Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: seguilastella    01/07/2017    3 recensioni
Quel pomeriggio mi chiamò Jacob. Aveva lasciato un lungo messaggio in segreteria: «Billy è morto.» Strinsi gli occhi, una lacrima solitaria mi uscì dall'angolo dell'occhio destro e scivolò sulla guancia. «L'ultima cosa che gli ho detto è stata: I tranquillanti non ti hanno ancora stordito? Ho sonno, papà.» Rimase per qualche istante in silenzio, come se stesse meditando sulle sue ultime parole. «Non me lo perdonerò mai» Un singhiozzo, minuti ovattati. E poi, una risata amara. Niente verve. «Però ho capito una cosa, che si deve sempre dire ti amo alle persone che amiamo. Ti amo».
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HTML Editor - Full Version

 

A perfect sonnet

 

 

 

Quel pomeriggio mi chiamò Jacob. Aveva lasciato un lungo messaggio in segreteria: «Billy è morto.» Strinsi gli occhi, una lacrima solitaria mi uscì dall'angolo dell'occhio destro e scivolò sulla guancia. «L'ultima cosa che gli ho detto è stata: I tranquillanti non ti hanno ancora stordito? Ho sonno, papà.» Rimase per qualche istante in silenzio, come se stesse meditando sulle sue ultime parole. «Non me lo perdonerò mai» Un singhiozzo, minuti ovattati. E poi, una risata amara. Niente verve. «Però ho capito una cosa, che si deve sempre dire ti amo alle persone che amiamo. Ti amo». 

 

 

Arrivai al Forks Community Hospital alle sette e trentadue. Esattamente un'ora dopo la telefonata di Jacob. 

Non sapevo se l'avrei trovato ancora qui, magari era tornato nella sua casetta prefabbricata per attaccarsi al telefono e bestemmiare contro qualche impresario funebre privo d'empatia. Non avevo idea di cosa accadesse ai familiari,  dopo che il corpo privo di vita di un qualcuno, magari un marito o una zia alla lontana, veniva portato nell'obitorio e chiuso in quella celletta frigorifera. 

Scomparivano dalla scena? Raccattavano gli effetti del morto e tanti saluti, dritti a casa ad organizzare il funerale. Oppure rimanevano come spettri in quella stanza spoglia, che aveva accolto gli ultimi giorni del loro caro, e attendevano istruzioni dai dottori ?  

Ad ogni modo, in questo caso, preferivo l'incognita, all'attingere a dei ricordi. 

Oltrepassai le porte automatiche, le luci al neon e l'ambiente asettico dell'atrio mi infastidirono la vista. 

Non voglio starci qua, pensai. 

Volevo evitare di vedere Jacob in uno sfacelo completo , di pensare che non ci sarebbero più stati venerdì sera a base di spaghetti e polpette cucinati da Billy e, che nessuno me ne volesse, di sentire l'aroma del sangue sgorgare dal corpo maciullato di un poveretto. 

Timidamente mi avvicinai al banchetto, dietro cui c'era un donnone con un viso duro e una divisa bianca ben inamidata. 

«Salve. Dovrei andare...». Non riuscì a proseguire. 

Dove dovevo andare? Nella stanza di Billy, quella con la finestra che dava sul asfalto del parcheggio, o nell'obitorio? 

«Signorina, non ho tempo da perdere. Dove deve andare?». Le sue labbra rosse di un rosetto di discount rimasero ferme in una linea dura. 

«Nella stanza 302, William Black.». 

La donna sospirò. «La stanza è stata assegnata ad un altro paziente, signorina.». 

Dopo un'ora? Dopo solo un'ora, si chiude baracca e burattini e fuori dalle palle? — Pensai, sentendo lo stomaco rivoltarsi su sé stesso. 

Uscì dall'ospedale così com'ero entrata: un salto nel buio. 

La pioggia mi punzecchiava. Alzai lo sguardo sulla finestra della ex stanza di Billy e attraverso i vetri riuscì a scorgere delle sagome sconosciute. 

Entrata in macchina, mi fiondai verso La Riserva a 120 km/h. 

Non pensai a nulla durante il trangitto, né al ti amo di Jacob né al corpo esanime di Billy. Riuscivo solo a tenere l'acceleratore premuto e ascoltare la pioggia punzecchiare i vetri. 

Spensi il motore alle otto e un quarto. Tutto era buio, soltando le finestre del piccolo prefabbricato rosso erano illuminate. Le imposte erano aperte e dietro i vetri riuscì a vedere Rachel rannicchiata tra le braccia di Paul, calmo come il latte coi biscotti. Era un bene che lui mantenesse quest'apparenza, perché avrebbe dovuto raccogliere cocci di Rachel dal pavimento e ricomporli in quella che era sua moglie. 

«Nessie.» La voce di Jacob sembrava essere uscita dal più profondo degli abissi. 

Di scatto, lo abbracciai. «Mi dispiace così tanto, Jake. E scusa se non sono arrivata prima, ma pensavo fossi ancora all'ospedale», gli sussurrai contro al petto. 

Mi lasciò un bacio caldo sulla nuca. «Tranquilla, Nessie.» Mi avvolse di rimando tra le sue braccia, sempre ardenti come il fuoco. «Sei qui ora.», disse alla fine con un filo di voce. 

