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Autore: Lady Anderson    14/06/2009    3 recensioni
“Lasciami andare, Jacob, o ti salto alla gola.” -Renesmee Cullen-
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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Buona seraaaaaaaaaaaaaaa!!!!! Finalmente ho finito il capitolo...Mi dispiace un casino di avervi fatto aspettare, dannata università!!

Spero che comunque l'attesa sia valsa a qualcosa...

Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno letto, recensito e tutto il resto...

Fatemi sapere cosa pensate di questo ammasso di parole!

Un bacione...

Lady Anderson

 

 

Cap. 6 – TI RIVOGLIO CON ME

 

 

Quella sera stavo proprio raggiungendo il limite della sopportazione. Erano due settimane che non vedevo Nathe, dato che non ero più andata a scuola da quando lo avevo lasciato, e mi sembrava di essere pazza. Mio padre e mia madre mi avevano impedito di tornare da lui, di implorarlo a perdonarmi, perché non volevano che mi esponessi ancora. Ma quella sera…Non ce la facevo proprio. Dovevo vederlo. Ero affacciata alla finestra della mia camera, con lo sguardo perso a fissare le gocce d’acqua che battevano insistentemente sul vetro. Oltre al dolore che mi provocava pensare a Nathe, avevo anche litigato con la mamma. Non voleva assolutamente lasciarmi uscire, perché sapeva quale sarebbe stata la mia destinazione. Sbuffai nervosa, creando un alone sulla finestra. Mi buttai pesantemente sul letto e chiusi gli occhi, nella speranza, vana, di addormentarmi. Ma come ormai mi succedeva spesso, il viso di Nathe mi apparve in testa; aveva la solita espressione, l’ultima che gli avevo visto fare. Il suo bellissimo volto era segnato dalla paura…Paura di me. Mi passai una mano sulla faccia, strofinandomi gli occhi che avevano di nuovo iniziato a pungere. Tutto ad un tratto mi alzai e mi diressi di nuovo verso la finestra, spalancandola con un colpo secco. Adesso potevo sentire le gocce di pioggia sul viso, come se fossero piccole perle di ghiaccio a contatto con la mia pelle calda. Inspirai profondamente, salii sul davanzale e saltai giù con un piccolo balzo. Mi guardai intorno, sperando di non aver attirato l’attenzione dei miei familiari vampiri. “Stai cercando qualcuno?”. Accidenti. Accidenti. Accidenti. Maledetti sensi iper-sviluppati. “Ciao mamma…Volevo prendere una boccata d’aria.”. Lei mi squadrò da capo a piedi, tenendo le braccia incrociate sul petto, la sua espressione resa ancora più scettica dalle sopracciglia aggrottate. “Fila in camera tua. E passa dalla porta, per favore.”, disse severa, rimanendo immobile come una statua. La guardai di sbieco, prima di tornare silenziosamente in casa. La mamma mi seguì silenziosa, e appena entrai in camera mia iniziò di nuovo con la solita menata. “Io non so più cosa fare con te, Renesmee. Mi stai facendo esasperare.” “Lo voglio vedere, mamma. Non ce la faccio più.” “Adesso lui sa. Vuoi metterci in pericolo tutti quanti?” “Mamma, non direbbe mai una parola… Almeno credo…Lui…” “No, Nessie. È troppo rischioso. Lo sai che i Volturi non tollerano che gli umani conoscano il nostro segreto.” “Ha paura di me. Pensi che sia andato a raccontarlo in giro a tutti? Ma dai, non dire cavolate!” “Sarà meglio per te che non ne faccia parola con nessuno.” “Mamma, basta. Sono due settimane che non lo sento. Mi sembra abbastanza chiara la cosa…”. Distolsi lo sguardo, cercando di non farmi prendere dalla rabbia. La mamma sospirò pesantemente, prima di parlare di nuovo. “Lo so che stai male e ti capisco. Ma per adesso è meglio così. Vado in salotto…Ti tengo d’occhio, non provare a scappare di nuovo.”. Borbottai una risposta, prima di mettermi le cuffie dell’Ipod alle orecchie. Alzai il volume al massimo, cercando di non pensare alla fonte dei miei tormenti. Rimasi a fissare il soffitto con la musica che mi rimbombava frenetica in testa per qualche minuto, prima di prendere il cellulare in mano. Guardai per qualche secondo il display, aspettando una sua chiamata, un messaggio…Un qualsiasi segnale di vita. Andai nella rubrica e scorsi i vari numeri prima di arrivare al suo. Stavo quasi per schiacciare il tasto di avvio chiamata quando la voce di mio padre mi raggiunse dall’altra stanza: “Nessie…”. E che palle! Mi uscì un ringhio involontario dalle labbra, così lasciai cadere il cellulare sul letto, abbastanza scocciata. Mi sembrava di essere in un carcere. Passarono altri cinque minuti, prima che riprendessi il cellulare; composi velocemente un numero e avviai la chiamata. Dopo tre squilli, la voce sorpresa di Amy mi rispose: “Pronto! Nessie, come stai? Anche oggi non sei venuta a scuola…” “Ciao Amy. Lo so, è un sacco di tempo che manco…Ma non ce la faccio proprio. Come sta?”. La mia migliore amica sospirò pesantemente, prima di rispondere alla mia domanda: “Uno schifo. Non parla più con nessuno…Sembra che sia tornato ad essere il Nathe di qualche mese fa. Però l’altro giorno…”, disse, lasciando il discorso a metà. In quell’istante mi sentii morire…Da una parte volevo che continuasse, ma dall’altra avevo paura di quello che mi avrebbe detto. Tuttavia mi feci coraggio ed incitai Amy a continuare: “L’altro giorno cosa?” “È venuto da me…E mi ha chiesto come stavi.”. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Il cuore iniziò a martellarmi nel petto, come se volesse uscire fuori da un momento all’altro. “E tu che gli hai detto?” “Che gli dovevo dire, Nessie? Che eri partita per fare una vacanza ai Tropici?” “Amy…”, la rimproverai, senza riuscire a calmare i miei battiti frenetici. “Gli ho detto che non stavi molto bene. Ha fatto una faccia strana, come se ci fosse qualcosa che non tornava. Comunque poi mi ha fatto una sottospecie di smorfia e se n’è andato.”. Già…Come poteva una mezza-vampira stare male? Come poteva un ibrido come me provare dei sentimenti? Il mio cuore, prima impazzito dalla gioia, adesso batteva più calmo, anche se ogni pulsazione spingeva dentro di me un’ondata di dolore. “Ho capito…Hai detto che se n’è andato vero?” “Nessie…Lo devi vedere. È a pezzi…Ogni mattina quando entra in classe guarda il tuo banco…Credo che stia male almeno quanto te, sai?”. Ecco un’altra coltellata lacerarmi il petto…Ed oltre a questo, anche il senso di colpa. Bene. “Amy, ho deciso. Domani torno a scuola…Gli devo parlare…Chiedergli scusa, almeno. Tu lo sai che questa cosa mi sta uccidendo.” “Lo so, Nessie. Io te l’avevo detto che avresti fatto una grandissima cavolata a lasciarlo…” “Ho dovuto farlo, Amy…Anche se è stata la decisione più cretina che abbia mai preso. Domani cercherò di sistemare un po’ le cose…Ci vediamo allora. Grazie di tutto…” “E di che, scema…Ti aspetto all’entrata. Ti voglio bene, Nessie.”, mi disse, prima di riattaccare. Rimasi ad ascoltare i piccoli rumori che provenivano dal piano di sotto per un po’, cercando di non pensare a quello che avrei fatto il giorno dopo. Decisi di scendere in cucina per mettere sotto i denti qualcosa, giusto per fare qualcosa di diverso dallo stare barricata in camera a sentire la musica, come ormai facevo da due settimane. Mi tagliai una bella fetta di pane e la cosparsi interamente di Nutella, tanto per andare sul leggero. Appena chiusi lo sportello della dispensa mi trovai faccia a faccia con mia madre, che come al solito mi stava squadrando severa: “Dov’è che vai domani?” “Mamma, per favore. Non iniziare di nuovo.”, le dissi gelida, prima di addentare la mia fetta di pane e voltarle le spalle. Odiavo litigare con lei, ma stava davvero diventando troppo pesante. “Non mi dare le spalle mentre ti parlo, Renesmee Cullen. Tu domani non ti muovi da casa. Chiaro?”. Mi girai di nuovo a guardarla, incredula. La situazione stava degenerando. Un’altra volta. Da quando avevo lasciato Nathe, discutere con mia madre era diventata un’abitudine ormai. “Rientro a scuola. Forse non hai afferrato bene il concetto…Non me lo impedirai di certo!”, le risposi a tono, prima di prendere un bicchiere dalla credenza, fingendo noncuranza. “Mi hai stancato, ragazzina. Non pensare di passarla liscia. Ho detto che domani stai a casa.”. Senza rendermene conto strinsi la presa sul mal capitato bicchiere, che si frantumò in mille pezzi. Dopo una frazione di secondo mio padre arrivò in cucina, mettendosi tra me e mia madre. Continuavo a fissarla in cagnesco, mentre lei faceva lo stesso con me. “Bella, amore…Basta dai, non è il caso di continuare.” “Edward lasciami stare! Possibile che qui debba farmi sentire solo io? Tu non le dici mai niente!” “Cosa mi dovrebbe dire? Sentiamo! Ti devo ricordare che tu non eri tanto diversa da me? Ah, no, mi sbaglio! Tu non hai mai messo in pericolo la famiglia vero?”, scoppiai tutto ad un tratto, incapace di trattenermi oltre. “Renesmee piantala. Non voglio più sentire una parola a riguardo, capito? Bella andiamo fuori. Hai bisogno di calmarti.”, intervenne mio padre, portando via di peso la mamma che ancora mi guardava furente. Anche zia Alice e zio Jasper li seguirono, mentre la nonna e zia Rosalie vennero in cucina. “Nessie, piccola, ti sei fatta male?” “No, nonna. Mi dispiace per il bicchiere.”, le dissi, mentre iniziavo a raccogliere i cocci con le mani. “Tranquilla, ci penso io qui. Vai con Rosalie, vai a prendere un po’ d’aria.”. Silenziosa, feci come mi aveva detto la nonna. Appena aprii la porta l’aria gelida di quella sera mi rinfrescò, calmandomi appena. Mi buttai pesantemente su una delle sedie sotto il portico, prendendomi la testa fra le mani. Dopo qualche minuto, la zia parlò: “Non ti preoccupare tesoro. Ti copro io domani. Dai, vieni qui…”, mi disse, abbracciandomi dolcemente. Le sorrisi, ringraziandola. Meno male che avevo lei dalla mia parte.

