//Rebirth//
Capitolo 23 – Touch
Jin fermò la moto davanti il portone. Hakkai si chiese se Gojyo sarebbe
stato in grado di scendere, ma prima che potesse avvicinarglisi, il rosso saltò
giù agilmente, e poi si sfilò il casco. Teneva il borsone in spalla.
Non ho parole. L’ultima cosa che gli ha raccomandato il medico è stata di
non sforzare le costole.
Le carte di dimissione le aveva firmate il padre di Gojuin, tutore legale
di Gojyo. Lui e la moglie erano stati a trovarlo un paio di volte, mentre era
ricoverato, e gli erano sembrati sinceramente preoccupati. Hakkai pensò che
dovevano essere due brave persone, ma non avevano mai fatto i conti con i
disagi di Gojyo, che si era trovato ad abitare con i parenti della madre
adottiva che aveva tentato di ucciderlo. La coppia gli aveva caldamente
proposto di andare a stare da loro per qualche giorno, ma Gojyo aveva
categoricamente rifiutato. Gojuin li aveva salutati appena, invece. Mio
padre è così, si diverte a dispensare carità, gli aveva detto una volta
Gojuin. Gojyo non era figlio suo, e nemmeno io, in realtà. Non c’è
possibilità di errore, lui non può averne. Ma in quella famiglia tutti fingono
di vivere nel paese delle meraviglie: mia madre non poteva permettersi un
divorzio e suo marito non le ha permesso di abortire. In fin dei conti, lui di
figli non avrebbe mai potuto averne, quindi è stata un po’ un’adozione. Gojyo e
io non siamo tanti diversi: non amiamo la carità. Mia madre ha insistito per
tenerlo in casa: avendo tradito anche lei, provava pena per quel bambino che la
sorella aveva tentato di uccidere. Mio padre non si è opposto.
“Gojyo, vedi di non agitare troppo quel borsone”, borbottò Shinobu, appoggiata
al portone. “Se ti si rispaccano le costole, ti toccano altre due settimane in
ospedale”
Gojyo esibì un sorriso a trentadue denti. “Non sottovalutare la mia forma
fisica, ragazzina! Potrei usarti per far sollevamento pesi”
“Più che altro, penso che vorrai tornar presto a dedicarti alle flessioni sul
materasso, giusto?”
Hakkai sbarrò gli occhi, stupito e divertito, dato che il rimbecco era venuto
da Goku. Shinobu si accasciò sul marciapiede, ridendo, mentre Gojyo minacciava
Goku con il borsone. “Ti mancavano proprio le legnate, allora, scimmia? Sanzo,
dovresti educare un po’ meglio il tuo animale domestico”
“E’ stata la cosa più sensata che gli abbia sentito dire nell’ultimo mese”,
ribatté sdegnosamente il biondo. Hakkai considerò argutamente che non si era
fatto pregare eccessivamente, per venire.
“Se iniziate a far così prima ancora che tiri fuori la birra, non oso
immaginare il seguito”, s’intromise Koji, slegando la cassa di birre dal
bauletto della moto.
Il gruppetto, a cui si era unito anche Gojuin, si trasferì dalla strada nella
saletta dell’appartamentino di Gojyo. Si stava un po’ stretti, ma non importava:
Hakkai si rese conto che molti di loro, nella breve vita che gli era toccata,
non avevano sperimentato un simile calore molto spesso. Alla categoria
apparteneva anche lui. In quel momento non si stava festeggiando Gojyo, ma la
vita stessa.
“Questa casa è troppo pulita e ordinata. Chi ci ha pensato?”
“Io e Shinobu”, gli rispose Hakkai. “Ah, tranquillo, non abbiamo buttato nulla,
a parte il cibo andato a male nel frigo.”
“Considerati onorato”, s’intromise la ragazza. “Non capita spesso che mi metta
a fare le pulizie, specie in un appartamento tanto schifido”
Ognuno aveva la sua birra alle labbra, escluso Goku che non era abituato a
bere. E ognuno aveva trovato una propria sistemazione nella stanza: Shinobu,
con il braccio ingessato penzoloni dietro la schiena, stava raccontando
qualcosa di divertente a Koji e Jin, che sghignazzavano lanciando ogni tanto
uno sguardo a Gojyo, il quale si accapigliava con Goku riguardo a un certo
ultimo dango rimasto nella confezione. Hakkai sedeva nel divanetto, con
Gojuin da un lato e dall’altro Sanzo, il quale fumava silenziosamente. A tratti
scambiavano qualche parola.
La sua attenzione, principalmente, era concentrata su Gojuin. Non avevano avuto
molte occasioni di parlare seriamente, eppure gli premeva sapere se anche lui
fosse, in un certo modo, collegato ai sogni. Shinobu aveva assicurato che sì,
aveva fatto precisi riferimenti, ma non aveva voluto raccontare nulla.
Ha praticamente detto che non è il momento. Che c’è un tempo per tutto e per
tutti. Ma sono sicura che abbia riconosciuto il nome di Shioka. E mi ha chiesto
se avessi…ricordato. Non ho chiesto altro, e non penso che ne avrebbe parlato
in nessun caso. Ma io so che è così, Hakkai. Ne sono sicura. Lui c’era. In quel
posto e in quel tempo, lui c’era.
