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Autore: Carme93    16/07/2017    1 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo quinto

Strategie da rivedere
 
«Buongiorno a tutti!» disse Albus, ma la sua voce non suonò sicura come avrebbe voluto. Non era bravo in quel genere di cose… Suo padre, sua madre, i nonni e la maggior parte degli zii stava facendo colazione prima di recarsi a lavoro.
«Da quand’è che ti alzi così presto?» gli chiese Ginny sospettosa.
«Perché non posso aver voglia di fare colazione con tutti voi?».
«Perché non vieni a darmi una mano in negozio?» gli chiese zio George porgendogli il vassoio con le brioche di zucca.
«Credo che sarebbe più istruttivo se venisse con me al Ministero, potrebbe imparare molte cose e poi ci sono alcuni corsi estivi interessanti» propose, invece, zio Percy.
«E io non credo che sarebbe sicuro» intervenne Harry e Albus avrebbe voluto abbracciarlo: okay la sua fissazione con la sicurezza stava diventando pesante, ma in questo caso andava a suo vantaggio. Non che non apprezzasse la compagnia dello zio George, ma nel suo negozio c’era sempre troppa gente e tenere sotto controllo i bambini in mezzo agli scherzi era impossibile.
«Ma dai, Harry! Il Ministero è sicurissimo!» ribatté prevedibilmente zio Percy.
«Questa favola raccontala a qualcun altro, Percy! Non certo a me, che sono a capo della sicurezza!» sbottò Harry, palesemente contrariato.
Albus, vedendo che lo zio stava per ribattere e sapendo che la discussione sarebbe degenerata, disse: «A proposito della sicurezza, papà, ma si può andare a trovare Jesse Steeval?».
«Dorcas no» replicò Harry dopo un lungo sorso di thè.
«Cosa? I-io ti ho fatto una domanda generale! Cosa c’entra Dorcas?» bofonchiò Albus sconvolto.
Harry sospirò. «Ti prego Al, sono stanco e nervoso. Non mi fare arrabbiare. Gabriel mi ha raccontato che Dorcas vorrebbe andare a trovarlo».
«Almeno spiegami perché non possiamo vederlo» sospirò Albus.
«Vuoi andare a trovare Steeval? Per me non c’è problema. La sua stanza è sorvegliata da due Auror, con la mia autorizzazione potrebbe entrare anche uno schiopodo sparacoda…».
«Ehm quindi io, Alastor e Dorcas possiamo andarlo a trovarlo con il tuo permesso…» tentò Albus.
«No, Albus. Tu, se vuoi, avrai il mio permesso. Se Kingsley dovesse dare il suo permesso ad Alastor, potrà farti compagnia. Dorcas non può venire».
«Scusa, l’autorizzazione la devi dare tu…».
«Al, niente giochi di parole!» lo fermò bruscamente Harry spazientito. «Gabriel non vuole che Dorcas abbia a che fare con Steeval».
«Ma devi dare tu l’autorizzazione! Non lui!».
«È suo padre ed è mio amico! Non andrò contro la sua decisione!» affermò Harry.
«Perché? È una cosa stupida! Dorcas vuole solo parlargli un attimo!».
«Non dipende da me. Ora se vuoi andarci…».
«Sai benissimo che non me ne frega niente di Steeval!» sbottò Al alzandosi.
«Non fai colazione?» lo richiamò la nonna.
«No, non ne ho voglia» borbottò.
«Albus, non rispondere con quel tono alla nonna!» ammonì Harry.
Il ragazzo lo fissò imbronciato e si diresse al piano di sopra.
*
«Adoro la tua piscina!» sospirò Rose, accoccolandosi meglio sul lettino prendisole.
«I miei saranno fuori il prossimo weekend» comunicò con un sorriso furbo Cassandra Cooman, una ragazza dai fluenti capelli biondi sui quindici anni.
«A sì? E dove vanno?».
«Boh… Credo negli Stati Uniti. Papà ha una conferenza… Una cosa noiosa…».
«Immagino…».
«E volevo approfittarne per fare una festa».
«Wow!  Fantastico!».
«Vorrei che fosse indimenticabile! Così tutta la Scuola se la ricorderà!».