La mattina dopo mi svegliai presto. Avevo pregato mio padre di farmi rimanere a dormire a casa dei nonni, supportata dalla zia Rose. Anche se lui non voleva che andassi a scuola non aveva resistito alle mie suppliche mentali, accompagnate dagli occhi velati di lacrime. Mi dispiaceva un sacco usare il senso di colpa con lui, però era l’unica cosa a cui non poteva rimanere indifferente. Dopo essermi vestita e data una rinfrescata in bagno preparai lo zaino, mentre l’odore del caffè appena fatto iniziò a riempire la casa. Ad un certo punto mi bloccai. Come cavolo ci andavo a scuola? Non avevo nessuna voglia di farmi accompagnare…E di correre non se ne parlava proprio. Feci mente locale per due secondi, prima di ricordarmi una cosa. Iniziai a frugare in tutti i cassetti della mia scrivania, fino a che non le trovai. “Eccole!”, dissi soddisfatta guardando quelle due chiavi brillare nella mia mano. Me le infilai in tasca e scesi a fare colazione. Dopo aver finito iniziai a sistemare le mie cose; indossai il giubbotto e mi avviai alla porta per uscire. “Nessie, vuoi che ti accompagni io?” “No, zia, vado da sola…Ci vediamo oggi a pranzo!”. Le detti un sonoro bacio sulla guancia fredda e uscii fuori. Mi diressi a passo svelto verso il garage, precisamente in fondo. Poggiai una mano su un grosso telo nero, togliendolo dopo qualche secondo con un unico movimento. Una macchina grigio metallizzata, nuova, senza neanche un granello di polvere sopra apparve davanti ai miei occhi. Era arrivata qualche mese prima dall’Italia…Il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Era la MIA macchina. E ancora non l’avevo guidata. Presi le chiavi dalla tasca dei jeans e fissai il portachiavi; era ancora quello della concessionaria. “FIAT BRAVO”, c’era scritto... Lo avrei cambiato al più presto. Premetti il pulsantino del telecomando che serviva ad aprirla e salii al posto di guida. Fui subito travolta dall’odore di nuovo, una cosa che mi piaceva tantissimo. Quando vidi la pubblicità su un canale satellitare italiano non potei fare a meno di notare che era davvero una bella macchina, anche se le sue prestazioni erano…Come dire… “Limitate”. “Ma dai, Nessie…Come fa a piacerti una macchina che arriva a malapena a 215 km all’ora? Io se fossi in te mi farei regalare una bella Maserati, o una Ferrari…” “Meglio che sia una macchina che non vada tanto forte, Emmett. Non si sa mai cosa può succedere!” “Non dire scemenze, Bella! Lo sai che non può succederle niente!”. Sorrisi al ricordo di quel piccolo battibecco prima di mettere in moto. Diedi una piccola spinta all’acceleratore e il motore ruggì. Ancora con il sorriso sulle labbra feci manovra e uscii dal garage, fiondandomi a tutta velocità verso la scuola. Arrivai una decina di minuti prima che suonasse la campanella; mi ero fermata a  fare un bel pieno di benzina, visto che ero quasi a secco. Parcheggiai abbastanza vicino all’entrata, visto che stava piovendo ancora. Prima di scendere mi guardai intorno, cercando la sua 147. Non c’era...Forse doveva ancora arrivare. Sospirai, scendendo velocemente dalla macchina. Corsi a velocità umana verso l’entrata, dove Amy mi aspettava sorridente. “Buongiorno socia! Credevo che avessi cambiato idea…”, mi disse abbracciandomi. “Ehi, guarda che io le promesse le mantengo!” “Vieni, andiamo in classe che qui rischiamo di farci il bagno!”. Mi asciugai alcune gocce d’acqua dal viso e la seguii, dopo aver dato un’altra occhiata al parcheggio. Tornare a scuola mi fece un effetto strano. Era come se le due settimane passate a casa fossero state solo un sogno, ma appena passai davanti al corridoio che portava in palestra i ricordi iniziarono a martellarmi la testa. Cercai in tutti i modi di non pensare a quel giorno, ma ormai la mente era partita…Amy si accorse del mio cambiamento d’umore, e sembrò capire qual’era la fonte del problema. “Ehi…Stai tranquilla, vedrai che si risolverà tutto. Pazienta ancora un po’…”. Le sorrisi triste, sedendomi al mio banco. Compilai distrattamente la giustificazione per l’assenza e la portai al professore, che nel frattempo era entrato in classe. “Signorina Cullen, che piacere riaverla a lezione! Spero che la sua assenza non sia stata dovuta a problemi di salute…” “La ringrazio professore. Sono stata a casa per…Motivi personali.”, gli risposi, tornando in fretta a posto. Qualche minuto dopo l’inizio della lezione qualcuno bussò alla porta. I miei sensi si accorsero di chi si trattava ancora prima che la porta si aprisse. Diventai rigida come una statua, mentre dentro di me sentivo agitarsi tutto. “Mi scusi professore, c’era un albero in mezzo alla strada e...” “Non si preoccupi, signor Whellens.”. Il suono della sua voce mi fece tremare; Amy si accorse di quello che mi stava succedendo e mi poggiò una mano sul braccio, silenziosa. Raccogliendo tutto il coraggio che avevo alzai lo sguardo verso la porta, dove Nathe mi fissava con gli occhi sgranati. Cercai di sorridergli, prima di tornare a dedicare la mia attenzione ai quadretti del foglio che avevo davanti. Dopo qualche secondo lo sentii muoversi, e mano a mano che si avvicinava al suo banco il suo odore fresco mi inebriava sempre di più. Dio, quanto mi era mancato...Mi accorsi che mi stava ancora guardando, ma appena alzai la testa per cercare i suoi occhi lui si girò, dandomi le spalle. “Nessie...Tutto a posto?”. Non risposi, limitandomi ad alzare le spalle. Amy mi accarezzò la guancia, cercando di consolarmi. Forse avevo sbagliato a tornare a scuola...Ma non potevo fuggire da quella situazione per sempre. Le prime tre ore di lezione passarono lentamente. Era come se il tempo avesse deciso di prendersi gioco di me. La mia migliore amica ogni tanto mi dava qualche scossone, dicendomi che aveva visto Nathe guardarmi per qualche secondo, ma sotto la mia espressione neutra decise di dedicarsi ai suoi appunti. Cinque minuti prima dell’intervallo si rivolse di nuovo a me, con uno sguardo piuttosto risoluto: “Ascoltami bene, Cullen. Tu adesso vai da lui e gli parli, chiaro?” “Sempre che mi voglia parlare...” “Ehi, non fare la pappamolle. Non voglio sentire scuse.”, disse senza lasciarmi replicare. Sospirai e annuii in silenzio, rassegnata. Quando la campanella suonò mi sentii sprofondare. Amy mi fece l’occhiolino ed uscì tranquilla al fianco di Jordan. Aspettai ancora un po’ prima di uscire, notando che Nathe era ancora seduto al suo posto. Dopo qualche minuto rimanemmo solo io e lui in classe. I battiti accelerarono, mentre l’agitazione ormai si era impadronita completamente di me. Decisi di alzarmi ed andare alla finestra. Lo sguardo di Nathe mi seguì, accompagnato da un lungo sospiro. Rimasi in silenzio appoggiata al davanzale, cercando di captare qualsiasi sua sensazione: sentivo che era agitato almeno quanto me, ma in fondo a tutto questo riuscii a cogliere una vena di paura. Ancora una volta lo squarcio nel mio petto iniziò a farmi male. “Tranquillo, Nathe. Non ho nessuna intenzione di mangiarti come merenda.”, dissi con la voce che tremava. Lui trattenne il respiro per qualche secondo, muovendosi appena sulla sedia. “Stai bene, vedo.”. Il suo tono era incerto, esitante. “Non esattamente. Ma tu cosa ne vuoi sapere...Di solito i mostri non provano niente. Né dolore, né felicità...”