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Autore: Acqua e Alloro    29/06/2017    5 recensioni
Fanfiction interattiva: iscrizioni chiuse
E se George non avesse perso solo un orecchio in battaglia? Se non fosse proprio ritornato a casa?
George è stato catturato e l'unico modo che ha per tornare a casa è quello di intraprendere un lungo viaggio insieme ai suoi compagni, braccato dai mangiamorte e con quasi nessuna possibilità di sopravvivere.
"Tu non sei morto. Non dimenticarlo mai."
Genere: Angst, Avventura, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Bellatrix Lestrange, George Weasley, Maghi fanfiction interattive, Mangiamorte, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Seeking Him
 
L’aveva cercato in lungo e in largo: giù tra le stradine inglesi, lungo gli argini dei fiumi, oltre le colline che si aprivano al di là della periferia urbana e persino nei cunicoli bui delle città.
Ma di lui non c’era traccia.
Provò un’altra volta, non poteva arrendersi. Strinse le dita ormai gelide al rigido manico di scopa, aguzzando la vista in cerca di una chioma color zenzero. Si era avvicinato al suolo per poter scrutare meglio tra il grigio e il nero della cittadina, ma non aveva ancora trovato niente. Il vento tirava più forte ora, Remus poteva sentire i suoi  pochi capelli smuoversi nell’aria mentre gli occhi guizzavano da una parte all’altra del paesaggio.
Gli aveva detto di rimanere vicino, dannazione. Glielo aveva detto.
L’ultima volta che lo aveva scorto tra la coltre di mantelle nere sembrava star bene, forse un po’ inorridito e sgomento di fronte alla miriade di maledizioni che venivano scagliate nel cielo, ma ragionevolmente integro. E Remus era stato troppo occupato ad occuparsi dei Mangiamorte per riuscire a star dietro ai movimenti del ragazzo. Ora, però, si dannava per averlo perso di vista.
Aveva volato fino alla passaporta sperando di trovare George lì ad aspettarlo, ma le sue speranze si erano dissolte prima ancora di mettere piede a terra. L’unica sfumatura rossa visibile in quella zona era quella della lattina vuota che giaceva tra i fili d’erba secca del campo agricolo, uno dei tanti campi che rivestivano al superficie della Gran Bretagna. A Remus sarebbe bastato prendere in mano quella lattina per arrivare alla Tana in tempo, ma non l’aveva fatto. Non si era nemmeno fermato a pensare, a chiedersi se Tonks stesse bene, che aveva fatto dietrofront con la scopa ed era sfrecciato nuovamente nel cielo nero di agosto, dritto nella tana del lupo.
I mantelli scuri dei Mangiamorte, però, erano scomparsi dall’orizzonte. Remus si era guardato più volte attorno, guardingo, ma nessun nemico si era mai fatto avanti per colpirlo, cosa che aveva fatto aggrottare le sopracciglia al licantropo.
Perché non erano più lì? Che fine avevano fatto quei bastardi? Tutte domande che sarebbero rimaste senza risposta, ovviamente.
Si abbassò di diversi metri così da essere più vicino al terreno e poter scrutare meglio tra le vie oscure della città, ma non riuscì comunque a scorgere anima viva. I Mangiamorte dovevano aver già fatto ritorno alle loro rocche, perché Remus non udiva alcuno schianto di bacchetta nelle immediate vicinanze.
Fece scricchiolare la schiena, che non era più abituata a quei lunghi voli in avanscoperta.
Aveva perlustrato diversi viottoli, ma il tratto che avevano percorso era così lungo e le città che avevano superato così tante e vaste che la sola idea di non averlo ancora trovato gli chiuse lo stomaco in una morsa.
Cercò di concentrarsi meglio, ma più il tempo passava e più la sua vista cominciava a fare cilecca, segno che non era più un giovincello. Si sentiva debole, stanco e decisamente assetato. Aveva la gola secca, anche se non sapeva bene spiegare se fosse dovuto alla miriade di incantesimi che aveva pronunciato in battaglia o più semplicemente fosse una diretta conseguenza della profonda preoccupazione che muoveva il suo cuore in quel momento.
Voleva trovare George a tutti i costi, ma non era sicuro di poter resistere ancora a lungo a cavallo di quella scopa.
“Andiamo, Remus” si fece forza, stringendo nuovamente la mano infreddolita sul manico in legno d’olmo. Cambiò traiettoria per l’ennesima volta quella sera, puntando verso l’alto delle irraggiungibili e torbide nuvole che coprivano la volta del cielo. Era da molto che non pregava le stelle, ma in quel momento l’avrebbe fatto; voleva tuffarsi in quei piccoli e pallidi soli, interrogarli, baciarli, supplicarli. Voleva chiedere loro dove fosse George, scongiurarli di proteggerlo se si trovava ferito o in punto di morte.
No, non voleva neanche pensarci. George morto non era un’immagine che voleva raffigurarsi nella mente, non quella sera, non con tutto quello che aveva passato, non con la responsabilità che gli gravava sul petto. Aveva giurato, promesso, assicurato a Molly che avrebbe vegliato su suo figlio, e aveva fallito. Con che faccia avrebbe mai potuto presentarsi alla Tana? Con quale forza sarebbe stato in grado di guardare i coniugi Weasley mentre con la voce spezzata li avvertiva dell’improvvisa dipartita, o scomparsa, del figlio?
Rallentò progressivamente mettendosi ritto sulla scopa, i piedi che penzolavano nel vuoto a metri e metri d’altitudine. Lanciò un ultimo sguardo ai caseggiati che si protraevano all’orizzonte, e sentì un ago pungergli il cuore. Se George fosse stato ancora vivo, l’avrebbe già trovato, si sarebbero scontrati in volo nel giro di una manciata di minuti. Non vi erano nemici da cui nascondersi, nessun avversario da cui scappare, niente lampi di smeraldo ad abbagliare il cielo ... solo la notte, il buio e il silenzio.
Quell’improvvisa comprensione spinse Remus a guardarsi intorno: era solo.
Solo, il che voleva dire che George non era lì.
Sentì gli occhi inumidirsi un poco e il proprio corpo farsi più pesante. Non era riuscito a proteggerlo.