«Giusto! Sai già chi potremmo invitare? Io inviterei i ragazzi del settimo anno».
«Certo, ma solo quelli carini. Per esempio gli amici di tuo cugino Fred».
«Verranno sicuramente! E poi Abbott di Tassorosso? Una volta l’ho visto dopo gli allenamenti! Ti ricordi? Te l’avevo detto! Era a petto nudo…».
«Oh, sì. In quel momento avrei voluto entrare a far parte della squadra!».
Rose rise. «È un gran figo!».
«Anche Matthew Parker di Corvonero è carino» disse pensierosa Cassy.
Rose fece una smorfia. «Sì, è passabile, ma non è una gran bellezza, eh».
«Beh, sì sicuramente Abbott è il più bello del settimo anno. E del sesto? Sai che tu cugino è carino?».
«Che schifo! Lo dici solo perché non l’hai visto quando ha preso la varicella! Era pieno di schifosissime pustole e si divertiva a torturarle!».
«Oh, Merlino, che schifo Rose! Ma quanti anni aveva?».
«Boh, sette-otto… chi si ricorda…».
«Era un bambino! Ora non ha nessunissima pustola!».
«È fidanzato… Gabriel Fawley di Serpeverde ha il suo fascino».
«Ci sei andata a Hogsmeade, una volta… anche se non era una cosa seria… Mark Parkinson?».
«I miei cugini lo ucciderebbero se solo lo vedessero vicino a me… E comunque è uno spocchioso Serpeverde! Lo vorresti davvero alla tua festa?».
«No, naturalmente… ma è carino…».
«Già, peccato… Perché non provi a invitare Jonah Pucey, il bel tenebroso di Corvonero?».
«Mmm è carino anche lui… Mi piacerebbe svelare il suo mistero!». Risero entrambe.
«Potresti invitare anche Jack Fletcher di Tassorosso» propose Rose.
«Bella idea» commentò Cassy e poi chiese: «Ma senti, tu alla festa delle Danielson sei andata?».
«No, non te l’avevo detto? Quelle non le voglio vedere… però invitale così moriranno di invidia… le faremo vedere come si organizza una vera festa!».
«Ben detto!».
«Al era strano stamattina… Voleva sapere come faccio a uscire di nascosto dai nonni».
«Al? Stiamo parlando dello stesso Albus che conosco io? Albus Severus Potter? Tuo cugino?».
«Sì, proprio lui».
«E perché mai?».
«Credo che lui e Alastor stiano architettando qualcosa, ma non ha volute parlarmene. Ti rendi conto? Io sono la sua migliore amica da quando siamo nati!».
«Chissà che cos’ha in mente… L’ultima volta che non ti ha detto nulla ha usato una pista da pattinaggio portatile…».
«Non lo so… era agitato… sembrava qualcosa di serio…» borbottò Rose.
*
«Sei sicuro che funzionerà?» chiese Dorcas titubante.
«Ormai siamo qui» borbottò Alastor.
«No, non sono sicuro. Ma non abbiamo molta scelta. Vuoi tornare indietro? Siamo ancora in tempo» replicò Albus.
«Lo so che vi sto mettendo in un guaio assurdo, ma per me è importante» mormorò Dorcas.
«Allora procediamo» concluse Albus dopo aver colto il cenno di assenso di Alastor.
Arrivare al San Mungo non era stato troppo difficile, anche se per tutto il viaggio sul Nottetempo avevano avuto i nervi tesi. Un agente della Squadra Speciale Magica li aveva tenuti d’occhio per tutto il tempo e Al aveva avuto una paura pazzesca che li fermasse. Invece non aveva fatto nulla. Magari non li aveva riconosciuti. La Sala di Accettazione era molto ampia. Albus guardandosi attorno ebbe un tuffo al cuore: molte delle persone che attendevano su lunghe panche di legno era ferite seriamente. Quella notte, infatti, vi era stato un altro attacco dei Neomangiamorte. Non avrebbero dovuto essere lì. Non capiva che cosa passasse per la testa di Dorcas, non era mai stata avventata. Probabilmente la loro influenza le aveva fatto male. Oppure c’era qualcosa che non riusciva a comprendere: quali sentimenti provava Dorcas nei confronti di Jesse Steeval? I medimaghi si affrettavano a soccorrere i feriti. Per un attimo provò a immaginarsi con quelle vesti verde acido, sul petto era ricamata una bacchetta incrociata a un osso. Non ci si vedeva proprio. Sospirò, prima o poi avrebbe dovuto decidere del suo futuro.
