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Autore: Ormhaxan    11/07/2017    8 recensioni
Gabrielle Nakovrar ha diciotto anni quando, seguendo le orme di suo padre e sua nonna prima di lei, entra a far parte della Bræthanir, la Fratellanza, gruppo di spietati e famigerati soldati al servizio dei sovrani di Yvjór, il regno della Primavera.
Ben presto, però, si renderà conto che dietro la gloriosa facciata fatta di palazzi maestosi, balli in maschera e sorrisi accondiscendenti si nasconde qualcosa di più profondo, oscuri segreti custoditi da secoli e la volontà di annientare coloro che dovrebbe essere protetti.
Nel regno a Nord di Ynjór, estremo baluardo che ancora resiste al dominio dei sovrani della Primavera, gli ultimi discendenti dei Sýrin, i mutaforma che un tempo popolavano ogni angolo dell'isola di Vøkandar, si stanno riunendo, insieme ad altri ribelli, sotto il comando di una combattente misteriosa che si fa chiamare Narmana.
E sarà proprio Narmana e il suo esercito che Gabrielle, adesso conosciuta con il nome di Nako, dovrà cercare di combattere quando la regina Lorhanna e il suo fratello bastardo, Lucien, ordineranno alla Fratellanza di marciare verso Nord in una missione che sembra essere un suicidio preannunciato.
Il vero nemico avrà realmente le sembianze di un lupo albino?
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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NAKOVRAR  — Vermiglio è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale






Bjorn digrignò i denti e ricacciò in gola l’imprecazione che era quasi sfuggita dalle sue labbra mentre uno dei Grigi, giunto a tarda notte insieme ai suoi confratelli per medicare i feriti, cercava di curargli le lesioni riportate durante lo scontro.
Il moro non aveva mai apprezzato le Tuniche Grigie, ordine tanto antico quanto importante fatto di vecchi rinsecchiti che rivestivano un ruolo cruciale non solo per la nobiltà, ma anche per il popolino e per quegli sfortunati che vivevano nelle terre dell'Ovest sotto il giogo della Primavera.
Le mani rugose ispezionarono nuovamente la ferita prima di cauterizzarla con un ferro rovente, provocando nel giovane guerriero un rantolo simile ad un urlo sommesso: Bjorn si concentrò sui ricami blu della tunica, piccoli disegni intrecciati che distinguevano quell'uomo senza nome dagli altri del suo stesso ordine, e iniziò ad elencare mentalmente i colori di ogni branca per sfuggire al dolore lancinante. Sin da piccolo aveva studiato, chino su polverosi tomi conservati nella biblioteca della sua casa, che il blu corrispondeve alla cura dei malati, mentre il rosso era dedicato a coloro che si occupavano anche di astrologia; il verde era il colore della botanica e, si diceva, un tempo una parte di loro aveva indossato tuniche dai ricami bianchi come la neve, colore che rievocare la pura magia da tempo perduta.

«Ora chi è la ragazzina?»
Gabrielle, seduta su di uno sgabello accanto a lui, lo provocò intenzionalmente: anche lei era appena stata ricucita in più punti, avendo riportato una brutta ferita al braccio sinistro e un taglio profondo all’altezza della tempia; come Bjorn, anche lei aveva imprecato mentalmente quando il Grigio, lo stesso vecchio rinsecchito e calvo che stava curando il suo amico, le aveva versato sulla pelle contusa un unguento appiccicoso e dall’odore acre preso da una delle tante fiale senza etichetta contenenti sostanze ricavate da chissà cosa.
«Taci, Nako! — esclamò nervoso Bjorn, subito prima di gemere per il dolore — Per poco non sono stato sventrato da un dannato Sýrin, il tutto per proteggere te e il tuo cervello bacato che proprio non sa quando indietreggiare.»
Gabrielle abbassò lo sguardo e sospirò. Era vero, Bjorn era quasi stato sventrato a causa di una sua mossa incauta, dalla sua inesperienza nonostante i due anni passati ad allenarsi per diventare una combattente degna del suo nome; si era sentita quasi morire quando, mentre tornavano alla fortezza, aveva notato il sangue che, copioso, aveva macchiato la tunica di cuoio bollito del suo amico. Bjorn aveva minimizzato, come sempre, ma a Gabrielle non erano sfuggite le sue smorfie di dolore e il timore che, per un attimo, aveva adombrato lo sguardo del moro.
«Mi dispiace, Vor… — colpevole, allungò una mano la posò su quella più grande del ragazzo — Prometto che d’ora in avanti starò più attenta e non ti deluderò.»
«Delusione? — Bjorn aggrottò leggermente la fronte — Suvvia, Nako, non mi hai deluso. È stato uno scontro piuttosto selvaggio, nessuno di noi avrebbe potuto immaginare il numero di perdite e feriti, ma ti sei comportata bene e hai combattuto come una vera guerriera.»
I due amici si scambiarono un sorriso, poi Bjorn proseguì: «Da domani, però, mi occuperò personalmente del tuo braccio sinistro. La difesa è ancora troppo bassa, non credere che non me ne sia accorto e non voglio rischiare che una prossima volta un coltello o una freccia si conficchi in mezzo ai tuoi occhi ammaliatori.»

