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Autore: Ayr    10/07/2017    4 recensioni
Mi hanno accusato di tradimento, ma sono solo una vittima innocente degli eventi, incastrata da qualcuno più furbo e spietato di me, che non ha avuto rimorsi nel coinvolgermi in tutto questo e nel far ricadere la colpa sul mio capo, su cui, ora, pende la lapidaria sentenza: verrò destituito dal mio incarico e cacciato da quella che fino a quel momento era stata la mia casa.
Verrò umiliato, un’ultima volta, la più terribile: mi verrà strappato tutto ciò che fino ad ora ho posseduto ed il mio unico compagno di una vita verrà distrutto. Una parte di me morirà inevitabilmente con lui, quando il Sigillo verrà spezzato e rimarrò spezzato anche io.
Non voglio essere ricordato in questo modo, non se ho anche la più remota possibilità di raccontare come siano veramente andate le cose, e di dimostrare la mia innocenza.
Narrerò la mia storia e lascerò che siano i posteri a giudicarla, nella speranza che qualcuno riesca a vedere come io sia stato solo una vittima ingenua di un enorme inganno ben architettato.
[La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul forum di EFP: ‘The Dragon’s Riders Contest!’]
[Steampunk fantasy (o almeno ci provo)]
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IX

L’Andromeda scivolava dolcemente attraverso lo strapiombo, abbracciata da due imponenti pareti di roccia scabra e scura che scendevano a picco, incombendo sulla nave. L’imbarcazione, per quanto fosse possente, sembrava minuscola in confronto ai giganti di roccia massiccia che la circondavano, squadrandoli con cipiglio scuro, irto di sporgenze aguzze e lucide.
L’intera ciurma era stata rapita dall’incredibile paesaggio che le Kal Schelas offrivano: una catena montuosa maestosa e solenne, che svettava con altera fierezza, sfidando l’azzurrità del cielo, scevra dai fumi vomitati dalle fabbriche, che ammorbavano i cieli sopra le città. Il luogo era rimasto incontaminato, e nulla ne scalfiva la bellezza selvaggia e mozzafiato: non una costruzione ne deturpava la scabrosità, né una strada ne incideva il profilo; nemmeno la vegetazione aveva osato deturparla. Quella zona era nient’altro che pietra e cielo, il trionfo della natura che sbocciava nella sua più rude e disadorna bellezza.
Il silenzio che dominava il paesaggio era assoluto e solenne, sembrava di penetrare in un sacrario, e gli uomini avevano timore persino di emettere un respiro più profondo. L’Andromeda sembrava uno spettro che si aggirava sgomento per quel luogo silenzioso e suggestivo, con le vele nere gonfiate dal vento, che si infiltrava nel crepaccio che si snodava tra i massicci.
Il peso della bellezza indescrivibile di quel luogo gravava sulla ciurma e nessuno osava proferire parola, completamente in balia della potenza e della forza che quelle montagne parevano trasmettere.
«Kal Schelas, nella Lingua Morta, significa Muraglia Impenetrabile» ruppe il silenzio Adam. Anche lui si stava godendo la vista, abbandonato indolente contro il parapetto d’osso, «Nessuno si è mai spinto ad esplorare queste terre: le montagne incutono troppa paura e soggezione. Le popolazioni che abitarono prima di noi questa terra erano convinti che questa catena dividesse il mondo dei mortali da quello degli dei e degli spiriti che adoravano. Per loro era un luogo sacro e pertanto intoccabile.»
«Siamo dei profanatori» commentò Krugar.
«Per loro lo saremmo stati» scrollò le spalle l’altro, con disinteresse. Non aveva mai creduto in alcuna divinità, ed era fermamente convinto che la religione fosse l’oppio che la casta sacerdotale propinava al popolo superstizioso per mascherare loro la realtà, intorpidendoli con sermoni e inni. Krugar pareva del medesimo parere: non sembrava troppo dispiaciuto di aver messo piede in quei luoghi e, anzi, studiava con vivo interesse le pareti di roccia alla ricerca di qualche vena di minerali preziosi.
«Gli Ardrir hanno scelto appositamente questo luogo per nidificare: è praticamente disabitato e le loro uova e i loro cuccioli sono al sicuro.»