Hakkai ricordò le parole di Shinobu. E ne era quasi certo anche lui. Di
qualunque cosa si trattasse, Gojuin ne faceva parte. Si guardò intorno,
accertandosi che nessuno degli altri stesse ascoltando.
“Shinobu è certa che, di quella storia, tu ne sappia più di noi, Gojuin.
E io sono d’accordo con lei, sebbene noi due non ne abbiamo mai discusso”
Gojuin volse la testa verso di lui. Aggrottò la fronte, come se stesse
riflettendo, ma il suo sguardo distante non cambiò. “Pensavo che avesse smesso
di interrogarsi”
“Cerca di andare avanti senza pensarci, come un po’ tutti noialtri. Ma ogni
tanto arriva qualche deja-vu…e la mente vi ritorna senza posa. Personalmente
farei volentieri a meno di dar peso a tutta questa faccenda. Sono solamente
sogni, in fondo. Se anche ci fosse un motivo per cui sembrano essere collegati
tra loro, non mi preoccuperei di scoprirlo. Ma ogni tanto penso che un giorno
scopriremo qualcosa che non ci piacerà poi tanto. E mi chiedo se noi tutti
potremo ignorarla”
Sanzo si mosse sul divano, accanto a lui. Non li guardava direttamente, ma
Hakkai era sicuro che non si stesse perdendo una parola, le sopracciglia
corrugate in un’espressione pensierosa.
Gojuin si strinse nelle spalle. “Se vuoi sapere cosa penso al riguardo, non lo
so. Non ne ho idea. Non so se sono cambiato, ma ho capito un po’ di cose. Non
mi sento peggio, ma per me è diverso. Io…” Smise di parlare, come se avesse
detto troppo. Per un attimo, un’espressione aveva fugacemente attraversato i
suoi occhi, sbalordendo Hakkai. Qualcosa di molto simile a una malinconica
rassegnazione. “Lascia perdere, Hakkai. Tanto, immagino che prima o poi
succederà. E allora, magari, ne parleremo tra di noi”
Hakkai non poté fare a meno di notare che, da quando avevano iniziato a
parlare, il suo sguardo era andato spesso a Shinobu, che continuava a
chiacchierare con Koji e Jin inconsapevolmente. Che Gojuin non fosse attratto
da lei era fuori discussione. Ma lui credeva che ci fosse qualcosa di più. E,
comunque, non aveva dubbi su dove sarebbe andata a parare quella situazione,
non appena Shinobu e Gojyo avessero messo da parte l’orgoglio.
“Ti invidio. Il tuo sguardo è puramente fraterno”
Hakkai si rese conto che anche lui si era messo a fissarla, e che l’albino se
n’era reso conto. Gojuin affermava di non essere cambiato, ma lui aveva idea
che lo strato di ghiaccio che l’aveva sempre circondato si fosse leggermente
sfaldato.
“Sì, è vero”, rispose divertito. Gojuin non immagina nemmeno quanto
comicamente inappropriata sia stata la sua frase. Per mia sorella provavo
tutto, meno che affetto fraterno. Shinobu è per me una vera sorella, molto più
di quella che ho perso.
“Ehi, Hakkai!”, l’aveva chiamato Gojyo una sera, quando ancora lavorava nel
locale il cui proprietario gli aveva presentato proprio lui. Stava asciugando i
bicchieri da cocktail, lo faceva ogni sera, poco prima dell’apertura. E spesso
arrivava lì, Gojyo, con i suoi amici, appena chiusa l’officina, a chiedere un
tavolo. Il proprietario gli serviva alcolici, anche se non c’era uno tra loro
che fosse maggiorenne. Hakkai sospettava che Gojyo, o qualcuno dei suoi, gli
avesse fatto spesso qualche favore non proprio lecito. Gli dava spesso il
tavolo più vicino al bancone, perché ordinavano in continuazione, e a volte, se
non c’era troppa gente, permetteva a lui di sedersi con loro a bere qualcosa.
Se invece del servizio ai tavoli Hakkai si occupava del bancone, Gojyo
trascorreva buona parte della serata lì, a chiacchierare con lui, invece che
con gli amici con cui era arrivato. Anche quella sera, Gojyo, che oltre a Jin e
Koji frequentava al tempo altri due studenti del loro liceo, prese posto al
bancone piuttosto che al tavolo. “Allora...vedo che ti trovi bene qui al
locale!”, aveva esclamato accendendosi una sigaretta. Era già un mese che
Hakkai lavorava lì, e anche se gli orari non erano molto agevoli non poteva
proprio lamentarsi. “Già...e lo devo tutto a te, Gojyo. Grazie per avermi
presentato il proprietario...”. Gli aveva risposto con quel suo sorriso
malizioso, che Hakkai aveva già imparato a conoscere e ad apprezzare, perché
nella maggioranza dei casi andava a sostituire una qualche reazione di cui si
sarebbe vergognato, come imbarazzo o contentezza. Al tavolo, insieme ai suoi
compagni di cagnara, risuonò una voce femminile. E lì la vide. Era minuta, molto
chiara di carnagione e dal tono vivace. Gojyo aveva seguito il suo sguardo fino
a lei. “Ori Shinobu”, gli aveva spiegato, “Frequenta il primo anno
della nostra sezione, forse la conosci di vista”. In effetti non gli era
sconosciuta, probabilmente l’aveva già incrociata diverse volte nei corridoi.