. Trattenne di nuovo il respiro. Io invece trattenevo a stento le lacrime, che spingevano con forza contro i miei occhi chiusi. Il rumore di una sedia spostata mi costrinse ad aprirli, ma restai immobile dov’ero. Nathe fece qualche passo incerto verso di me, fermandosi dopo poco. “Nessie io...Non ho mai pensato che...” “Non dire cazzate.”, risposi acida, voltandomi finalmente a guardarlo. Era in piedi davanti a me, a quasi un metro e mezzo di distanza. Fissai il mio sguardo nel suo, cercando di non cedere alla voglia di gettarmi tra le sue braccia. “NON TI VUOLE”, mi ripetevo. Lui rimase in silenzio per qualche minuto, prima di parlare di nuovo: “Tu avresti reagito allo stesso modo.”, disse quasi accusandomi. Rimasi in silenzio per un attimo, pensando che forse avrei fatto davvero come lui. Però una cosa era certa: di sicuro avrei messo in primo piano i sentimenti, e non la sua natura. “A me non sarebbe importato.”, dissi, prima di voltarmi di nuovo verso la finestra. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, tutto ad un tratto diventato scettico. “Tu hai paura di me, Nathe. Lo sento.”. Ancora una volta non disse niente, quindi fui io a continuare: “Non hai idea di come stia. Sono due settimane che vivo come se fossi all’inferno.” “Cosa credi, che io sia contento di tutta questa storia? Se solo tu non mi avessi detto niente...” “Ho dovuto farlo, Nathe! Dovevi saperlo! Io mi fidavo di te...Pensavo che avresti capito...”. Scoppiai a singhiozzare, incapace di trattenermi oltre. “Renesmee, ho provato a mettere davanti a tutto i miei sentimenti, ma non ci riesco...Mi dispiace...” “Io ti amo, Nathe...Mi ucciderei prima di farti del male, ma questo non lo vuoi capire...”. Nei suoi occhi passò un velo di tristezza. Aprì la bocca per ribattere, ma si bloccò quando la campanella annunciò la fine della ricreazione. “Mi dispiace...”, mi ripeté infine in un sussurro, prima di tornare al suo posto. Dopo un po’ tutti i miei compagni di classe rientrarono, accomodandosi ai loro banchi. Amy si precipitò a sedere appena vide i miei occhi arrossati dalle lacrime, abbracciandomi. Come al solito aveva capito tutto senza che le dicessi niente. Le tre ore successive le passai a fissare il vuoto davanti a me, annuendo ogni tanto alle parole di Amy, che cercava disperatamente di consolarmi. All’uscita da scuola cercò di convincermi in tutti i modi di accompagnarmi a casa, ma riuscii a garantirle che sarei riuscita a guidare lo stesso. Prima di salire in macchina vidi Nathe uscire dal parcheggio, e di nuovo le lacrime decisero di farmi compagnia. Tornai a casa a tutta velocità, l’acceleratore schiacciato fino in fondo per tutta la durata del viaggio. Parcheggiai distrattamente ed entrai in casa. Un odore familiare, che non sentivo da tempo mi fece sussultare. Mi avvicinai incerta verso il soggiorno, e appena riuscii ad inquadrare tutto rimasi immobile per qualche secondo. Lo zaino finì sul pavimento insieme alle chiavi della macchina subito dopo che un ragazzo alto, muscoloso, dalla pelle bronzea e i capelli nerissimi si alzò in piedi, rimanendo fermo a guardarmi. “Ciao Nessie.”. Senza pensarci due volte mi precipitai verso di lui e lo abbracciai forte, consapevole per la prima volta da quando se ne era andato che mi era mancato davvero. “Jacob...”. Il mio fratello licantropo era tornato. “Jake mi dispiace...Io non ti odio, ero arrabbiata e...” “Ssshhh...Non pensiamoci più. Sono tornato adesso...”. Sciolsi l’abbraccio e lo guardai in faccia, asciugandomi le lacrime con la maglietta. Era sempre lo stesso. Gli sorrisi debolmente e mi sedetti sul divano. Jacob si sedette sulla poltrona di fronte a me, un ampio sorriso sul volto. “Non ti sei fatto sentire per niente.”, gli dissi, guardando il pavimento. “Oh...Non vi è arrivata una mia lettera, un mese fa?”. Scossi la testa per un attimo, prima di ricordarmi che un pomeriggio i miei stavano leggendo qualcosa, e mia madre non mi aveva detto niente. Sospirai e tornai a guardare Jacob. “Dove sei stato?” “Un po’ di qua, un po’ di là...Mi sono girato il Sud America. Ci sono dei posti davvero fantastici, sai?”. Rimasi a fissarlo sbalordita, incapace di parlare. “E dai, Nessie...Non fare quella faccia! Alla fine mi sono anche divertito...Tu invece?” “Io...All’inizio stavo bene. Ma poi tutto ha cominciato ad andare storto...Sto passando un periodo d’inferno.”. Il suo sguardo si fece serio e preoccupato. “È successo qualcosa con Whellens, vero?”. Appena pronunciò quelle parole sussultai. “Lo sapevo, lo sapevo! Maledetto moccioso...” “Jake, basta.”. Nonostante tutto non riuscivo a tollerare accuse o offese nei confronti di Nathe. “Ok, ok...Ti chiedo scusa, non volevo...” “Fa niente.”, risposi atona, facendo spallucce. Lui represse un tremito, facendo un profondo respiro per calmarsi. Nei suoi occhi potevo leggere la curiosità crescente che stava provando, quindi decisi di fargli vedere tutto, a partire dal giorno in cui se ne era andato. Ogni volta che riviveva un mio contatto con Nathe serrava i pugni e digrignava i denti...Era ancora gelosissimo. Appena arrivai al momento più brutto della mia vita, la sete ustionante che avevo provato a Vancouver, ritrasse violentemente il braccio, interrompendo il contatto. “Nessie...Com’è possibile? Lo hai...Attaccato?” “Mi sono trattenuta. Non chiedermi come ci sia riuscita. Vuoi vedere il resto o  no?”. Jacob annuì e mi prese la mano, invitandomi a continuare. I miei pensieri ripresero il loro corso, correndo veloci come una furia. Rivedermi distrutta in quel maledetto spogliatoio mi mozzò il respiro...Jake se ne accorse, e per rassicurarmi mi strinse ancora di più la mano. Dopo qualche minuto il flusso si interruppe, perché i ricordi erano finiti. Jacob mi guardò con aria preoccupata, scrutando la mia espressione assente. “Quindi...Tu...Lo ami ancora, vero?”. Colsi una vena di dolore nelle sue parole, e questo mi fece male. Allora era vero che l’effetto dell’imprinting era eterno...Imbarazzata, mi limitai ad annuire, sussurrando un “sì” che solo lui avrebbe potuto sentire. “Ho capito. Bene, allora...Io vado. Scusa il disturbo. Ci vediamo.”, disse lui alzandosi di scatto. “No, Jake. Aspetta. Ti devo dire una cosa.”. La figura imponente del licantropo si fermò sulla porta. “Io...Scusami Jake, davvero...Però...” “Ho fretta, Renesmee.” “Tu per me sei importante. Ti considero come se fossi il mio fratello maggiore...Mi hai insegnato tanto, e non voglio assolutamente che te ne vada di nuovo. Anche se forse ti è sembrato il contrario, all’inizio di tutta questa storia...Io ho bisogno di te.”. Lui si voltò, un mezzo sorriso sulle labbra a illuminare la sua espressione triste. “È forse la risposta alla domanda che ti ho fatto un po’ di tempo fa?”. Gli sorrisi timida, distogliendo lo sguardo dai suoi profondi occhi neri. “Sei parte di me, Jake...Anche se non come vorresti tu. E mi dispiace un sacco farti soffrire...Non voglio che tu stia male per colpa mia.”. Jacob fece un grande passo e mi abbracciò. “Grazie Nessie. Mi hai reso la persona più felice del mondo...” “Non sei arrabbiato con me?”, gli domandai sorpresa. Il suono della sua risata fragorosa si sparse per tutta la casa. “Ma no, scema...Come potrei essere arrabbiato con la mia sorellina?”. Quelle parole mi fecero sentire più leggera...Finalmente una delle spine che avevo nel cuore si era staccata. “Ci vediamo Nessie, i tuoi mi hanno detto che sarebbero tornati presto...Ed io devo ancora passare a salutare tuo nonno Charlie e scendere giù a LaPush. Billy ancora non sa che sono tornato...Voglio fargli una sorpresa!”. Già, i miei...Chissà dove se ne erano andati tutti. Comunque mi aspettava una bella ramanzina, me lo sentivo. “Ho capito...Torni presto? Stasera posso dire al nonno di preparare una bella cena...Ci stai?” “Mmmhhh...Alle otto sarò qui! A stasera, Nessie!”, disse Jacob allegro, prima di darmi un sonoro bacio sulla guancia e andarsene via fischiettando.