«Eccovi, finalmente! — una zazzera di capelli color della cenere e una voce preoccupata accompagnarono l’ingresso di Nikolas Dvjorst, fratello del traditore e, come lui, cugino della regina Lorhanna da parte di madre; a differenza di Lucas, però, Nikolas da qualche anno era entrato a far parte, come quasi tutti i figli minori della famiglia reale, della Fratellanza — Vi ho cercato ovunque: dov’eravate finiti?»
«Impegnati a farci ricucire, Vjor. — rispose leggermente infastidito Bjorn, indicando il Grigio ancora chino sulla ferita all’addome — Lo scontro è stato più duro del previsto.»
«Ho saputo e avrei voluto essere là con voi nonostante tutto…»
Era stato Lucien ad impedire a Nikolas di unirsi agli altri, di prendere parte a quel delicato scontro per paura di eventuali mosse false: benché la fedeltà del figlio minore della principessa Lydia, zia della sovrana, non fosse stata messa in discussione, il traditore che avevano cercato di catturare rimaneva pur sempre suo fratello. Nikolas, inoltre, era spesso avventato e nessuno della Fratellanza era stato disposto a correre dei rischi evitabili.
«Nessuno tra noi dubita di te e della tua lealtà alla corona, Brætan, ma credo sia stato meglio così: nessuno dovrebbe combattere il sangue del proprio sangue, un traditore non solo della corona ma della famiglia e, credimi, per quanto difficile sia da accettarlo tuo fratello ha tradito e dovrà pagare per tale affronto.»
Nikolas annuì lievemente. Lucas era sempre stato il suo modello, il suo eroe; fino alla fine aveva rifiutato di credere nel suo tradimento, alle parole scritte su pergamena che lo stesso Lucien gli aveva fatto leggere settimane prima, ma dopo quella giornata una sua condanna a morte era divenuta inevitabile, così come inevitabile era giunta l’accettazione.

«Ho visto i mostri del Nord, i mutatori di pelle rinchiusi nelle celle. — confessò Niko, cambiando argomento — Sembrano persone come noi, non sembrano… certo, ci sono gli occhi di ghiaccio e alcuni sono albini, ma per il resto…»
«Parli così perché non li hai visti mentre si trasformavano. — disse Bjorn — Uno spettacolo tremendo, credimi: il loro corpo si deforma, sembra come se le loro ossa si spezzino una ad una per poi ricomporsi e dar forma allo scheletro di un animale. I loro occhi, poi, sono gli occhi di una belva, privi di qualsiasi emozione umana.»
«Non faccio fatica a crederlo. Sapete, prima ho sentito alcuni dei nostri fratelli anziani parlare di uno dei prigionieri, un certo Serghej che, a quanto capito, è uno dei Sýrin più feroci e importanti, una sottospecie di generale delle truppe o una cosa del genere. Da quanto capito, alcuni di loro già lo conoscevano in qualche modo…»
«Magari faceva parte della delegazione del nord giunta a corte quando Norhanna era ancora regina… — azzardò Gabrielle, senza sapere di aver detto il giusto — Mio padre, insieme a mia nonna, era stato presente al loro arrivo a Yvjóstafir e quando ero piccola mi raccontava di questi uomini con i capelli color delle nuvole e gli occhi del cielo più freddo. All’epoca lui era appena entrato nella Fratellanza, ma come figlio della Bræstvenna gli era stato concesso l’onore di assistere al loro arrivo a palazzo e al primo incontro privato tra la delegazione e la regina.»
«In ogni caso non credo che vivrà ancora per molto. — Nikolas si accomodò sullo sgabello lasciato vuoto dal Grigio che, nel frattempo, aveva finito di fasciare la ferita di Bjorn e aveva lasciato la stanza in silenzio — Lucien avrà sicuramente ordinato ai Torturatori di fare il loro dovere e, con o senza informazioni, ben presto lui e i suoi amici traditori penzoleranno da una forca o perderanno la testa.»

