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Autore: Memento_B    12/06/2009    1 recensioni
Le tre bambine erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre. La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre. Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella, ma quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black. Narcissa quel giorno compiva tre anni. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Ted Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments'
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Stained honor




Londra, 1967



Narcissa vagava per i corridoi del piano superiore della sua casa, pensierosa. Erano passate solo poche ore dall’annuncio di Bellatrix e già molte, troppe cose erano cambiate. Lei stessa non sapeva cosa pensare della nuova attività della sorella maggiore, da una parte la ammirava e la invidiava, poiché Bellatrix portava avanti una lotta che lei e la sua famiglia ritenevano giusta, avrebbe contribuito alla creazione di un mondo migliore dove solo i Purosangue avrebbero comandato, avrebbe anche lei creato il mondo in cui avrebbero vissuto i loro figli. Dall’altra parte non era così sicura di voler diventare a sua volta una Mangiamorte. Vedeva la loro posizione troppo estrema e forse, forse, i Mezzosangue non meritavano di morire, forse erano persone come tante altre, con i propri diritti, fra cui il diritto alla vita. Forse aveva ragione Andromeda.
Una cosa sola Narcissa dava per certa: avrebbe perso una delle due sorelle, se non entrambe. Se fino a quel momento era riuscita ad andare d’accordo con entrambe, adesso sarebbe stato impossibile. Se avesse appoggiato Bellatrix, Andromeda non le avrebbe più parlato. Se avesse appoggiato Andromeda, Bellatrix probabilmente le avrebbe distrutto la vita.
Dunque cosa fare? Chi appoggiare? Lei si sentiva spaccata a metà, non dava ragione né all’una né all’altra, ma un giorno avrebbe dovuto scegliere.
Andromeda era quella sempre disponibile ad ascoltarla, a parlarle, era lei a trattarla bene, come una persona e non come un giocattolo. Andromeda era sempre stata la sua unica compagna di giochi, era la persona in cui riponeva tutta la sua fiducia, a cui chiedeva sempre consigli. Di Andromeda poteva fidarsi, era certa che non l’avrebbe mai tradita o sbagliato nel consigliarle, era una ragazza riflessiva e che conosceva i propri limiti.
Bellatrix, invece, adesso non aveva limiti. Con lei avrebbe ottenuto fama e tutto quel che voleva. Durante il suo primo anno ad Hogwarts non aveva faticato a farsi obbedire, le era bastato presentarsi come “Narcissa Black, sorella di Bellatrix” e tutti erano pronti ad obbedirle, a diventare suoi schiavi. A Bellatrix nessuno disobbediva, solo un pazzo lo avrebbe fatto. Aveva la sua compagnia di sottomessi, ma non provava amicizia verso nessuno di loro. A Bellatrix nessuno resisteva, lei avvicinava le persone, le illudeva con false amicizie e pian piano le sottometteva, rendendole schiave della sua persona. Li rendeva inferiori, colpendoli fisicamente e verbalmente, li ingannava a tal punto che quelle persone eseguivano i suoi ordini, tutti i suoi ordini, senza nemmeno rendersene conto. Le uniche persone che Bellatrix fino a quel momento non aveva sottomesso ai propri ordini erano solo tre: le due sorelle e Rabastan.
Se da Andromeda avrebbe ricevuto solo amicizia pura, da Bellatrix avrebbe ricevuto il mezzo per realizzare ogni suo desiderio.
A cosa avrebbe rifiutato? All’amicizia o alla fonte della sua gioia?
Narcissa si rispose che non avrebbe voluto rifiutare né all’una né all’altra cosa, perché anche se se ne vergognava non avrebbe mai rinunciato alle comodità che le poteva offrire un buon rapporto con Bellatrix, ma non voleva nemmeno gettare via dodici anni di vita passati con Andromeda per un regalo di Bellatrix, perlopiù involontario.
Si vedeva quindi costretta a rinunciare ad entrambe. Avrebbe dovuto imparare a fare a meno dell’una e dell’altra, perché non poteva essere divisa per sempre in due parti. Oppure avrebbe dovuto trovare il modo di restare in buoni rapporti con entrambe le sorelle, per quanto impossibile fosse.
Bellatrix d’altro canto era in camera sua, seduta sul suo letto a gambe incrociate. Si osservava il Marchio Nero, con aria affascinata. Ricordava quando le era stato apposto, durante le vacanze di Pasqua, le aveva fatto male in un primo momento, ma ne era valsa la pena. Ora lei era parte attiva di qualcosa, la storia non la subiva più, poteva determinarne e cambiarne il corso. Durante quei mesi il Marchio Nero aveva bruciato varie volte, ma non aveva mai potuto lasciare Hogwarts. Non aveva ancora lanciato una Maledizione Senza Perdono, ma sperava di poterlo fare presto. Insomma, voleva dimostrare la propria superiorità a tutti, voleva avere tutto il mondo magico ai propri piedi.
La ragazza guardò fuori alla finestra e subito vide la chioma castana appartenente ad Andromeda. L’ira si accese in lei, non era mai stata così furiosa con la sorella. Lei non l’aveva osannata, lei non la prendeva ad esempio, lei aveva osato contestare la sua decisione. Era solo una sporca babbanofila che meritava di morire, così come moltissimi altri. Doveva essere eliminata anche lei per ripulire la stirpe magica e far splendere ancora di più il blasone dei Black.
Bellatrix non si vergognava dei suoi pensieri, né ne aveva paura. Quel poco affetto che aveva provato per la sorella era ormai morto, non voleva più nessun legame con quella ragazza, non voleva più averci a che fare. Era lei a macchiare il suo onore.