Evitarono di chiedere informazioni alla strega addetta e si avvicinarono al un cartello informativo.
«Ci sono Auror e agenti della Squadra Speciale Magica» sussurrò Alastor.
«Credi che gli Auror possano riconoscerci?» chiese Dorcas.
«Spero che decidano che preoccuparsi troppo di tre ragazzi sia inutile. E poi sono solo due e non conosco i loro nomi… quindi probabilmente non possono essere sicuri di chi siamo… per cui non rischieranno di disturbare mio padre per un sospetto…».
«Non capisco perché tu non hai lo stesso problema» disse Dorcas ad Alastor.
«Perché mio padre non ci portava con sé agli eventi pubblici» mormorò contrariato il ragazzo, gli altri due compresero che non era il caso di approfondire.
«Secondo voi che piano è?» domandò Albus incerto indicando il cartello.
 
INCIDENTI DA MANUFATTI      PIANTERRENO
ESPLOSIONI DI CALDERONI, RITORNO DI FIAMMA DI BACCHETTE, SCONTRI TRA SCOPE ECCETERA
 
LESIONI DA CREATURA PRIMO PIANO
MORSI, PUNTURE, SCOTTATURE, SPINE ECCETERA
BATTERI MAGICI  SECONDO PIANO
MALATTIE CONTAGIOSE: VAIOLO DI DRAGO, NAUSEA DA SVANIMENTO, SCROFUNGULUS ECCETERA
 
AVVELENAMENTO DA POZIONI E PIANTE  TERZO PIANO
ERUZIONI, RIGURGITI, RISA INCONTROLLABILI ECCETERA
 
LESIONI DA INCANTESIMO      QUARTO PIANO
FATTURE INELIMINABILI, MALEDIZIONI, APPLICAZIONE ERRATA DI INCANTESIMI ECCETERA
 
SALA DA TÈ PER I VISITATORI/NEGOZIO    QUINTO PIANO
 
SE SIETE INCERTI SU DOVE ANDARE, INCAPACI DI ARTICOLARE DISCORSI INTELLEGIBILI O DI RICORDARE PERCHÉ SIETE QUI, LA NOSTRA STREGACCOGLIENZA SARÀ LIETA DI AIUTARVI                       
«Secondo me dobbiamo andare al quarto piano» disse Alastor.
In fondo alla sala vi era una doppia porta, i ragazzi la superarono e da lì iniziarono a salire le scale. Fortunatamente nessuno gli bloccò, ma una volta raggiunto il secondo piano compresero che non sarebbe stato molto facile. Era affollatissimo.
«Facciamo in fretta» disse Alastor inquieto.
«Non sarà difficile trovare la stanza di Steeval… mio padre ha detto che è sorvegliata da due Auror».
«Al, ma se gli Auror si accorgono che la firma è falsa? O i nostri genitori li hanno avvertiti?» domandò Dorcas, palesemente preoccupata.
Albus preferì non rispondere: le possibilità di fallire erano altissime.
«Mi sa che abbiamo un problema» borbottò Alastor.
«Su questo non ci sono dubbi» sospirò Albus. Avevano percorso quel piano due volte e le stanze sorvegliate dagli Auror erano ben tre!
«E ora? Avete la minima idea di chi sia ricoverato qui oltre Steeval?» domandò Alastor.
Per tutta risposta Dorcas scoppiò a piangere. «Ho fatto un disastro e vi ho trascinato con me» singhiozzò.
I due ragazzi si guardarono senza sapere che cosa fare.
«Ragazzi, posso aiutarvi in qualche modo?». Un ragazzo sui vent’anni si avvicinò loro. Indossava la veste dei medimaghi ma il cartellino che portava al petto affermava chiaramente che era solo uno studente. E per giunta il suo nome non era del tutto sconosciuto ad Albus. Daniel Edwards.
«Per caso sei imparentato con Victoire Weasley?».