«Fino ad ora» ghignò Krugar. Adam ricambiò il sorriso e tornò a osservare il panorama che si stendeva davanti ai suoi occhi, come una tela in perenne movimento. Più l’Andromeda si addentrava nelle Kal Schelas, più i fianchi delle montagne diventavano stretti e irti di spuntoni di roccia scura, fino a congiungersi e diventare un’unica catena infinita nei pressi del Varco, il confine ultimo tra il mondo dei mortali e quello delle divinità.
Adam li fece arrestare poco prima: i nidi di Ardrir erano più numerosi nei pressi della congiunzione e avrebbero avuto maggiori probabilità di scovarne uno.
Durante il tragitto non vi era stata alcuna traccia dell’ombra sinuosa dei draghi: nessuno si era mai spinto fino a quei recessi e avevano abbandonato con sicurezza i propri nidi per andare a caccia, sebbene alcuni potessero essere rimasti di guardia, rintanati negli anfratti della roccia. Ciò che più Adam temeva, infatti, era un’imboscata da parte di quelle creature: proprio mentre erano in procinto di avvicinarsi ad un nido, un Ardrir sarebbe potuto spuntare all’improvviso dal suo nascondiglio e attaccarli.
«Qual è il tuo piano?» domandò Krugar. Lo stesso pensiero aveva attraversato la sua mente, e aveva iniziato a scrutare con attenzione -e apprensione- le pareti di roccia, questa volta alla ricerca di possibili nascondigli.
«Farai avvicinare la nave alla parete di roccia il più possibile, poi mi legherò con una corda che verrà assicurata al parapetto o alla poppa o dove preferisci, basta che sia abbastanza resistente; mi calerò dall’alto sopra un nido di Ardrir e prenderò un cucciolo. È grande come un gatto e assolutamente innocuo. Voi mi trainerete indietro e lo stesso farete nel caso in cui debba spuntare un drago adulto, il più in fretta possibile, grazie»
«Tutto qui?» domandò Krugar inarcando un sopracciglio cespuglioso, «Tu farai il funambolo mentre noi staremo a guardare e a trainarti come una Waahl?»
«Credo di essere l’unico in grado di poter affrontare un Ardir» gli fece notare Adam. Krugar scoppiò a ridere: una risata sguaiata, sgraziata che sparse gocce di saliva tutt’intorno e mise in mostra la chiostra di piccoli denti appuntiti e bianchi, tra i quali scintillava un dente d’oro.
«Credi che questo tatuaggio serva solo a nascondere il marchio?» domandò, «Non ti sei chiesto perché abbia scelto proprio un Ardir e non un qualsiasi altro drago o animale?»
«Sinceramente, non me lo sto chiedendo nemmeno ora» sbuffò il Dragoron.
«Ne ho affrontata una, di quelle bestiacce. Non qui, ma più a sud, verso Arsenia e le piane di Condanar. Lì ci sono le Rovine di Davanster, la Tomba del Re di Sabbia, con tutti i suoi tesori. Non immaginavamo che quell’Ardrir infernale ne fosse il custode e avesse deciso che le rovine erano il suo territorio di caccia. Ci attaccò all’improvviso, fulmineo: era veloce, scattante, letale. Provava a ferirci con le sue ali ma riuscì solo a lacerare le vele. Dovevamo abbatterlo se volevano avere una qualche possibilità di raggiungere la Tomba. Ma i miei uomini sono tutti dei cacasotto ed è toccato a me l’ingrato compito. Brandendo il mio spadone a due mani, mi sono gettato sulla bestia, e cercando di evitare le sue ali velenifere e sperando di non cadere, ho piantato la lama nelle sue cervella, fino all’elsa. Un combattimento mozzafiato, peccato che, tornato vittorioso sulla nave, mi sia accorto di un graffio all’altezza del cuore, inferto dalle sue ali malefiche. Un graffio da nulla, in realtà, per uno dalla scorza dura e spessa come un orco, ma il suo veleno poteva già essere entrato in circolo. Fece più male spurgarmi dal veleno che la ferita che mi aveva procurato il drago.»