Mi slacciai, scendendo un gradino per poterlo guardare. La luce fioca dell'abitacolo, dietro alle sue spalle quadrate, lo illuminava appena. Eppure arrivai a vedere sul suo viso da eterno bambino, che ne ha combinata un'altra delle sue, il sorriso spento. 

«Dimmi cosa devo fare, Jake. Voglio aiutarti.», mormorai guardandolo nei suoi occhi stravolti dal sonno e da un pianto celato allo sguardo di tutti. 

Si strinse nelle spalle. «Niente, Nessie. Devo chiamare Rebecca per capire quando arriverà qui, Rach non vuole fissare la data del -scosse la testa- senza essere sicura che ci sia anche lei.». 

Anuii debolmente, con il labbro inferiore scomparso tra i denti. 

Jacob si chiuse la porta in legno alle spalle, compose il numero della sorella al cellulare, ascoltò un paio di squilli e poi, la voce gutturale di Rebecca. 

Doveva aver pianto, e anche molto. 

Come Jake pure lei non si perdonava qualcosa, di essere stata così assente. 

La morte di Sarah era tabù, ma mamma mi aveva detto che dopo quell'incidente le sorelle di Jacob erano scomparse dalla scena. Solo Rachel era tornata per rimanere, grazie a Paul. 

«Cosa vuol dire, che non riesci a essere qui prima di tre giorni?!», esclamò Jacob. 

Poi si strinse nelle spalle e s'azzittì. Le sue carnose labbra ben disegnate si piegarono sdegnosamente. 

«Ho capito, Becky. Ma...». 

Un spasma lo scosse. Le labbra tremarono. I muscoli si contrassero. 

Gli carezzai il braccio bollente, cercando di tranquillizzarlo. 

Avevo sentito alla tv che alle Hawaii c'era una brutta tempesta, con pioggia spessa e grandine grossa come palle da baseball. Probabilmente tutti i voli da Honolulo all'aeroporto Seattle-Tacoma erano stati soppressi. 

«Va bene, Becky, va bene.» Lanciò il suo cellulare a conchiglia addosso al vicino tronco di un abete. 

E poi, si accasciò contro la parete e si portò 

le mani alla testa. 

Ci misi un po' a reagire, perché non sapevo cosa fare. Sapevo che vedere Jacob in quelle condizioni mi avrebbe fatto stare male, ma, in realtà, ero lontana dallo stare male. Stavo molto, molto peggio. Il mio cuore era straziato da quella tragedia preannunciata, perché quando la tac, e anche la pet, avevano rivelato un tumore nella parte destra del colon di Billy, tutti sapevamo. 

Carlisle stesso, quando Jacob gli aveva inviato gli esami, ci disse che Billy avrebbe dovuto sottoporsi alla chemio e che anche questa, se avesse funzionato, non l'avrebbe fatto vivere per più di due anni. 

I tumori tornavano per divorare ancora e ancora. 

«Siediti...», mormoro Jacob a mezza voce, come se avesse percepito il mio disorientamento. 

Feci quello che mi aveva detto, e mi infilai sotto il suo braccio. Morsicai l'interno delle mie guance finché la pioggia non cessò di battere. 

E poi, in un gesto così delicato da risultare maldestro presi il viso del mio Jacob tra le mani e posai le mie labbra sulle sue. 

Non fu un bacio dettato dall'eros, di quelli che sono il preludio di un amplesso, ma un bacio esplorativo, forse disperato. 

Esplorai l'anima straziata dell'uomo e quella arrabbiata del lupo. Toccai il suo cuore trabboccante di dolore. 

Volevo tutto di Jacob, anche le ferite. 

E finché le mie labbra rimasero sulle sue frenai il respiro; avevo sentito dire in un film che se si rallenta la respirazione, anche il tempo rallenta. 

Jacob si fermò. La bocca socchiusa. 

Cos'è successo? Se è un sogno, non voglio svegliarmi. 

I suoi occhi neri, lucidi ed iniettati di sangue, si incatenarono ai miei; e fu cone un legame covalente puro: appartenevamo allo stesso elemento. 

L'aria si fermò. Il tempo si fermò. 

Eccoci, siamo solo tu ed io. Siamo sospesi. Siamo occhi negli occhi. Siamo solo noi due. — Pensai, sentendomi gli occhi pizzicare. 

Tentai di dire qualcosa, ma non mi uscì nulla.

Morsi l'angolo del labbro inferiore e Jacob seguì con lo sguardo quel movimento, un tic nervoso che mi portavo dietro da anni. 

Si leccò le labbra. Rimuginò per qualche momento, poi disse: «Ti amo.». 

I miei occhi erano incollati alla sua bocca. 

«Ti amo anche io, Jake.» Ti amo da quando due anni fa mi hai baciato sul naso, quest'aggiunta la tenni per me. 

Si distese sul legno poi, gli occhi chiusi e le gambe piegate. Sul mio grembo la sua nuca, che carezzai. Intrecciavo le mie dita lunge ed eburnee tra i suoi capelli, neri come l'ala di un corvo. 

Mi tornò in mente il verso di una canzone dei Bright Eyes: «Now I believe that lovers should be draped in flowers and layed entwined together on a bed of clover and left there to sleep. Left there to dream of their happiness.*».

Bravi, Bright Eyes. 

 

1*Adesso credo che gli amanti dovrebbero essere coperti di fiori e lasciati intrecciati insieme in un letto di trifogli e lasciati li a dormire. Lasciati li a sognare della loro felicità.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: seguilastella