Hogwarts, 2 settembre 1967



<< Allora, Meds, sei pronta per un nuovo anno scolastico? >> Rodolphus affiancò Andromeda uscendo dalla sala comune e avviandosi alla Sala Grande per fare colazione prima di iniziare le lezioni.
<< Mmh, diciamo >> rispose la ragazza. Andromeda l’aveva evitato per tutta la serata, non sapeva se aveva saputo di quel che era successo a casa quell’estate e se era a conoscenza del suo pensiero. E del resto non provava più tanta simpatia nei confronti di quello che fino a poco tempo prima era stato il suo migliore amico. Insomma, era stato il fratello di lui a rovinare irrimediabilmente la sorella maggiore. Dopo aver perso anche il suo migliore amico, Andromeda non si fidava più di nessuno. Non voleva avere più a che fare con nessuno. << Scusami. Ho una certa fretta >> disse poi, allungando il passo.
<< Ma che ha Andromeda? >> chiese Rodolphus a Narcissa, una volta giunto nella Sala Grande. Narcissa arrossì immediatamente, cosa strana per lei, che trattava tutti dall’alto in basso, ma quella estate si era ritrovata a pensare spesso a quel ragazzo, giungendo alla conclusione che sì, forse, gli piaceva << Non ne ho idea >> rispose poi, chinando il capo << Non ci parlo più da luglio. Non parla più con nessuno, a dire il vero. >>
<< Perché? Che le è successo? >> insistette lui, volendo sapere per filo e per segno quel che turbava l’amica.
Narcissa sbuffò. Non sopportava l’idea di parlare con lui della sorella. << Non lo so. E’ strana >> rispose sgarbatamente.
Uno scoppio di risate la fece voltare alla sua destra, dove pochi posti più in là stava Bellatrix, che raccontava alle sue compagne di stanze di come aveva già ridicolizzato ragazzi delle altre case. Bellatrix sorrideva raggiante, il suo volto appariva ancora più bello, era nel fiore della sua giovinezza e della sua bellezza, non era ancora segnata dai tanti orrori che avrebbe commesso nel suo futuro.
Era facile individuarla: era l’unica ad avere già le braccia coperte, gli altri ragazzi –nonostante la temperatura andasse via via facendosi più fredda- avevano le maniche rimboccate, ma lei no. Era consapevole di attirare l’attenzione di tutti, ma nessuno osava farle domande. Di certo mostrare il Marchio Nero a tutta Hogwarts non era esattamente il suo scopo.
Si era accorta che dalla sera prima tutti la guardavano con occhi diversi. Chi la ammirava, adesso era ai suoi piedi; chi la temeva, ora era terrorizzato dalla sua vicinanza.
Insomma, tutti sapevano ma nessuno lo poteva dimostrare. E a Bellatrix non dispiaceva: amava essere al centro della attenzione, amava essere rispettata, ammirata, temuta, amava poter comandare tutti a bacchetta, e l’essere Mangiamorte la favoriva. Non poteva dire nulla, ma le voci l’avevano preceduta e così tutti erano convinti che Bellatrix Black fosse diventata una Mangiamorte, ma nessuno osava chiederle se quella notizia fosse vera o meno.
<< Bella, perché non ci racconti un po’ di questa estate? >> chiese Jane che, nonostante fosse sua cugina, durante le vacanze l’aveva vista solo un paio di volte. Nemmeno lei sapeva la verità su Bellatrix, nonostante i suoi genitori erano al corrente di tutto, ma con lei non volevano parlare, non volevano dirle la verità sulla sua cugina prediletta.
Non appena sentirono quella domanda, molti studenti di Serpeverde smisero di parlare fra loro e si voltarono verso Bellatrix, ansiosi di conoscere la risposta. Magari avrebbe detto tutto.
Bellatrix dapprima s’irritò, ma quando sentì su di sé gli sguardi di tutti quei ragazzi, sorrise e rispose spiazzando tutti per la gentilezza del suo tono.
<< E’ stata un’estate particolare, carica di novità >> disse, senza sbilanciarsi troppo << L’ho passata perlopiù con Rab e altre persone di nostra conoscenza, definiamoli amici comuni. >>
<< Con lui tutto bene, allora >> Jane fece un finto sorriso, delusa dalla risposta. Ma comunque, secondo lei “amici comuni” era una definizione ambigua.
<< Sì, infatti >> rispose Bellatrix, radiosa. Sì, finalmente lo aveva avuto, dopo tanti anni che aveva sofferto per lui e che le aveva provate tutte. Lui era il suo unico vero interesse, l’unica persona a cui teneva, l’unica persona per cui non provava disprezzo. Insieme al Signore Oscuro, logicamente, ma il Signore Oscuro veniva prima di qualsiasi altra cosa, era il suo dio. Mentre Rabastan Lestrange era stato l’oggetto dei suoi desideri per quattro anni, l’unica cosa che le interessava davvero e che non riusciva mai ad avere.
E poi le aveva offerto su un piatto d’argento la possibilità di realizzare il suo sogno, di dare un senso alla sua vita. Da quando era Mangiamorte, perfino sua madre aveva perso fascino. Quella donna che tanto stimava e ammirava, adesso le era indifferente. Lei non era Mangiamorte, era inferiore.

