V e r s u s
Capitolo II
Aveva passato tutto il
pomeriggio disteso sul letto a fissare il soffitto.
Quella sera stessa non si
fece vedere a cena, dubitava che i Dursley gli
avrebbero permesso di mettere piede in cucina.
Il suo stomaco cominciava a
brontolare, ma era sempre più convinto ad ignorarlo.
Durante tutto quel tempo
che aveva passato da solo, il suo più grande incubo prese
lentamente forma nella sua mente: l’orfanotrofio.
Davvero i Dursley sarebbero capaci di poterlo abbandonare in uno di
quei posti come un cane?
Non aveva mai temuto di
andarci, perché inspiegabilmente aveva sempre sentito una specie di aura attorno a lui, aveva sempre saputo che gli zii non
l’avrebbero mai fatto.
Invece, ora, si ritrovava
appeso ad un filo; sarebbe finito in quel posto come tutti le
persone non ancora maggiorenni che non avevano i genitori, o
tutori...già, tutori...lui ce lo aveva sempre avuto, anche se non lo aveva mai
saputo...e ancora una volta si ritrovò a pensarlo: quei suoi occhi così
profondi, che sapevano rassicurare anche nei momenti più critici, quella sua
voce, così forte...basta! Sarebbe impazzito se avrebbe ancora
pensato a lui, se lo sentiva.
Doveva disperatamente
distrarsi o i ricordi dolorosi lo avrebbero ucciso.
Si costrinse a cambiare
pensiero...provava ad immaginare come sarebbe stata la sua nuova vita nella sua
nuova casa...perché lo sapeva, i Dursley non avevano nominato quell’orrendo posto per nulla, ci sarebbe
andato di sicuro, e allora sarebbe stato perduto.
Ma poi, inconsapevolmente
un nuovo pensiero prese forma nella sua mente...non ci aveva pensato dagli
ultimi giorni di scuola, quando aveva scoperto tutto...la profezia,
Silente...sì, Silente gli aveva detto che solo a Privet
Drive sarebbe stato sicuro, che solo vivendo con sua zia sarebbe stato
protetto...ecco cosa aveva detto zia Petunia poco prima, che non le sarebbe
importato se poi, comunque, Silente l’avrebbe
richiamata per il fatto di aver allontanato Harry dalla sua protezione, ma
davvero Petunia sarebbe stata in grado di poterlo esporre ad un pericolo così
grande?
Un rumore lo distolse da
quei pensieri.
Si guardò attorno, sapeva
che i Dursley erano andati a letto dopotutto erano le
due di notte, ma non riusciva a capire da dove potesse
venire quello stridio.
Poi si voltò verso la
finestra e vide due gufi fuori e cercavano nuovamente di attirare la sua
attenzione.
Si avvicinò automaticamente
e vide che uno era Leo, il gufetto di Ron, e l’altro
era il gufo dell’ufficio postale magico.
Harry, stufo, affamato, ma
curioso, prese ad aprire la prima lettera, quella di Ron.
Era talmente stanco di
tutto e di tutti, che non badò al fatto che i suoi due amici gli avevano appena
spedito i loro auguri per il suo compleanno.
Harry, era
così stordito, offuscato, da non riuscire neanche a strapparsi un sorriso per
il semplice fatto di aver compiuto sedici anni...non gli importava un
granché.
Gettando le lettere sulla
scrivania, lasciò uscire i due gufi senza nessuna risposta, si avviò verso il
suo letto, sicuro che quella notte sarebbe stata l’ennesima in bianco.
***
La mattina dopo sentì il
sole caldo entrare dai vetri della finestra e riscaldargli il volto.
Si alzò molto lentamente,
cercando di arrivare giù in cucina il più tardi
possibile; sapeva quale spettacolo si sarebbe trovato davanti, e francamente
non aveva la minima voglia di subirsi per la seconda volta in due giorni,
qualche altra perfida battuta su di lui, o peggio ancora, sui suoi amici.