Due occhi verdi in un liceo giapponese non passano inosservati. Anche perché
erano appena di qualche tonalità più sbiaditi dei suoi. Si chiese come fosse
finita al tavolo con Gojyo. Non è la prima, né probabilmente l’ultima
ragazza, che porta qui, ricordò di aver pensato. Ma solitamente, quando
veniva con una donna per offrirle da bere, non lo faceva in compagnia degli
amici. Inoltre, almeno fisicamente, non sembrava il classico tipo che faceva
perdere la testa a Gojyo: troppo poco appariscente.
Hakkai si era domandato se Gojyo fosse già stato a letto con lei. Non che gli
interessasse granché, probabilmente la sua figurina si sarebbe fusa nella sua
memoria con tutte le altre ragazze che Gojyo gli aveva presentato nell’ultimo
mese. Gojyo, sorprendentemente, era parso intuire i suoi pensieri, perché gli
rispose immediatamente che non era la sua ragazza, né aveva la minima
intenzione di portarsela a letto.
“Allora, Hakkai, vieni a prendere le ordinazioni o no?”, gli aveva
gridato Koji dal tavolo presso cui sedevano. Gojyo si scostò dal bancone, con
l’apparente intenzione di andare a prendere posto al tavolo. Alzatosi dallo
sgabello, si era chinato sul bancone verso di lui, le mani ben distese sul
piano di legno. “Non l’ho incontrata in una situazione molto felice. Non so
fino a che punto si sia resa conto della situazione, ma sono entrato in
palestra con una ragazza e ho trovato lei con due tipi che non ti raccomando. E
non sembrava che stare lì le piacesse molto. Ho mandato via la mia tipa e,
naturalmente, ho invitato gentilmente i due ad alzare i tacchi: non mi
piacciono quelli che insistono con le ragazze. Loro non erano tanto felici, ma
quando li ho pestati hanno deciso di andarsene.”. Gojyo, aveva già capito
dopo un mese, era un donnaiolo incallito. Non aveva mai visto mancargli una
ragazza da sotto le coperte, e non era una situazione tanto ordinaria dato che
non aveva nemmeno diciassette anni. Non era neanche lontanamente uno stinco di
santo, ma era particolarmente sensibile quando si trattava di cavalleria nei
confronti del gentil sesso. Ad Hakkai la cosa sembrava divertente. In ogni
caso, la ragazza doveva essersela vista brutta, e non gli sembrava così strano
che si fosse, in qualche modo, affezionata a Gojyo. “Ho compreso la
situazione, ma da qui a portartela in giro a ordinare alcolici c’è un bel
passo”. Il rosso gli aveva risposto con un sorriso sornione: “Come avrai
intuito, ultimamente me la trovo spesso alle costole. Non credo che sia
interessata a me in quel senso, ma quando la incontro fa le feste come un
cagnolino da salotto. E gli altri la trovano adorabile. Hakkai, ti rendi conto?
Sono tutti più alti di un metro e ottanta, vanno per i novanta chili, e si
inteneriscono per una ragazzina di sedici anni dalla voce squillante”. Hakkai
aveva riflettuto che, quando Gojyo voleva, sapeva benissimo come sbarazzarsi di
una ragazza troppo invadente; specialmente se, come in quel caso, non v’erano
implicazioni di tipo sessuale. E sospettò che Gojyo, in fin dei conti, non si
sentisse poi tanto infastidito dalla sua presenza. Prese le ordinazioni al
tavolo –la ragazza gli era stata presentata, e l’aveva subito pregato di
chiamarla per nome: Shinobu-, e tornò pochi minuti dopo con il vassoio.
Il padrone del locale, come si era aspettato, gli aveva dato il permesso di
sedere con loro, essendo un giorno feriale con ben pochi avventori. Prese posto
tra Gojyo e la ragazza, con un tocco di vodka liscia nel bicchiere.
Aveva compreso quasi subitaneamente cosa intendesse Gojyo riguardo ai suoi
amici. Erano prevalentemente ragazzi di strada, abituati ad essere malvisti.
Indifferenza e timore, spesso disprezzo, dagli estranei come dalle famiglie.
Avevano scelto quella vita e la accettavano.
Ma quella ragazza rideva con loro, aveva un sorriso per tutti, non disprezzava
il loro contatto. Trasmetteva calore, sincero e spontaneo. Suo malgrado,
anche lui si era ritrovato a sorridere.
Ogni tanto Gojyo le lanciava una battutina provocatoria, che lei apprezzava
ridendo e rispondendo a tono. In ogni caso, alla fine del suo bicchiere di
vodka lemon, ad Hakkai parve un po’ brilla. L’alcool le aveva colorato
graziosamente le guance, e rideva spesso, di gusto.
La conversazione era entrata momentaneamente in stallo, dato che Gojyo si era
alzato con Jin e Koji per andare a prendere da bere direttamente al bancone.
Hakkai notò che lei lo stava osservando con un sorriso, e ancora una volta si
ritrovò a pensare che aveva occhi davvero inusuali. Non avevano nemmeno il
tipico taglio giapponese. Era graziosa, non esattamente il tipo di ragazza che
si definisce bella, ma aveva un viso piacevole da guardare.
