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Autore: Akai Hasu    28/06/2017    5 recensioni
Tratto dal Testo:
"La natura si era ripresa in modo strabiliante da quando il pianeta non era più sotto il controllo degli Umani. Riusciva a percepirlo, era come se la natura stesse parlando e le stesse dicendo che ora andava tutto bene. Però percepiva anche altro. Sentiva ingiustizia e odio verso la loro specie ovunque, e sentiva paura nelle persone più sagge. Gli altri non volevano accettarlo. Pensavano che tutto fosse perfetto, che fossero tutti liberi. Ma nel profondo sapevano che non sarebbe durato."
Non era più accettata la diversità. Doveva prevalere solo una specie.
Ogni altro essere vivente distrutto.
Chiunque fosse anche solo minimamente diverso.
Dove una tirannia era abilmente nascosta da promesse di pace
Pensavano di avercela fatta.
Che fossero morti tutti.
Ma si sbagliavano.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Gwen, Nuovo Personaggio, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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THE STRANGER

 

Una giovane donna camminava per le strade innevate di una tranquilla città. Ogni passo era esitante, ed ogni sospiro addolorato. Teneva tra le braccia un cesto, e lo stringeva gelosamente al suo petto come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Era completamente coperta da un mantello sgualcito, ma chi osservava bene poteva notare dei lunghi capelli neri e delle lacrime solcare il suo volto pallido.

Passando, veniva guardata in modo diffidente dai nobili abitanti che anche a quell’ora della notte si ritrovavano per chiacchierare. La donna li sentiva mormorare alle sue spalle, e dentro di sé aveva capito che l’avevano riconosciuta. Non le rimaneva molto. Non aveva più tempo per i dubbi. Si fermò qualche secondo per prendere un gran respiro, per poi riavviarsi a passo spedito.

Ogni tanto si guardava intorno con ansia, controllando se qualcuno la seguisse. Lanciava anche occhiate occasionali al posto in cui si era diretta: c’erano piccole case, e tutte avevano l’aspetto di ville di campagna. Non c’erano strade vere e proprie, solo sentieri fatti di ciottoli. Oltre quello, solo distese d’erba. Gli abitanti erano tutti in armonia tra loro, sembravano tutti felici. Doveva ammetterlo. La natura si era ripresa in modo strabiliante da quando il pianeta non era più sotto il controllo degli Umani. Riusciva a percepirlo, era come se la natura stesse parlando e le stesse dicendo che ora andava tutto bene. Però percepiva anche altro. Sentiva ingiustizia e odio verso la loro specie ovunque, e sentiva paura nelle persone più sagge. Gli altri non volevano accettarlo. Pensavano che tutto fosse perfetto. Ma nel profondo sapevano che non sarebbe durato.

Continuando a mantenere la calma e un atteggiamento sicuro per non dar ancora di più nell’occhio, avanzò verso un uomo. Aveva un aspetto regale, ed appena lui le rivolse la parola, tutti gli sguardi diffidenti svanirono, e nessuno le prestò più attenzione.

L’uomo si diresse verso un sentiero secondario, un posto molto isolato, nella quale però li aspettavano una seconda donna, anch’essa vestita in modo lussuoso. A differenza dell’uomo, che rivolgeva alla giovane sguardi calorosi, lei la guardava in modo spregevole, quasi la disgustasse la sua presenza.

“Mia cara…” disse lui. La giovane gli sorrise e si tolse il mantello, asciugandosi le lacrime occasionali. Si scorgevano sul suo viso pallido degli occhi color verde acqua e sulla guancia un simbolo dello stesso colore*.

“Mio Rothek… lei non sa quanto le sono grata per il favore che mi sta facendo…” disse lei con un fil di voce. Il re le sorrise.

“Mia cara Helen, dopo che suo marito sacrificò la sua vita per salvare la mia… sarebbe il minimo” le disse lui.