*



<< Cissy, tutto bene? >> Andromeda ritornò nella Sala Comune di Serpeverde solo dopo cena. Aveva passato tutto il giorno in biblioteca con la scusa di anticiparsi i compiti, la realtà è che voleva stare da sola e lontano da chiunque per un bel po’.
Ora l’orario le imponeva di tornare nel dormitorio, e così raggiunse la sorella minore, che era seduta sul tappeto vicino al camino, spento.
Le sedette vicino e le sorrise, poggiando la borsa stranamente già piena di libri e di rotoli di pergamena accanto.
Lo sguardo di Narcissa cadde proprio sulla borsa, poi guardò negli occhi la sorella, con espressione incredula << Non dirmi che ti sei già messa a studiare! >>
<< Oh… in realtà sì, io… io ho avuto già dei compiti e poi ho scoperto un sacco di cose interessanti e… >>
<< E volevi evitare chiunque, vero Black? >> completò Rodolphus, che appena vide Andromeda entrare nella Sala Comune si alzò dalla sua poltrona e raggiunse l’amica << Possiamo parlare, adesso? >>
L’espressione di Andromeda mostrava tutta l’angoscia che provava. Ebbe un tuffo al cuore quando sentì la voce del Lestrange e subito impallidì. Era giunta alla conclusione che lo temeva, temeva che potesse portarla sulla “cattiva via”. Perché sapeva che avrebbe seguito le orme del fratello, era inevitabile, era sempre stato il suo punto di riferimento ed il suo esempio. << Non vedo di cosa dovremo parlare, Rod… >>
Rodolphus s’innervosì all’affermazione di Andromeda. Lei aveva deciso di fare finta di nulla? Lui non l’avrebbe certo assecondata. << Io sì. Black, seguimi. >>
A malincuore Andromeda si alzò e seguì Rodolphus vicino alle scale che portavano alle camere, dove non c’era rischio di poter essere sentiti.
<< Allora? Mi spieghi questa pagliacciata? >> chiese Andromeda, appoggiandosi alla parete, incrociando le braccia al petto e guardando nervosamente per la stanza.
Rodolphus si stupì a contemplare la bellezza della ragazza, poi si ricordò che proprio quella ragazza l’aveva fatto soffrire per tutta l’estate e che reputava la sua migliore amica e che pochi secondi prima l’aveva irritato. << Pagliacciata? Andromeda, se qui c’è qualcuno che deve spiegare qualcosa sei tu! >>
<< E cosa vuoi che ti spieghi, eh? >> Andromeda decise che avrebbe detto tutto, presa dall’ira si staccò dal muro e tenne le braccia lungo i fianchi, stringendo i pugni. Ora guardava negli occhi Rodolphus, arrabbiata e allo stesso tempo profondamente ferita << Cosa vuoi che ti spieghi? Quanto ci metterai a seguire tuo fratello? Oppure l’hai già seguito? Ti rendi conto di quello che tuo fratello ha fatto a mia sorella e alla mia famiglia? Ti rendi conto che per colpa vostra la mia vita non sarà più quella di una volta? >>
<< Per colpa nostra?! >> urlò Rodolphus, poi quando sentì addosso gli sguardi degli altri studenti abbassò la voce << Per colpa nostra? Andromeda ma… stai bene? E’ colpa nostra se tua sorella ha il diavolo in corpo? Se è cattiva di suo? >>
<> gridò Andromeda, poco importandosi che ormai buona parte degli studenti di Serpeverde erano a conoscenza di quel litigio.
Per Rodolphus fu come una coltellata al cuore. Aveva già immaginato che le cose con Andromeda non sarebbero più andate come una volta, un chiaro sentore era il fatto che non gli rispondeva alle lettere, ma mai avrebbe immaginato che dalla bocca della sua migliore amica sarebbero uscite quelle parole.
<< Benissimo Black. Rispetterò la tua decisione. Addio >> Rodolphus con quelle pose per sempre fine a tutto, al litigio e all’amicizia con Andromeda. Si girò ed andò nella sua camera.
Andromeda sospirò, rimase per qualche minuto ferma lì davanti alle scale e alla fine andò anch’essa nella propria camera.
Entrambi i ragazzi non riuscirono a prendere sonno quella notte.
Rodolphus era nervoso. Non riusciva a capacitarsi di quel che era successo. Ma il litigio con la ragazza gli aveva schiarito le idee, adesso non aveva più dubbi sulla strada da prendere.
Andromeda, invece, piangeva. Piangeva per Bellatrix, piangeva per la sua famiglia, piangeva per Rodolphus. Adesso si sentiva totalmente sola, sentiva di non poter contare più su nessuno.