Si smaterializzò nel cortile dei Weasley appena qualche attimo dopo, la scopa ben stretta alla mano. Sentì la faccia vuotarsi di ogni emozione fino a trasformarsi in una patetica, e smorta, maschera di cera. Qualche intrepido bambino avrebbe potuto tirargli una pluffa addosso e Remus non se ne sarebbe neanche accorto. In quel momento nemmeno la luna pareva fargli paura.
Il suo corpo non era più un composto di carne e ossa. Sentiva le spalle cadere più del solito, la schiena incurvarsi appena a formare la figura di un uomo rannicchiato. Le gambe, lunghe e longilinee, avevano assunto la forma di due stecchi raggrinziti e la pelle del volto, da sempre caratterizzata dai lividi segni di chi non dorme abbastanza, ora sembrava addirittura più spettrale, cadaverina. Remus Lupin non era più un uomo, era l’ombra della morte, il cupo mietitore che con la sua falce recide vite innocenti, il pallido spettro che bussa alla porta della famiglia della vittima e con un’insolenza vergognosa comunica il decesso dello sventurato.
Remus però non era pronto a bussare a quella porta. Avrebbe voluto nascondersi nel labirinto di spighe che si espandeva alle sue spalle o riprendere la ricerca appena interrotta, tutto pur di rinviare quella trista faccenda.
Rimase paralizzato per diversi minuti, in piedi come uno spaventapasseri mosso appena dal vento, nell’oscurità della notte che pareva divorare ogni lembo di luce che incontrava sul suo cammino, mentre dietro le piccole e squadrate finestre della Tana si poteva intravedere un fievole chiarore.
Remus inghiottì a vuoto sentendo dei rumori provenire dall’interno. Sembravano essere tutti in casa, sebbene vi fosse un silenzio angoscioso nell’aria, almeno di fuori.
Prese un respiro profondo per farsi coraggio, era suo dovere varcare quella soglia. Non arrivò nemmeno a fare un passo, però, che la porta dell’abitazione si aprì all’improvviso, rivelando una figura alta e ben piazzata: Kingsley Shacklebolt sembrava in procinto di andarsene, ma si bloccò non appena incrociò la vista del lupo mannaro.
«Lupin!» esclamò sorpreso, ma sollevato, alzando le sopracciglia fino a farle scomparire sotto il cappello blu del suo abito. L’Auror parve cogliere subito l’aria abbattuta dell’ex professore di Hogwarts e i suoi occhi si spostarono dal volto emaciato del licantropo alla figura invisibile accanto a quest’ultimo. Lupin lo vide sgranare gli occhi e contrarre un poco i muscoli del collo, tornando a fissarlo con un pizzico di orrore e una richiesta di spiegazioni che però Remus non riuscì a dargli.
Il segretario del Primo Ministro della Magia avrebbe dovuto puntare la bacchetta contro quell’uomo strampalato che sostava ancora in piedi di fronte alla Tana, chiedergli delle ultime parole di Silente ed esser pronto a schiantarlo in caso avesse risposto in modo errato, ma non lo fece. Kingley non aveva bisogno di prove per sapere che quello che aveva di fronte era davvero Remus Lupin, glielo leggeva sul volto. Un traditore, un infiltrato non avrebbe mai potuto provare un simile dolore alla perdita di chi aveva tradito.
Gli occhi di Remus invece straripavano di colpe, la sua indole fragile lo spingeva e dannarsi per quello che era accaduto quella notte e la sua coscienza, la sua solitaria e avvilente coscienza, sarebbe andata avanti a dilaniarlo per il resto delle sue giornate, facendolo sprofondare nello sconforto più profondo, più lacero e più smanioso che avesse mai conosciuto.