 


**




Quella che stava per concludersi era stata, per Gabrielle, una delle giornate più difficili della sua vita.
Erano passati tre giorni dallo scontro nella piazza del mercato, le sue ferite stavano iniziando a rimarginarsi e, dopo una mattina passata ad allenarsi senza troppo successo e nonostante il doloroso fastidio al braccio ferito che la perseguitava in ogni momento, i suoi superiori le avevano ordinato, per la prima volta da quando era entrata a far parte della Fratellenza, di assistere ad una inquisizione — o, meglio ancora, ad una vera e propria tortura.
Come il resto delle prigioni, anche quella cella destinata alle torture sapeva di muffa ed era illuminata dall'opaca luce giallastra delle torce; anche là, come in ogni altro luogo presente là sotto, l'aria era irrespirabile e pesante, quasi stomachevole per una persona non abituata a quell'ambiente.
Uno spazio angusto, ecco come lo avrebbe definito la rossa: non appena ci mise piede notò subito la prigioniera seduta su di una sgangherata sedia, le mani e i piedi legati, circondata tre uomini e una donna appartenenti alla Fratellenza molto più grandi di lei e di cui conosceva appena il nome.
La sciagurata — no, non sciagurata, si corresse Gabrielle, ma una ribelle — era una ragazza dai corti capelli biondi e gli occhi verdi; a differenza di altri, lei non era una Sýrin, ma una semplice giovane come lei.
Per ore prima e dopo il suo arrivo — un’eternità — avevano continuato a farle domande, ordinare con maniere spesso violente di parlare e rivelare i suoi segreti, così da ottenere una morte veloce e indolore invece che una lunga e lenta agonia; per ore, la ragazza senza nome aveva scosso la testa e si era rifiutata di rispondere, restando impassibile ad ogni tipo di tortura, persino davanti al ferro incandescente che era cozzato prima contro la pelle pallida del suo braccio e poi nel suo internocoscia.
La sua volontà era forte, molto più forte di quella di Gabrielle e dei suoi amici e per questo la rossa l’aveva ammirata segretamente.
L’aveva segretamente ammirata quando, senza emettere neanche un suono, l’avevano marchiata a fuoco come una bestia destinata al macello; l’aveva ammirata quando, seppur urlando disperatamente per il dolore, aveva preferito perdere un orecchio che rivelare i segreti del suo popolo.

«Quali sono i piani dei ribelli? Dove si trova il vostro accampamento? Chi si cela dietro il nome della combattente Narmana?»
Era stata Gabrielle, sotto richiesta dei fratelli più anziani, a porgere quelle domande per la prima volta da quando aveva raggiunto la buie e sporche stanze della tortura. Domande che, anche in quell’occasione, non trovarono risposte.
«Parla! — esclamò la rossa in quello che uscì più come un consiglio che una minaccia — Non vuoi che questo incubo finisca, non desideri una morte veloce e misericordiosa? Parla e tutto finirà all'istante.»
«Non dovresti essere qui. — sussurrò in risposta la ragazza con un fil di voce, osservandola intensamente e per la prima volta con il solo occhio che ancora riusciva a tenere aperto — Non è questo il tuo poso, il tuo destino; tutti voi siete stati ingannati…»
«Basta così, siamo stanchi delle tue menzogne e bugie!»
Un pugno ben assestato seguì la voce rauca appartenente a uno degli altri confratelli e colpì la ribelle in pieno viso, facendole inclinare all’indietro la testa e perdere i sensi: Gabrielle sussultò, presa anche lei alla sprovvista da un gesto tanto inaspettato quanto impulsivo, e quando le fu ordinato di lasciare la cella e tornare ai suoi alloggi si affrettò ad andarsene.