“Sai Hakkai, hai due occhi davvero belli”, gli aveva detto a voce bassa,
e lui non poté fare a meno di ridacchiare della coincidenza. “Peccato che
siano così tristi”. Gli aveva sorriso ancora, appoggiando il mento sul
dorso della mano. Una mano piccola, da bambina. “Ultimamente ho incontrato
un sacco di persone tristi. Persone che ridono o sorridono di continuo, ma che
non si aspettano niente dalla vita. Vanno avanti come fantasmi, alla cieca,
senza sapere bene dove e quando smetteranno di camminare. Aspettano qualcosa.
Una disgrazia o una salvezza, un’occasione per vivere o per morire.”. Stava
guardando la schiena di Gojyo seduto al bancone, ovviamente. Hakkai comprese
immediatamente perché quella ragazza fosse lì, con quei ragazzi che
apparentemente così poco si adattavano alla sua compagnia: lei era attratta
da quel modo di vivere. Gojyo non era stato solo il suo salvatore: lui
rappresentava un mondo lontano, ed eppure distante un braccio da lei. Un mondo
in cui un sorriso non è mai regalato, ma conquistato.
Istintivamente, si sentì nudo; proprio come quando aveva incontrato Gojyo, sul
ponte. E provò, nei confronti di quella ragazza con cui aveva scambiato solo
poche parole, qualcosa di molto simile alla dolcezza, sgorgante da una fonte
sconosciuta.
Hakkai rifletté che, probabilmente, in quel momento aveva provato uno dei suoi
primi deja-vu. Non c’entravano i corridoi della scuola: Shinobu era sempre stata
presente nel suo dna. Una sensazione pazzesca e inspiegabile, ma che forse
adesso iniziava a trovare un suo incastro.
Strappato ai suoi ricordi, Hakkai controllò l’orologio: erano le nove e mezza.
Shinobu era adesso seduta sul pavimento, a gambe conserte, e chiacchierava
allegramente con Gojyo. Hakkai vide che lo sguardo di Gojuin si soffermava
ancora, di tanto in tanto, su di lei.
Mi spiace per te, Gojuin, ma ormai credo che sia troppo tardi.
“Sanzo, io andrei. Voi vi trattenete?”
Sanzo scosse la testa. “Domani c’è lezione per tutti a parte lui e Goku,
direi”. Controllò anche lui l’orologio. “Scimmia, tu non hai il turno di notte
oggi?”
Goku alzò lo sguardo, e Hakkai comprese che qualcuno gli aveva fatto bere una
birra: aveva il viso arrossato, e gli occhi lucidi. “Ah, sì. Non avevo pensato
completamente all’orario! Tu resti, Sanzo?”
“Neanche per sogno. Sono rimasto anche troppo”
Gojuin si alzò con loro, risistemandosi la camicia. “Shinobu, rientri con noi?”
“No, resto un altro po’”, rispose giulivamente portandosi alle labbra quella
che doveva essere la sua terza birra. “Non preoccupatevi per me, andate pure!”
Hakkai annuì con un sorriso. Notò che Jin e Koji erano indecisi sul da farsi,
quindi risolse per la prima volta in vita sua di fare l’indiscreto impiccione.
“Io credo che a Gojyo non dispiacerebbe restare da solo con Shinobu”, mormorò
loro, a voce appena udibile. I due si squadrarono immediatamente con un
sogghigno d’intesa, e annunciarono che sarebbero andati via anche loro, come
Hakkai aveva ampiamente pronosticato. Il gruppo si diresse, dopo i saluti e le
battute di rito, verso la porta d’ingresso.
Hakkai fu l’ultimo a chiudersi la porta alle spalle, non prima di aver lanciato
un’eloquente occhiata a Gojyo, che rispose con un noto gesto di taglio
all’altezza della gola.
Se non chiarite stasera, per me potete andare a quel paese.
Quando la porta si fu chiusa alle loro spalle, Shinobu si alzò dal pavimento,
iniziando a raccogliere le lattine vuote in giro per la stanza. Gojyo rimase
appoggiato alla parete, la sigaretta in bocca, con sguardo distratto. “Tutto
bene?”, gli chiese, raccogliendo le lattine vuote nel box di cartone che le
aveva trasportate fin lì.
“Naturalmente”, rispose il rosso, distrattamente. Spense la sigaretta nella
lattina vuota, gettata a pochi centimetri dal suo ginocchio sinistro, e andò a
prendere posto sul divano.
“Gojyo”, interloquì Shinobu, grattandosi un sopracciglio, e lasciando andare la
scatola. “Chi vuoi prendere per i fondelli?”
“Che finezza, Shinobu, giuro che non ci sono abituato…”
La ragazza aggrottò la fronte. “Smettila di sviare il discorso, signorino. Sono
dieci minuti che ammicchi, e forse non te ne sei nemmeno reso conto. Sei uscito
dall’ospedale nemmeno tre ore fa, e dovresti metterti a letto”
Gojyo reclinò il capo sulla testiera del divano, lasciandosi sfuggire un
sospiro. Shinobu osservò il suo torace alzarsi e abbassarsi regolarmente: quel
movimento regolare la tranquillizzava leggermente. Se gliel’avessero detto, lei
stessa non ci avrebbe creduto: ma erano i residui del panico totale che l’aveva
colta quando lui aveva rischiato la vita. Ciononostante, era praticamente
sicura che Gojyo non stesse troppo bene.
Il rosso le restituì lo sguardo, sorridente. “Ho solo un po’ di mal di testa.