Quando proprio non poté più tirarla per le lunghe, scese con
passo felpato le scale, e ancora una volta poté ascoltare di nascosto quello
che, intanto, diceva la voce di sua zia al telefono.
“Non c’è speranza, mi creda...sì ha sedici
anni, ma noi non ce la facciamo più a tenerlo a casa...è ...è un teppista, uno
squilibrato...voglio dire, lei mi capisce...abbiamo paura, la notte quando
rientra tardi, chiudiamo la porta della
camera...ci aiuti, la prego…” diceva zia Petunia.
Che brava attrice
pensò Harry avvilito e furibondo al tempo stesso.
“Ooh, grazie,
grazie signore...ci libera di un peso...perché sa, all’inizio credevamo di
crescerlo bene, è figlio di mia sorella, che è morta quindici anni fa in un
incidente stradale...ne hanno parlato anche al telegiornale, se lo deve
ricordare...” inventò al
momento la zia per sembrare più convincente. “Comunque
grazie...quando lo portiamo?...certo, come vuole, a più tardi allora...buona
giornata...” terminò riagganciando il telefono.
Harry sentì un urlò quasi disumano proveniente da giù: erano tutti e tre i Dursley che gioivano per la notizia.
Harry, come se niente
fosse, entrò in cucina e fece in tempo a vedere Dudley
che ancora saltava come un pazzo per tutta la stanza.
Zia Petunia si voltò verso
di lui e la sua faccia cavallina si storse in una smorfia schifata.
“Eccoti accontentato, oops,
volevo dire eccoci accontentati...” e tutti scoppiarono in una forte
risata, mentre Harry li guardava con un sopracciglio inarcato.
“Dobbiamo accompagnarti lì per le undici di oggi...vatti subito a preparare...e vedi di non
dimenticare niente, caro…” disse sottolineando bene l’ultima parola.
Harry corse su per le
scale, diretto in camera, per fare l’unica casa sensata in un momento del
genere.
Prese il primo foglio di
pergamena sotto mano e prese a scrivere.
Oggi, verrò
portato all’orfanotrofio di Londra babbana. I miei zii hanno preso questa
decisione, dopo una lite avvenuta ieri.
Non so quanto importi a Petunia, pur essendone a conoscenza, della
mia magica protezione.
Harry Potter
Harry rilesse la breve
lettera, poi la legò alla zampa di Edvige.
“Fai in fretta, per favore...è per il
professor Silente, credo lo troverai ad
Hogwarts...vai!” le disse liberandola nel cielo.
Rimase fisso guardandola
sparire dietro una nuvola, poi si ricordò che doveva fare in fretta, doveva
preparare i bagagli.
Raccolse velocemente le
poche cose che aveva sparse per la camera, le chiuse
tutte nel grande baule di Hogwarts. Si chiese se avrebbe avuto problemi con
quello, ma non c’era tempo.
Scese in salotto, dove
trovò tutti e tre i Dursley che lo aspettavano con un
sorriso sul volto.
Harry li raggiunse in
silenzio, e poi lanciando un’occhiata di sfuggita a Dudley,
vide che aveva ancora quel malefico ghigno sul volto.
Salirono in macchina, ed
Harry vide le case di Privet Drive sfrecciare fuori dal finestrino. Rivide in breve la sua vita prima di
Hogwarts, quando era cresciuto in quel quartiere, quando vi passava tutti i
giorni, tutto l’anno.
Una nuove
ondata di malinconia gli strinse
il cuore, cominciava seriamente a chiedersi che ne sarebbe stato di lui...ma
anche in un futuro, se mai sarebbe sopravvissuto ad un definitivo scontro
contro Voldemort, il che era molto improbabile, quale sarebbe stata la sua
vita, piena di sofferenza per quello che aveva dovuto subire fin dall’età di
anno, quando il Male aveva strappato prepotentemente la vita dal cuore dei suoi
genitori e lo aveva ridotto in quella situazione? In quelle volte nelle quali
si perdeva a fantasticare su un possibile futuro, non riusciva comunque a figurarselo colmo di felicità, magari circondato
dalle persone che amava di più...ma quelle persone pian piano stavano
scomparendo tutte, risucchiate dall’orribile buco nero della morte; una morte
non meritata, ma sopraggiunta, e in più per colpa sua...perché, perché tutte le
persone che lo amavano per quello che era o per quello che ricordava, o che
semplicemente lo proteggevano, erano destinate a morire? Perché?
