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Autore: Kim_Pil_Suk    12/07/2017    0 recensioni
Il profilo di Octavia era chiaro e deciso. Aveva 19 anni, era dell'Ariete, studiava giurisprudenza, le piaceva fare escursioni, andare in barca, uscire la sera, fare sport e mangiare bene, era un'amica leale e la sua immagine di profilo prometteva molto bene.
Aveva un solo difetto: un fratello maggiore iperprotettivo e un po' distaccato.
Clarke sa che per entrare interamente nella compagnia di Octavia deve diventare amica anche del fratello. E ci prova, davvero, ma lui sembra fare di tutto pure di non includerla nella sua vita.
Scontroso, distaccato, chiuso in se stesso, Bellamy ama sua sorella più di qualsiasi altra cosa e la nuova ragazza con cui sta uscendo, intelligente e dall'aspetto così selvaggio e libero, non gli promette bene.
Nonostante questo Clarke ci prova e pian piano scopre quel lato gentile e protettivo di Bellamy che la fa sorridere.
BELLARKE AU
Bellarke, Linctavia, Minty, Maven(?)
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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Clarke era rilassata, forse leggermanete brilla, e stava ridendo quando le he caduto il mondo addosso in pochi secondi. 
 
Aveva appena chiuso al telefono con Raven - non poteva raggiungerli perché aveva un appuntamento con Wick - quando Jasper gli aveva passato la bottiglia di Moonshine. Era contro le regole della casa bere quella roba, ma Jasper aveva detto che un solo sorso non le avrebbe fatto nulla. Però quell'unico sorso le aveva fatto diventare la testa leggera.
 
Tutti i suoi amici erano brilli quanto lei, se non di più. L'unico che sembrava prendere le redini della situazione era Bellamy, calmo e pacato come suo solito. 
 
- Questa roba è davvero forte! - disse con voce troppo alta. 
 
- Infatti ora la porto via. - disse Bellamy sequestrando la bottiglia e lanciandole uno sguardo che Clarke pensò fosse arrabbiato.
 
Il ragazzo sparì nella cucina in un batter d'occhio e Clarke fece un sospiro profondo. 
 
- Si preoccupa tanto. È un bravo fratello. - borbottò Octavia al suo fianco. Anche lei troppo brilla per dire qualcos di concreto o mantenere la testa dritta.
 
Clarke annuì, incapace di dire una singola parola, quando le squillò il telefono. Il numero sul display diceva che era Raven così accettò la chiamata e si portò il cellulare all'orecchio.
 
- Che c'è? Wick ti ha dato buca? - chiese ridendo sotto i baffi. Capitava che Wick arrivasse in ritardo. 
 
- Pronto? - la voce oltre la cornetta non era quella di Raven. Dal timbro doveva essere un uomo sulla quarantina. Ma perché il suo tono era rammaricato? - Lei deve essere il fidanzato della ragazza. - Clarke scattò a sedere, spalle tese e ginocchia molli. Immediatamente una paura accecante la assalì. Cosa poteva essere successo di così grave da essere chiamati da uno sconosciuto? Clarke si sentiva la testa leggera e ovattata, ma non per l'alcol. 
 
- No... sono la sua migliore amica. Le è successo qualcosa? - tutti intorno a lei si zittirono, persino il battito del suo cuore, in attesa della risposta. A Clarke sembrarono passare minuti in attesa mentre il cuore le pompava sangue nelle orecchie e l'unica cosa che sentiva era il suo respiro nervoso, agitato. 
 
- Mi dispiace, signorina, ma la sua amica... la sua amica ha avuto un incidente. Una macchina deve aver sbandato e la sua amica èstata investita in pieno. Sulla fiancata della macchina c'è un enorme buco. - iniziò a spiegare ma Clarke non lo ascoltava nemmeno. Qualcuno oltre la cornetta, un altra voce estranea, in lontananza, disse qualcosa. - I paramedici chiedono il suo nome. 
 
Clarke rimase in silenzio per un attimo, chiusa nell'attimo, nella paura di perdere la sua migliore amica. Il terrore e la sorpresa le avevano serrato la mascella e non sentiva più le dita molli attorno al cellulare. 
 