Niente di preoccupante, mocciosa. Capita, dopo essersela spaccata”
“No”, lo contraddisse lei, stizzita. “Non deve capitare a un ragazzo che è
stato in punto di morte e che abita da solo. Gojyo, se ti senti male stanotte,
o domani, o tra una settimana, delucidami: chi chiamerà il pronto
soccorso per salvarti il culo?”
La voce del ragazzo fu polemica. “Shinobu, piantala di fare la
crocerossina. Mi hanno dimesso. Rilasciato. Stop. Sto bene, d’accordo? Sono
convalescente, penso sia normale un po’ di mal di testa”
Shinobu non poteva credere alle sue orecchie. Come poteva essere così
superficiale, dopo la dannata strizza che le aveva fatto prendere? “Gojyo”,
risolse infine. “O chiami il pronto soccorso, o il medico che ti ha seguito, e
ti fai vedere per un controllo, o ci penso io”
Gojyo scattò d’improvviso seduto. E Shinobu fu improvvisamente certa che quel
gesto gli avesse causato una fitta piuttosto violenta. Ma l’altro si fece in
avanti, e le bloccò il polso.
“Mia madre non si curava di me, è vero. Ma il fatto che te ne abbia parlato non
vuol dire che tu debba sentirti in diritto di sostituirla. Credo di essere
abbastanza cresciutello per quello, Shinobu.”
Centro.
Shinobu si sentì improvvisamente ferita, e imbarazzata, e anche incazzata.
Ferita perché il suo tono era stato più tagliente che mai, e perchè Gojyo,
nonostante l’atmosfera di complicità che si era instaurata a seguito degli
ultimi avvenimenti, aveva ora chiaramente posizionato un paletto di Divieto
d’accesso. Imbarazzata, perché appariva ormai lampante che, probabilmente incoraggiata
dalla suddetta atmosfera di complicità, si era spinta troppo oltre con la
confidenza. Incazzata, anzi, incazzata nera, perché nonostante tutto
ciò, Gojyo era un cretino.
Cretino forte.
“D’accordo”, sputò, risentita. Al momento, rabbia e imbarazzo combattevano
in meandri non tanto reconditi del suo cervello una battaglia senza esclusione
di colpi. Per evitare di palesare l’una o l’altro, decise che sarebbe stato
meglio tornare a casa. “Comprendo quando la mia intromissione non è gradita. Ci
vediamo domani, Gojyo. O almeno lo spero.”
Con stizza, agguantò la borsa sul divano, agganciandosela alla spalla
corrispondente al braccio sano. Le comunicazioni erano terminate, per quanto la
riguardava.
“Smettila”, fece lui, ma la voce si era ammorbidita. “Sono le dieci, e la zona
non è bella, lo sai. Se proprio vuoi andartene, ti accompagno. Non mi piace
l’idea che vaghi da sola quand’è buio, in una zona simile”. Si schernì con un
sorriso tirato: “E non mi sento ancora pronto per una scazzottata, nel caso in
cui dovessi venire a recuperarti da qualche parte”
Secondo centro, ancora più preciso del primo.
Shinobu fu colta da un brevissimo e improvviso accesso di nausea. L’odore del
gesso nel magazzino. Il dolore al volto e ancora un altro odore, quello del proprio
sangue. La sensazione di dita sporche sulle sue cosce. Aveva smesso di andare
in giro da sola quand’era tardi, dopo quell’episodio, e Gojyo lo sapeva
benissimo. L’unico motivo per cui, quella sera, era rimasta a casa sua quando
tutti gli altri erano andati via, era per timore che potesse star male, senza
nessuno in grado di soccorrerlo in tempo. E no, quello Gojyo poteva immaginarlo
solo fino a un certo punto.
“Ti spiace se resto, stanotte, allora?”
Vide Gojyo spalancare leggermente gli occhi. L’aveva detto con voce così
tranquilla, che doveva essersi stupito del suo repentino cambiamento d’umore.
Non mi importa se mi considera una stracciapalle. Meglio questo, che saperlo
solo in casa.
“E’ una proposta oscena, Shinobu ♥?”, chiese lui con voce improvvisamente
faceta. “E’ la seconda in poco tempo, inizio a preoccuparmi”
Shinobu gli rispose con una punta d’imbarazzo che non avrebbe mai provato, in
precedenza, nei confronti di una battutina così semplice e provocatoria. “Seh,
ti piacerebbe. Resto soltanto per amore della tua salute, Gojyo. Lasciami solo
fare una telefonata a casa per avvertire che non rientro”
“Sì, sì. Intanto è meglio che vada a cercar la chiave della camera da letto,
non si sa mai: la notte è galeotta, e potresti cader preda del desiderio di
concupire un così bell’uomo”
La ragazza gli rispose gonfiando le guance, in un’espressione di comico
sarcasmo. Quindi, come sempre, fece per afferrare la zip della borsa con la
mano sinistra, dimentica della sua momentanea menomazione. Con una smorfia,
rimise giù il braccio e usò invece la destra per cercare il cellulare. Gojyo,
intanto, fischiettava dal corridoio, probabilmente diretto in camera da letto.
Shinobu notò con divertimento che il motivetto era Superman dei Five for
fighting. Le sembrava trascorso un secolo dalla sera in cui l’aveva suonata con
la chitarra.