Quando i miei tornarono, la prima cosa che feci fu affrontare mia madre. Per fortuna sembrò essere più ragionevole di quanto lo fosse stata nell’ultimo periodo. Forse il ritorno di Jacob aveva contribuito ad addolcirla...Infatti si limitò solamente a guardarmi severa per tutta la sera. La zia Rosalie invece mi chiese il resoconto completo del mio ritorno a scuola. Dopo che le ebbi raccontato tutto mi abbracciò, rassicurandomi che presto si sarebbe sistemato tutto. “Ah, Nessie, come va la tua macchina?” “Mah...È un’auto tranquilla...Perchè me lo chiedi?” “Così, per sapere...Spero che non ti dispiaccia il fatto che abbia ordinato un nuovo motore e dei nuovi componenti...Tuo zio Emmett mi ha fatto una testa grande quanto una casa!”. La zia scoppiò in una risata cristallina, simile al suono delle campane in festa. Anche io la imitai, pensando allo zio che insisteva perché mi comprassi una macchina più potente. “Domani dovrebbe arrivare tutto...Diventerà un vero bolide, parola mia!”, disse lei sorridente, prima di darmi un bacio e sparire nel garage. Le era sempre piaciuto armeggiare con le macchine... Comunque, anche la sera passò tranquilla; appena dissi al nonno che Jacob sarebbe venuto a cena si era messo subito ai fornelli, preparando un sacco di cose buonissime. Dopo io e lui andammo alla spiaggia di LaPush. Passammo tutta la notte a parlare e a rincorrerci, come facevamo sempre. Quei momenti mi fecero dimenticare per una sera tutti i miei problemi, e per una volta mi sentii di nuovo una bambina.