- Raven, Raven Reyes. - la sua stessa voce le uscì distante e vuota. Sentì quello scoppio, qurl senso di allarme, dentro di se. Qualcosa le scattò e prima ancora che potesse accorgersene stava camminando nervosamente per la stanza, ormai completamente sobria, il volto bagnato dalle lacrime. Il sangue le pompava nelle vene ad una velocità assurda e le sue gambe molli provavano a reggerla mentre girava per la stanza. - Dove... dove la stanno portando? - la sua voce usciva forte e scossa. - Quale ospedale. - sentiva gli occhi dei suoi amici addosso. Stavano vedendo la sua parte vulnerabile e in questo momento non le importava.
 
- Il Mercy. 
 
Clarke chiuse la chiamata e si voltò trovando lo sguardo di Octavia. Si portò le mani tremanti ai gomiti e Octavia si alzò per abbracciarla. La strinse forte e un senso di calore, di comprensione, la avvolse. Possibile che quella ragazza potesse farla sentire così in un momento del genere? Clarke nascose il volto nella sua spalla. 
 
- O, è la mia migliore amica. - disse nell'incavo del suo collo. Octavia le accarezzò la schiena. La capiva. - Ho bisogno di vederla, di sapere che sta bene. - si staccò all'improvviso tremando come una foglia, con gli occhi lucidi e le lacrime che ancora scendevano. Il terrore sul suo volto faceva capire che nessuno poteva fermarla. 
 
Bellamy entrò proprio in quel momento, una bottiglia alla mano e lo sguardo confuso sul volto. 
 
- Cosa succede? - aggrottò le sopracciglia in quella che doveva essere un'espressione preoccupata osservando Clarke scossa e terrorizzata. Lei non gli diede tanto peso e osservò Bellamy senza vederlo. 
 
- Raven ha avuto un incidente. - gli spiegò la sorella. Gli lanciò uno sguardo e il fratello sembrò capire al volo. 
 
Bellamy lasciò la bottiglia di acqua che aveva in mano e prese le chiavi. In pochi secondi fu di fianco alla bionda. 
 
- Vieni, ti porto da lei. - le disse prendendola delicatamente da una spalla. Clarke si limitò ad annuire e raggiunse la macchina nel vialetto mentre Bellamy prendeva i loro cappotti. 
 
Fuori faceva freddo ma Clarke si stava sentendo morire dentro, intorpidita da quella valanga di emozioni.
 
 
Durante il viaggio Clarke rimase in silenzio, con lo sguardo sul cruscotto e le ginocchia e le braccia strette al petto. Non si mosse e sembrava non respirare. Si asciugò il naso che colava con la manica, incurante, e indirizzò il suo sguardo alla strada. Le luci, le sembravano distanti anni luce dal suo piccolo mondo di terrore che si era creata.
 
Bellamy pigiò sull'acceleratore e arrivò all'ospedale in tempo record. 
 
Clarke avrebbe voluto avere la forza di correre fino alla sua stanza ma si reggeva a malapena in piedi. Stava rivivendo lo stesso incubo di quando era piccola e aveva perso il padre. Ma questo sembrava più reale. Perché era più grande e lei aveva ricevuto la notizia da una voce sconosciuta, una voce senza faccia. 
 
Bellamy la sorresse lungo i corridoi asettici 
fino alla reception e poi fino alla stanza.
 
Raven era distesa sul letto, circondata da tubi e macchinari. Era ferma, gli occhi chiusi, quasi sembrasse morta e a Clarke mancò la foeza nelle ginocchia. Bellamy se la strinse al petto e Clarke si contenne dall'urlare. Non capiva se era viva e il dolore e la paura le impedivano anche solo di concentrarsi sui macchinari. 
 
Certo che era viva. Raven ha la scorza dura, si disse. Non morirà senza il mio permesso. E dopo oggi non lo avrà mai. 
 
Un dottore le spiegò che la sua schiena era compromessa. C'era una brutta emorraggia che era stata drenata e Raven poteva dirsi salva.
 
Le avevano fatto un intervento di urgenza ma che avrebbero saputo gli esiti solo quando si sarebbe svegliata. 
 
La bionda si mise di fianco al suo letto e Bellamy rimase in disparte, per darle privacy ma anche per controllarla. Clarke si chinò sul suo viso e la guardò, spostandole i capelli dai tagli ormai ricuciti. Le sorrise appena, in un modo quasi sadico, distrutto. Era così bella e gentile ma così distrutta. Le passò delicatamente una mano sul livido sulla fronte. 
 
