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Autore: Arya Tata Montrose    16/07/2017    2 recensioni
Dal testo:
«Ci vediamo domani, Ochako?»
«Certo! Domani pomeriggio, però. Voglio dormire!»
«Okay. Mi spiace lasciarti, ma non posso mandarla in albergo da sola»
«Tranquilla, Tsuyu. Sono in buona compagnia!»
Satsuki storse un po’ il naso. Non era del tutto certa che quel ragazzo potesse definirsi anche solo compagnia, tantomeno buona.
Se non si fidava di Bakugou, doveva fidarsi di Uraraka, e se lei diceva che era un tipo a posto allora era così.

Seguito di "Late wishes" e prequel di "Corde sulla sabbia", racconta un altra notte di Tanabata tra un Bakugou che non voleva assolutamente andare al festival, una Uraraka entusiasta di passarlo con Tsuyu e dei biscotti.
[Kacchako]
Questa storia partecipa all'iniziativa "La notte di Tanabata" di Fanwriter.it
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Ochako Uraraka, Tsuyu Asui
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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– Iniziativa: Questa storia partecipa alla challenge “Notte di Tanabata” a cura di Fanwriter.it! 
– Numero Parole: 5.091 (secondo Contacaratteri.it)
– Prompt: Prompt 20 – Al termine del festival A riaccompagna B a casa.
+ Bonus 19: scoprire tatuaggi
+ Bonus 40: pioggia imprevista

 
 

 
 
Of crumby kisses on a rainy night
 
 
 
 
 
 
 
 
L’ingresso del festival era segnato da grandi file di lanterne colorate sospese tra i pali della luce, ma l’atmosfera di quella notte si percepiva in ogni strada della città. Ochako era uscita di casa col suo yukata color del mare in tempesta, decorato da meravigliosi pesci colorati ove la stoffa si ripiegava nell’orlo. Era stato un regalo di sua madre per il suo nuovo, importante lavoro e Ochako non aveva osato protestare quando aveva visto la gioia negli occhi della madre mentre lo provava.
Scorse una figura in lontananza: schiena incurvata, le braccia aderenti al petto, le mani penzoloni; non poteva essere altri che la sua amica Tsuyu, fasciata nel suo yukata verde acqua. Aveva i capelli sapientemente intrecciati di fiori e raccolti sulla nuca, invece che legati a formare un fiocco. Accanto all’amica, una figura più composta, sebbene più minuta. Doveva essere Satsuki, la sorella.
Le salutò calorosamente, stringendo l’amica in un abbraccio. Si vedevano raramente da che avevano iniziato a fare le eroine professioniste, il nuovo impiego di Ochako come causa principale. L’amica però non gliene aveva mai fatta una colpa, sapeva quanto volesse fare carriera ed aiutare i suoi genitori
«Satsuki ha fatto un lavoro magnifico» sorrise Uraraka, alludendo all’acconciatura.
«Diventerà un’ottima parrucchiera» replicò Tsuyu, lanciando una veloce occhiata alla sorella, gonfia d’orgoglio.
«Avrei fatto volentieri anche i tuoi» disse.
Ochako negò con la testa. «Ma va’, sono troppo corti. Faccio fatica anche a raccoglierli.»
Tsuyu le dette una rapida occhiata, valutando che sì, si erano allungati e potevano essere raccolti come si deve, ma evidentemente l’amica preferiva la semplice molletta che Gunhead era stato in grado di regalarle prima che lasciasse il lavoro. «Regalo d’addio. Spero non ti dimenticherai di noi» l’avevano salutata. Anche lei era presente, quel giorno all’aereoporto. Satsuki storse un po’ il naso, evidentemente contrariata, ma dopo un attimo fu come nulla fosse successo e l’orgoglio per l’acconciatura della sorella tornò ad infonderle sicurezza.
«Andiamo?» chiese e Uraraka annuì.
 
