paio di cose e quello che disse stupì lui per primo, soprattutto perché… ci credeva!
– È per questo che fatichi a disconnetterti? Per non dover lasciare Alessandro ogni volta?
Briz si stupì di quanto facilmente Pete ci fosse arrivato ma, soprattutto, di come avesse accettato questa assurdità con la massima naturalezza.
– Penso di sì, ma credo che il problema stia anche nel fatto che… forse nemmeno lui vuole… lasciarmi andare. E non so più cosa fare – finì, con voce spezzata, chiudendo gli occhi.
– Io ce l'avrei, una soluzione – suggerì Pete a voce bassa, forse neanche lui convinto fino in fondo – Credo che… dovresti ritirarti. Smetti di combattere.
Briz gli spalancò in faccia due occhi immensi, non potendo credere che proprio Pete le avesse detto una cosa del genere! Effettivamente, arrendersi sembrava la soluzione migliore… anzi no, la tentazione migliore; ma sapeva che non lo avrebbe fatto.
– Smetto… di combattere? Ma sei fuori!? Non posso farlo! Persino tu sei costretto ad ammettere che Balthazar è diventato determinante quanto il Gaiking! Lo abbiamo appena appurato: non sono più il disastro che ero all'inizio, Pete! Stai tentando di nuovo di escludermi, di cacciarmi via? – gli urlò in faccia, perdendo la calma e facendo trasalire gli altri.
– Sto tentando di salvarti la vita, piccola squilibrata! – gridò Pete a sua volta, sorprendendo i loro compagni: era davvero da un pezzo, ormai, che non li si vedeva più litigare.
– Possibile che proprio tu non capisca, Richardson? Gli ultimi tasselli per costruire tutto quello che io sono diventata in quest'ultimo anno, mi hai aiutata tu a metterceli! Ritirarmi vorrebbe dire mandare a puttane tutto il lavoro che ho… che tutti abbiamo fatto, finora! Cazzo, preferisco morire mentre combatto, che sopravvivere girandomi i pollici, guardando voi che fate anche la mia parte! Chi credi di essere, per dirmi cosa fare? Non sei mio padre, non sei mio fratello! Tantomeno… qualcos'altro!
– Oh, sì, che sono qualcos'altro, invece! Come minimo, un amico che in almeno un paio di occasioni ti ha salvato le chiappe! – precisò lui, strofinandosi appena il braccio sinistro, in un gesto istintivo che le fece cadere lo sguardo sulla cicatrice procurata dal fucile zelano più di due mesi prima. Era ancora leggermente arrossata, ma il dottor Watanabe aveva fatto un buon lavoro: col tempo si sarebbe schiarita e attenuata, anche se non sarebbe mai scomparsa del tutto.
Briz si toccò quella che, a sua volta, sfoggiava sull'avambraccio destro, e bastò quel gesto per ricordare a Pete che la ragazza ne aveva una simile anche sulla coscia sinistra, coperta dai calzoni arancioni di cotone leggero. Per qualche inspiegabile motivo, gli venne in mente che nemmeno in piena estate, aveva mai visto Briz con dei pantaloni più corti di quelli che indossava ora, che le arrivavano a metà polpaccio. Di certo non era una ragazza che amasse scoprire il proprio corpo più di tanto, per farsi notare: le bastavano i colori sgargianti dei suoi abiti, anche se era convinto che chiunque l’avrebbe notata anche vestita di grigio. Era ben altro, in lei, ad attirare l’attenzione, e non se ne rendeva nemmeno conto.
– Direi che sull’argomento salvarci a vicenda siamo indiscutibilmente in pareggio, quindi chiudiamola qui! – lo fulminò brusca Fabrizia, distogliendolo dalle sue futili considerazioni e accantonando la questione – Nemmeno Sanshiro ha preteso che Midori si ritirasse, e ne avrebbe anche avuto il diritto! Tu non puoi chiedermi questo, lo sai – concluse in un soffio.
– Sì, Briz, hai ragione, non posso chiedertelo – si arrese lui, alle sue argomentazioni – Vorrei solo evitare di ritrovarmi a piangere al tuo funerale.
– Tranquillo, so che sapresti trattenerti, nell'eventualità – affermò Briz, con raggelante durezza.
Pete non seppe cosa rispondere; ancora una volta quella piccola folle era riuscita a metterlo a tacere, e con una freddezza che, lo sapeva, non le apparteneva. Aveva davvero imparato bene, e lui non era per niente sicuro che questa Briz, così scostante e adamantina, gli piacesse di più di quella che gli aveva insegnato a ridere, ad amare gli animali, a prendere parte della vita con più leggerezza e persino a considerare positive le emozioni. Sospirò, frustrato, passandosi una mano tra i capelli.