I sotterranei in cui si trovavano le celle erano pregni di un odore ancor più acre e nauseabondo del solito — odore di sangue fresco e morte.
Gabrielle anelava l’aria fresca del tardo pomeriggio, la brezza serale e contava i passi che la dividevano dalle scale a chiocciola che l’avrebbero condotta lontano da quel posto; ci era vicina, mancavano ancora poche falcate, quando il suo sguardo pensieroso fu attratto da un corridoio laterale appena illuminato, uno dei tanti che formavano quel labirinto sotterraneo che erano le prigioni reali.
Non seppe dire esattamente cosa l’avesse attratta, probabilmente un lieve movimento d’aria o forse la fioca luce che proveniva dalla cella più lontana: senza neanche accorgersene si ritrovò a percorrere il buio corridoio con passo felpato e una curiosità crescente al centro del petto.
Si guardò attorno, notando che non c’era nessuno di guardia e questo le permise di avvicinarsi ancor di più, fino a sfiorare con l’esile corpo le solide sbarre di ferro: all’interno della gabbia, immobilizzato da numerose catene, c’era il ragazzo – orso che, tre sere prima, aveva cercato di uccidere lei e i suoi confratelli.
Gabrielle, impassibile, l’osservò con attenzione, notando come quello che in un primo momento aveva scambiato per un ragazzo della sua età adesso sembrava avere lineamenti simili a quello di un uomo più vicino ai quaranta che ai trenta; una figura possente, dall’aria nobile nonostante il viso quasi del tutto sfigurato a causa delle percosse e il corpo ricoperti di lividi e ferite più o meno profonde.

«Ariadne?»
L’uomo dalla pallida chioma la osservò con occhi velati, pronunciò quel singolo nome — il nome di sua nonna — con un filo di voce, sbiascicando, come se ogni lettera gli costasse uno sforzo immane.
Gabrielle sgranò lo sguardo per la sorpresa, domandandosi come quell’essere conoscesse sua nonna, in quali rapporti era stato con lei e, soprattutto, chi fosse realmente.
 «No, non Ariadne… — si corresse quando il suo sguardo riuscì a visualizzare al meglio le fattezze della ragazza dalla rossa chioma dall’altra parte delle sbarre — Una Nakovrar, però, di questo ne sono certo. Sai, hai i suoi stessi occhi…»
«Come?» riuscì a dire Gabrielle, non trovando parole adatte per esprimere i suoi pensieri.
Che fosse, si domandò, quel Serghej di cui Nikolas le aveva parlato? Impossibile: l’uomo dall’altra parte delle sbarre era giovane, troppo giovane per aver preso parte alla delegazione proveniente dal Ynjór quasi venticinque anni prima, per essere stato un guerriero fatto e finito ai tempi in cui persino Lorhanna era ancora una giovane fanciulla.
«Non dovresti essere qui, non tu tra tutti. Lucien non lo avrebbe mai permesso, troppe cose sono in ballo ed egli conosce perfettamente il tuo valore… — l’uomo albino deglutì e tossì, sputando sangue che andò ad imporporare le sue labbra sottili — Sei solo uno strumento, lo sai? Tutto ciò in cui credi è una menzogna, la stessa Fratellanza è costruita su bugie secolari e sigilli quasi impossibili da spezzare.»
«Come osate? Siete solo uno sporco bugiardo, un folle che vuole vedere in ginocchio il nostro regno e la nostra amata regina! — esclamò Gabrielle, improvvisamente furiosa — Le vostre parole sono veleno.»
«Forse o forse ho ragione e voi tutti siete solo dei burattini, pedine sacrificabili in una scacchiera in cui le mosse sono imprevedibili e pericolose.»
«Siete pazzo!»