Ecco appunto.
«La vostra amica sta male? Che cosa si sente?».
«Nulla, è solo un po’ agitata» rispose subito Albus.
«Per caso sai in quale stanza possiamo trovare Jesse Steeval?» chiese Alastor, sperando che il ragazzo smettesse di indagare sulle loro identità.
«Sì, perché lo volete sapere?» chiese sospettoso.
«Volevo dargli una cosa» borbottò Dorcas, che tentava di controllarsi.
«Capisco, ma ci vuole un permesso particolare».
«Ce l’abbiamo» disse Albus tirando fuori una pergamena e gliela mostrò. Aveva anche il timbro del Ministero. Fortunatamente suo padre era un tipo disordinato quindi l’aveva trovato sulla scrivania del suo studio così come la pergamena con il logo del Ministero.
«Mmm va bene» mormorò il ragazzo. «Vi accompagno».
La stanza di Steeval era in fondo a sinistra. I due Auror sembravano freschi di Accademia.
«Hanno l’autorizzazione» disse Daniel Edwards.
«Voglio vederla» disse fermo uno dei due.
Albus gli porse la pergamena tentando di darsi un tono, ma non dovette risultare molto credibile vista la lunga occhiata che gli lanciò l’altro Auror. Perse un battito e comprese che erano nei guai nel momento in cui il primo Auror estrasse la bacchetta ed eseguì un incantesimo sulla pergamena.
«Sembra che qui qualcuno abbia voglia di scherzare con il fuoco» borbottò il giovane.
«Con che coraggio avete falsificato la firma del Capo del Dipartimento Auror? Lo sapete che è illegale?» domandò l’altro.
E tu lo sai chi è mio padre? Avrebbe voluto ribattere Albus, ma ritenne che il silenzio fosse la scelta migliore. I tre deglutirono non sapendo come tirarsi fuori da guai. Il fatto che non gli avesse riconosciuti non era per forza qualcosa di positivo.
«Quali sono i vostri nomi?» chiese uno dei due Auror.
Erano nei guai fino al collo. In quel momento sentì enormemente la mancanza di Rose e James. Loro non erano bravi a infrangere le regole, come avevano potuto mettersi in un casino del genere?
Dorcas stava piangendo di nuovo, anche se tentava di trattenersi.
«Credo che i ragazzi volessero davvero solo salutare Steeval» intervenne a sorpresa Daniel Edwards.
«Questo non è affar nostro» replicò l’Auror.
«Avanti! Seguitemi!» disse l’altro autoritario prendendo Alastor per un braccio. Il ragazzo provò a liberarsi, ma non era abbastanza forte.
«Vi sembra necessario?» tentò Daniel.
«Sta al tuo posto» gli fu ordinato. «Potremmo anche schiantarli. Ne avremmo tutto il diritto».
«Mollalo, potete risolvere la questione diversamente».
Uno dei due Auror, quello più alto e muscoloso, lo spinse. «Ho detto di starne fuori!».
«Non osare toccarmi» sbottò Daniel, arrabbiandosi. «Non ne hai il diritto!».
«Stronzetto, vuoi vedere come ti faccio passare una notte dentro?» intervenne l’altro spingendolo a sua volta.
«Non credo che il vostro Capitano sarebbe felice di vedervi in questo momento, ma visto che qui comando io e state minacciando uno dei miei studenti, pretendo una spiegazione». Anthony Goldstain li fissava severamente.
«Noi minacciarlo? Si sbaglia di grosso» disse un Auror.
«Ho intenzione di arrestarlo con l’accusa di intralcio al pubblico ufficio e insulti a pubblico ufficiale» disse l’altro con fare pomposo.
Goldstain inarcò un sopracciglio e si rivolse al ragazzo: «Daniel, che cos’è questa storia?».
Il ragazzo gli raccontò ogni cosa, mentre parlava i due Auror intervennero per difendersi e far valere la loro versione dei fatti, tanto che ad Albus per un attimo sembrò di essere a Scuola, Dorcas ne approfittò e si fiondò nella stanza di Steeval. Gli Auror nemmeno se ne accorsero, l’unico che diede segno di vederla fu Goldstain ma non disse nulla.