Il sorriso di Helen si piegò per un’istante, mentre i suoi occhi si inumidirono. Strinse nuovamente il cesto a lei, e l’uomo le mise una mano sulla spalla per confortarla.

“Giuro sul mio onore che finché io sarò ancora in vita, non le accadrà niente.” Le promise.

Lei sorrise, mentre una lacrima scendeva fino al mento. Si separò lentamente dal cesto e, tremante, glielo affidò. La donna, Helen suppose fosse la sua nuova moglie, si avvicinò per vedere.

All’interno si trovava una piccola bambina. Dimostrava circa un anno, e nonostante fosse ben sveglia, non si azzardava a far rumore. Aveva i corti capelli neri come quelli della madre, ma a sua differenza, gli occhi e il simbolo che aveva sulla guancia erano blu cobalto.

“Lei è… lei è Gwen.” Disse con voce debole, per poi guardare la regina. Gwen era un nome da Umano, e lei li disprezzava con tutto il cuore. Infatti, come si aspettava, assunse un espressione disgustata.

“Non si chiamerà Gwen finché vivrà da noi.” Disse con voce fredda. Il Rothek la guardò con disappunto, mentre Helen abbassò lo sguardo.

“Mia Rothetin…” provò a dire, ma venne zittita dalla donna.

“Andiamo, mio caro” disse la Rothetin a suo marito, che guardava la piccola. Helen si fiondò un’ultima volta sulla bambina, mettendole le mani sul viso.

“Piccola mia…” disse con voce spezzata “ricorda chi sei” la baciò sulla fronte, mentre delle lacrime le sfioravano le guance “ricorda che sei una Lyrothiem, e dovrai andarne sempre fiera”.

La madre cominciò a singhiozzare, e con suo dispiacere si separò dalla figlia, che con gli occhi ancora aperti e vispi, guardava incuriosita il Rothek.

Helen prese il mantello da terra, e se lo riavvolse intorno. Sapeva che era corsa incontro alla morte venendo a Pymessek. Era la capitale del regno dei Setholyrem, e i Lyrothiem erano esiliati dai loro territori. Sarebbe stata uccisa appena scoperta.

Però aveva dovuto farlo. Voleva che la sua Gwen vivesse, e non era al sicuro con lei.

Guardò la Rothetin, che ricambiava il suo sguardo. Il Re e la sua bambina erano già lontani, mentre una piccola figura era comparsa. La riconosceva come la figlia del Re, e da quel che si narrava aveva preso la bontà del padre.

La guardò con sguardo implorante, e lei, sorridendo triste, annuì. La piccola avrebbe fatto in modo che sua figlia sapesse, sapesse tutto.

Inaspettatamente, la Rothetin disse qualcosa in Lyrico, lasciando la figlia perplessa. Non parlava la sua lingua dai tempi della Grande Battaglia, ma appena delle guardie le si avvicinarono, capì. Sospirò affranta. Se lo aspettava.

Si girò verso di loro, dicendo con voce decisa una delle poche parole che si ricordava della sua lingua madre: Syrem, cuore.

Lentamente, si inginocchiò, portando le braccia dietro la schiena ed alzando la testa. Uno dei soldati tirò fuori un arco e una freccia. Quest’ultima venne incendiata, ed Helen si ricordò di quando i Lyrothiem prigionieri venivano bruciati dai Figli del Sole. Si diceva che fosse il loro modo per dire che il calore e la luce avrebbero sempre sconfitto il freddo e le tenebre.

Sorrise nostalgicamente pensando ai tempi in cui Sole e Luna vivevano ancora in armonia.

Ripensò a suo marito, che si era così coraggiosamente sacrificato per salvare il più valoroso dei suoi nemici. Poi a sua figlia, che sotto la custodia di quell’uomo non avrebbe potuto che avere una vita degna di essere chiamata tale.

Con il ricordo delle persone che aveva amato e la voce della piccola principessa che implorava la madre, chiuse gli occhi e lasciò che il Sole le bruciasse il cuore.