- Giuro che se muori ti uccido. Ti resuscito apposta per ucciderti io. - le disse nonostante fosse addormentata. - Non puoi farmi questo pure tu. Non tu, stronza. - per qualche motivo era arrabbiata, ma non con lei. Era distrutta e non piangeva più.
 
Si sedette sulla poltroncina scomoda e vecchia dell'ospedale e appoggió la testa sul materasso e senza che se ne accorgesse si addormentò stringendo appena la mano di Raven nella sua. Era calda e finché era così sapeva che era viva e questo le bastava. 
 
 
 
Qualcuno - Bellamy - le aveva messo il cappotto sulle spalle mentre dormiva e gliene era grata, visto l'aria condizionata che tirava lì. Si svegliò con la gola secca e gli occhi gonfi di pianto. 
 
Si alzò al suono della voce di Raven che chiaccherava con Bellamy. Avevano un tono basso, per non svegliarla ma non sembravano litigare. 
 
- No no, affatto. Non è stupida. - sentì dire a Raven. Bellamy non continuò quando vide Clarke alzare lentamente la testa. - Sorgi e risplendi bella addormentata. - le disse sarcasticamente. Un sorriso divertito sul viso livido.
 
- Vedo che non hai perso il tuo sarcasmo. Buono a sapersi. - disse con voce roca. La fissò intensamente per dei secondi. - Se non fossi ricoverata ti prenderei a schiaffi. Ti avrei ucciso se morivi. - ripeté. 
 
- Chissà perché ma ci credo. - Raven alzò le mani in segno di resa.
 
Il telefono di Bellamy squillò e lui si allontanò per non interromperle. 
 
- Ti resterò appiccicata al culo per tutta la vita, stronza. - le disse mettendole una mano sui capelli e accarezzandola. Aveva un sorriso dolce anche se contrito. Guardò attentamente il volto di Clarke e capì che aveva pianto.
 
- È per te. - Bellamy le si avvicinò e le passò il cellulare. Clarke lo prese confusa, ricordando poi che aveva dimenticato il suo a casa dei Blake, nella furia del momento.
 
- Pronto? 
 
- Clarke! - era Wells, che le aveva appena urlato in un orecchio. Era arrabbiato e spaventato. - Perché non mi hai chiamato! Sei stata davvero una stronza! Mi ha dovuto avvisare Octavia! Non sai quanto ero preoccupato! - disse tutto così in fretta che a Clarke arrivò tutto all'improvviso. Doveva essere davvero arrabbiato se aveva detto delle parolacce.
 
- Wells. Rilassati. Sto bene. Non sono io quella che sta male. - lanciò uno sguardo a Raven subito dopo aver alzato gli occhi al cielo.
 
- Come sta Raven? - si era calmato. 
 
- Si è svegliata ora. - disse lanciandole un'occhiata. La mora le sorrise stanca ma rassicurante. - Te la passo. 
 
Raven e Wells parlarono per dei minuti e Clarke poteva sentire il suo amico urlare dall'altra parte della cornetta mentre Raven cercava di calmarlo. La bionda le teneva una mano e le accarezzava il dorso con il pollice. L'altra gliela stringeva a tratti, per farle capire che era lì ed era viva. Era il suo modo di comunicare. 
 
- Tieni. - Bellamy si posizionò accanto a lei porgendole un bicchiere di qualcosa di caldo. La ragazza lo accettò con un sorriso.
 
- Grazie, di tutto. - il ragazzo le rispose con un sorriso contenuto e lei prese un sorso della bevanda. - Cioccolata calda?
 
- Aiuta, anche meglio del caffè. - si appoggiò con i fianchi al fondo del letto e Clarke gli fu grata di tutto in quel momento. 
 
Raven finì la chiamata mentre Clarke finiva la sua cioccolata. Sbuffò e borbottò che Wells si preoccupava sempre troppo.
 
Quando entrò il dottore Bellamy si spostò in modo che entrambe potessero vederlo. Disse loro che dovevano fare dei test. Niente di doloroso, gli assicurò. Così Clarke diede un bacio sulla fronte alla ragazza e andarono fuori ad aspettare. Era nervosa, forse anche più di Raven.
 
 
Nel tempo in cui aspettarono ricevettero chiamate da tutti i loro amici, ormai sobri anche se con il mal di testa, che chiedevano come stesse Raven e come stessero loro due.
 