La mattina successiva, Jacob si presentò a casa mia di buon ora. Arrivò giusto in tempo per la colazione. “Buon giorno a tutti! Sbaglio o sento odore di caffè appena fatto e torta al cioccolato?” “Ciao Jake…Accomodati, Nessie sta per scendere.”, disse cortese mio padre, prima di iniziare a girare distrattamente i canali della televisione. Mentre il licantropo si stava letteralmente ingozzando di torta io ero in camera mia con mia madre e la zia Rosalie. Iniziava già di prima mattina a torturarmi… “Renesmee, spero almeno questa volta di essere stata chiara. Ho già visto che non mi vuoi dare ascolto, però almeno abbi l’accortezza di non farti trattare come uno straccio da quel ragazzo.” “Mamma…Non mi ha trattato come uno straccio. E poi mettitelo bene in testa, non ho nessuna intenzione di lasciar perdere la cosa, non adesso che ho trovato la forza di chiarire tutto. Lo rivoglio con me, punto e basta.”. Mia madre scosse la testa e sospirò, cercando di passare sopra la mia testardaggine. Ma in fin dei conti non poteva farcela contro la parte di sé stessa che viveva dentro di me: anche lei era sempre stata ostinata fino all’inverosimile. Zia Rosalie ad un certo punto intervenne: “Bella, sono sicura che Nessie riuscirà a mettere tutto a posto. Adesso è grande abbastanza da poter pensare da sola a questo aspetto della sua vita…” “Ecco, Rose, adesso ti ci metti anche tu. Me lo dovevo aspettare…Voi due siete coalizzate dal primo momento che vi siete viste. Comunque basta, vi aspetto di sotto, tanto è inutile combattere contro di voi...”, disse, prima di volatilizzarsi per le scale. Qualche minuto dopo scendemmo anche io e la zia; appena mi vide, Jacob schizzò vicino agli ultimi gradini ancora con un pezzo di torta in mano. “Buon giorno sorellina! Pronta per la scuola? Andiamo in moto oggi, visto che non piove…Come ai vecchi tempi!” “Certo che sono pronta! Ehi, mi auguro che mi abbia lasciato un po’ di torta, Jacob Black…”. Lui scoppiò a ridere e mi accompagnò a tavola. Dopo un’abbondante colazione andai a lavarmi i denti, mi preparai e finalmente uscii di casa al fianco di Jacob. Il rombo potente della sua moto echeggiò per il bosco, prima che partissimo a tutta velocità. Mi era mancato un sacco andare a scuola in moto! Appena arrivammo nel parcheggio, una marea di occhi si puntarono su di noi. Jacob mi disse che sarebbe passato lui a prendermi, e dopo avermi dato un bacio sulla fronte partì di nuovo a tutto gas con la moto. “Ehi, ehi, Nessie! Esigo subito delle spiegazioni!” “Oh, buon giorno anche a te, Amy..Come stai?” “Non cambiare discorso, Cullen…”. Amy mi guardò con occhi indagatori, come faceva sempre quando era a caccia di notizie. Io la guardai per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere di gusto. Anche lei mi imitò, prendendomi per un braccio, così ci avviammo all’entrata della scuola. Avevo appena iniziato a raccontarle tutti i dettagli del ritorno di Jacob quando arrivammo agli armadietti. La scena che mi si parò davanti mi fece gelare il sangue nelle vene. Amy seguì il mio sguardo e subito dopo cercò di tirarmi via dal corridoio, senza riuscirci. Ero immobile, piantata in terra, con gli occhi fissi su due persone. “Renesmee andiamo in classe…Dai…Dannato Whellens  questa me la paga…”, mi supplicò Amy, lanciando imprecazioni sibilanti a mezzo mondo. Ma io non riuscivo a muovermi nemmeno di mezzo centimetro. Ero troppo sconvolta. Nathe stava parlando con una ragazza del terzo anno, una certa Melanie. Godeva di una certa fama, e non perché era una studentessa modello o altro. Era stata con mezza scuola, tutte avventure di un giorno. E adesso stava parlando con il MIO Nathe. Anzi, non proprio parlando. Stava facendo la gatta morta. Si, decisamente meglio come descrizione della scena. E lui…Sembrava starci. Ma che intenzioni aveva? Dopo qualche minuto Nathe si accorse che li stavo fissando inorridita, così sorrise a quella sciacquetta e fece per andarsene, non prima di rivolgermi un’occhiata soddisfatta. Io mi riscossi tutto ad un tratto, strattonando il braccio dalla presa di Amy. Mi diressi come una furia verso Nathe, e quando lo raggiunsi lo costrinsi a voltarsi verso di me. “Cosa diavolo stavi facendo?”, gli chiesi io gelida. Lui rispose altrettanto freddamente: “Niente che ti riguardi, Cullen.” “Come, scusa?” “Hai capito benissimo. Non sono affari tuoi.” “Tu sei impazzito, Nathan. Voglio sapere cosa ti stava dicendo quella…”. Mi morsi la lingua per non proseguire oltre. Nathe mi fissò, un ghigno di disprezzo a incurvargli la bocca. “E va bene Cullen. Mi stavo procurando un’altra ragazza.”. Non penso che la mia espressione si potesse commentare. Potevo sentire le infamie di Amy dietro di me mentre meditava vendetta, ma non ci badai affatto. Le parole di Nathe mi stavano ancora rimbombando in testa. “Un’altra ragazza?”, sussurrai io incredula. “Esatto. Ma perché ti stupisci, Cullen…In fondo anche tu hai fatto lo stesso, no?”. Lo fissai sbalordita, incapace di parlare. “È inutile che fai finta di niente. Ti ho visto poco fa nel parcheggio, con il motociclista palestrato. A questi punti, ieri avresti potuto risparmiare il fiato, invece di dirmi che mi ami e tutte le altre cazzate che hai sparato!”, urlò in mezzo al corridoio, attirando l’attenzione di tutti. Dopo aver assorbito per bene le sue parole, ritrovai l’uso della lingua. “Tu credi che io stia con Jacob? È questo quello che pensi, eh, Nathe?”. Lui mi guardò in silenzio, così continuai. Stavolta ero io quella che urlava. “Sei uno stupido, Whellens. Uno stupido geloso! Tra me e Jacob non c’è niente…È come un fratello per me, lo sai!” “Non mi prendere in giro, Cullen.”, replicò lui scettico. Il mio sguardo si fece serio. Nathe si appoggiò al muro con aria strafottente. Io mi avvicinai a lui, senza toccarlo, arrivando a pochissimi centimetri dal suo viso. Era la prima volta che ci ritrovavamo così vicini da quando lo avevo lasciato, ma l’effetto che aveva su di me non era cambiato. E a quanto pare, nemmeno quello che io avevo su di lui: riuscii a percepire una specie di elettricità sprigionarsi dal suo corpo, come se fosse una calamita. Era ancora attratto da me come io lo ero da lui…Questo piccolo dettaglio mi fece rasserenare un po’, ma non persi di vista le mie intenzioni. “Pensa quello che vuoi, Nathe. Io a differenza di te so bene quali siano i miei sentimenti.”. Mi allontanai velocemente dal suo viso, prima che la tentazione di assaggiare di nuovo le sue labbra mi assalisse. Tuttavia lui mi trattenne per i fianchi, guardandomi dritto negli occhi. Inutile dire che i battiti di entrambi sfioravano l’infarto. “Non mi provocare, Renesmee.”, sussurrò lui, a pochissima distanza dalle mie labbra. Nel corridoio era piombato il silenzio. Senza dire niente mi sciolsi dalla sua presa e mi diressi in classe, seguita da Amy. Nathe rimase a guardarmi per un po’, mollò un bel pugno all’armadietto e finalmente si avviò in classe.