Passeggiavano piano, in modo da non travolgere nessuno tra la folla e concedersi il tempo di scrutare le bancarelle a lato delle strade, piene di prelibatezze e giochi tradizionali. Tsuyu non chiese dei genitori di Ochako: immaginò che volessero lasciare loro una serata libera per ritrovarsi. Ochako, invece, le chiese della sua famiglia, di come solo sua sorella l’avesse seguita.
«I miei e mio fratello vanno dai nonni. Volevo stare a casa, ma la mamma non me l’ha permesso» rispose Satsuki.
«Hai solo quindici anni» Tsuyu tagliò corto e l’espressione della sorella strappò un sorriso ad Uraraka. Ogni tentativo di Satsuki di protestare, compreso il paragone con Uraraka, che alla sua stessa età era andata a vivere da sola, venne liquidato con “non è la stessa situazione”.
Si fermarono ad un banchetto di dolci e fu Tsuyu a comprare dango per tutte. Anche il tentativo di Uraraka di pagare quantomeno per sé fu liquidato in fretta dall’amica e così lei si era gustata il suo dango ringraziando animatamente.
Parlarono dei rispettivi impieghi, per quanto potessero, raccontando di qualche particolare gaffe negli uffici o caso particolare che avevano affrontato. Tsuyu le raccontò di aver incontrato Shinsou Hitoshi in uno dei suoi ultimi incarichi e che avevano stretto amicizia. Era un tipo simpatico, un po’ silenzioso ma a lei non dispiaceva. Aveva un senso dello humor davvero sottile.
«Ormai sei lì da quattro anni, vero?» chiese Uraraka, facendo due conti.
Tsuyu annuì. «Sì, esatto. È stata la mia prima assegnazione e mi ci trovo molto bene. Sono tutti gentili e collaborativi.»
Ad Uraraka scappò un risolino a quest’ultima affermazione. «A me il mese prossimo assegnano un nuovo partner. Dicono che potrei dare una raddrizzata a questo qui, che il lavoro di squadra non sa quasi cosa sia.»
«Che mi dici di quella di prima? È più collaborativa?»
Ochako annuì. «Samui è stata trasferita più a sud, in un’altra dislocazione. Mi è stato detto che è perché è migliorata che mi “affidano” il nuovo partner. Purtroppo non so altro, sai come funziona.»
Anche Tsuyu annuì. Le era mancata la sua amica, sempre sorridente e positiva. Un’esplosione di gioia in confronto alla sua, più contenuta. Ochako, in effetti, era sempre stata la più emotiva delle due e Tsuyu quella più pratica. Ciò non aveva impedito loro di legare così tanto che ora, quattro anni dopo il loro diploma, ancora si sentivano e vedevano periodicamente. Degli altri aveva notizie solo quando i giornali ne riportavano, essendosi trasferita lontano dalla città dove tutti loro avevano studiato. Loro due, invece, appena potevano trascorrevano assieme le ferie, facevano in modo di chiederle in concomitanza e per le feste erano ognuna invitata a casa dell’altra, che venissero trascorse in famiglia o meno. Il fatto di essere così differenti per loro significava solo un modo diverso di esprimere il reciproco affetto e di affrontare le situazioni, e non era raro che si consigliassero a vicenda. Si sentì di abbracciarla, in quel momento, benché non lo facesse spesso. Ochako fu ben felice di ricambiare il gesto.
 
Le richiamò Satsuki, tirando lo yukata della sorella e indicando una bancarella poco più avanti. «Tsu, prendiamo un pesciolino?»
Tsuyu si staccò dall’amica. «Certo, perché no?»
Ochako le seguì pimpante. Un pesciolino per il suo nuovo appartamento, ancora praticamente spoglio, sarebbe stata una meravigliosa aggiunta.
 