Jasper e Monty erano in lacrime e pieni di sensi di colpa perché l'avevano fatta bere, ma Clarke li rassicurò per ore che non avevano nessuna colpa. Era stato difficile ma dopo 23 minuti si chismata avevano deciso che potevano conviverci.
 
Octavia si era dimostrata forte e gentile e le aveva chiesto se voleva passare da lei quando avrebbe staccato. Clarke aveva bisogno di compagnia. Gliene fu grata.
 
Miller, Lincoln e Harper augurarono il meglio ad entrambi ma non la mandarono per le lunghe. 
 
Poi il silenzio calò. Clarke e Bellamy non avevano molta confidenza così il disagio aleggiava fra loro. In realtà era Clarke quella a disagio. Bellamy sembrava stare bene nel silenzio. 
 
- Vuoi rimanere anche stanotte? - le chiese dopo qualche minuto. 
 
- Credo di sì. Posso dormire sulla sedia e andarmene poi domani sul tardi. Puoi andare, non sei obbligato a starmi dietro. Ora posso farla a piedi o prendere i mezzi pubblici, sto qua vicino. 
 
Bellamy aggrottò le sopracciglia e rimase a braccia incrociate, come era stato tutto il tempo. 
 
- Non è un obbligo il mio. - disse con voce profonda. Clarke non seppe come rispondergli. - Non hai scuola domani? - disse ricordandosi che era lunedì e le vacanze erano finite. 
 
- No. - disse Clarke stringendo le labbra e mantenendo lo sguardo sul muro di fronte a loro. Era a disagio. Quello per lei era ancora un argomento pungente. 
 
- Lavoro? - chiese poi, confuso. 
 
- Nemmeno. - mormorò a disagio. Il ragazzo rimase in silenzio così lei sospirò. - Puoi chiederlo. 
 
- Come fai ad andare avanti senza qualcosa che ti retribuisca? Non che io abbia visto casa tua. Per me te potresti abitare sotto un ponte e lavarti nei bagni pubblici. - disse con un'alzata di spalle. A Clarke sfuggì un sorriso. 
 
- Io ho... - era a disagio a parlare di se e soprattutto del lato della sua vita che non la rendeva affatto fiera. - Ho un fondo. Mio padre mi ha lasciato diversi soldi e mia madre ne ha altri. Così mi sono presa un anno sabbatico, per decidere cosa fare della mia vita. - dopo questa frase ne seguirono minuti di silenzio. 
 
- Cosa facevi prima di smettere?
 
- Medicina. Ultimo anno. - e sorrise all'ironicità della situazione. - Ma stavo pensando di lasciare tutto per l'arte. Mi piace aiutare la gente ma non sono ancora sicura che quella sia la mia strada. - non sapeva cosa l'avesse fatta aprire così. 
 
Bellamy aprì la bocca per dire qualcosa quando la porta della stanza si aprì e Clarke scattò in piedi. Il dottore li invitò dentro. 
 
Ravene stava seduta, immobile, sul lettino. Con la testa rivolta verso la finestra semichiusa, senza mai voltare lo sguardo verso i suoi amici. Non sembrava nemmeno che si fosse accorta che erano entrati.
 
Clarke le tenne la mano inerme tutto il tempo mentre il dottore gli diceva il resoconto. E Clarke pianse per lei perché sapeva che lei non lo avrebbe fatto, troppo orgogliosa per farlo davanti a tutti. Stupida Raven. Ma lei si meritava tutte le lacrime del mondo e Clarke le avrebbe dato questo e altro. Se le meritava e Clarke avrebbe fatto qualcunque cosa perché lei stesse meglio.
 
 
 
Raven rimase in silenzio per i successi tre giorni. Non le rivolse una parola, ancora sconvolta. Non aveva pianto, ne urlato. Non aveva avuto la minima reazione. Aveva smesso di mangiare, ignorando completamente i pasti, senza nemmeno spiegarsi. Sembrava sempre più stanca ogni giorno che passava e Clarke ci aveva davvero provato ma nessuno la ascoltava. La paura che la sua migliore amica potesse scomparire tornò a galla di nuovo. Si stava lasciando morire e Clarke lo sapeva. 
 
Bellamy fece avanti e indietro fra l'ospedale e casa propria per farsi la doccia e portare un paio di cambi a Clarke. La bionda non si mosse dal fianco di Raven. 
 