«Kingsley, perché ti sei fermato …?» una voce femminile raggiunse entrambi dal salotto della Tana, facendosi sempre più vicina.
Remus non aveva bisogno di vederla in faccia per capire di chi si trattasse, perché quella voce, a suo tempo, era stata l’unica in grado di sciogliere la punta dell’iceberg che dimorava nel petto del lupo mannaro.
Vide i suoi capelli lilla spuntare dallo stipite della porta dopo qualche secondo, era bella proprio come la ricordava.
«Tonks»
«Remus!» esclamò Tonks sgranando gli occhi e slanciandosi verso di lui. Lo strinse forte a sé, in una stretta che non aveva bisogno di parole. «Sono stati i minuti più brutti.»
«Perché, che ore sono?» domandò il licantropo allontanando il viso dalla chioma profumata della ragazza per scrutarla bene in volto.
«Tardi, sareste dovuti tornare almeno mezz’ora fa.» rispose Kingsley avvicinandosi e lisciandosi la veste con un che di nervoso, sembrava in procinto di lasciare l’abitazione.
«E gli altri? Stanno bene?»
«Sono dentro. Si stanno ancora chiedendo che fine avete fatto, Molly è … era molto preoccupata, soprattutto dopo non avervi visto comparire insieme alla lattina.» mormorò l’omone, prima di fargli un cenno e svanire nel nulla.
Lupin non lo giudicò per essersene andato. Kingsley aveva i minuti contati, lo sapeva, se non si fosse presentato al Ministero in tempo avrebbe sollevato dei sospetti, e non potevano permetterselo.
«Andiamo!» lo incitò Tonks, raggiante, «Sono tutti così tesi per il vostro arrivo e … ma perché quell’aria così abbattuta? Dov’è George?»
Voltò il capo diverse volte in direzioni differenti, scrutando il buio cortile con occhio di falco, ma non vide nessun altro oltre a loro. Rigirò la testa ad una velocità impressionante, puntando le iridi di pece negli occhi slavati del compagno. La sua espressione era di puro smarrimento, Remus poteva leggere una confusione cieca vagare nelle pupille nere della ragazza, ma non disse niente per farla riaffiorare dal naufragio in cui era precipitata. Lasciò che fossero i suoi occhi a parlare, in un modo che solo le notizie più brutte saprebbero esprimersi.
La sua biada allegria si tramutò istantaneamente in orrore, le guance olivastre impallidirono e persino i suoi capelli si tramutarono in un verde acido e nauseabondo. Ninfadora, questo il suo vero nome, si portò le mani alla bocca, incapace di parlare.