Camminavano a passo spedito, mentre Kirishima mangiucchiava e parlava allegro, con un tono abbastanza alto da sovrastare il chiacchiericcio di fondo. Saltava da un argomento all’altro senza una vera e propria logica, ispirato da quello che al momento gli passava per la testa. Gli aveva raccontato del suo lavoro da aiutante e descritto nei dettagli il suo incontro e la sua collaborazione con il suo mito, Crimson Riot. Poi si era messo ad elogiare i takoyaki, a detta sua davvero squisiti, e l’aveva convinto a provarne un paio. Bakugou non aveva detto nulla, ma Kirishima lo conosceva abbastanza bene da sapere che quello era un punto a favore suo e dei takoyaki. Quindi era passato a parlargli dei suoi capelli, di come ora preferisse evitare di tenerseli alti sulla testa e di come, secondo la sua ragazza, gli stessero d’incanto anche sciolti o legati. Dunque aveva ritenuto necessario descrivergli la sua ragazza, il motivo per cui quella sera, invece che nella loro città, si trovassero in quella vicina.
Bakugou ascoltava, sapeva che al suo amico piaceva parlare e lo lasciava fare. Quando gli faceva delle domande, rispondeva nell’unica maniera in cui era capace – scorbutico e a suon di insulti – ma Kirishima non ci aveva mai fatto caso.
«Allora? Mi ripeti perché cazzo siamo qui?» sbottò ad un certo punto, quando una donna lo urtò e non fece nemmeno finta di scusarsi.
«Devo trovare Ruri»
«E non potevi venirci da solo?»
«Ha detto che avrebbe portato un’amica. E poi non ti volevo lasciare a casa dei tuoi a buttare la serata» replicò Kirishima, addentando l’ennesimo takoyaki.
Bakugou evitò di rispondergli, inveendogli contro nella sua testa. Che cazzo gliene fregava a lui dell’amica della fidanzata del merda? Un bel cazzo di niente, ecco cosa. Però, in fondo, apprezzava che l’amico l’avesse trascinato fuori di casa per impedirgli di starsene a rimuginare come suo solito. Non disse nulla, ma sapeva che il suo silenzio, per Eijirou, colui che si era autonomamente proclamato suo migliore amico al primo anno alla U.A., era abbastanza eloquente. Per lui, invece, era abbastanza ovvio che Eijirou le stesse provando tutte per trovargli una ragazza.
Intanto l’amico aveva ripreso a parlare, rigorosamente a bocca piena. Gli stava chiedendo di fermarsi perché voleva prendere dei dango, quando improvvisamente si zittì. E Bakugou stava anche per chiedergli se si fosse strozzato col suo fottuto polpo, ma, seguendo lo sguardo di Kirishima, capì.
A qualche metro da loro, ad una delle bancarelle di giochi tradizionali, c’erano Asui Tsuyu, in piedi e Uraraka Ochako in ginocchio davanti alla vaschetta dei pesci, assieme ad una ragazzina all’apparenza parente di Asui. Bakugou si accorse di essersi bloccato solo quando Kirishima gli diede una gomitata e lui riprese a respirare, girandosi per inveirgli contro. Invece, l’amico era passato oltre e si era diretto dalle tre ragazze, urlando “ma guarda un po’ chi si vede”.
Bakugou vide Uraraka sobbalzare leggermente, ma finire comunque ciò che aveva iniziato: procurare il dannato pesce alla ragazzina, che sembrava felice come una pasqua. Solo quando la ragazza si alzò e lo notò, salutandolo calorosa, si decise a percorrere i passi che lo separavano ancora dagli amici. Quando si fu avvicinato e la ragazzina lo ebbe inquadrato, questa sobbalzò, correndo a nascondersi dietro le gonne di Asui. La ignorò.
«Kirishima, Bakugou» salutò Tsuyu. «Come mai qui?»
Ochako mosse semplicemente la mano con un sorriso che Bakugou ricambiò con una sorta di ghigno.
«Devo trovare la mia ragazza e Katsuki mi accompagna» spiegò Kirishima, abbracciando prima Tsuyu, poi Ochako ed infine facendo un sorriso alla ragazza. A Katsuki sembrò un po' intimorita, ma ci fece poco caso. Probabilmente era a causa dei denti dell'amico, assurdamente appuntiti. Decise di non puntualizzare il fatto che ci fosse stato praticamente stato trascinato, a quella festa.
«Voi invece? Mi pare lavoriate molto lontano da qui.»
Bakugou fece rapidamente passare lo sguardo da Kirishima ad Ochako, curioso di conoscere la risposta. Erano ad un paio d'ore da Tokyo e l'anno prima la ragazza doveva tornare proprio alla capitale per vedersi con Asui. Nessuno gli aveva detto che quest’ultima avesse trovato posto lontano da lì.
Ochako annuì: «Qui vivono i miei genitori. Per le ferie sono venuta da loro e Tsuyu passa una settimana con me» spiegò.
«E lei chi è?» chiese ancora Kirishima, puntando alla ragazzina ancora nascosta dietro lo yukata verde di Asui. Doveva avere circa quindici anni, ma sembrava molto più piccola con quello sguardo spaventato che faceva correre da lui a Bakugou in maniera alquanto fastidiosa.
«Mia sorella Satsuki. Penso la spaventiate. Soprattutto tu, Bakugou» chiarì la ragazza. Dritta al punto come una freccia al bersaglio.
Bakugou alzò gli occhi al cielo. Oramai aveva preso coscienza del fatto che il suo brutto muso, misto al suo temperamento e alla sua fama incutessero timore nell'animo di chiunque, figurarsi di una ragazzina.
«Può sembrare, ma non morde.» Il risolino di Ochako si spanse nell'aria, attirando sulla ragazza un'occhiataccia di Bakugou. Attorno a loro, la folla continuava a scorrere e chiacchierare, ma la voce di Uraraka, nel loro piccolo capannello, rimaneva il suono più forte. Non che stesse urlando, solo, tutti le prestavano attenzione. Kirishima avrebbe voluto dissentire, dire che in effetti Bakugou poteva esplodere e che non fosse una bella esperienza assaggiare la sua collera, ma si trattenne. Non era il caso di aggiungere benzina al fuoco.
Satsuki le rivolse uno sguardo scettico, restia a credere alle sue parole. Quella era la prima volta che vedeva Bakugou Katsuki dal vivo e l'immagine di lui che, impietoso, combatteva con furia oltre lo schermo della TV si sovrapponeva col ragazzo imbronciato, con le braccia incrociate al petto nascoste dalle larghe maniche dello yukata blu. Non osava guardarlo negli occhi, ma era sicura che brillassero della stessa rabbia che lo animava anni prima. Non sapeva che ora brillavano per un motivo ben diverso.
«Non mordo» tentò lui. Non era bravo coi bambini, lui. Soprattutto perché di solito avevano paura di lui e scappavano in lacrime, se non lo facevano prima i genitori. Aprire bocca di solito peggiorava solo la situazione. Satsuki, invece, sembrò convincersi, spronata anche dal largo sorriso di Uraraka. Rimase comunque accanto alla sorella, ma comunque smise di nascondersi dietro di lei.
Kirishima le rivolse un sorriso a trentadue denti: «Piacere di conoscerti. Io sono Kirishima Eijirou»
«Bakugou Katsuki» borbottò l’altro.
«Piacere» fece lei. «Asui Satsuki»
 