Meno divertente fu la telefonata a casa. Di scuse non ne aveva: sua madre
sapeva fin troppo bene che difettava di amicizie femminili presso cui
trascorrere la notte. Decise di essere sincera, insomma, in buona misura:
Hakkai (al top della personale classifica di gradimento di sua madre, come di
molte altre donne di una certa età) era preoccupato che Gojyo trascorresse la
prima notte a casa da solo, e le aveva chiesto gentilmente di restare anche
lei. C’era stata qualche protesta, ma il nome di Hakkai era risultato decisivo.
Spense il cellulare, abbastanza soddisfatta. E Gojyo tornò nella saletta
proprio in quel momento, con in mano la sua vecchia Tervis. Fischiettava ancora
lo stesso motivetto, e Shinobu notò con piacere che sembrava star bene, adesso.
“Non ti fa più male la testa, vero?”
“No, mocciosa. Te l’avevo detto, che era una cosa da niente. Vuoi che ti
accompagni a casa?”
Shinobu soppesò l’idea per un istante, più che altro perché ultimamente erano
aumentate le occasioni in cui si sentiva in imbarazzo quando si trovava da sola
con lui. Poi scosse la testa. Non osava ammetterlo neanche a se stessa, ma era
contenta
smettila di dire idiozie, Shinobu, sei giubilante
di poter passare del tempo con lui, tranquillamente e senza puzzo di
disinfettante o viavai di medici. Senza le restrizioni dell’orario visite, e
anche senza il continuo arrivo degli altri, sì. Del buon vecchio, sano tempo da
soli, com’erano soliti fare.
“Resto.”
Cantarono per quasi un’ora, sorseggiando una birra tra un testo e l’altro. Buzzlip,
Do as Infinity, Dir en Grey, ma anche canzoni americane dei SoaD,
e con sommo divertimento di Shinobu Gojyo attaccò persino a cantare un enka.
Gojyo pizzicava abilmente le corde della chitarra, terminava un brano, prendeva
qualche sorso di birra e ne attaccava un altro. Si sentiva euforico all’idea di
non trovarsi più in quella pesante camera d’ospedale, e, perché non
ammetterlo?, era anche contento di trascorrere quel tempo con Shinobu, come ai
vecchi tempi. Non provava più quel fastidioso pulsare alla testa che era
iniziato dieci minuti prima che andassero via gli altri, e che aveva
preoccupato tanto la ragazza. E ammise a se stesso che forse si era accalorato
un po’ troppo. Ma non aveva la minima intenzione di tornare in ospedale per
farsi trattenere per altri accertamenti. Inaspettatamente, poi, Shinobu aveva
deciso di restare. E lui si era sentito improvvisamente contento
smettila di sparare cazzate, Gojyo, sei giubilante
di poter trascorrere la sua prima serata a casa in compagnia.
Posò la chitarra di lato, piegando le dita per far schioccare le nocche.
Contemplò Shinobu che sorseggiava la sua birra, accucciata sul pavimento
davanti il divano, e prese qualche altro sorso anche lui dalla sua lattina, con
una smorfia. L’avevano lasciata svaporare.
“Perché sei voluta rimanere, Shinobu?”
Non gli piaceva sondare i pensieri altrui, per quello c’era Hakkai (che non
aveva nemmeno bisogno di chiedere), ma la domanda gli era sorta spontanea alle
labbra.
Shinobu ruotò la testa verso di lui, con la lattina in mano. “Te l’ho detto.
Non mi andava che restassi da solo, non mi sembrava che stessi tanto bene”
La ragazza poggiava le spalle alla base del divano. Da lì, Gojyo poteva vederne
la nuca, dato che si era spostata i capelli sulla spalla destra. Provò una
deliziosa sensazione raschiante al ventre; non era ancora eccitazione, non
credeva che sarebbe mai arrivato al punto di eccitarsi per pochi centimetri di
pelle visibile sotto l’attaccatura dei capelli, ma era deliziosa lo stesso. E
quella era Shinobu.
La serata si rivelava alquanto originale.
Non seppe mai perché, ma provò il desiderio di scusarsi. Di scusarsi perché la
sua pelle sotto l’attaccatura dei capelli lo stimolava, ma ovviamente non era
una scusa che potesse essere manifestata ad alta voce; quindi la sua mente
inconsapevole operò un transfert.
“Mi dispiace per quella frase su mia madre”
Non era ancora il clima adatto, ma Shinobu indossava una canotta azzurra. Provò
il desiderio di sfiorarle la pelle. Si chinò leggermente e le toccò una spalla.
Shinobu, inaspettatamente, sobbalzò. Gojyo si era reso conto fin troppo bene
che, ultimamente, la ragazza si sentiva spesso a disagio con lui, quando erano
da soli. Inizialmente aveva imputato il suo impaccio all’incidente, o a
qualcosa che da esso derivava, ma ciò contrastava con le sensazioni che aveva
provato quando lei era sbucata da sotto il suo letto, in ospedale, e si era
distesa accanto a lui. Eppure, a volte non riusciva a cacciarsi dalla mente
l’idea che fosse stato il racconto della sua infanzia a turbarla. Oppure era
qualcosa che aveva a che fare con i sogni.