E ora Remus avrebbe dovuto dirlo a Molly, sentiva le ginocchia fremere al solo pensiero.

Lanciò un ultimo sguardo a Tonks e poi puntò dritto alla porta spalancata. Entrò in cucina e il suo cuore già pulsava più forte, superò la soglia e gli sembrò di poter affogare nel suo stesso affanno, ma fu quando arrivò in salotto e vide tutti quei volti che capì quanto fosse difficile e ingiusto.
Molly, girata di spalle, era già in piedi ad attenderlo da chissà quanto tempo –mezz’ora se Kingley gli aveva detto la verità- probabilmente non riusciva nemmeno a rimanere seduta, le mani che continuavano ad andare a tormentare la crocchia di capelli rossi e sfilacciati che le ricadevano ora sul volto, ora sulla veste color salvia. Arthur, seduto sulla poltrona con il volto seppellito nelle mani, non faceva che tamburellare il pavimento con il tallone del piede, in ansia.
C’erano proprio tutti, o quasi. Lupin non riusciva a scorgere Malocchio da nessuna parte e non c’era traccia nemmeno di Mundungus Fletcher, cosa che lo insospettì parecchio.
Quando varcò la soglia del soggiorno vide Bill e Fleur seduti all’angolo del divano, meditabondi ma illesi. Harry, Ron e Hermione rimanevano zitti accanto a Ginny con gli sguardi bassi e le teste piene di pensieri. Fred infine era appoggiato alla credenza, vagamente pallido e con la bocca sigillata in un mutismo che avrebbe sbalordito chiunque lo conoscesse.
Remus fece un passo avanti proprio mentre Bill pronunciava il suo nome e Molly si voltava a guardarlo. In un istante sentì tutti gli sguardi dei presenti fissi su di sé e si sentì quasi male, assumendo un colorito molto più simile al verde.
«Lupin!» esclamò Harry alzandosi in piedi, chiaramente sollevato nel vederlo sano e salvo.
Quella leggera consolazione però non durò molto e il primo a spezzarla fu proprio Arthur.
«Dov’è George?» domandò tentando di scrutare dietro le spalle del lupo mannaro, la pelata che sembrava ancora più lucida sotto la tenue luce del salotto.
Era giunto il momento, doveva tirare fuori la forza e il coraggio di dirglielo, non poteva lasciare che fosse il tempo a suggerire loro quell’amara verità, come aveva fatto con Tonks. Lei era la sua donna, Molly e Arthur invece erano i genitori di quel povero ragazzo.
Aprì la bocca per parlare e con la coda dell’occhio vide Fred muoversi nervoso sul posto, gli occhi nocciola che guizzavano da una parte all’altra della stanza alla ricerca di un gemello che non avrebbe più rivisto.
«Ce ne erano troppi, Arthur. Ho cercato di non perderlo di vista, ma ...»
«Che cosa vorresti d- …»
«NO!»   
«Mi dispiace.» sussurrò Remus mentre le urla di Molly Weasley risuonavano nella casa.
Arthur si alzò dal divano in fretta e furia e raggiunse Lupin, scuotendolo «Dov’è mio figlio?!»
A Remus tremavano le labbra quando rispose «È-È morto, Arhur. I-io sono … non ho potuto fare niente …»
«NO!» lo interruppe Arthur stringendo con più forza le vesti consumate del lupo mannaro, «Non può essere, George non …» si portò una mano alla bocca come se gli venisse da vomitare e scivolò piano sul pavimento, le lacrime che cominciavano a rigare copiose il suo volto, ora lacerato dal dolore.