Una folata di vento caldo agitò il blocco per gli schizzi di Briz, posato sul tavolino: Pete si ritrovò a guardare, uno dopo l'altro, i disegni che si susseguivano, nei fogli agitati dalla brezza. Non poté fare a meno di pensare che la ragazza fosse davvero brava, e si chiese se non avesse preso un abbaglio, quando aveva pensato che fosse innamorata di lui, basandosi sui disegni che aveva visto nel suo telefono. I loro amici e compagni di battaglia non erano ritratti con meno precisione di lui e, da quei tratti e colori sfumati, traspariva tutto l'affetto che provava per loro. Poi pensò a quanto fosse inutile cercare di prendersi in giro: i disegni erano stati solo il primo pretesto, erano altre le cose che lo avevano convinto di ciò che Fabrizia provava per lui.
I suoi pensieri furono interrotti, quando il blocco rimase aperto su un disegno che gli fece venire la pelle d'oca: era a carboncino, senza colori, cupo e scurissimo. E non solo non era nemmeno finito, ma era stato da Briz stessa deturpato da larghi e violenti scarabocchi neri. Il volto, se così si poteva chiamare, mezzo cancellato con tanta rabbia, era quello ghignante del Generale zelano Ashmov.
– Briz… – ansimò Pete, senza fiato, raccogliendo il blocco.
La ragazza vide ciò che aveva inquietato l'amico e sospirò.
– Ultimamente, ogni volta che mi connetto a Balthazar, la parte di Alessandro che mi entra nella mente, per prima cosa mi mostra questa immagine.
– Ah, bello, e non ha niente di più piacevole da farti vedere, il tuo caro fratellino? – sbottò Pete, attonito.
– Non so perché accada… vuole dirmi qualcosa, secondo te? – gli chiese, con voce spenta.
"Eccome, se vuole dirti qualcosa! Ma non mi sento proprio di essere io a spiegartelo" pensò Pete impaurito, guardando gli occhi altrettanto terrorizzati di Briz.
Come poteva dirle che la sua opinione era che l'immagine di quell'orribile mostro, fosse l'ultima cosa che aveva occupato la mente di Alessandro prima di morire poiché, con ogni probabilità, era stato proprio lui ad ucciderlo? No, non sarebbe stato lui, a dirle una cosa del genere; anche se, probabilmente, lei lo sospettava già.
Briz appoggiò i gomiti alla ringhiera del terrazzo e si nascose il viso tra le mani, affranta. Al suo silenzio e ai singhiozzi soffocati che cominciarono a scuoterla, Pete si sentì il cuore come stretto in una morsa; la fece staccare dalla ringhiera, per attirarsela fra le braccia, ma lei lo respinse.
– Lasciami stare! Non toccarmi, ti prego! – esclamò cercando di essere dura, ma risultando solo disperata.
Gli girò le spalle, attirando ancora gli sguardi dei loro amici che, di nuovo, non si sentirono di interferire; non era un vero litigio, lo capirono.
– Voltati e guardami, Lionheart! – le ordinò, prendendola per un braccio e costringendola a obbedirgli.
Lionheart.
Il suo cognome in inglese, chissà perché, la lasciava sempre un po' spiazzata, come quando lui la chiamava con il suo nome per intero. Briz si perse nei suoi occhi, irrequieti ed ansiosi, che avevano lo stesso colore del cielo estivo, e tutti i suoi muri e le sue difese si sgretolarono miseramente.
La voglia di arrendersi ebbe per un attimo il sopravvento: arrendersi e basta, lasciar perdere le battaglie, Balthazar e la connessione, ritirarsi dal suo ruolo di guerriera, cedere all’amore per questo ragazzo bello e dal cuore inquieto, che senza nemmeno volerlo si era preso il suo, di cuore… e lui, forse, non avrebbe saputo nemmeno cosa farsene, di quel piccolo muscolo pompa-sangue, martoriato e ricucito fino allo sfinimento. Arrendersi a tutto… e prendersi quello che lui avrebbe potuto darle… perché no? Non aveva forse già dato, fatto e sofferto abbastanza? Che altro voleva la vita da lei?
Tuttavia, il senso del dovere incombeva, facendola sentire lacerata in due.