“Meno male che aveva paura di me ma come si permette di fare certe cose quello sfrontato! Io non ho parole mi ha quasi fatto venire un collasso quello stupido impulsivo geloso…” “Ehm…Nessie? Potresti parlare in un modo un po’ più comprensibile? È già mezz’ora che borbotti senza fermarti un secondo…”. Mi voltai verso Amy, che mi stava guardando stranita. Ricambiai il suo sguardo sorpreso, prima di capire. Vero, il fiume di parole che mi stava uscendo dalla bocca risultava comprensibile soltanto a chi aveva sensi super sviluppati… “Scusa Amy, adesso la smetto. È che mi fa così arrabbiare…” “Effettivamente non è che si sia comportato benissimo…Ma ero sicura che gli saresti saltata addosso quando ti ha trattenuto in quel modo! Mi è sembrato di capire che anche lui fosse propenso…” “AMY!”, dissi io indignata, a voce un po’ troppo alta. Meno male che la professoressa stava interrogando due compagni alla cattedra, così il resto della classe si stava facendo gli affari propri. “Su Nessie, non lo negare…Anche adesso, cosa pensi che stia facendo il giovane Whellens?”. Lei mi guardò maliziosa, prima di spostare lo sguardo verso il banco di Nathe con noncuranza. Dopo aver fatto un sorrisino a Jordan, guarda caso proprio compagno di banco di Nathe, riposò i suoi occhi azzurri su di me. “Come pensavo, ti sta fissando come un idiota.” “È inutile che mi fissi, se non mi viene a dire che intenzioni ha. Te l’ho detto cosa è successo ieri…” “Ho capito, Renesmee…Però ti posso assicurare che non gli è passata per niente.”. Amy mi fece il suo solito sorrisetto furbo, poi continuò:  “Cambiando argomento…Jordan mi ha finalmente chiesto di uscire…Un’uscita ufficiale!” “Davvero? Beh, sono contenta per te! E tutto questo quando avverrebbe?” “Oggi pomeriggio. Ha detto che mi vuole portare al cinema…” “Benissimo allora! Vediamo se adesso le cose tra voi si stabilizzano…” “Lo spero proprio…”, mi disse sospirando, abbandonandosi sul banco. Ogni tanto facevo vagare lo sguardo distrattamente per tutta la classe, e qualche volta gli occhi verdi di Nathe incrociavano i miei, facendomi sussultare. Cercai di non badare a lui per il resto della mattinata, anche se Amy insisteva a farmi notare che l’attenzione del ragazzo era tutta rivolta a me. All’uscita da scuola, come mi aveva detto la mattina stessa, trovai Jacob ad aspettarmi. Era appoggiato alla moto e si stava mangiando un gelato enorme. “Ciao Jake! Ma stai sempre a mangiare?” “Ciao Nessie…Non è colpa mia se ho sempre fame! Com’è andata oggi?”. L’odore sempre più intenso di Nathe mi avvertì che si stava avvicinando. “Mah, insomma…Diciamo che poteva andare decisamente meglio. Dai, fratellone, andiamo a casa!”, dissi calcando bene la parola “fratellone”, in modo che Nathe la sentisse forte e chiara. Jake notò gli sguardi che ci scambiammo, ma non disse niente. Finì di mangiare il suo gelato in un boccone solo e accese la moto. Io salii dietro di lui, e dopo aver salutato Amy con la mano ci dirigemmo verso casa. Passarono circa 2 ore e mezzo, prima che il mio cellulare iniziasse a suonare come se fosse impazzito. La mamma mi guardò con circospezione, prima di tranquillizzarsi dopo aver sentito la voce che parlava dall’altra parte. “Renesmee, ho bisogno di aiuto. Sono disperata, non so come fare…” “Amy, calmati. Cosa è successo?” “Vieni subito, ti prego…” “Ok, ok…Mi cambio e sono da te!”. Appena chiusi la chiamata la mamma mi guardò, cercando di capire cosa fosse successo. Io alzai le spalle, prima di vestirmi velocemente. Corsi giù per le scale e afferrai Jacob per la maglietta, tirandolo verso la porta. “Ehi, ma che succede?” “Non me lo chiedere…Amy è in crisi. Zia, hai fatto con la macchina?”, domandai a gran voce. Per tutta risposta un paio di chiavi scintillanti mi piombarono in mano dal salotto. “Fammi sapere come va, tesoro…”. Salutai tutti e trascinai Jacob dietro di me. Mi fiondai sulla strada e schiacciai fino in fondo l’acceleratore, facendo schizzare in avanti la macchina. La lancetta del contachilometri era arrivata in pochissimi secondi sui 160…La zia sarebbe stata sicuramente soddisfatta del suo lavoro. Nemmeno dieci minuti dopo eravamo davanti alla casa di Amy. “Wow, Nessie, non credevo che fossi così brava a guidare…” “Ho avuto i miei buoni insegnanti! Dai, vediamo che ha combinato Amy…”. Non feci in tempo a suonare il campanello che la mia migliore amica aveva già aperto la porta. “Oh, Nessie, meno male che sei arrivata. Oh, ciao Jacob..”, disse lei prima stravolta e poi sorpresa di vedere il ragazzo. Jake la guardò da capo a piedi, sorridendole. “Nessie, guarda in che condizioni sono…Sono orribile!”. Amy era davvero sull’orlo della disperazione. “Amy, tu non sei mai orribile…Nemmeno adesso!” “Non dire scemenze…Non mi si può vedere…”, disse lei guardandosi. Era vestita con i pantaloni di una tuta blu, le scarpe da ginnastica e una maglietta bianca con sopra delle scritte; poi aveva i capelli tirati su, con alcune ciocche che le ricadevano lisce sul viso. Anche se era vestita per stare in casa nessuno poteva dire che non fosse guardabile.  Dopo qualche secondo parlai di nuovo: “Insomma, mi vuoi dire perché mi sono dovuta precipitare a casa tua?”. Lei piantò i suoi occhi azzurri nei miei, prese un profondo respiro e finalmente si decise a parlare: “Renesmee…Non so cosa mettermi per uscire con Jordan.”. Rimasi a fissarla con la bocca aperta per qualche minuto. Jacob era rimasto in silenzio come me, gli occhi fissi su Amy. Analizzai per qualche minuto ogni singola parola che quella pazza della mia migliore amica aveva detto, prima di risponderle incredula: “Tu…Mi hai fatto venire fino a qui come un fulmine…Perché non sai cosa metterti?”. I suoi occhi implorarono perdono, seguiti da una piccola smorfia che faceva sempre quando mi chiedeva scusa. “E va bene…Andiamo a svuotare l’armadio.” “Grazie, grazie, grazie! Dai, entrate!”. La seguimmo fino in camera, dove c’era il letto cosparso di vestiti. L’aiutai a rimettere tutto a posto e dopo iniziammo con la sfilata di moda. Passammo in rassegna ogni suo capo d’abbigliamento, dalle gonne ai vestiti. Notai che per tutto il tempo Jacob non staccava gli occhi di dosso dalla mia migliore amica, e che ogni tanto esprimeva il suo parere…Boh. Forse aveva scoperto di essere un amante della moda…Comunque, alla fine Amy riuscì a decidersi: le avevo consigliato una gonna nera, molto carina, che arrivava al ginocchio, gli immancabili tacchi di vernice e sopra una camicia bianca con un coprispalle nero. “Mmmhhh…Mettiti una cintura bianca…Ecco, così sei perfetta! Sicura che non hai bisogno di altri consigli?” “No, Nessie, va benissimo così. Non so cosa avrei fatto senza di te…E grazie anche a te, Jacob, mi serviva proprio un parere maschile!” “Non c’è di che…”, le rispose lui con aria quasi sognante. Dopo aver salutato tornammo a casa, questa volta con più calma rispetto all’andata. “Jacob…”, lo chiamai. Lui mi rispose con un grugnito assente. “Overdose di vestiti?” “Eh?”. Scossi la testa e sospirai. “Se ti stavi annoiando me lo potevi dire...” “Ma no, non mi sono annoiato affatto. Stavo solo pensando a…Niente, lascia stare.” “No, adesso parli, Black. Sputa il rospo.”. Lui sembrò riluttante a darmi una risposta, ma appena incrociò il mio sguardo parlò senza esitare. “Chi è quel Jordan?”. Rimasi stupita dalla sua domanda; aggrottai le sopracciglia e gli risposi: “È un nostro compagno di classe…Ci sta provando con Amy da quasi tre mesi. Ma perché ti interessa?” “È un tipo a posto?”, continuò Jake. “Da quanto ne so io penso di sì…”, risposi sospettosa. “C’è qualcosa che non va, Jacob?” “Beh, ecco…Non ho potuto fare a meno di notare che Amy è davvero carina…Quella tuta le stava d’incanto…”. Inchiodai all’improvviso e mi voltai a guardarlo. Meno male che eravamo vicini ad un semaforo e che c’era pochissimo traffico…“Come hai detto scusa?”. Jacob diventò rosso e si girò verso il finestrino. “Ho capito bene, Jake?”. Lui non rispose e sbuffò. Mi venne da ridere al pensiero di quello che avevo appena realizzato. Ma era possibile una cosa del genere? “Hai…Hai avuto…Un altro imprinting? No, non ci credo…” “Ma no…O almeno, non penso…È solo che…Boh, mi da fastidio che esca con quello li. Non mi piace…”. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. “Ma non lo conosci nemmeno!” “Dettagli.”, mi rispose lui, tornando a guardare il finestrino. Lo guardai incredula, cercando di ricollegare tutti i pezzi. Ad un certo punto mi venne un’idea. Parcheggiai la macchina sul ciglio della strada e guardai negli occhi il mio compagno di viaggio, che mi stava osservando stupito. “Che fai?” “Jake, c’è un solo modo per vedere…Se è un imprinting o meno.” “E sarebbe?”, domandò scettico. Io presi un respiro profondo, mi convinsi pienamente di quello che stavo per dire e alla fine parlai: “Baciami.”. La sua espressione rimase pietrificata. “Nessie ma che…” “Baciami, Jacob.”, ribattei risoluta. Aspettai qualche secondo, e dopo aver constatato che lui non si sarebbe mosso di un millimetro presi in mano la situazione. Iniziai ad avvicinarmi al suo viso, lentamente, guardandolo fisso negli occhi. Quando arrivai a qualche centimetro dalle sue labbra, Jacob si allontanò leggermente. Sorrisi, sollevata dal fatto che la mia decisione azzardata di spingermi così avanti non avesse prodotto effetti apocalittici. “Allora, Black, che ne dici?”, chiesi con aria saccente. Jacob sembrava più sconvolto di prima. “Penso che dovrò chiedere qualche spiegazione…”, rispose imbarazzato, cercando di sorridere. “Se posso dirtelo..È meglio così. Finalmente non soffrirai più per causa mia.”. Jacob non rispose, ma mi dette un bacio sulla guancia. “Grazie, sorellina.”. Contraccambiai lo sguardo felice del ragazzo, riprendendo la marcia ad una velocità tranquilla. Alcune gocce di pioggia iniziarono a cadere dal cielo plumbeo, così decisi di accompagnare Jacob alla riserva. “Ci sentiamo più tardi, Nessie…Appena ho messo un po’ in ordine tutto quanto ti faccio sapere!”, mi disse lui, prima di correre verso casa. Quando tornai dai miei spiegai la situazione anche a loro; nonno Carlisle approfittò subito delle informazioni che gli avevo dato per iniziare altre ricerche sul mondo dei licantropi. Gli altri rimasero stupiti quanto me, ma alla fine tutti si sentirono più sollevati dal fatto che Jacob non dovesse più stare male.