Hogwarts, 31 ottobre 1967



<< Hai appuntamento con mio fratello oggi? >> Rodolphus si sedette accanto a Bellatrix a colazione. Dopo aver chiuso i rapporti con Andromeda, era passato a frequentare la sorella. Provava ancora quell’attrazione fisica e intellettuale nei confronti di Bellatrix, ma si era rassegnato all’idea che probabilmente sarebbe diventata sua cognata.
Accanto a lui era Lucius Malfoy, silenzioso. Lui non era particolarmente entusiasta di andare ad Hogsmeade, avrebbe preferito rimanere ad Hogwarts, magari a concludere “affari” con studenti poco esperti e facili da ingannare.
<< Sì, ci dobbiamo vedere >> rispose Bellatrix. Rabastan era stato molto vago sul programma della giornata, diceva che sarebbe stata una giornata davvero importante per lei e che non l’avrebbe mai dimenticata.
<< Voglio venire anche io ad Hogsmeade… >> mugugnò Narcissa, incrociando le braccia al petto. Voleva andare anche lei ad Hogsmeade, voleva fare le stesse identiche cose delle sorelle, avere la loro libertà, ma era ancora troppo piccola.
<< Non ti perdi nulla di straordinario, Narcissa >> le disse Lucius mentre si versava del succo di zucca << Ad ogni modo si tratta di aspettare ancora un anno, e poi potrai venire anche tu ad Hogsmeade >>.
<< Andromeda? >> chiese Rodolphus, quasi involontariamente. Gli era naturale informarsi su ciò che faceva o cercarla la mattina appena sveglio, solo che poi si ricordava che non erano più amici, e gli faceva male.
<< Bah, Meda se la fa con la squadra di Quidditch >> rispose.
<< Stessa formazione, no? >>
<< Sì, Rod. Squadra vincente non cambia. E del resto, sabato scorso hanno letteralmente stracciato i Grifondoro >> sorrise Narcissa. Lei amava il Quidditch, ma non era in grado di volare. Ed era anche troppo pigra per poter pensare di giocare una partita.
<< Beh, il merito è tutto di Gwen. E’ fenomenale. E messa insieme ai Wellinghton non ci sono storie. Peccato che questo sia l’ultimo anno del Capitano. >>
<< Gwenog ha sicuramente un futuro in qualche squadra, se non direttamente nella nazionale. A meno che non sia così stupida da non sfruttare il suo talento per dedicarsi ad altro >> intervenne Lucius, che capiva poco e nulla di Quidditch. Sapeva che Serpeverde vinceva, che era la squadra migliore, che Yvone Wellinghton era una gran bella ragazza e che anche Gwenog Jones prometteva bene, e che ci giocava anche Andromeda Black. Più di tanto non capiva, né voleva capire. Non comprendeva perché impazzire per sette tizi su manici di scopa.
<< Ho sentito che tua sorella ha avuto una storiella col cercatore, com’è che si chiama? >> chiese Bellatrix, sdegnata.
<< Robert Kenagh >> rispose Narcissa << E’ possibile. Anche se adesso la si vede sempre con Seevers >>.
<< Almeno lui ha il naso dritto ed è carino >> commentò Bellatrix, che di certo non trovava attraente nessuno dei giocatori di Quidditch, ma fra loro il migliore non poteva che essere il battitore.
<< La si vede anche con i Tassorosso >> disse poi Narcissa << Ma non m’importa più di tanto di lei >>.
Bellatrix rimase come fulminata. Sua sorella non poteva essere amica dei Tassorosso. Sua sorella era una Serpeverde, era una Black. Irritata, lasciò cadere le posate sul piatto, con un gran fracasso << Che schifo. Cissy, più le stai alla larga, meglio è. >>
Mezz’ora dopo Bellatrix era quasi arrivata ad Hogsmeade. Lì aveva appuntamento con Rabastan davanti a MondoMago, anche se lei avrebbe preferito quella grande casa -che qualche anno dopo sarebbe diventata la Stamberga Strillante con l’arrivo di Remus Lupin ad Hogwarts-, la affascinava ed era abbastanza lontana dalla cittadina.
Arrivò davanti a MondoMago e sorrise raggiante quando scorse Rabastan. Gli andò incontro e si accorse che non era solo, ma con lui c’erano altri due uomini, un po’ più vecchi di loro. Bellatrix era parecchio scocciata, era la prima volta dopo due mesi che si rivedevano, e magari avrebbe voluto passare quella giornata da sola con lui. Già durante l’estate avevano avuto ben pochi momenti di solitudine.
<< Rabastan, cosa significa? >> chiese la ragazza, prendendo da parte Rabastan. Gli occhi le scintillavano di rabbia, il braccio sinistro era teso lungo il fianco e il pugno era stretto, mentre con la mano destra stringeva con forza il braccio sinistro di lui, le labbra serrate e i piedi puntati per terra << Perché sono qui anche Thorfinn ed Evan? >>
Rabastan si strattonò dalla presa della fidanzata e la guardò irritato << Ti avevo parlato di una giornata diversa, no? Che non avresti mai scordato… >>
<< Non capisco cosa c’entri con la nostra giornata >> sibilò Bellatrix.
Evan Rosier e Thorfinn Rowle, i due Mangiamorte più devoti all’Oscuro Signore fino all’arrivo di Bellatrix, si avvicinarono.
<< Non abbiamo molto tempo, Lestrange >> sbuffò Rosier. Non capiva perché dovevano fare quella cosa proprio in compagnia di due ragazzini inesperti.
<< Siamo pronti >> rispose Rabastan << Ma prima dobbiamo spiegare a Bella cosa faremo >>.
<< Fa’ in fretta >> mugugnò Rosier. Ragazzini… Perdevano tanto tempo prezioso in chiacchiere << E possibilmente lontano da orecchi indiscrete >> aggiunse, vedendo Rabastan sul punto di parlare. Inesperto ed anche stupido. Lei pareva più intelligente, ma non l’aveva mai vista all’azione. Era facile proclamarsi Mangiamorte, ma era molto più difficile dimostrarsi degno di quella nomina.
Una volta giunti poco fuori dal paese, una Bellatrix sempre più arrabbiata pretese di sapere il motivo per cui la sua giornata ad Hogsmeade era totalmente diversa da quel che aveva immaginato. << Semplice, Bella >> iniziò Rabastan << Un Auror sa troppo. Oggi ci dimostrerai il tuo valore. Loro due si occuperanno dell’infame, noi di sua moglie e di sua figlia. >>
Bellatrix era sconvolta. Tutto si sarebbe aspettato, ma non ciò. Aveva atteso per mesi quel momento e adesso che era arrivato sentì l’adrenalina scorrerle nelle vene, mettendo in moto tutto il suo entusiasmo e tutta la sua cattiveria. Finalmente era giunta la sua occasione. << E come ci arriveremo? >>
Per tutta risposta, Rabastan l’afferrò e si smaterializzò, seguito dai due uomini.
Non era la prima volta che Bellatrix si smaterializzava, ma questa volta era diverso. Un’emozione la rendeva impaziente, frenetica, eccitata. Un Auror l’avrebbe pagata cara, avrebbe reso un servigio per l’Oscuro Signore, che le sarebbe stato grata, che magari avrebbe anche iniziato a stimarla.