Vennero interrotti poco dopo, durante la passeggiata per i viali della festa. Kirishima parlava e un po' le sorelle Asui, un po' Uraraka rispondevano. Bakugou lo faceva solo se interpellato e si sforzava di non imprecare. Non voleva altre grane solo perché la ragazzina aveva paura di lui. Lo osservava ancora, di sottecchi, pronta a cogliere qualsiasi segnale di pericolo. Kirishima, invece, sembrava piacerle. Di sicuro era più amichevole di lui.
Una ragazza dai capelli castani chiaro raccolti in un'elaborata acconciatura ed un paio di occhiali tondi richiamò l'attenzione di Kirishima, che appena la mise a fuoco le corse incontro.
«Gente, questa è Ruri, la mia ragazza» la presentò. Lei salutò con un lieve inchino, poi, a sua volta, presentò l'altra ragazza che era con lei. Ami o qualcosa del genere.
Kirishima invece presentò i suoi amici, indicandoli uno ad uno. «Uraraka, Asui, la sorella di Asui e Bakugou»
L'amica di Ruri squadrò Bakugou da capo a piedi, con uno sguardo che a lui non piacque per niente. Troppo lascivo e… viscido, gli parve.
«Che cazzo hai da guardare, eh?» sbottò, facendo avvampare la ragazza, totalmente imbarazzata – se per essere stata colta in flagrante o per essere stata così palesemente respinta ancora prima di provarci, a lui non era dato saperlo. E nemmeno gli importava, a dire il vero.
Kirishima rise: «Non ti preoccupare, lui è fatto così!»
Cinque minuti di occhiate fulminanti dopo, Emi-o-come-diavolo-si-chiama era sparita e Ruri e Kirishima si erano staccati dal gruppo. Mezz’ora dopo, invece, Satsuki si era lamentata di avere sonno — a ragione, vista la giornata estenuante; la sorella era abituata a ritmi serrati e giornate piene di azioni, ma lei no — quindi Tsuyu era stata costretta a salutare i due.
«Ci vediamo domani, Ochako?»
«Certo! Domani pomeriggio, però. Voglio dormire!»
«Okay. Mi spiace lasciarti, ma non posso mandarla in albergo da sola»
«Tranquilla, Tsuyu. Sono in buona compagnia!»
A questa affermazione, Satsuki storse un po’ il naso. Non era del tutto certa che quel ragazzo potesse definirsi anche solo compagnia, tantomeno buona. Ma l’occhiata che sua sorella le rifilò la fece desistere dal dire alcunché. Se non si fidava di Bakugou, doveva fidarsi di Uraraka, e se lei diceva che era un tipo a posto allora era così.
Ochako abbracciò di nuovo l'amica prima di raggiungere Bakugou, qualche metro più in là.
 