- Grazie. - gli sussurrò quando le passò la giacca. Non aveva notato di star tremando. - Non devi stare per forza al mio fianco. 
 
- Non importa. Stasera non devo lavorare. 
Clarke annuì, sovrappensiero. 
 
- Raven. - la scosse appena, con la voce tremula. - Rae, rispondimi. - Bellamy si mise vicino al muro dietro la bionda. Raven non diede segno di voler rispondere, batté solo le palpebre sugli occhi rossi. - Raven, sei così da giorni. Per favore, di qualcosa. Ti prego. - altri secondi di silenzio. - Parlami.
 
- Cosa vuoi che dica? - la sua voce era roca e bassa. Clarke doveva essere contenta di quella reazione ma questo la fece solo arrabbiare. 
 
- Qualsiasi cosa. Come ti senti? - cercò di stare calma, per lei. 
 
- Come vuoi che mi senta? - voltò lentamente la testa verso di lei e la guardò negli occhi senza davvero vederla. - Vuoi che ti dica come ci si sente a sapere che non potrò mai più usare la mia gamba sinistra? Come ci si sente a sapere che sarò per sempre una menomata? - gli occhi le diventarono lucidi. - Ci si sente benissimo. - nella sua voce c'era astio e rammarico. 
 
Clarke pianse di nuovo, ormai stanca. 
 
- Andremo avanti insieme. - Raven non le rispose. - Ti prego... - ancora niente. 
 
- Perché vuoi tanto che io ti dica come sto? Cosa cambia? - non voleva ferirla, ma lo stava facendo. 
 
- Perché tu sei la mia migliore amica e perché senzadi te la mia vita non avrebbe un senso! - scattò in piedi urlando e Raven la guardò spaventata. Bellamy le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle, per farla calmare. E questo gesto la calmò davvero. Così abbassò la voce. - Perché ti voglio bene e non devi tenerti tutto dentro. Non riesco a vederti mentre ti lasci morire! Io sono qui per aiutarti e non posso piangere per te per tutta la vita. Devi sfogarti o non ne uscirai mai più. 
 
Raven rimase immobile poi gli occhi le si riempirono di lacrime e le tremò il labbro.
 
Clarke le cadde addosso, stringendola in un abbraccio. Raven nascose il viso nel suo collo e anche se non voleva urlò forte. Le tirò i capelli ma Clarke non disse niente. Era il suo momento. 
 
- La mia vita... non avrò mai più la mia vita indietro. - pianse nella sua spalla mentre le affondava le unghie nella pelle, ma a Clarke non importava.
 
- È tutto ok, ci sono io con te. Affronteremo tutto insieme. - le accarezzò i capelli e le posò un bacio sulla tempia. - Non sei sola. 
 
 
Una settimana dopo Clarke rincominciò gli studi. Tutti i giovedì pomeriggio accompagnava Raven a fisioterapia e il resto della settimana si chiudeva in casa a studiare.
 
Raven si era trasferita da Clarke e per lei, la bionda, aveva deciso di dare gli esami a giugno per poterla poi aiutare nella sua guarigione. 
 
- Non devi fare questo per me. - le disse un pomeriggio, seduta sul divano con la gamba chiusa in un ausilio di ferro appoggiata su un cuscino. Era qualcosa che l'avrebbe aiutata, dicevano. Invece era solo pesante e scomodo.
 
- Ma io lo voglio. - disse con uno sguardo veloce. - Ora fammi studiare. 
 
Raven rimase in silenzio ma dopo pochi secondi la sentì alzarsi sotto il suo sguardo contrario. Si buttò di peso accanto a lei, levandosi i libri da sotto il fondoschiena. 
 
- Clarke, lo sai che per una volta nella vita potresti pensare solo a te stessa? - le circondò le spalle con un braccio. 
 
- Ma io lo faccio. - ignorò il sopracciglio alzato della mora. - Solo che ora voglio pensare a te. 
 
- E l'arte? - Clarke appoggiò la testa contro la sua spalla. Non voleva litigare. 
 
- Faró un corso questa estate e diventerà il mio hobby. 
 
Raven la osservò attentamente ma non disse nulla. Il telefono di Clarke squillò. Era Jasper.
 
- Ehi, Jasper. - Clarke mise il vivavoce e rimase con la testa appoggiata a Raven. 
 