«Ora si spiega la scelta appariscente» commentò Adam, privo di reale interesse, «Spero che tu sappia ancora usare quel tuo spadone.»
«Fernecar è la mia fida compagna e l’unica cosa che mi sia rimasta del mio passato.»
«Vedi di usarla come si vede quando dovrai decapitare qualche Ardrir» si raccomandò Adam. Voleva evitare di essere infettato da uno di quei draghi. Era per questo che avrebbe pagato profumatamente l’orco.
Krugar fece cenno ad Ariel di salire di quota e l’abile timoniere obbedì.
«Come riesci a vedere quei fottutissimi nidi?» domandò, aguzzando la vista per cercare di distinguerli in quell’intrico di spuntoni e sporgenze.
«Basta saper dove guardare» rispose evasivo l’altro. Ne individuò uno proprio sotto di loro, rintanato nel mezzo di due sporgenze divergenti; sondò con lo sguardo l’area circostante, alla ricerca di un possibile Ardrir, ma non ne scorse nessuno e chiese a Krugar di procurargli una corda.
«Dunabar» tuonò, «renditi utile e va a prendermi una corda. La più resistente che abbiamo, ma non troppo spessa, non ho alcuna intenzione di scorticarmi le mani per questo damerino pretenzioso di merda.»
Adam ignorò elegantemente l’offesa e osservò il nano affrettarsi sottocoperta con un ridicolo passo claudicante.
«Adoro farlo correre da una parte all’altra della nave» ridacchiò Krugar, «È uno spasso vederlo caracollare con quelle gambette storte. E non può nemmeno lamentarsi: gli è stata tagliata la lingua.»
Adam trovò piuttosto grottesco l’umorismo dell’orco, ma non poteva nemmeno aspettarsi qualcosa di diverso da uno della sua razza.
Dunabar arrivò tutto trafelato e completamente ricoperto da una corda robusta che sfuggiva dalla presa delle sue braccia, quasi si fosse trattato di un serpente; all’ultimo si inciampò in un lembo e finì lungo e disteso ai piedi di Krugar, che scoppiò nuovamente a ridere.
«Se non fosse un meccanico straordinario, l’avrei lasciato a qualche circo: è esilarante!»
Il nano lanciò un’occhiata carica di odio al capitano, tutto ciò che poteva fare nelle sue condizioni.
L’orco lo rimise in piedi con malagrazia e gli strappò la corda dalle mani; ne lanciò un capo ad Adam e mentre il Dragoron se l’avvolgeva strettamente attorno alla vita, Krugar l’assicurava al parapetto della nave.
Il cavaliere si premurò di controllare la resistenza del nodo, sotto lo sguardo visibilmente offeso dell’altro.
«Dieci anni e passa che sto su una nave e crede che non sia ancora capace di fare i nodi» borbottò.
Ariel assestò la nave e Adam si arrampicò sul bordo della balaustra, sotto di lui si apriva il nido di Ardrir: un nugolo di paglia e sterpaglia per tenere i piccoli al caldo, circondato da frammenti della roccia scura che costituiva le montagne. I piccoli erano quattro: tre femmine e un maschio, più piccolo e snello delle sorelle. Adam aveva puntato a quello: sarebbe stato più semplice da prelevare, le femmine tendevano ad essere più scorbutiche e cattive, mentre i maschi si animavano solo nel periodo dell’accoppiamento.
Il Dragoron prese un respiro profondo, allargò le braccia e si gettò nel vuoto.
Krugar e i suoi uomini più forzuti e muscolosi trattenevano la corda: al salto del cavaliere uno strattone li proiettò in avanti, ma riuscirono a frenare la caduta di Adam un paio di metri sopra il nido.
«Fatemi avvicinare lentamente» urlò.
«Che pretese!» si lamentò Krugar, facendo attentamente scivolare un tratto di corda per volta.
«Basta così» giunse la voce ovattata di Adam, «Ora cercate di non farmi sfracellare sulle rocce.»
«Giuro che quando riemerge lo getto giù dalla nave, ma senza corda» borbottò l’orco. Detestava prendere ordini, soprattutto da un fighetto del cazzo come Adam, ma la prospettiva della ricompensa bastava a fargli ignorare l’atteggiamento presuntuoso e indisponente dell’umano.