Si erano un po’ allontanati dalla festa, rifugiandosi nel parco lì vicino che, sebbene gremito di coppiette che osservavano le stelle, era molto più silenzioso della calca delle vie principali. Cosa ci fosse da osservare, Bakugou non lo capiva. Si era rannuvolato da un pezzo ed ora c’era solo qualche vago sprazzo a distinguersi dal grigiore delle nuvole. Non capiva nemmeno perché fossero lì loro due. Non che fosse la compagnia di Ochako ad infastidirlo, anzi: nell’anno passato si erano trovati spesso per un caffè e quattro chiacchiere e Katsuki aveva dovuto ammettere a sé stesso che fosse davvero bello parlare – per quanto poco loquace lui fosse – con qualcuno che non fosse Eijirou o sua madre. Uraraka era simpatica, chiacchierava ma era anche capace di lasciare che il silenzio li avvolgesse, senza che questo diventasse scomodo o opprimente. Come in quel momento. Passeggiavano quieti, l’uno accanto all’altra, nella fresca brezza di quella nuvolosa sera.
«È davvero un peccato non poter vedere le stelle, sai?» disse lei, ad un tratto. Non sembrava star davvero parlando con nessuno in particolare, ma lui prestò attenzione. «Lo scorso anno mi sono persa il festival e dall’aereoporto non riuscivamo a vedere le stelle. Quest’anno che sono qui, che ho festeggiato con Tsuyu, te e Kirishima, invece, è nuvoloso.» Sembrava sconsolata, ma c’era una nota di divertimento nella sua voce. Bakugou la osservava guardare il cielo grigio e nei suoi occhi vedeva quelle stelle che erano oscurate dalle nuvole. Bizzarro.
Uraraka si lasciò cadere sull’erba morbida e lui fece lo stesso, sedendole vicino. Aveva annuito, ma non aveva articolato una vera e propria risposta, non sapeva cosa dire. Non gli piacevano particolarmente le feste e se fosse stato per lui a quell’ora sarebbe stato a casa, nel suo letto, a rimuginare. Ora come ora, però, con Uraraka seduta accanto a lui e con lo sguardo sereno, si scoprì contento che Eijirou si fosse presentato alla sua porta e l’avesse praticamente trascinato di peso fuori casa.
«Almeno ci sono i fuochi d’artificio, no?» chiese ancora la ragazza, spezzando nuovamente la quiete con la sua voce morbida. A Katsuki non dispiacque, gli piaceva la sua voce.
Brontolò un assenso, poi la vide sdraiarsi sull’erba, ignorando che il suo bellissimo yukata potesse sporcarsi.
 
Attesero un tempo indefinito perché nel cielo cominciassero a lampeggiare le prime scintille colorate e Katsuki, per un attimo, valutò di farseli da solo, i fuochi d’artificio. Poi ricordò che la licenza copriva solamente gli ambiti d’emergenza e le ore lavorative. Un ghigno gli colorò le labbra, a quel pensiero.
«Alla fine la ragazzina l’ha avuto, il suo pesce?» chiese, un tono del tutto neutro.
Uraraka annuì. «Sì, non riusciva a prenderlo»
«Con un piccolo aiuto, immagino»
«L’hai notato?» Era più una domanda retorica, ma si stupì che da così lontano avesse capito il suo trucco. Le era bastato sfiorare il pesce perché questo evitasse di sfondare il retino di carta.
«Cazzo, sì. Pure un cieco l’avrebbe notato»
Uraraka rise di gusto. Era troppo che non lo sentiva imprecare.
«Che cazzo hai da ridere?»
«Niente. Sta sera non ci sono nemmeno le lucciole» cambiò argomento come nulla fosse. «Sta per piovere»
Bakugou sbuffò, senza un vero motivo. Non gli dava davvero fastidio che avesse riso, anzi. Quella sera notò – ammise – che gli piaceva anche quando rideva. Pochi oramai lo facevano in sua presenza, troppo spaventati da lui. Quella di Ochako non era una risata forzata, non lo era più da anni – da quando avevano preso ad allenarsi insieme, ricordò.
Si alzò in piedi e batté le mani sulla stoffa, per liberarla dalla polvere. «Forza, alza il culo. Ti riaccompagno a casa.»
 