Gabrielle fece un passo indietro, poi un altro e senza mai voltarsi indietro camminò a passo svelto verso la fine di quel maledetto corridoio, per la scale, attraverso il cortile ricoperto di terra rossa e, infine, tra le stanze dei dormitori che conducevano alla sua stanze.
Arrivata davanti al suo letto con il fiato corto e il cuore che batteva come impazzito nel petto, la giovane guerriera si sfilò gli alti stivali di pelle marrone e, a peso morto e ancora vestita, si lasciò cadere tra i soffici cuscini.
Rimase a osservare il soffitto per un tempo lunghissimo, pensando e ripensando non tanto alle parole menzoniere e attentamente ponderate dell’uomo — orso, quanto al modo in cui l’aveva guardata con i suoi occhi di ghiaccio, riconosciuto nel suo sguardo lo stesso di sua nonna.
Sua nonna...
Non pensava a lei da molto, molto tempo oramai. Ariadne Nakovrar, la leggendaria stratega e assassina letale, era morta da tantissimo tempo e Gabrielle aveva solo nebbiosi ricordi di lei, della donna che aveva conosciuto sotto le vesti di nonna attenta e amorevole.
Non l'aveva mai davvero pianta, non ne aveva mai avuto il tempo data la sua tenera età che le aveva concesso pochi ricordi e poco tempo per instaurare un vero e proprio legame fatto di complicità e affetto sincero, ma da sempre avrebbe voluto poterla conoscere e ascoltare dalle sue labbra i leggendari racconti che la gente - suo padre, i suoi servi e alcuni tra i più anziani membri della Fratellanza - le avevano raccontato nel corso degli anni.
Che anche quell'uomo, quel ribelle, avesse conosciuto Ariadne meglio di lei e avesse delle storie segrete circa la donna da raccontarle?

Chi è davvero quell’uomo e come conosce tutte quelle informazioni sulla mia famiglia?

Pensierosa, si sfiorò con la punta dell’indice i contorni della cicatrice sul polso sinistro, ancora e ancora, cercando inutilmente di trovare risposte.
La Fratellanza era tutto ciò in cui la sua famiglia aveva sempre creduto, in cui lei aveva sempre creduto e, si disse, non avrebbe permesso a nessuno, tantomeno ad un subdolo Sý, di intaccare in alcun modo quella certezza più simile ad una fede. Aveva fatto un giuramento due anni prima, un giuramento che solo la morte avrebbe sciolto, e lo avrebbe onorato fino al suo ultimo respiro — proprio come suo padre; proprio come sua nonna.
Quando, poco più tardi, altre ragazze appartenenti alla Fratellanza entrarono in quella stessa stanza che Gabrielle condivideva con loro, la rossa si girò su di un fianco e, chiusi gli occhi e sperando che le pesanti tende che scendevano dal baldacchino in legno bastassero a celare il suo volto costernato, scacciò dalla mente quelle sciocche preoccupazioni e fece finta di dormire profondamente.




 

*



 



Glossario  & Albero genealogico dei sovrani di Yvjòr
 
 



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Vøkandar: isola in cui si svolgono le vicende. Nella mia mente è simile all'Islanda, solo più grande e solo in parte dominata dai ghiacci.
Yvjór: il Regno della Primavera. Il suo territorio si estende a Sud dell'isola ed è governato da un monarca.
Yvjóstafir: l'Eterna Primavera. Capitale del regno di Yvjór che si trova a Sud-Est dell'isola e si affaccia sul mare.
Ynjór: il Regno dell' Inverno e della Neve. E' il regno che si estende a Nord di Vøkandar, il solo a non essere stato conquistato dai monarchi della Primavera.

Ydvén: il regno dell’Autunno ad Ovest di Vøkandar. Durante la prima era è stato dovernato dalla stirpe dei Dverin, poi sconfitta dai sovrani della Primavera ed estinta.
Æntall: Bosco che divide le terre a Sud-Est con quelle a Ovest. Il suo significato è "Sempreverde".
Sýrin, i mutaforma del Nord: un tempo erano presenti in tutta l'isola, ma adesso sono decimati e sono presenti solo a Nord. Il singolo componente di questa "razza" viene chiamato Sý e solitamente ha il manto albino.
Narman: sono i ribelli del Nord, tra i quali ci sono sia i Sýrin che persone comuni. Il loro comandante si fa chiamare Narmanna.
Bræstven: E' il capo della Fratellanza. Il suo significato è "Onorevole fratello". Il suo corrispettivo femminile è Bræstvenna e significa "Onorevole Sorella".
  
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