Il Dragoron si allungò verso il nido, i draghi avevano iniziato a soffiare e ad agitarsi, ma non potevano fare molto altro: non producevano ancora il veleno e non avevano denti.
Si protese verso il maschietto, mentre le femmine tentavano di proteggere il fratello uggiolando e mordendo le braccia di Adam con le sole gengive. L’operazione si stava rivelando più difficile del previsto: non riusciva ad afferrare i draghi che continuavano a muoversi, e se avessero proseguito a emettere quei versi, avrebbero attirato qualche drago adulto nei paraggi. Prima di essere catturati andavano sedati.
«Tiratemi su» sbraitò Adam e per tutta risposta ricevette uno strattone che gli strappò l’aria dai polmoni e per poco non lo fece rimettere. La delicatezza non era esattamente il forte di quei pirati.
Lentamente venne trascinato di nuovo sulla nave e sotto lo sguardo confuso e sorpreso dell’orco e di due umani nerboruti, si sedette cavalcioni sulla balaustra.
«Dobbiamo sedarli» li informò, «Si agitano troppo e non riesco a prenderli.»
«E me lo dici ora?» sbottò Krugar alterato.
«Non pensavo che sarebbe stato così complicato» si difese Adam.
«Sei tu che avresti dovuto pensarci prima, porca puttana! È tua questa idea!» iniziò a sbraitare l’orco, «Per chi cazzo mi hai preso? Credi che abbia un arsenale di sedativi nella stiva? E poi con cosa cazzo si seda un Ardrir?»
«Penso che un sedativo qualsiasi possa andar bene, la loro pelle è molto fragile e sottile» rispose l’altro con noncuranza.
«Tu mi stai pigliando per il culo» replicò Krugar, furibondo, «Credi che collezioni sedativi e veleni nel tempo libero? Non ho un cazzo di sedativo! Avresti potuto pensarci prima e l’avremmo preso a Valamer!»
«Dovremmo trovare un altro modo, allora» rispose Adam, imperturbabile.
«Ma non mi dire» esalò l’orco, le pretese di quel damerino stavano iniziando ad innervosirlo: nessuno aveva mai osato trattarlo in quel modo, come uno schiavo o un servitore, non da quando era diventato un capitano rispettato e temuto. Solo perché aveva accettato di lavorare per lui, quel cavaliere si era arrogato il diritto di poterlo comandare a bacchetta, come se si fosse trattato di un suo sottoposto. Krugar aveva ormai raggiunto il livello di sopportazione, ma con quell’ultima, improbabile richiesta era stato irrimediabilmente superato.
«Non immaginavo che sarebbero stati così combattivi» si scaldò Adam, «Sono degli stramaledetti cuccioli: innocenti e assolutamente privi di difese»
«I lividi sulle tue braccia sembrano dire il contrario» commentò caustico l’altro.
«Capitano» li interruppe uno dei pirati, «Temo che ci sia un Ardrir in avvicinamento.»
Krugar spostò lo sguardo fiammeggiante dal Dragoron allo spicchio di cielo di fronte a lui, contro cui si stagliava un’inconfondibile forma sinuosa che serpeggiava veloce attraverso l’aria, tagliandola con le sue molteplici ali membranose, striate di vermiglio. Il muso era lungo e appuntito e anch’esso aveva l’estremità rossa, così come i corni che si diramavano dalla testa, facendola distinguere dal corpo serpentiforme che si contraeva e distendeva, spingendo il drago verso la nave. I piccoli occhi gialli emanavano malvagità e sete di vendetta. Quell’Ardrir era più grosso di quello che aveva affrontato l’orco, probabilmente si trattava di una femmina, richiamata dai lamenti dei cuccioli, che aveva tutta l’intenzione di speronare l’imbarcazione.
«Merda» fu tutto quello che Krugar riuscì a dire, prima che il mostro impattasse contro la nave.

Avviso ai naviganti:
Volevo avvisare tutti coloro che stanno leggendo/seguendo/spulciando la storia che la pubblicazione verrà sospesa per due settimane e ripresa come di conseuto il 31 luglio. Ci scusiamo per il disagio.

   
 
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