Nemmeno a farlo apposta, a metà strada il cielo iniziò a riversare su di loro tutta la sua furia. Nemmeno si erano premurati di prendere un ombrello, quando erano usciti di casa non c’era il minimo segnale che potesse piovere.
«Fottuta pioggia. Fottuta festa. Fottuto Eijirou» aveva imprecato Katsuki, mentre correvano a perdifiato verso casa di Ochako. «Lui e le sue idee del cazzo»
Ochako, invece, si era concentrata sulla corsa e sul non essere investita, cosa che un paio di volte richiese l’uso della sua Singolarità su sé stessa e Katsuki.
Quando arrivarono parevano pulcini bagnati, tremanti e fradici. Ochako si adoperò immediatamente, portando Katsuki in bagno e dicendogli di farsi una doccia calda.
«Mi pare di essere già abbastanza bagnato»
«Sì, ti prenderai un accidente se vai in giro così. Forza, ti prendo dei vestiti»
E Katsuki in effetti aveva freddo. Masticando qualche altro improperio per essere stato zittito, si infilò sotto il getto caldo dell’acqua. Quando ne uscì, trovò dei vestiti asciutti sul mobile accanto al lavandino, si vestì e uscì dal bagno, lasciando il posto alla padrona di casa.
Oltre a loro, non c’era nessuno. La casa era carina, non troppo grande. Era fuori città, una di quelle villette che probabilmente aveva costruito il padre di Ochako. L’arredamento era semplice, a decorarlo fotografie che rendevano l’ambiente accogliente. Ce n’erano davvero molte: due signori bassi, dalla figura rotonda che dovevano essere i suoi genitori, una con una bambina piccola e sorridente, che cresceva di ritratto in ritratto. Incorniciata, c’era anche la foto scattata all’ultimo anno delle superiori, alla U.A., dove lui posava tra lei e Kirishima, l’unico a non fare nemmeno finta di sorridere. Ora, dopo anni, un mezzo sorriso gli nasceva, complice anche il ricordo di come sua madre l’aveva rimproverato. «Potevi farlo un sorriso, Katsuki, non saresti mica morto»
 
Ochako spuntò dal corridoio, i capelli raccolti in un codino dietro la testa e indosso vestiti simili ai suoi. Aveva pensato che fossero quelli del padre, ma doveva essersi sbagliato. Mentre lo portava in cucina, la ragazza gli spiegò che erano maglie da lavoro del padre, passate a lei. Quella che indossava le stava un po’ corta, forse complici i migliaia di lavaggi di cui il verde sbiadito era testimone. Le lasciava scoperta parte della schiena quando si allungava verso la credenza in alto, a cui non arrivava.
«Faccio io» le disse, facendola spostare da parte. «Dimmi solo che diavolo ti serve»
«I biscotti. Mamma li mette in alto così che non li mangi tutti»
Bakugou sollevò un sopracciglio, chiedendosi quanto la donna fosse rimasta indietro sulla Singolarità della figlia. Se al primo anno di superiori togliere la gravità al suo stesso corpo la faceva stare male, ora prima di avere anche solo la nausea poteva rimanere sospesa per ore, oltre che a regolare la forza che attraeva i corpi al suolo. Prese comunque i biscotti, avvertendo un brontolio nel suo stomaco. Lui non aveva né cenato né preso qualcosa alle bancarelle, come invece aveva fatto quell’ingordo di Kirishima.
 
«Buoni» si sforzò di commentare, non perché non lo fossero, ma perché non sapeva come riempire quello strano silenzio.
Si erano sistemati nella stanza di Ochako a sgranocchiare biscotti sul letto della ragazza. Bakugou si guardava intorno e scorgeva piccoli dettagli della bambina che era stata, della ragazza che era in classe con lui alla U.A. Vecchie foto di lei, quella faccia di merda di Deku e Iida, altre con le ragazze, molte con Asui. Nella stanza predominavano toni rosa e verdi, con una libreria stipata di volumi – pochi rosa, molti fantasy e saggi di fisica – e una scrivania con un vecchio portatile.
«Vero? Li ha fatti mia madre. Purtroppo non sono brava quanto lei» si schernì lei, allungando le gambe davanti a sé. Quella maglia doveva averle fatto da vestito, in passato, ma ora si sollevava ad ogni movimento, mostrando l’addome scolpito della ragazza.
Ochako notò che la stava fissando e sollevò ancora di più la maglietta, in modo da mettere bene in mostra la macchia nera sul fianco destro. Era un piccolo pianeta circondato da anelli. In corsivo, la scritta Gravity ne percorreva l’emisfero sud.
«L’ho fatto prima di partire per Yamamoto. Non so esattamente perché, ma mi piace» lo sfiorò e gli sorrise.
«È bello» La risposta fu pacata, quasi sussurrata, mentre Katsuki la osservava, seduta davanti a lui.
«Grazie» Ochako sorrise di nuovo. Era strano sostenere con lui un’intera conversazione, per quanto breve, senza che imprecasse. E forse fu per il calore lasciatole addosso dalla doccia, per quel tono dolce quanto i biscotti o per lo scintillio negli occhi cremisi davanti a lei, quel pensiero che per tante volte aveva tenuto per sé, custodito come il più pericoloso dei segreti, lo lasciò andare, affidandolo ad un sospiro. «Anche tu.»
 