 

 

Era notte fonda, e, attraverso dei corridoi poco illuminati, stava correndo una ragazza minuta, di forse 12 anni. La suddetta indossava un lungo abito lilla, aveva occhi color argento e portava i chiari capelli biondi in una treccia ordinata. Teneva stretta al petto due libri dalla copertina blu, tra i quali spuntava una lettera ormai ingiallita.

Dopo qualche minuto riuscì ad arrivare alla sua meta, una semplice stanza dalla porta nera, forse più trascurata delle altre.

All’interno c’erano un letto dalle coperte sbiadite, una libreria colma di libri e una scrivania piena di fogli e matite sparse anche a terra. Sopra la scrivania, in punta di piedi, si trovava una piccola bambina che non dimostrava più di 5 anni, che invano provava ad affacciarsi ad una  finestra posta troppo in alto.  La ragazza ridacchiò.

“Gwen, per favore, è troppo in alto per te, rischi di farti male” disse con voce calma, avvicinandosi alla scrivania e prendendola in braccio.

“Ma io voglio vedere la luna!” disse la piccola con voce sognante.

La bionda sorrise e la poggiò sul letto, sedendosi di fianco a lei. Gwen si lasciò cadere all’indietro, ridendo, per poi scompigliarsi i capelli.

“Guarda Dylhes, mi sono tagliata i capelli da sola!” affermò rimettendosi seduta e scuotendo la testa. Dylhes si accigliò e sorrise.

“Si vede, piccola mia. Ma credo tu gli abbia tagliati un po’ troppo corti” le disse ridacchiando. Sentendola, la piccola si alzò e raggiunse uno specchio lì vicino. Appena si vide, assunse un’espressione delusa.

“Dylhes?” disse con voce triste

“Si, piccola?”

“Mi mancano i miei capelli lunghi” affermò con tristezza, mentre l’altra scoppiò a ridere.

Gwen si imbronciò e provò a spintonare la sua amica.

“Non ridere di me!” disse, mentre l’altra continuava a ridere. Si risedette sul letto mantenendo il broncio finché la bionda non smise.

La più grande si avvicinò per abbracciarla, scompigliando i corti capelli neri e accarezzando il simbolo blu che aveva sulla guancia finché non tornò a sorridere.

“I capelli cresceranno presto, e tu resti comunque bellissima” le disse con voce dolce, ma presto si accorse che l’attenzione della piccola non era più su di lei.

La luna si era alzata maggiormente in cielo, e ora era ben visibile da quel punto della camera. Gwen si alzò in piedi e restò a guardarla incantata, completamente catturata dalla sua bellezza.

I raggi luminosi passavano dalla finestra, colpendola in pieno viso, facendole storcere il naso divertita e far brillare il simbolo blu. L’amica la guardava dolcemente. Per tutto quello che sua madre aveva provato a fare, Gwen era e sarebbe rimasta una Figlia della Luna, e niente l’avrebbe fatta cambiare.

“Vieni, sdraiati qua” le disse, indicando il posto vicino a lei. La corvina si riscosse dai suoi pensieri ed obbedì, però sdraiandosi sulle gambe dell’altra, che le sorrise.

“Sorellona?” disse dopo un po’ con voce bassa e guardando il soffitto spoglio.

“Si, Raggio di Luna?” rispose, facendola ridere, come sempre faceva quando la chiamava così.

“Perché tu mi chiami Gwen e la Rothetin mi chiama Zyria?” chiese incuriosita. La sorella pensò a come poterglielo spiegare, senza che la bambina si facesse ulteriori domande.

“Perché Zyria è un nome tipico del nostro popolo, mentre Gwen è un nome che usavano gli umani. Gwen non è però lo stesso nome che è Zyria. Come dire… non è la sua versione in lingua umana, come lo è Dawn per il mio nome ” rispose, sperando di non ricevere altre domande.