Anche loro avevano diritto ad una vita piena di
serenità, senza il fiato caldo della morte sul collo, che poteva cogliergli da
un momento all’altro...ancora una volta, la vita era ingiusta...
A volte si trovava a
pensare, se la sua vita dal principio fosse stata diversa, o se semplicemente
fosse stato qualcun altro, come sarebbe stata? Sicuramente normale...e allora perché
proprio a lui? Questa è la domanda che si ritrovano a pensare o a chiedersi
tutti quelli che sono speciali, che sono “eletti”, che sono prescelti…
che cambieranno la storia, nel bene o nel male...
Senza rendersene conto la
macchina di zio Vernon stava rallentando e prese a girare in un vicolo di
quelli da brivido.
L’auto si fermò proprio
davanti ad un palazzo.
L’imponente struttura
sembrava antica, era completamente in pietra, e sembrava avesse
bisogno di una profonda ristrutturata.
Aveva la strana forma di un
tempio greco: le colonne che precedevano il grande
portone di legno, erano riccamente decorate, e vicino all’entrata vi era appeso
un cartello, chiaramente vecchio, con lettere grandi e sbucciate, sul quale vi
era scritto: Orfanotrofio Grant.
Harry pensò che Orfanotrofio
fosse un po’ antiquato, ma comunque la parola
s’intonava con l’aria lugubre del posto.
Rimasero un po’ a guardarsi
senza una parola, intanto Harry faceva correre lo sguardo sulle numerose
finestre del palazzo, probabilmente erano ognuna, una
stanza diversa affidata ai numerosi ragazzi e bambini che con ogni probabilità
vi trovavano casa.
Improvvisamente il grande portone si aprì facendo uscire una donna,
all’apparenza molto severa, con un cipiglio che avrebbe fatto concorrenza solo
alla McGranitt.
Venne verso di loro, però,
sfoggiando un gran sorriso.
“Buongiorno, buongiorno signori...” disse con voce aspra e sbrigativa.
“Mi presento, sono Amelia Grant, attuale
direttrice di questo orfanotrofio...mio
nonno lo ha fondato...voi dovreste essere i signori Dursley,
non è vero?” chiese scorrendo un elenco di nomi su un taccuino.
Gli zii annuirono
vigorosamente.
La signora Grant fece un
largo sorriso.
“Bene...” disse scrutando Harry e Dudley,
che fece cenno verso il cugino. “Bene...e
tu...devi essere il nuovo arrivato...Harry!” esclamò puntando un indice verso
di lui, che trasalì.
“Sì...sì, vediamo...allora, Harry,
diventerai uno dei nostri, la tua zia mi ha raccontato
la tua storia, i tuoi genitori...insomma, tutto quello che c’è da sapere, no?”
disse e senza neanche aspettare una possibile risposta, strinse la mano ai Dursley, afferrò Harry per un braccio e lo tirò a sé,
dopodiché, si rivolse agli zii: “Allora, piacere di avervi conosciuto, Harry si
troverà bene qui, potrà vivere tranquillo...arrivederci e grazie, abbiamo
ancora così tante cose da fare!” disse cominciando a rientrare.
I Dursley
si guardarono per un po’ perplessi, poi sfoggiarono uno dei loro più falsi
sorrisi, e rimasero a vedere Harry che spariva oltre quel portone, convinti di
essersi liberati di lui per sempre.
Harry, dal canto suo, si
fermò a guardare per l’ultima volta quelle persone, che avrebbero dovuto essere
i primi ad amarlo.