Dorcas non sapeva che cosa l’aveva spinta ad agire, sicuramente se ci avesse pensato sopra non l’avrebbe mai fatto.
«E tu chi sei? Che sta succedendo là fuori?» la accolse rigido e con bacchetta alla mano Terry Steeval, il padre di Jesse e Capitano della Squadra Speciale Magica.
La ragazza boccheggiò, completamente stordita da quello che stava succedendo.
«Dorcas».
Si voltò verso Jesse che la fissava incredulo dal letto.
«Volevo sapere come stavi» borbottò Dorcas, avvicinandosi. Il ragazzo era pallidissimo e aveva moltissime fasciature. Allungò una mano e le accarezzò il viso. «Che diavolo sta succedendo?».
Dorcas lo abbracciò istintivamente in cerca di conforto e tra le lacrime gli raccontò quello che avevano combinato. Il fatto stesso che avesse eliminato ogni distanza così rapidamente, fece comprendere al ragazzo, anche più delle lacrime, il suo turbamento.
Terry Steeval, dopo aver ascoltato la storia, borbottò qualcosa sul fatto che andava a tranquillizzare gli Auror.
«Non valgo così tanto» mormorò Jesse dopo un po’.
«Ma io ho capito che sei pentito! Ho trovato il significato dell’anello! Ti ho portato questo» disse concitata. «È un amaryllis».
Jesse prese il fiore e per un attimo lo fissò sorpreso, poi disse: «Vattene, non è posto per te. Papà accompagnala dai suoi amici, per favore».
Dorcas si voltò e vide Terry Steeval sulla porta. «Su, vieni» le disse.
«Puoi sistemare le cose?» lo bloccò Jesse. «Voleva solo salutarmi, se quegli stupidi Auror non li avessero minacciati non sarebbe accaduto nulla».
«Stai tranquillo» mormorò Terry.
Fuori non c’era più nessuno. La ragazza seguì l’uomo in silenzio fino all’ufficio di Anthony Goldstain, primario del San Mungo. Quando entrarono nella stanza vi trovarono Alastor, Albus e i due Auror. Terry Steeval si chinò e sussurrò qualcosa a Goldstain, mentre Dorcas affiancava gli amici, che le rivolsero uno sguardo afflitto.
«Ha chiamato i nostri genitori» mormorò Albus.
«Mi dispiace» replicò sinceramente Dorcas. «Il ragazzo che ci ha difeso?».
«Goldstain ha messo a tacere i due Auror e ha mandato Daniel Edwards a lavorare» rispose Alastor.
Non dovettero attendere molto perché Harry, Gabriel Fenwick e Kingsley Schacklebolt facessero il loro ingresso. Anthony li mise al corrente di quanto era accaduto con l’aiuto di Terry Steeval, che subito dopo si congedò. I due Auror provarono a intromettersi, ma furono zittiti dalle occhiatacce del loro Capitano e del medimago.
«È solo colpa mia» mormorò Dorcas. Solo a quelle parole Albus sollevò gli occhi da terra. «Ma volevo solo parlare con Jesse».
Gabriel Fenwick era sicuramente il più furioso dei tre genitori. La sua mascella era rigida e fissava la figlia con malcelata ira. «Andiamo a casa» disse a denti stretti. Dorcas non fiatò e seguì il padre. I due ragazzi avrebbero voluto dire qualcosa, ma sapevano di essere già nei guai.
«Credo che voi dobbiate delle scuse a qualcuno» disse secco Harry.
Albus annuì e disse: «Mi dispiace, signor Goldstain. Non volevamo creare problemi, sappiamo che questo è un ospedale. Le nostre intenzioni erano ben altre».
«A noi niente?» intervenne sfacciato uno dei due Auror.
«Vi chiedo scusa per aver tentato di ingannarvi» aggiunse poco convinto Albus. Non riteneva che si fossero comportati come richiedeva il loro ruolo, ma non era il momento di far polemiche e comunque suo padre doveva averlo intuito dalle parole di Goldstain.
Alastor si scusò a sua volta.
«Scuse accettate. Ora uscite un attimo fuori per piacere» disse Goldstain, ma non trattenne a lungo né Harry né Kingsley.
«Ti accompagno a casa» disse Harry distaccato e Albus comprese di averlo deluso sul serio.