– Ma Lionheart dove? Cosa? Quando? Hai ragione, voglio continuare a combattere ma… mi sento solo una stupida fanciullina che gioca a fare il guerriero! Guardami, ormai vi procuro più grattacapi che aiuto! – gridò, la voce rotta da un gemito, mentre si lasciava travolgere, suo malgrado, da una crisi di pianto disperato. E così, finì per lasciare che Pete se la attirasse tra le braccia: un’altra resa.
Non sapendo che altro fare, il giovane le aprì il fermaglio che le tratteneva i capelli, passandogli le dita attraverso e accarezzandole la nuca. Lasciò che Briz sfogasse nelle lacrime tutte le sue incertezze, i suoi terrori e le sue frustrazioni; ormai aveva imparato anche lui che, a volte, piangere era l'ultima risorsa che restava per non perdere la propria umanità; e, alla fine, decise di appoggiarla nella sua decisione.
– Shh… piantala. Non sei mai stata stupida, e fare il guerriero ti riesce dannatamente bene. Non stai giocando, non l'hai mai fatto.
– Ma se mi hai accusato proprio di questo, il giorno in cui ci siamo conosciuti! – singhiozzò lei.
– E ti sembra che siamo le stesse persone di allora?
Briz mosse appena la testa contro la sua spalla, in un cenno di diniego, e lui proseguì, cercando di farle distogliere la mente dagli orribili pensieri che la tormentavano.
– Hai disegnato Ashmov semplicemente perché nel Sahara eravamo suoi prigionieri, ed è l'unico di quei quattro mostri che abbiamo visto così da vicino. Non pensarci più. Qualche altro giorno di riposo e tranquillità e tornerai ad essere la mia fanciullina forte e coraggiosa. Vedrai se mi sbaglio.
Gesù, l'aveva detto davvero! La mia fanciullina! Alla fine ci era cascato e, se non fosse stato attento, chissà cosa avrebbe finito per lasciarsi sfuggire. Strinse più forte la ragazza in lacrime, accarezzandole le spalle e cullandola appena, premendole le labbra sulla tempia, mentre lei lo abbracciava disperatamente.
Pete sapeva che se Briz avesse deciso di smettere di combattere, non l'avrebbe amata di meno; per contro, la sua scelta di non arrendersi, nonostante ciò che le costava, gliela faceva amare ancora di più.
Gli amici si avvicinarono alla coppia, avevano capito tutti cosa stesse affrontando Briz in quell'ultimo periodo: lei e Balthazar erano effettivamente diventati più forti, ma a quale prezzo? Quella forza finiva per rivalersi sulla pelle di Fabrizia. Yamatake, Sanshiro e Midori, Sakon e Jamilah, si chiesero se ne valesse la pena. Ma a quanto pareva, Briz aveva già preso la sua decisione e loro potevano solo starle vicino e sostenerla in quella scelta, proprio come stava facendo anche il loro Capitano; anche se era più che evidente che il suo modo di starle vicino, almeno in quel momento, era sicuramente più materiale del loro.
Si stavano giusto chiedendo se la storia tra quei due avrebbe mai imboccato la strada giusta, quando un segnale risuonò negli auricolari di ciascuno: si resero subito conto che non era l'allarme che annunciava un attacco, ma solo una comunicazione vocale. Il tono aveva comunque un'urgenza preoccupante:
“Attenzione. Tutti i membri dell'equipaggio sono attesi fra trenta minuti in plancia di comando dal dottor Daimonji, per una riunione tattica straordinaria. Ripeto: tutti i membri dell'equipaggio in plancia fra trenta minuti”.
Briz sollevò il volto che teneva nascosto contro il collo di Pete e sondò il suo sguardo: fece un sorriso tirato e tirò su col naso chiuso.
– Riposo e tranquillità, avevi detto? E magari ci credevi, pure!
Pete scosse appena la testa, come per dire che anche lui si sbagliava, qualche volta, e col pollice le asciugò una lacrima dal viso. Briz sfiorò la mano di lui con la sua, guardò gli amici e sospirò: sarebbe mai finita? Si staccò riluttante dal suo Capitano, non prima di avergli lasciato a sua volta una rapida carezza su una guancia.
Poi si ricompose, asciugando con un gesto quasi rabbioso le ultime lacrime col dorso di una mano e, tutti insieme, si apprestarono ad obbedire all'ordine.

                               
> Continua…


 
Non ho commenti da fare.
Va là, davvero? Per una volta ci risparmi le tue baggianate? (NdLettori sollevati…)
  
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