“Non importa”, rispose lei, ma si fece scivolare i capelli nuovamente sulla
nuca, come imbarazzata. “So di essere veramente pesante, a volte, ma ero
preoccupata. Hai ragione tu: non sono tua madre né ho il diritto di comportarmi
come tale.” Abbassò la voce. “Forse ti ho fatto pesare troppo le mie
attenzioni, ultimamente”
“Sei sempre stata impicciona, non è una novità”
E non te ne sei mai preoccupata. Si può sapere cos’è cambiato?
La sua sensibilità aveva sempre lasciato alquanto a desiderare, ma quel
leggero cambiamento l’aveva registrato. Pensieroso, riprese tra le mani la
chitarra, attaccando un motivo senza porvi attenzione. Forse è solo
nervosismo.
“Oh, è quella dell’altra volta…quella che hai composto tu, vero? Avevo
completamente dimenticato una cosa…”
Gojyo vide che tornava a frugare nella borsa. In mano aveva il suo
registratore, quello che le aveva prestato secoli prima per registrare
la stessa melodia che stava strimpellando in quel momento. E un foglio di
carta.
“Quando hai scritto il testo?”
“Qualche giorno fa. E’ solo il ritornello, però”
Il rosso le sfilò il foglio dalle mani, e lo lesse con un fischio ammirato. “Da
dove l’hai copiato? Confessa, dai!”
Shinobu si strinse nelle spalle in un gesto di ampia modestia. “Ne deduco che
non ti dispiace”
Lui lo rilesse. Poi le restituì il foglio, riattaccando il motivo con la
chitarra. “Avanti, fammi sentire”
Let go, let yourself free of you and your soul / Lasciati andare, liberati
da te stesso e dalla tua anima
And then you'll come to see all the truth in your eyes / E allora arriverai a
vedere tutta la verità nei tuoi occhi
Don't try to be someone you can't be / Non provare ad essere qualcuno che non
puoi essere
All you gotta do is let go, just let go of yourself- / Tutto ciò che devi fare
è lasciarti andare, lasciarti andare da te stesso
and then you'll see... / E allora vedrai...
Don't try, try to pretend that it doesn't hurt / Non provare, provare
a fingere che ciò non ti ferisca
You don't have to be perfect, cause no one can be / Non devi essere perfetto,
perchè nessuno può esserlo
If your tears can't stop fallin', just reach out your hand / Se le lacrime non
si fermano, allunga la mano
All you gotta do is believe, just believe in yourself- / Tutto ciò che devi
fare è credere, solo credere in te stesso
and just let go... / E lasciarti andare...
“Dai, Gojyo, non guardarmi così. Lo sai che sono intonata
quanto una iena in calore.”
“E’ vero, ma non è questo. Stavo pensando che non è affatto male”. Lo pensava
sul serio. C’era qualcosa che gli toccava una qualche corda, dentro. “Te
l’avevo detto, che ne avevi le capacità. In genere si pensa che le parole siano
il modo più esplicito di comunicare un concetto, ma non è sempre così. Bisogna
saperle usare.”
Shinobu rispose con un sorriso, che gli parve lievemente imbarazzato. Si
accomodò sul divano, accanto a lui, le gambe unite e ripiegate sotto il busto.
Appoggiò il braccio ingessato su una coscia. “Te la faccio sentire un’altra
volta, poi la cantiamo insieme, e poi voglio sentirla con la tua voce. Secondo
me andrebbe suonata con una tonalità più grave, e io non ci arrivo”
Gojyo la ascoltò cantare una seconda volta, pensando che
la sua voce effettivamente non era un granché, ma le sue labbra che si
arcuavano o contraevano per modulare una nota erano decisamente sensuali. Non
vi aveva mai prestato la minima attenzione, ma adesso che l’aveva notato,
mentre lei cantava, non riusciva a pensare ad altro.
Gojyo, non ci pensare nemmeno.
E invece lo fece.
Mentre lei voltava la testa per dirgli qualcosa, chinò il busto e la baciò. Non
si pentì di non averlo chiesto, anche se si aspettava violente conseguenze. Lo
fece e basta, e fu un bacio smaliziato, privo della minima connotazione
sessuale, solo un desiderio di labbra. Quello che un po’ meno si sarebbe
aspettato, fu che Shinobu non lo respinse, anzi, gli poggiò la mano destra
sulla spalla. E schiuse le labbra. La mano le tremava leggermente.
Fu più bello e spontaneo di quanto si sarebbe immaginato, come se, in tanti
anni, non avesse aspettato che questo. Come se una parte di sé lo desiderasse
da secoli.
Quando si staccarono, nessuno dei due osò parlare. Il silenzio divenne presto
pesante, anche perché Shinobu, con un’espressione indecifrabile, aveva voltato
la testa e sembrava non volerlo guardare in faccia. Gojyo si scervellò, doveva
dire qualcosa, qualsiasi cosa, o sarebbe impazzito.
“Mi dispiace”
Di non avertelo chiesto, completò mentalmente. Perché non gli era
dispiaciuto affatto. Anzi. Era una delle cose che meno gli era dispiaciuto fare
in tutta la sua vita.
“Ho fatto un cazzo di sbaglio dopo l’altro, per tutta la vita. E questo
sicuramente è l’ennesimo. Ma per favore, non dirmelo adesso. Perché questo
sbaglio mi è piaciuto un casino”. Forzò un sorriso, che non gli doveva essere
riuscito tanto bene, ma tanto lei non lo vide.