*
Jonathan ripose il manuale di Trasfigurazione nella libreria e riordinò la scrivania.
«Papà è tornato, vieni a mangiare» lo chiamò sua sorella Melissa, che a settembre avrebbe frequentato il settimo anno.
La cena trascorse tranquillamente e fu rallegrata dalle chiacchiere vivaci della madre e di Mel.
«Tutto ok?» gli chiese suo padre, seguendolo al piano di sopra a cena conclusa.
«Sì» mormorò automaticamente.
«Odio le bugie e lo sai. Che hai?».
«Come si diventa saggi?» chiese allora Jonathan rivelando il cruccio che si portava dentro da mesi.
Anthony si accigliò e lo condusse nel suo studio. Era abbastanza grande e molto ordinato. «Sei preoccupato per la Profezia?» domandò a bruciapelo dopo aver chiuso la porta.
«Non dovrei?» sospirò il ragazzo.
«Saresti stupido se non lo fossi» mormorò Anthony. «Comunque è difficile divenire saggi, ci vuole tempo… tantissimo tempo…».
«Allora che senso ha la Profezia? Non possiamo mica aspettare di diventare vecchi!» disse esasperato coprendosi il volto con le mani.
«Vorrei tanto saperlo…» replicò Anthony.
«Fra due giorni ci sarà il primo incontro con gli altri».
«Potter me l’ha detto oggi. Ti accompagnerò io».
«Perché l’hai visto? È successo qualcosa?».
Anthony gli raccontò della bravata dei suoi amici. «Oh» commentò sorpreso. «Non è da Dor comportarsi così. Chissà che cosa doveva dire di così importante a Jesse».
«Non lo so. Non erano affari miei e non ho indagato».
«Avrebbero dovuto dirmelo» disse Jonathan visibilmente deluso.
«Ti saresti unito a loro?» domandò con un tono d’ammonimento Anthony.
Nonostante ciò Jonathan rispose: «Sì, non capisco perché non me l’hanno detto».
«Ti rendi conto di quanto sia grave quello che hanno fatto?» sbottò severamente Anthony.
«Sì, ma se l’hanno fatto dev’esserci un motivo! Tu non li conosci! Al, Dor e Alastor non agiscono di impulso di solito! Se l’hanno fatto dev’esserci una motivazione seria!».
«Sarà come dici tu, ma resta il fatto che avrebbero dovuto affrontare la situazione in modo diverso… mettila così: non sono stati saggi».
Jonathan sospirò: «Dì quello che vuoi, ma tu non sai che significa essere messo da parte…».
*
Dorcas osservò i fratelli mentre saltavano tra le braccia del padre, appena rientrato da lavoro. Sembrava molto più tranquillo rispetto a quando l’aveva accompagnata a casa. Quella mattina non le aveva detto nemmeno una parola e questo l’aveva spaventata ancora di più. Per un attimo i loro occhi si incontrarono e la ragazza ebbe la certezza che il padre non fosse più furioso e che fosse pronto a parlare con calma di quello che era accaduto; ma prima che uno dei due potesse dire qualcosa suonò il campanello.
«Ma chi può essere a quest’ora?» chiese preoccupata sua madre.
Dorcas non comprese la sua reazione, in caso di urgenze suo padre veniva contattato con un patronus o al massimo via camino. E i Neomangiamorte non suonavano alla porta. Più assurda fu, però, la reazione della nonna Joanne che si catapultò ad aprire senza dar loro il tempo di muoversi o di aggiungere altro. E come se non bastasse ella assunse un’aria addirittura quasi delusa quando vide che erano gli altri due figli con le rispettive famiglie. Delusa o sollevata?
«Ciao. Siete puntuali. Bravi!» disse Joanne in modo sbrigativo e li salutò velocemente.
«Allora che cosa devi dirci di così importante?» chiese zia Mary andando subito al sodo, mentre i figli iniziavano a rincorrersi con i nipoti.
Dorcas la osservò: assomigliava molto alla nonna fisicamente, ma aveva un carattere più introverso. Non era anomale che gli zii venissero a cena. Non avevano mai avuto bisogno di un invito formale. E spesso quando avevano impegni di lavoro lasciavano lì i figli.