Solo una volta fu più agitata, ovvero la volta che si smaterializzò per conoscere lui, Lord Voldemort. Si materializzarono a Leicester, in periferia.
Rosier e Rowle si diressero spediti verso una villetta posta sul lato sinistro della via. Era una bella casa, bianca con infissi neri, diversi fiori erano disposti fuori ai balconi del primo piano e il giardino era molto curato, un cancelletto nero dava su un vialetto che conduceva alla porta d’ingresso.
Bellatrix e Rabastan li seguivano. Nessuno dei due fiatava, Bellatrix aveva anche qualche difficoltà a respirare. Lei, la fredda, l’impassibile Black finalmente conosceva il significato di coronare un sogno.
Erano poco più di cento passi a separarli dalla casa dell’Auror e ad ogni passo Bellatrix sentiva la frenesia aumentare.
<< State pronti >> li avvertì Rowle << Da adesso abbiamo circa dieci minuti prima che il Ministero sappia qualcosa e arrivi qui. E altri due prima che lui vada a lavoro. Quando apriremo il cancello, dovremo fare in fretta >>.
Più si avvicinavano alla loro meta, più veloci si facevano i loro passi, finché non iniziarono a correre. Rosier spalancò il cancello con fracasso, tanto che la moglie si affacciò dalla finestra del primo piano, rivelando così ai due ragazzi dove si trovasse. Corsero fino all’ingresso, dove trovarono la porta già aperta e l’Auror con la bacchetta in mano, pronto a combattere.
Bellatrix stringeva la sua bacchetta con al mano destra con tanta forza che le dolevano le dita. Sentiva che le girava la testa e sentiva la paura scivolarle addosso, lentamente.
Non era sicura di essere cosciente, vedeva immagini confuse, vide i due Mangiamorte buttarsi contro i due, udì Rabastan urlarle << Di sopra! >>, sentiva che correva.
<< Di qui non passerete, bastar… >>
Un lampo di luce verde accecò Bellatrix.
Il rumore attenuato del corpo dell’Auror che cadeva sul tappeto le risuonò assordante nella testa, rimbombando.
Si bloccò alla visione del cadavere che formava una strana angolazione con il braccio sinistro e l’espressione agitata del volto, ormai eterna.
Tutto era un turbinio di colori e di suoni e di movimenti e di urla e di dolore e di paura e di vergogna e di eccitazione, tutto e niente le si presentavano ai suoi occhi.
Si sentì strattonare e inciampare sul primo scalino, si ritrovò a fissare una bambina che poteva avere al massimo sei anni, con i capelli biondi raccolti in due code e l’espressione terrorizzata sul volto. Era corsa via, strappandosi al grembo materno che la stringeva fino a pochi secondi prima. Era corsa per le scale, consegnandosi alla morte.
<< Papà! >> strillò la bambina, disperata, lacerando le orecchie di Bellatrix.
Un altro lampo di luce verde, questa volta era stato Rabastan, e subito la bambina rotolò per le scale, urtando con il piedino la gamba della ragazza. Si fermò una volta arrivata al piano terra, la testa sul tappeto, vicina a quella del padre, le gambe ancora sulle scale, un rivolo di sangue le sporcava la fronte e le guance, trovò conforto con la morte al suo terrore e al suo dolore, un conforto eterno a cui non si sarebbe più potuta sottrarre, un conforto che aveva pagato col prezzo della vita, passando all’eternità martoriata e col volto tumefatto.
Bellatrix si sentiva mancare, avrebbe voluto vomitare, avrebbe voluto sedersi e morire insieme a quella bambina, era sconvolta, non riusciva a prendere possesso delle sue azioni.
<< BELLATRIX! >> urlò Rabastan.
Lei si voltò, la donna era dove poco prima c’era sua figlia. Le avevano distrutto la famiglia, le avevano distrutto quanto di più caro avesse, non aveva più né suoni da emettere né emozioni da provare.
Bellatrix capì che era giunto il suo turno, che avrebbe dovuto commettere l’atto che l’avrebbe resa gloriosa. Ciò la fece riprendere un po’, ma non ce la poteva fare. Sapeva di non potercela fare. Levò la bacchetta e disperata disse << C… crucio >>.
Un lampo di luce rossa investì in pieno la donna, ma che parve immune alla maledizione.
<< DEVI VOLERLO BELLATRIX, CAZZO! DEVI VOLERLO! >>
<< CRUCIO! >> urlò Bellatrix, con tutta la sua rabbia e con tutta la disperazione. La donna si accasciò a terra, urlando e contorcendosi, e proprio da quelle urla Bellatrix trasse forza. Le piacevano, la facevano sentire potente, le piaceva sentirsi implorare, sentiva che la vita della donna andava pian piano nelle sue vene, era una sensazione che le piaceva oltremodo.
<< STANNO ARRIVANDO! >> urlò Rosier << BELLATRIX, FALLA FINITA! >>
<< Avad… >> mormorò Bellatrix, ma si bloccò, incapace di andare avanti. No, non poteva ucciderla. Non le aveva fatto nulla alla fine. Non sarebbe stato più crudele portarla alla pazzia o lasciarla sola al mondo?
<< BELLATRIX! >>
<< Av… AVADA KEDAVRA! >>
La donna rimase a terra, dov’era prima, immobile, il suo corpo tutto emanava dolore.
<< MORSMORDE! >> Rowle evocò il Marchio Nero nell’esatto momento in cui quattro Auror si materializzarono nell’ingresso.
Bellatrix si rese conto di quello che aveva fatto. Non era un semplice omicidio, era un omicidio giusto. Quella era una vita di serie B, che aveva scelto di sposarsi con chi voleva impedire la purezza della razza. Era un omicidio che non poteva che riempire di gloria Bellatrix. Anche lei aveva contribuito alla causa. Ed ora ci aveva preso gusto, un ghigno comparve quando si materializzarono i quattro Auror. Levò nuovamente la sua bacchetta, ma Rosier l’afferrò e si smaterializzò.
I quattro Mangiamorte si materializzarono di nuovo appena fuori da Hogsmeade. Bellatrix cadde in ginocchio sulla terra, lasciando la bacchetta.
<< Potevi rovinare tutto, Black! >> esclamò Rowle, rosso di rabbia.
Bellatrix non ascoltava niente all’infuori del proprio cuore che batteva all’impazzata nel suo petto. Era disgustata e allo stesso tempo fiera di se stessa, aveva fatto il grande passo. D’ora in poi sarebbe stato tutto più facile.
<< Perché non siamo rimasti? Erano solo quattro… >> chiese, a bassa voce.
<< Black, non sei nelle condizioni di sopportare un duello serio. Sei sconvolta >> rispose Rosier << Ma del resto è la tua prima volta. Ti sei comportata fin troppo bene. >>
<< Fin troppo bene?! Potevamo andarcene prima del loro arrivo! >> intervenne Rowle.
<< Thorfinn, ti devo ricordare che la tua prima volta non combinasti niente? Bellatrix ha fatto molto. Ha dimostrato di valere qualcosa. >>
Bellatrix ha fatto molto. Ha dimostrato di valere qualcosa. Queste parole riempirono di orgoglio la Serpeverde, che raccolse la bacchetta e si alzò, scuotendosi la terra dei jeans e ostentando un sorriso.