“Cosa vuol dire Zyria?” domandò, guardandola. La bionda scosse la testa e ricominciò a pensare. Come dirle il vero significato? Sconosciuta. Estranea. Come dirglielo senza che le chiedesse chi era lei?

“Significa straniera” rispose una terza voce. Le due bambine si girarono verso la porta, dove si trovava il Rothek, appoggiato ad una parete. Gwen sorrise a trentadue denti e gli corse incontro, mentre lui si era inchinato alla sua altezza per abbracciarla. Si rialzò con lei in braccio e si avviò verso il letto, per poi sedersi di fianco alla figlia.

“Straniera perché non sappiamo da dove vieni. Però non imbronciarti, non è un male, piccola mia” le disse il re, mentre lei la guardava prestandogli tutta la sua attenzione.

“Non è un male, venire da terre sconosciute. Vuol dire che sei speciale.” Finì toccandole il naso e facendola ridere.

 “Però io chi sono?” disse alzandosi in piedi e tenendosi aggrappata alla barba del re, che lasciò un lamento di dolore.

“Perché pensare a chi eri se puoi pensare a chi diventerai?” disse sorridendo provando a togliere le mani della bimba da lui.

Lei sembrò pensarci su. Dopo qualche secondo si convinse e ritornò sulle gambe della sorella, prendendo uno dei due libri che aveva portato.

Prima che la maggiore potesse dirle di cosa parlava, la Rothetin comparse davanti alla porta.

“Mio Re, è il caso che lei torni nelle sue stanze” disse con tono freddo, tenendo lo sguardo gelido puntato sulla bambina. Il Rothek sospirò dispiaciuto e si alzò dal letto.

“Hai ragione, si è fatto tardi. Dylhes, vieni anche tu” ordinò. La ragazza provò a ribattere, stringendo a sé la sorella minore, ma il padre non volle sentire storie.

“Andiamo figlia mia, non è un bene per una Figlia del Sole stare così vicino… alle Tenebre” aggiunse la madre in tono spregevole, continuando a guardare Gwen, mentre la Seth la guardava di sottecchi.

Diede un bacio sulla fronte alla piccola Lyr e se ne andò con il padre. La donna restò a guardare la piccola straniera, fino a che lei non si alzò di scatto, correndo verso a porta. Appena le passò vicino la afferrò con forza per il braccio, ignorando i suoi lamenti di dolore.

“Dove credevi di andare?” chiese a voce bassa guardandola in cagnesco. La piccola rimase in silenzio, senza osare aprir bocca o alzare lo sguardo per la paura che le incuteva.

“Allora?!” richiese, scuotendola violentemente, facendola sobbalzare e singhiozzare.

“Dylhes ha… ha scordato i libri” rispose con voce tremante, senza osare ancora guardarla. La Rothetin sbuffò irritata, e, alzandola, la scaraventò verso il letto, facendola urlare di sorpresa e dolore, quando la sua testa andò a sbattere contro la parete.

Dopo averle detto delle parole in Lyrico che la piccola non aveva mai sentito, se ne andò, lasciando la piccola Gwen con il viso pieno di lacrime tra le coperte e il sangue blu sulla parete che lentamente svaniva.

 

ME

SALVE!

Sono tornata con questo nuovo progetto a cui tengo molto, e spero che vi piaccia.

Piccole precisazioni:

simbolo di Gwen: http://24.media.tumblr.com/tumblr_lonswrwpez1r06jffo1_r1_500.png la lettera G

Parole nella lingua:

-Lyrothiem= popolo, Figli della Luna

-Setholyrem= popolo, Figli del Sole

-Lyrico= lingua parlata dai due popoli

Zyria= straniero, “soprannome” di Gwen

Dylhes= Dawn

Syrem= cuore

Rothek= re

Rothetin= regina

Forse è tutto un po’ confuso, sulla faccenda delle due dinastie e della Guerra, ma verrà spiegato tutto nei prossimi due capitoli.

Spero sinceramente che vi piaccia!

-Akai Hasu

   
 
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