Il giorno dopo, la pioggerellina della sera prima si era trasformata in un violento temporale. Jacob mi venne a prendere in macchina dopo la colazione e mi accompagnò a scuola. All’entrata scorsi la figura di Amy all’ingresso; se ne accorse anche Jake, che diventò tutto rosso appena la vide. La salutò con la mano enorme, il sorriso stampato in faccia. Notando la sua espressione gli diedi una leggera gomitata nelle costole e gli lanciai uno sguardo eloquente, prima di scendere e precipitarmi dentro l’edificio. “Ciao Amy…Accidenti a questa pioggia maledetta!” “Buon giorno.”, rispose lei atona. Solo dopo averla osservata per bene mi resi conto che aveva qualcosa che non andava. “Ehi..Che è sta faccia?” “Niente, niente..”. Il suo tono distante non mi convinse affatto. Si voltò e si diresse verso la classe. L’afferrai per un polso e la costrinsi a girarsi. “Amy..Che hai?”, le chiesi, seria e preoccupata. “Nessie..Ieri..”, sussurrò piano, bloccandosi a causa di uno scossone. “È successo qualcosa con Jordan.”, conclusi io al suo posto. Lei distolse lo sguardo, silenziosa. La portai in bagno e le feci sciacquare il viso, in modo che si calmasse. “Amy…Raccontami tutto.”. Lei si appoggiò al lavandino e sospirò profondamente. “Stava andando tutto bene…Però ad un certo punto…”. Si bloccò di nuovo, preda di un altro scossone. L’abbracciai, cercando di tranquillizzarla. Dopo qualche minuto continuò: “Nessie, tutte le sue attenzioni, tutti i suoi gesti…Lo faceva solo perché voleva portarmi a letto.”, disse tutto d’un fiato. Rimasi immobile come una statua, mentre sentivo la rabbia prendere vita in fondo al petto. “Quando siamo usciti dal cinema…Mi ha portata in un vicolo e mi ha sbattuta contro il muro. Ha iniziato a toccarmi dappertutto e..E..Oddio..”. Scoppiò a piangere, incapace di continuare. Una cosa era certa: Jordan non avrebbe più avuto vita facile…Gliel’avrei resa impossibile. “Ti ha fatto qualcosa?”, le chiesi furente. “No, no…Gli ho tirato un calcio e me ne sono andata via.” “Brutto bastardo maniaco, io..” “No, Nessie..Per favore, lascia stare. Non voglio che ci vada di mezzo tu…”, mi disse tra le lacrime, cercando di asciugarsele con la manica del giubbotto. Quando si fu calmata del tutto entrammo in classe, a lezione già abbondantemente iniziata. “Signorina McConnor! Signorina Cullen! Vi pare questo il momento di…”. La professoressa si bloccò subito appena intercettò il mio sguardo. Forse in quel momento sembravo più vampira che umana…Rivolsi lo stesso sguardo anche a Jordan, che tremò sulla sedia. In tutto quel casino non mi ero neanche accorta che Nathe mi stava fissando…Non riuscii a decifrare la sua espressione, ma non me ne curai più di tanto. Ero troppo impegnata a lanciare con gli occhi minacce d’omicidio al suo compagno di banco. Quella fu una delle mattinate più lunghe della mia vita. Amy era in una specie di trance, Nathe non smetteva di guardarmi, Jordan tremava appena mi spostavo di un millimetro…Poco prima della fine della quarta ora, Amy scoppiò di nuovo a piangere. “Amy, non puoi stare così tutto il giorno. Chiamo qualcuno e ti faccio venire a prendere.” “I miei non ci sono…Tornano domani…”. Fu allora che mi venne l’illuminazione. “Preparati.” “Nessie, non hai capito cosa..” “Ti ho detto di prepararti. Vado a chiamare Jacob.”. Lei mi guardò stupita, ma fece come le avevo detto senza dire una parola. Andai in bagno e gli telefonai. “Jacob, ho bisogno che tu venga qui a scuola.” “È successo qualcosa? Ti senti male?”, mi domandò preoccupato. “No, non riguarda me…Si tratta di Amy. Devi accompagnarla a casa…” “Venti minuti e sono da voi.”. Chiuse la chiamata senza neanche salutare. Come mi aveva detto per telefono, venti minuti dopo era fuori dalla scuola. Accompagnai Amy in segreteria a farsi fare il permesso di uscita; non l’avrebbero mai fatta andare via da sola se non ci fossi stata io con lei…Nessuno negava qualcosa ad un membro della famiglia Cullen. Quando tutta la burocrazia fu sistemata la scortai fino all’ingresso, dove c’era Jacob ad aspettarci. “Mi raccomando, Jake. Assicurati che stia bene.” “Nessie, io non so davvero come ringraziarti…”, sussurrò Amy, abbracciandomi. Le accarezzai forte la schiena e la lasciai uscire, coperta interamente dall’impermeabile di Jake. Tornai in classe un po’ più sollevata, nonostante le occhiate omicide che rivolgevo a quel porco di Jordan. Notai che Nathe aveva distanziato il suo banco da quello del compagno, e che gli stava dando le spalle. Questo faceva si che la sua attenzione fosse diretta tutta verso di me…Mi sentii leggermente a disagio, ma cercai di non farci caso. Alla fine della mattinata il temporale non era ancora passato, e c’erano buone premesse che lasciavano capire che sarebbe durato ancora un bel po’. Appena tornai a casa, la mamma corse preoccupata verso di me. “Nessie, cosa è successo? Jacob è corso via senza dire niente…Tutto a posto?” “Si, mamma, tranquilla…Amy aveva bisogno di un passaggio a casa.”. Lei sospirò, mi dette un bacio sulla fronte e tornò a sedersi sul divano insieme a mio padre. “Tesoro, fra poco Alice e Jasper vanno a caccia. Vai anche tu, è già un po’ di tempo che non ti unisci a noi…”, disse lui, prima di dare un bacio alla mamma. “Ok, ok, ho capito…Ci vediamo più tardi allora.”