*

<< NO! >> Bellatrix si svegliò di soprassalto, scattando a sedere, in una pozza di sudore.
Si rese conto di essere nel suo dormitorio, nel suo letto.
<< Bella? Tutto bene? >> mormorò Tessa dal letto accanto << E’ successo qualcosa? >>
<< Non è nulla, non è nulla >> sussurrò Bellatrix, stendendosi nuovamente. Aveva ferma nella memoria l’immagine di quella bambina e non riusciva a cancellarla, non riusciva a dimenticarla. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarsi. Si rendeva conto di aver fatto una cosa orribile, di aver ucciso, seppur mossa da nobili ideali. Per quanto ancora avrebbe sognato quella bambina? Era sempre più sicura della sua scelta, sapeva che avrebbe posto fine ad una vita con più facilità e che col tempo i sensi di colpa sarebbero scomparsi, lo faceva in nome di un puro ideale. Ridacchiò istericamente, ripensando al dolore che aveva inflitto a quella donna di cui non conosceva il nome. Si sentiva marcia dentro, sentiva che stava imboccando una strada difficile, di essere segnata per sempre, aveva usato due maledizioni senza perdono, nessuno sarebbe stato clemente con lei, ma lei non se ne pentiva. Le dispiaceva solo non poter vantarsi della sua azione, nessuno avrebbe mai saputo cosa aveva fatto quel giorno. Tutto le appariva così banale adesso.
D’ora in poi sarebbe stato tutto più facile, ma per quanto ancora avrebbe sognato quella bambina?

Hogwarts, gennaio 1968



<< Vai, Meda, che a questi Tassorosso abbiamo spaccato il culo! >> Gwenog Jones stava rimettendo la divisa da Quidditch nello zaino. Avevano appena stracciato per quattrocento a sessanta la seconda squadra più forte di Hogwarts, ora tutta la squadra sentiva che non sarebbero certo stati i Corvonero a fermarli. E anche se avessero vinto i Corvonero, era quasi impossibile perdere la Coppa.
<< E stasera, festa grande in dormitorio! >> annunciò Dirk Wellinghton, infilandosi la camicia.
<< E comunque… se Andromeda e William non avessero preso di mira il nuovo cercatore, non ce l’avremmo mai fatta! Chissà se gli hanno già riaggiustato le ossa >> disse Yvone Wellinghton, abbracciando i due battitori << Sai farci con le mazze, ragazza >> aggiunse, facendole un occhiolino e un sorriso allusivo, che le procurarono un pugno da parte di una imbarazzatissima Andromeda.
Era ormai più di un mese che lei e William erano ufficialmente fidanzati e da allora Yvone si sentiva in obbligo di farcire con doppi sensi ogni frase che le rivolgeva.
Due ragazzi di Serpeverde fecero irruzione nello spogliatoio, lanciando ai giocatori uno stendardo di Tassorosso << A voi! Sottratto a dei Tassorosso delusi durante la partita >>.
Robert Kenagh afferrò incredulo lo stendardo << Siete dei grandi >> mormorò.
<< Questo va senza dubbio appeso vicino alla Coppa dello scorso anno… che rimarrà nel nostro dormitorio per un altro anno >> rise Dirk << Avete rubato lo stendardo… roba da pazzi! Non usciranno più dal dormitorio per l’umiliazione! >>
<< La fede è una cosa che va oltre la ragione, per la squadra si è pronti a tutti >> ridacchiò uno dei due ragazzi << Poveri fessi… Dopo la vergogna dell’anno scorso, ora questo. >>
Dirk si legò lo stendardo al collo e intonando cori per far pesare alla tifoseria avversaria il grande disonore subìto e che loro non avrebbero mai fatto dimenticare. In quel momento, per tutti il Quidditch non era solo uno sport, era una ragione di vita.

*

<< Gwen, mi passeresti gli appunti di Storia della Magia per domani, vero? >> chiese Andromeda una volta giunta in biblioteca a quella che era diventata la sua migliore amica.
<< Ma prenderli da sola no, eh? >> sbuffò Gwenog, sedendosi ed aprendo il libro di Pozioni. Doveva fare un tema, ma entusiasta com’era a causa della vittoria dubitava che ne sarebbe uscito qualcosa di buono.
<< Lo sai che ho avuto da fare, Gwenny. >>
<< Gwenny? >> ripeté disgustata Gwenog << Andromeda, se solo tu fossi un poco più responsabile, io gli appunti te li passerei pure, ma ti stai lasciando andare, non stai stud… >>
Andromeda non l’ascoltava, era abituata a prediche del genere da parte della ragazza. Era vero, ultimamente non studiava più, non aveva più la stessa voglia di prima. Non perché fosse scossa o perché avesse altro da fare, semplicemente non le andava. La sua attenzione fu catturata da una chioma bionda che lei ben conosceva che entrava in biblioteca. Sorrise. Perfetto, era proprio quello che cercava per rendere indimenticabile quella giornata.
<< Tonks! >> lo chiamò Andromeda, alzandosi, con tono canzonatorio << Ma che piacere! Bella partita quella di oggi, eh? >>
Ted Tonks la ignorò. Andromeda era decisamene l’ultima persona che voleva incontrare quel giorno. La sconfitta gli bruciava, e tanto.
<< Toglimi una curiosità, Tonks! >> Andromeda si avvicinò al tavolo dove si era appena seduto il Tassorosso e gli si pose davanti << Ma con che coraggio vi fate vedere in giro quando il vostro prezioso stendardo ora è nel nostro dormitorio? >>
Ted serrò la mascella. Dopo la sconfitta, il disonore. E quella ragazza malefica era lì apposta per ricordarglielo << E tu spiegamene un’altra, Black. Con che coraggio Seevers si fa vedere in giro con te? Come fa a guardarti in faccia senza morire d’infarto? >> sibilò.
Il sorrisetto tronfio scomparve dal viso di Andromeda, che adesso non sapeva come rispondere. Non si aspettava certo una reazione da parte del Tassorosso.
<< Che c’è, Tonks, sei geloso? O semplicemente ti rode il fatto che sei solo come un cane? >>
<< Geloso di te? Piuttosto preferisco farmi mangiare vivo da un’acromantula! >> sbottò Ted << Davvero non capisco cosa ci trovi in te quel ragazzo. >>
<< Ooh, Tonks! Hai imparato a dire “acromantula”? Mi sorprendi! >>
<< Black, tu però non hai ancora imparato che il cervello non serve a riempire la testa, ma che va usato. >>
Andromeda fu rapida. Impugnò la bacchetta e tentò di schiantarlo, ma Ted fu più rapido di lei e si scansò, tentando di schiantarla a sua volta e riuscendo nel suo intento.
La bibliotecaria irruppe nella saletta, sbraitando, dimenandosi ed agitandosi. << SCELLERATI! Come potete mettere a repentaglio lo stato di questi poveri libri?! Ah, ma le regole di Hogwarts le conoscete, eccome se le conoscete! E di certo non la passerete liscia stavolta! >>