«Benji, Doc, Jo, Seby e Summer andate a giocare di sopra» ordinò la nonna senza prendersi la briga di rispondere alla figlia. «Quando sarà pronta la cena vi chiameremo… È meglio che vada anche tu di sopra Dorcas».
I più piccoli obbedirono, felici di poter giocare insieme.
«Un attimo, mamma. Che cos’è questa storia?» s’intromise Gabriel. «Io e Dorcas dobbiamo parlare prima di cena».
Dorcas sentì la tensione crescere nella piccola cucina-soggiorno, non riuscendo a comprenderne le motivazioni. La nonna era sempre più strana in quel periodo.
La zia Mary aveva la fronte corrugata e uno sguardo inquisitorio. Lo zio Vince, il fratello più piccolo del padre, era perplesso e stringeva dolcemente la mano della moglie. Dorcas sorrise istintivamente, lo zio era l’unico Tassorosso della famiglia oltre a lei.
«Senti Gabriel…» iniziò la nonna incerta e spaventata. Di che cosa aveva paura? Quando mai sua nonna era stata spaventata da suo padre? Nuovamente, però, il suono del campanello interruppe la conversazione. Questa volta la nonna sbiancò completamente e le mani le tremarono palesemente.
«Ma che diavolo…» sbottò Gabriel e dopo un’occhiata alla madre, andò ad aprire la porta.
 «Ah, signor Fenwick è lei!» disse un uomo in divisa beige. «Abbiamo accompagnato suo fratello, come richiesto nella sua lettera».
«Anche se avrebbe potuto aspettarlo al Ministero…» borbottò una voce maschile, di cui, però, Dorcas non vedeva il volto da dove si trovava. Il problema non era quello: suo padre aveva un altro fratello? E che c’entrava la Squadra Speciale Magica?
«Smith, non era necessario che ti prendessi la briga di venire qui… e non so di che Merlino parli!» quasi urlò Gabriel. Era di nuovo furioso, ma diversamente da quella mattina: sembrava sul punto di perdere il controllo.
La nonna si riscosse dallo stato di trance in cui era caduta e corse alla porta, scansò Gabriel e anche l’agente. Gabriel era ammutolito, ma tremava così forte che la moglie gli si avvicinò. Dorcas era terrorizzata. Che cosa stava succedendo? Guardò gli zii in cerca d’aiuto, ma zia Mary fissava con rabbia la scena, stringendo forte i pugni e ignorando qualunque cosa le stesse sussurrando il marito all’orecchio. Zio Vince, invece, ricambiò teso e perplesso. La nonna rientrò in casa insieme a un uomo, che Dorcas non aveva mai visto, ma si trattenne a stento dallo strillare: era quasi cadaverico! Il volto era un intrigo di rughe ed era scavato. I capelli era brizzolati. Sembrava molto vecchio.
«Fenwick, noi andiamo» mormorò uno degli agenti.
«DOVETE PORTARVELO VIA!» urlò Gabriel fuori di sé. Dorcas tremò. «DEVE MARCIRE AD AZKABAN!».
Non sapeva se avvicinarsi o meno, ma neanche la madre sembrava capace di calmarlo e gli zii non intervenivano.
«FAI SILENZIO» gridò Joanne, lasciandolo a bocca aperta. «RICORDA LA PROMESSA CHE HAI FATTO A TUO PADRE!».
Per un attimo Dorcas temette che sarebbe venuto un collasso al padre tanto era bianco, ma Gabriel, ignorando la madre, si fiondò verso le scale, seguito dalla moglie. Si bloccò al primo gradino e tornò indietro dalla figlia e la prese per un braccio. «Con quello non rimani» disse a denti stretti.
«Che succede?» riuscì a chiedere, mentre salivano le scale, ma non ebbe risposta. Rimase ferma nel bel mezzo del corridoio osservando il padre sbattersi la porta della sua camera da letto alle spalle e la madre affrettarsi a seguirlo. Non sapeva proprio come comportarsi.
«Tranquilla, chiariremo tutto».
Sussultò e si voltò verso lo zio Vince. Dorcas si rifugiò tra le sue braccia e scoppiò a piangere.
 
   
 
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