“Perché cazzo l’hai fatto, Gojyo?”
La sua voce tagliente lo ferì come un colpo in testa.
Se non lo volevi potevi semplicemente tirarti indietro. Perché hai
ricambiato, allora?
Si sentiva irritato, e quel che lo irritava ancora di più era non sapere perché.
“Perché avrei dovuto farlo, secondo te?”. Il suo tono si adattò a quello
della ragazza.
“Dimmelo tu. Eri in astinenza da labbra femminili? Come hai potuto fare una
cosa del genere proprio a me?”
Gojyo provò la forte tentazione di urlare. Adesso si sentiva anche un po’
umiliato, la qual cosa innalzò la sua irritazione di un buon centinaio di
gradi. Sì, il punto era proprio quello. Come poteva pensare che avrebbe fatto
una cosa del genere proprio a lei? Allungare sessualmente le mani su di
lei, l’unica ragazza tra i suoi amici?
Piantala, Gojyo, ormai è chiaro che nei suoi confronti il tuo affetto non è
più esattamente solo fraterno. Quando ti ha appoggiato la mano sulla spalla, il
tuo basso ventre si è decisamente risvegliato.
Questo non giustificava la sua insinuazione. Lei era…lei era Shinobu,
diamine!
Ebbe un’improvvisa voglia di fumare. Potente, irresistibile. Vide un angolo
bianco del pacchetto di Hi-Lite sbucare discretamente da sotto il divano,
proprio accanto al suo piede sinistro, e si chinò per afferrarlo. Le costole
gli dolsero a quel movimento, ma le ignorò bellamente. Aprì il pacchetto e lo
avvicinò alle labbra, traendone una sigaretta. Ecco fatto. Almeno adesso aveva
le labbra occupate, e si sarebbe risparmiato altre tentazioni simili a quella
di poc’anzi. Non che ce ne sarebbero state altre, s’intende. L’accendino era
nel pacchetto, che scosse fino a farlo cadere. Si accese la sigaretta.
“Sono lieto di constatare l’opinione che hai di me. Non sono uno stinco di
santo, lo sai, ma non pensavo che proprio tu avresti mai pensato che potessi
usarti per soddisfare le mie voglie sessuali. Me ne farò una ragione, e saprò
come regolarmi per il futuro”. Si alzò dal divano, decisamente vicino al boiling
point. “Esco. Non credo che tu abbia voglia di dormire da sola con un
simile maiale, né di farti accompagnare a casa. Dormi pure nel mio letto, e
chiudi bene domani, quando esci.”
“E perché l’hai fatto, allora?”. La voce di lei risuonò lamentosa, e solo allora Gojyo si accorse che lei evitava accuratamente di mostrargli il volto perché non voleva che la vedesse piangere. “Vorresti farmi credere che ti interesso?”
Gojyo ebbe voglia di tirarsi una manata sulla fronte, ma
non lo fece. Nessuno, probabilmente, l’aveva mai messo in difficoltà fino a un
punto simile. “Sei sempre stata ricettiva, Shinobu. Non capisco perché tu debba
essere così ottusa proprio in un momento simile. In quest’ultimo
periodo…insomma…"
Cristo...interrompimi. Tirami un oggetto in testa. Qualunque cosa: sto
diventando uno spettacolo vergognoso.
Gojyo si sentì come un soldato, l'unico rimasto sul campo di guerra, che,
dopo essere uscito allo scoperto, si accorge che non può più nascondersi da
nessuna parte. Aspettava la fucilata da un momento all’altro. O di mettere il
piede su una mina.
“Porca troia, Gojyo, possibile che tu non capisca niente? Se mi sono
incazzata così tanto, è perché anch’io lo volevo. Sono due settimane che a
stento riesco a guardarti in faccia, poi ci sono quei sogni del cazzo, e adesso
tu che mi baci all’improvviso. Cosa devo pensare?". Lo disse tutto
d’un fiato, frastornandolo, e gridando. E lo fece guardandolo dritto negli
occhi.
Gojyo si lasciò ricadere sul divano. Gettò la sigaretta nella lattina di birra,
nonostante avesse preso solo un paio di tiri. Non ce la faceva. Doveva ridere.
Rise, sollevato, compiaciuto, imbarazzato. Quella…cretina si era
incazzata perché temeva che lui l’avesse presa in giro. Non aveva capito
granché di quell’accenno ai sogni, ma non importava. Rise, e poi si allungò
verso di lei. Prima che avesse il tempo di protestare, la baciò un’altra volta,
sperando che il suo gesto risultasse più eloquente di qualsiasi altra cosa
avesse potuto dire.
"Penso che, tra tutti e due, sia meglio tacere, Shinobu", le disse
poi, il viso vicino al suo. "Abbiamo rovinato il primo, non roviniamo
anche gli altri"
Shinobu tirò su col naso, sollevando il braccio sano per asciugarsi le lacrime.
Con suo piacere, lei sorrise.
"Hai ragione. E’ meglio tacere".
Gli carezzò il mento, sporgendosi per baciarlo ancora. Gojyo sorrise sotto le sue labbra, prendendola tra le braccia. Le costole protestarono ancora, ma non ci badò.
Se ci sarà da pentirsene, spero di accorgermene il più
tardi possibile.
Continua…
[leggermente
riveduta e corretta in data 19/07/09]