Hogsmeade, 14 febbraio 1968



Bellatrix girovagava per Hogsmeade da una buona oretta. Da ottobre non aveva più avuto “incarichi”, ma sapeva –o almeno sperava- che era per via della scuola. Non riusciva a sopportare l’idea che aveva sprecato la sua grande occasione per dimostrare chi fosse veramente. Insomma, aveva immaginato che sarebbe stato più facile uccidere un Auror o la sua famiglia o dei mezzosangue o dei babbanofili. Ma così non era stato. Del resto, sempre di uccidere si trattava. Uccidere per i suoi puri ideali, certamente, ma aveva scoperto che porre fine ad una vita non era così facile come aveva immaginato.
Spesso, fin da bambina, aveva provato ad immaginare cosa si provava ad uccidere una persona. Aveva avvertito tante sensazioni al solo pensiero, ma mai la paura. E questa novità, questa nuova sensazione l’aveva quasi portata al fallimento. Già, perché lei non aveva mai avuto seriamente paura prima d’allora, e il non aver paura porta a credersi invincibile, infallibile. Ma quando ci si schianta contro il terrore, allora si è persi.
Bellatrix era cresciuta col mito della madre, donna che non aveva mai visto piangere, cedere o mostrare segni di debolezza, e proprio per imitarla non conobbe mai la paura.
E poi, adesso, a scuola era la ragazza forte, la ragazza da temere, quella che sapeva sempre quel che voleva.
Sapeva che tale descrizione le apparteneva, che lei era davvero temibile, forte e decisa. Ma da quel giorno aveva iniziato ad indossare una maschera, perché lei non aveva dimenticato ciò che aveva fatto. Ne andava fiera, ma ne era anche spaventata. Del resto, era sempre una sedicenne. E si sentiva debole, inerme, non era più quella di prima. Adesso era più crudele, più cattiva, più forte, ma era cambiata perché aveva costruito un muro attorno a sé, e quale muro respinge meglio la gente se non quello della crudeltà? Non voleva che qualcuno sapesse ciò che provava veramente, solo Narcissa aveva intuito qualcosa.
Con Narcissa i rapporti andavano sempre più migliorando, adesso passavano più tempo insieme. Non che a Bellatrix importasse veramente della sorella, ma voleva istruirla, portarla sulla giusta via.
Con Andromeda, invece, non parlava da luglio. Era passato anche il tempo delle spallate, degli sguardi minacciosi, adesso semplicemente s’ignoravano. Ognuna proseguiva la sua vita facendo finta di avere solo una sorella, Narcissa. E spesso lo credevano veramente, tanto si erano sforzate di cancellare i ricordi comuni.
<< Bella! >> la chiamò Rabastan, dall’altra parte della via.
Bellatrix si voltò e, sorridente, gli andò incontro, per poi abbracciarlo e baciarlo. Oh, sì, le era mancato, non si vergognava ad ammetterlo.
<< Bella, dobbiamo parlare >> disse subito Rabastan, che voleva togliersi al più presto quel peso che gli gravava sul cuore e sullo stomaco.
<< Bella, come ben sai, quella cosa l’hai svolta bene. Non alla perfezione, ma almeno un risultato c’è stato. >>
Bellatrix sorrise, fiera e orgogliosa. Aveva fatto bene. L’avevano lodata. Chissà se l’aveva lodata anche lui. Chissà.
<< Ma… Bella… Devi capire che basta una macchiolina per definire sporco qualsiasi cosa. Basta una mela marcia a rovinare tutte le altre. Una persona a macchiare l’onore di tutta una famiglia. Se tua figlia si sposasse con un babbano, lo tollereresti? Se tua figlia volesse diventare un Auror, glielo permetteresti? Sono certo che la risposta ad entrambe le domande è no. Perché questo macchierebbe il tuo onore, perché costituirebbe un disonore per la tua famiglia. Ti opporresti in tutti modi a questo, immagino, in tutti i modi. Però Bella, tesoro, il tuo onore è già macchiato. E sai benissimo a chi mi riferisco. Non puoi risentirne per colpa sua, Bella. Non è giusto, capisci? Ma solo tu puoi porre fine a questa situazione, solo tu puoi riscattare il tuo decoro. >>
Bellatrix l’ascoltò senza dire una parola. Oh, certo che sapeva a chi si riferiva. Ci aveva già pensato ancora prima di intraprendere la sua via. << E’ un suo ordine? >> chiese.
<< No. O almeno, non ancora. >>
<< E allora non lo farò. Andromeda è pur sempre una Black. E’ stata mia sorella, ha il mio stesso sangue nelle vene. Fosse un suo ordine, troverei una soluzione. Ma non lo è, e non farò nulla contro Andromeda, anche solo convincere i miei a cacciarla di casa >> rispose Bellatrix, guardando oltre la testa del ragazzo.
<< Ma Bella… >>
<< No, Rab, nessun “ma”. >>
<< Bella, pensa a me. A me non ci pensi? A me che ti ho portato da Lui? >>
<< Perché mai dovrei pensare a te? Questa cosa non ti tocca minimamente, Rabastan! >> Bellatrix iniziava ad innervosirsi. Ma come si permetteva di dirle cosa fare o non fare con sua sorella? Perché le rinfacciava sempre quel che aveva fatto per lei? Tanto lei sarebbe diventata comunque una Mangiamorte, con o senza lui.
<< E allora, Bella, mi sa che è meglio finirla qui. Non credo di poter sopportare una cosa del genere! >> Rabastan si voltò e ripercorse la strada da cui era venuto. Non avrebbe voluto lasciarla così, per quel motivo. Ma forse era stato meglio. A lui di lei non importava nulla. Non ne era innamorato, ne era solo affascinato. Insomma, era una ragazza che veniva da una famiglia importante, lo nobilitava e lo aveva messo in buona luce. Ma non poteva sopportare tutto. Era lui l’uomo, era lui a dover comandare, non lei. E lei aveva un carattere troppo forte perché lui potesse contrastarlo.