«Dov’è George? Dov’è mio fratello?» gracchiò Fred, la pelle del viso più bianca che Lupin avesse mai visto. Lunastorta, questo il suo vecchio soprannome, gli lanciò un’occhiata distante e vaga, incapace di dire altro.
Gli occhi di Fred erano languidi adesso, i pugni stretti sui fianchi. Borbottò dei no disconnessi e si precipitò fuori dal salotto prima che chiunque potesse proferire parola.
«FRED, NO!» gridò Bill separandosi da Fleur per seguire il fratello, che era corso fuori dalla Tana in fretta e furia.
Lo raggiunse appena in tempo, un attimo prima che Fred si smaterializzasse, e gli tolse la bacchetta di mano con la forza.
«Dammela!» sbottò Fred slanciandosi contro di lui per riavere indietro la bacchetta. Bill però non demorse e lasciò che il fratello lo riempisse di pugni piuttosto che riconsegnargli ciò che gli aveva sottratto.
«Sei sconvolto.» tentò di farlo ragionare, «Non hai abbastanza concentrazione, ti spezzeresti
«Dammi quella cazzo di bacchetta!»
In una giornata normale Molly gli avrebbe affatturato la lingua per un linguaggio del genere, ma quella sera non aveva nulla di normale.
«E dove andresti?!» chiese Bill continuando a tenere saldamente la bacchetta del fratello tra le dita e sospingendo quest’ultimo per allontanarlo da sé.
«Devo andare via, devo andare …»
«A cercarlo?» completò il maggiore mentre una singola ciocca rossa gli finiva sul viso, oscurandogli la vista, «Fred, non c’è niente che tu possa fare per lui.»
«Sì invece, io posso ... posso ...» la voce gli si spezzò tra le lettere e quelle braccia che avevano tentato di colpire il fratello fino a quel momento si allungarono verso William, cercando un appiglio. Bill non ci pensò un attimo, lasciò cadere la bacchetta per terra e attirò il fratello minore a sé, stringendolo come non aveva mai fatto prima.
I singulti di Fred risuonarono prima sommessi e poi sempre più forti, il suo respiro si fece affannoso e la maglia di Bill si riempì ben presto di un mare di lacrime.
«Shh» sussurrò Bill, tentando in tutti i modi di non farsi prendere dallo stesso sconforto di Frederick. Sentiva un macigno dentro al petto, ma doveva resistere. Almeno per lui.
«Non è vero.» singhiozzò Fred con un fil di voce, «Non può essere … George non ci voleva neanche andare, sono stato io a dirgli …»
«Ehi!» lo bloccò il fratello prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a guardarlo negli occhi, «Non è colpa tua, non provare nemmeno a pensarci.»
«Ma-»
«No.» lo strinse di nuovo al petto, gli occhi che cominciavano a pizzicargli a sua volta, «Non è colpa tua, non è colpa tua. Ma troveremo il bastardo che ha fatto questo, te lo giuro.»

Fred continuò a piangere, così come Bill. Se solo avessero saputo la verità …
 





#Angolo Pandacornoso
Ehi -.^
Probabilmente vi aspettavate un capitolo con i nuovi OCs, ma dovrete aspettare un pochino per vederli apparire ù.ù
Mi sembrava doveroso scrivere qualcosa per i Weasley, poveri pimpi c.c
Non ho molto altro da dire se non fatemi sapere se vi è piaciuto almeno un po’ e se l’attesa ne è valsa la pena ;^)

Sayonara,



 
   
 
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