Un baluginio di stupore attraversò gli occhi cremisi del ragazzo. Bakugou, in un certo senso, sapeva di piacere alle ragazze. Ai loro occhi, quantomeno. A scuola bisbigliavano al suo passaggio, lo osservavano di sottecchi, troppo intimorite dal suo caratteraccio per anche solo tentare un minimo approccio. A volte coglieva stralci delle loro conversazioni, che elogiavano la sua bellezza e la paragonavano a quanto, al contrario, fosse orribile dentro. Un mostro, un demone, quasi.
Bakugou non aveva mai sentito nessuno fargli un complimento senza poi ribaltare il concetto, ricordandogli che orribile persona fosse. E in quei momenti avrebbe davvero voluto far esplodere la faccia a chiunque. Sapeva benissimo di avere un carattere di merda, ma sapeva anche di non essere il fottuto mostro che tutti descrivevano. Sua madre lo dimostrava. Eijirou lo dimostrava. Uraraka, nel suo piccolo, lo dimostrava.
Un lieve sorriso si fece strada sulle sue labbra, mentre, svelta, la sua mente andava a sabotare il calore che gli stava nascendo nel petto, diverso da qualunque avesse mai provato. Quella poteva benissimo essere una fantasia, le sue orecchie potevano benissimo averlo ingannato, così desiderose di ascoltare la voce di Ochako pronunciare quelle parole. Un crudele scherzo del suo corpo, desideroso di sovrapporre il sogno alla realtà.
 
Negli occhi di Ochako scorse quella sincerità che la prima volta l’aveva portata a ringraziarlo per aver dato il massimo contro di lei; quella che l’aveva portata ad affermare che le sarebbero mancati, lui e le sue imprecazioni. Ora, invece, la portava a fargli un fottuto complimento senza che vi fosse il consueto altro lato della fottuta medaglia. In quella semplice replica lui scorgeva ben altro: non si stava riferendo al suo aspetto, si stava riferendo a lui, lui come intero, lui come persona.
Katsuki non diceva nulla, la osservava e le guance della ragazza, solitamente rosee, avevano assunto una colorazione tendente più al cremisi.
«Anche tu.» Ripeté le sue esatte parole, il sorriso più fermo sulle sue labbra mentre le si avvicinava piano, dandole tutto il tempo di dargli uno schiaffo e scappare.
Lei aveva allargato il suo sorriso e si era avvicinata a sua volta, fino a far congiungere le loro labbra. Fu un contatto timido, all’inizio, in modo che entrambi potessero tirarsi indietro. Nessuno dei due, però, ne aveva intenzione.
Ochako portò le sue mani dietro la nuca di Katsuki, immergendo le dita in quel mare di capelli biondo cenere che non si aspettava essere così morbido, invitandolo a premere di più contro le sue labbra, rotte e mangiucchiate. Lentamente, il ragazzo ne delineò i contorni con la lingua, assaporandole e chiedendo implicitamente il permesso. Ochako socchiuse le labbra e le loro lingue s’incontrarono in una danza già sperimentata, già collaudata, ma dal sapore incredibilmente nuovo. Sul suo viso le mani di Katsuki erano incredibilmente lievi ed Ochako ne poteva avvertire i calli, il calore così intenso da farle pensare che avrebbe potuto farla esplodere in un istante e l’odore della nitroglicerina inondarle le narici – era il suo odore misto all’esplosivo.
Quando si erano staccati per riprendere fiato, ansimavano. Ad un passo dalle sue labbra, Katsuki sorrise: «Sai di biscotti»
Un risolino sommesso. «Perché, non ti piace?»
«Cazzo, sì» e l’attirò di nuovo a sé.
Le sue mani si avventurarono sul corpo della ragazza, andando lentamente al di sotto della maglietta. Sfioravano la sua pelle, lasciando dietro di loro una scia bruciante, ruvida come lo era lui. Ghignò quando scoprì che non indossava il reggiseno. Si sentiva andare a fuoco, le mani come il viso, il corpo ove i delicati polpastrelli della ragazza erano passati imitando il suo esempio, e sulla linea tracciata dalla sua bocca, che partiva dalla mascella fino a percorrere il collo. Presto, le magliette finirono lontane, in un punto indefinito della stanza e Katsuki si trovò steso sotto di lei. Prese un seno nella mano e sentì il capezzolo inturgidirsi sotto il tocco delle sue dita, mentre lei inarcava la schiena, offrendo il collo niveo alla sua bocca lasciva. Ne percorse la lunghezza con la lingua, oltrepassando le clavicole, giungendo all’altro seno. Ne descrisse l’areola e succhiò fino a sentire i mugolii della ragazza farsi più intensi. Ochako si sentiva bruciare, voleva bruciare lì, sopra di lui e in preda alle sue mani, morbide e dolci come mai avrebbe pensato che fossero. Poi Katsuki tornò alla sua bocca, carezzandole la guancia e la nuca e lei non poté trattenere un nuovo mugolio. E nella sua testa fu black-out.
La mano di Ochako si mosse un po’ alla cieca, un po’ seguendo l’istinto, verso il basso, a sfiorare il rigonfiamento sui pantaloncini che gli aveva dato. Vi passò piano le dita, prima di portarle oltre l’elastico. Al suo tocco, Katsuki ebbe un sussulto. Sapeva quanto fossero callose le mani di Ochako, eppure gli sembravano la cosa più morbida del mondo. Era delicata, lei, e muoveva le dita sapientemente. Per un attimo, Katsuki si trovò invidioso di chiunque fosse venuto prima di lui, poi ricordò che era lui lì, in quel momento, a godere di lei e con lei. Era maledettamente brava.
«Cazzo» ansimò. Aveva gli occhi chiusi ma poteva avvertirla sorridere. Non le occorse la bocca per portarlo oltre il limite.
Definitivamente liberi degli indumenti, ribaltò le posizioni e fu lei a stendere la schiena sul morbido materasso, in modo che potesse essere Katsuki a scendere verso le sue cosce, mentre le guance della ragazza si coloravano di un vermiglio ancora più intenso. Si sentiva come una foresta divorata da un incendio, un incendio che non aveva la minima intenzione di fermare. Le sue dita erano lunghe e affusolate, i movimenti rudi che tentavano di essere gentili – era maledettamente bravo.
Si separarono per poco, giusto il tempo di recuperare un preservativo dalla borsa di Ochako, che sedeva nuda e rossa quanto i suoi occhi sul letto.
Si portò a cavalcioni su di lui ed un nuovo bacio diede inizio ad una danza che entrambi conoscevano bene, ad una coreografia completamente inedita e meravigliosa. Katsuki, quella notte, scoprì che le piaceva di più quando era lei ad avere le redini e che a lui non dispiaceva per nulla osservare il suo corpo muoversi sinuoso sopra di sé. Le mani si stringevano febbrili, sudate e terribilmente calde, come il resto dei loro corpi, senza che però si lasciassero per un solo istante. I loro ansiti erano pesanti, intervallati dalle voci rotte dal piacere e dai sospiri in cui i loro nomi sembravano pura poesia.
 