*



Hogwarts



<< Oh, che bello, ho sempre desiderato passare una probabile giornata ad Hogsmeade in punizione con te ad Hogwarts, Tonks >> sbottò Andromeda, spolverando accuratamente un volume.
Erano stati messi in punizione per “aver quasi distrutto un’ala della biblioteca”, e quindi erano costretti a passare il 14 febbraio ad Hogwarts, a spolverare libri che si trovavano in un’ala che nessuno visitava più, mentre tutti gli altri studenti dal terzo anno in su si trovavano ad Hogsmeade. << Paura che il tuo amore esca con un’altra ragazza? >> chiese Ted, sogghignando.
Andromeda lo ignorò onde evitare una seconda punizione. Ripose il volume e passò a quello successivo.
<< Hai intenzione di passare tutta la giornata in silenzio, Black? >>
<< E perché dovrei parlare con te Tonks? >>
<< In effetti è una buona domanda >> commentò Ted.
<< Lo so, è una mia domanda. Ho un cervello, io. >>
<< Black, e con questo cosa vorresti insinuare? >>
<< Oh, io non insinuo nulla. Dico solo che io ho un cervello, sei tu che sei permaloso. Coda di paglia? >> chiese Andromeda, con un sorrisetto. Si divertiva a litigare con quel ragazzo, forse perché ne usciva sempre vincitrice.
Ted rimase per un bel po’ di tempo in silenzio, imbronciato. Odiava quella ragazza, la odiava con tutto il cuore, eppure era certo che se non fosse stato per lei, le giornate sarebbero state davvero noiose. Insomma, almeno le movimentava, almeno lo faceva incazzare. Ma continuava ad odiarla.
<< Allora, quand’è che ti marchi il braccio? >> chiese dopo un po’, ironicamente.
Andromeda rimase spiazzata dalla domanda, tanto che lasciò cadere il volume << Che cosa? >> sibilò << E perché mai dovrei farlo? >>
<< Beh, sei una Purosangue, una Black e una Serpeverde. E’ quasi un destino, no? >>
<< E perché mai dovrei dire proprio a te una scelta del genere, scusa? >>
<< Come cosa sarebbe stupida, è vero >> ghignò Ted << Ma tu non brilli certo d’intelletto… >>
Andromeda lo lasciò perdere, irritata e infastidita dalla domanda che il ragazzo le aveva posto. << Comunque… Non lo farei mai >> disse, dopo un’ora passata in silenzio.
<< Cosa non faresti mai? >>
<< Il Marchio Nero. Non lo farei mai. L’Oscuro Signore non è il mio Dio, i Mangiamorte non hanno la mia stima. >>
<< Ma non andrai molto lontano così. Non tu >> Ted sapeva che ormai c’era una vera e propria diffidenza nei confronti dei Serpeverde da quando tutti o quasi gli allievi degli anni passati di quella Casata si erano uniti a Voldemort, e del resto Voldemort stesso era stato un Serpeverde.
<< Non capisci? E’ anche questo che mi fa rabbia, che mi spinge a non diventare mai uno di loro! Le case bruciano, il terrore avanza, loro s’impossessano pian piano del nostro mondo, della nostra vita, avanzano, avanzano sempre più, non si fermeranno. O sei con loro o sei fuori. Via, spazzato via, per loro la tua vita vale meno di una carta portata via dal vento. Sempre più disastri, sempre più battaglie, sempre più morti, ormai la speranza ci sta abbandonando e stiamo cedendo. Ed è anche per tutto quello che non potrò mai avere nella mia vita a causa loro che mi rifiuto di unirmi a quel branco di pazzi. Prima ancora delle ideologie, prima ancora dei componenti, vengo io. E, tu ne sei la prova, tutti si aspettano che io diventi una Mangiamorte, ma io questo non lo farò MAI! Perché loro mi fanno SCHIFO, e non ho paura di dirlo e di urlarlo >> Andromeda non sapeva perché stesse dicendo quelle cose che da tempo la opprimevano, né perché le stesse dicendo a lui, Ted Tonks, persona che più odiava ad Hogwarts. Però adesso si sentiva meglio. Era quasi stata sul punto di dire che sua sorella era una di loro, ma si era trattenuta. Non capiva il perché, ma da questo punto di vista si fidava di Ted. Forse perché se avesse rivelato quelle cose, non avrebbe più avuto motivo di prenderla in giro.
Ted l’ascoltò, sconvolto. Non si aspettava certo una reazione da parte della ragazza, né tantomeno si aspettava una reazione del genere. Forse quella Black non era poi così male come aveva sempre creduto, caratteraccio a parte. Forse era ancora sana di mente. Forse…
  
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