. Dopo un po’ partimmo alla volta di un bosco a Nord di Forks, dove trovammo un branco di alci. Tornammo a casa qualche ora dopo, nel tardo pomeriggio. Feci una bella doccia calda e poi mi andai a buttare sul letto. I pensieri iniziarono ad occuparmi la testa senza pietà. La mia mente passò in rassegna ogni singolo giorno di quelle ultime due settimane, soffermandosi poi agli avvenimenti del giorno prima. Mi addormentai dopo qualche minuto, con l’immagine di me e Nathe vicinissimi nel corridoio della scuola marchiata a fuoco nella memoria. Non so dire quanto tempo fosse passato da quando avevo ceduto alla forza del sonno, ma ad un certo punto mi svegliai di soprassalto. Il mio cellulare vibrava furioso sul comodino. Mi precipitai a prenderlo, ma la chiamata era già stata interrotta. Era Jacob…Lo richiamai subito, così mi raccontò come era andata la giornata con Amy. “L’ho rassicurata un po’…Adesso sta dormendo, era davvero a pezzi. Che dici, rimango qui con lei?” “Assolutamente si, Jacob. Non ti azzardare a lasciarla sola nemmeno per un secondo.” “Va bene allora…Comunque quel bastardo si ritroverà la faccia sbriciolata domani, parola mia. Ci sentiamo, Nessie.”. Chiusi la telefonata sospirando. Non feci in tempo a rimettere il cellulare a posto che iniziò di nuovo a vibrare…Stavolta però era un messaggio. Appena lo aprii il cuore mi si fermò e le mani iniziarono a tremare. Rimasi a fissare il display come una stupida, incapace di muovere un solo muscolo. Era Nathe. “Senti, mi dispiace un casino per quello che è successo. Non riuscirei mai ad avere paura di te…Ci vediamo.”. Rilessi il messaggio un’infinità di volte, e ad ogni nuova lettura sentivo le labbra aprirsi sempre di più in un sorriso. Ad un certo punto nella mia testa passò veloce come un fulmine una decisione che i miei, mia madre prima di tutti, non avrebbero accettato volentieri. Scesi le scale di corsa e ispezionai per bene il salone. Mamma e papà non c’erano…Sicuramente erano andati a casa nostra. Perfetto, segno che erano troppo occupati per badare a me. Mi precipitai alla porta, ma appena misi la mano sulla maniglia la voce della nonna mi fermò: “Nessie, dove vai così di corsa?” “Vi spiego tutto più tardi. Ciao nonna!”. La salutai velocemente e poi mi fiondai come una saetta fuori dalla porta. La pioggia veniva giù dal cielo più violenta che mai, e la sentivo battere sulla mia pelle accaldata come se ogni goccia fosse un piccolo sassolino. Dopo nemmeno un minuto ero già bagnata fradicia, ma non me importava niente. Sfrecciavo tra gli alberi ad una velocità impressionante, mentre il cuore stava iniziando ad impazzirmi. Il messaggio di Nathe mi passava in testa a ripetizione come un nastro luminoso, ed ogni parola brillava come se fosse un fuoco acceso. L’odore della terra bagnata e il rumore della pioggia che cadeva erano le uniche cose che mi accompagnavano in quella folle corsa. Non riuscivo a formulare un pensiero che avesse senso compiuto, ero troppo stravolta. Dopo circa dieci minuti raggiunsi Port Angeles. Spostarmi tra le case mi costrinse a rallentare l’andatura, ma nonostante questo riuscivo a muovermi abbastanza velocemente. Quando finalmente mi trovai davanti alla casa degli zii di Nathe il cuore sembrò fermarsi. Rimasi impalata davanti al piccolo cancellino. Fissai quell’edificio per non so quanto tempo, prima di decidermi a suonare il campanello. Una luce al piano superiore si accese e subito dopo dei passi piccoli e veloci si fecero strada sulle scale. Dopo un minuto la porta si aprì, e io sussultai. “Chi è?”, domandò la voce di una bambina. Doveva essere sicuramente Helen, la cuginetta di Nathan…Aprì un po’ di più la porta, in modo da potermi vedere bene. “Ciao! Chi sei?” “Ciao…Sono un’amica di Nathe. È in casa?”. Lei mi guardò sospettosa e poi urlò verso le scale: “Naaaaathe! È per te!”. Subito dopo sentii dei passi più pesanti scendere le scale. Questa volta il cuore tremò sul serio, prima di sprofondare da qualche parte dentro di me. “Helen, fila in casa, non vedi che sta diluviando?”. La bambina borbottò qualcosa e poi risalì le scale. Nathe rimase qualche secondo fermo, prima di aprire completamente la porta. Un lampo illuminò di viola il cielo, mentre il rumore si diffondeva cupo in lontananza. Fu in quel momento che il suo sguardo incontrò il mio. Ero immobile sotto la pioggia scrosciante, il respiro accelerato e i battiti impazziti. Nathe era diventato una statua, la mano ancora sulla maniglia della porta. Dopo un po’ distolsi lo sguardo da lui, sorridendo appena. Cercai inutilmente di cacciare via le gocce d’acqua dal mio viso, provando a non pensare a quella pazzia che avevo appena fatto. Ad un tratto sentii Nathe muoversi verso di me. Si stava avvicinando…I miei sensi andarono in fibrillazione quando il suo odore si mischiò a quello umido della pioggia. Non capivo più niente, ma non me ne preoccupai. Lui fece due passi incerti e poi si fermò. Sembrava stesse pensando a qualcosa…Ad un tratto lo vidi scuotere la testa, e poi ebbi solo il tempo di rendermi conto che le mie labbra avevano iniziato a muoversi insieme alle sue. Le gocce fredde della pioggia sul mio viso erano accompagnate dalle lacrime bollenti che avevano iniziato sgorgarmi dagli occhi. “Scusami…scusami…”, mi ripeteva lui tra un bacio e l’altro, mentre mi stringeva a sé sempre di più. Quando ci staccammo per riprendere fiato lui parlò, la voce che gli tremava: “Ti prego, scusami…Sono stato un idiota…” “Nathe, piantala…”, gli dissi io riprendendo a baciarlo. La mia mano salì fino ai suoi capelli, come sempre. Lui mi strinse ancora prima di staccarsi un’altra volta. Mi fissò con i suoi magnifici occhi verdi, di nuovo accesi di quel bagliore che mi aveva fatto impazzire. Gli accarezzai il viso, scostandogli i capelli bagnati dalla fronte. Lui si appoggiò a me sorridendo. “Ti amo. Ti amo. Ti amo.”. Sorrisi contro le sue labbra, prima di annullare nuovamente la distanza tra noi. In quel momento, sotto la pioggia incessante, mi resi conto che il mio mondo era tornato al suo posto. Non mi importava di cosa avrebbe detto mia madre, dei rimproveri che mi sarebbero spettati al mio ritorno a casa. Nathe era di nuovo con me, e questo bastava a far scomparire tutto il resto. 

 

   
 
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