Si staccarono, crollando l’uno accanto all’altra, stretti nel letto ad una piazza e mezza. Le loro mani erano ancora intrecciate quando, poco dopo, riaprirono gli occhi. Ochako sorrideva; sembrava davvero felice mentre gli accarezzava la guancia con il pollice. Anche Katsuki si ritrovò a sorridere, stringendola a sé per convincersi che no, alla fine non era un prodotto della sua perversa fantasia, che cazzo, lui era lì con Uraraka Ochako, la stronza che fa fluttuare le cose, nudo nel suo letto. Un poco si scoprì sorpreso di non essere finito a mezz’aria ed il pensiero gli strappò un sorriso. Stentava persino a credere di essere riuscito a controllare sé stesso ed il pericoloso ribollire delle sue mani. Di solito gli era semplice, qualcosa di ordinario a cui non aveva mai nemmeno pensato con le altre donne con cui era stato. Questa volta, però, aveva il sapore di qualcosa di diverso. Gli tornò alla mente il commento che Kirishima aveva fatto prima di trascinarlo a quella dannata festa: «Amico, con quella faccia sembri proprio innamorato»
 
«Katsuki?» La voce di Uraraka lo guidò fuori dai suoi pensieri e le sue gote ancora rosse gli strapparono un ghigno. La mano della ragazza, svelta andò alla sua guancia, attirandolo in un bacio.
«Secondo round?»
La risatina che ne seguì fu per lui un più che sufficiente assenso.
La pioggia batteva furiosa sulle strade, così fitta che nessuno osava avventurarsi sotto il suo getto martellante. Non smise fino a che non ebbe privato la città dell’alba, rivelando un sole già alto quando i primi coraggiosi osarono mettere piede fuori. E diede loro tempo, tutto il tempo del mondo per costruire il primo di tanti ricordi.
 


 
 
 
Angolino autrice

Buonasera gente!
Eccomi qui con la mia terza e (credo) ultima shot collegata a "Corde sulla sabbia". Questa è ambietata un anno prima di "Corde sulla sabbia" e un anno dopo "Late wishes".
La scena smut è stata piuttosto difficile da scrivere. Mi sono fatta una marea di complessi e ancora non sono sicura che vada bene, ecco. Spero non faccia troppo schifo.
Dopo aver scritto la prima shot ho colto l'occasione del festival per buttare un retroscena alla mia "main ship" di questo fandom. Spero tanto vi sia piaciuta!
Tata
   
 
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