- Ehi Clarkey! - dietro Jasper si sentiva la voce di Monty che chiaccherava. - Ci chiedevamo se te e Raven voleste venire qua a casa dei Blake. Bellamy si è portato a casa una ragazza dal lavoro quando aveva detto che avrebbe smesso così ora lo stiamo torturando e denudando. 
 
Clarke alzò il viso e guardò Raven. Sapeva che non poteva spostarsi di casa se non per andare all'ospedale. 
 
- Per quanto mi alletti vedere Bellamy torturato e denudato dobbiamo rifiutare. 
 
- Oh. Che peccato. - Jasper sembrava capire oppure qualcuno glielo aveva detto perché non replicò. - Sarà per la prossima volta. 
 
- Oppure potreste venire voi da me. - propose lei chiedendo il permesso con lo sguardo a Raven. 
 
- È casa tua, non mia. - le sussurrò lei alzando le mani in aria. 
 
- Ehm, ok, ci stiamo! - rispose il ragazzo. In sottofondo Clarke sentì Bellamy lamentarsi ad un tono di voce molto più alto del normale. 
- Vi invio l'indirizzo sul cellulare. 
 
 
 
Quando aprì la porta, 30 minuti dopo, si ritrovò Bellamy, legato per mani e piedi e con uno sguardo omicida, completamente solo. Un foglio attaccato sul suo petto diceva "Non liberarmi. Mordo e ho la rabbia".
 
- Sono scappato. Aiutami. - disse girandosi per mostrarle le mani legate dietro la schiena.
 
Clarke gli rise in faccia e procedette poi a slegargli le mani. 
 
- Hai saltellato fin qui? - gli chiese quasi sarcasticamente. 
 
- Macchè. Ho volato. - era la prima volta che faceva una battuta. Per cui Clarke lo osservò un attimo mentre si slegava i piedi. Aveva la camicia abbottonata storta e le scarpe slacciate. - Mi hanno lasciato all'inizio del vialetto e sono tornati a casa perché avevano dimenticato Monty e Miller. 
 
Clarke gli sorrise e prese le corde che lui si era tolto. 
 
- Sono convinto che i tuoi vicini mi abbiano visto saltellare per tutto il vialetto come un coniglio. - le disse rimanendo sulla porta. 
 
- Ti ho visto pure io! - urlò Raven dal salotto. Clarke gli fece segno di raggiungerla e gli chiuse la porta alle spalle. 
 
- Non lo racconterai ad anima viva, vero? - le disse con quello sguardo minaccioso. 
 
- Assolutamente no. - Raven scosse la testa ma Clarke sapeva che mentiva. Raven fece un gesto e Bellamy si sedette di fianco a lei. Aveva solo mosso un dito e lui aveva capito. Da quando quei due erano così in sintonia?
 
- Bene. - le disse battendole una mano sulla gamba malata. Raven gli scoccò un'occhiataccia. 
 
- Vuoi qualcosa da bere, Bellamy? - Clarke gli si avvicinò indicando la cucina. Bellamy si alzò semplicemente e la seguì in cucina. Gli versò un bicchiere di acqua e mentre lui beveva rimise la bottiglia a posto. 
 
- Hai una bella casa, Principessa. - le passò il bicchiere. 
 
- Era dei nonni di mio padre. - non sapeva perché glielo stesse dicendo. Mise il bicchiere nel lavello e raggiunsero Raven che guardava un documentario sulle marmotte. Si sedettero con lei e commentarono ogni singola marmotta che spuntasse. 
 
I ragazzi arrivarono 10 minuti dopo. Clarke aprì la porta e Jasper si fiondò dentro con un fischio. "Mica male!", le disse. 
 
- Jasper! - gli urlò dietro Harper. - Scusa Clarke. - ma la bionda li fece entrare con un sorriso. 
 
Lincoln le passò davanti scusandosi e ringraziando. Monty la salutò con un abbraccio ma era rosso in viso e Miller lo seguì, sorridendo a Clarke. Octavia fu l'ultima ad entrare. Si abbracciarono e Octavia le baciò le guance. Si scusò per la quinta volta quella settimana per non essersi fatta sentire spesso. 
 
Tutti si accomodarono in salotto sotto ordine di Clarke e salutarono tutti Raven congratulandosi poi con Clarke per la casa. 
 
Raven senbrava stare meglio. Clarke ne era contenta perché per una volta non si sentivano tanto sole.
  
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