***
Una volta all’interno,
Harry si guardò intorno, entrando, si era ritrovato in una grande
sala, col pavimento di legno, le pareti dipinte in modo infantile, e qualche
quadro appeso qua e là.
Al soffitto erano appesi
tre grossi lampadari penzolanti, di quelli che sembravano provenire da qualche
antica reggia francese.
Il grande
salone, era abbracciato da due rampe di scale che si trovavano poi in un punto
in comune al secondo piano; lì, si potevano incominciare a vedere le varie
porte delle tante stanze tutte numerate; all’improvviso si chiese se quello
splendore apparteneva solo al salone di ingresso.
Arrivò la signora Grant,
che gli si avvicinò, lo spinse per una spalla, sembrava volesse guidarlo al
piano di sopra.
Mentre saliva, sentì strani bisbigli provenienti tutto
intorno a lui.
Senza smettere di salire le
scale, si voltò verso le voci; non vide altro che tanti
piccoli visino sporgere dalle ringhiere delle scale, per poi scomparire
e far posto ad altri visi, un po’ più grandi e maturi. Si voltò verso la
signora Grant, che lo precedette.
“Non ti preoccupare...sono solo gli altri
ragazzi e bambini che vivono qui, fanno sempre così quando arriva qualcuno
nuovo, sono tremendamente curiosi” disse con voce mielosa.
I bisbigli non cessarono
neanche quando Harry e la signora Grant arrivarono al
secondo piano.
Ci fu un attimo di
silenzio, in cui Harry fece scorrere il suo sguardo su tutti quelli occhietti
che lo fissavano dall’interno delle stanza, o
seminascosti dietro lo stipite di una porta.
La signora Grant li guardò
con guardo severo.
“Che diavolo ci fate
fuori dalle vostre stanze? Non è ancora il momento di uscire! Tornate dentro, immediatamente!” urlò furiosamente.
Poi tornò a rivolgersi ad Harry, in un modo falsamente gentile.
“Vieni...Harry, giusto? Ti accompagno nella
tua nuova stanza...” disse
facendo cenno verso una porta quasi alla fine del lungo corridoio.
Harry la seguì.
Una volta
arrivati, la signora Grant aprì la
porta e fece cenno a Harry di entrare.
Il ragazzo la guardò un po’
spaesato, poi fece un gran respiro e fece un lungo passo.
La camera, più che camera,
sembrava un una cella di qualche prigione: aveva i muri grezzi, grigi, color
cemento; aveva un’unica finestra con delle sbarrette
verticali molto vicine tra loro.
Harry guardò l’intero
ambiente a bocca aperta; altro che accoglienza! Quella era una gabbia! C’erano
due letti, uno a destra e l’altro a sinistra, e Harry non aveva la minima idea
a chi potesse appartenere.
D’un tratto la signora Grant parlò.
“Tu sarai in camera con un altro ragazzo,
qui comincia ad esserci un problema di spazio...gli orfani o i ragazzi come te sono sempre più numerosi, ma dico io...dove andremo a
finire?” disse con voce altera.
All’improvviso, dalla
porta, dietro la signora Grant, apparve una testa color miele, con due grandi
occhi castani.
Il nuovo arrivato superò la
signora Grant e andò a stringere subito la mano di Harry.
“Ciao, io sono Dorian Orwell,
e tu?” disse in un solo fiato.
Harry rimase un po’
stupito, ma poi rispose.
“ Io mi chiamo Harry Potter, e a quanto pare sarò il tuo nuovo compagno di camera...” disse Harry un po’ imbarazzato.
“Beh, allora io vado, ho molte cose da
fare” disse la signora Grant, avviandosi alla porta per poi sparire lungo il
corridoio.
I due ragazzi rimasero per
un po’ in silenzio.
“Allora, sei veramente nuovo?” chiese
Dorian improvvisamente, sedendo sul suo letto.
Harry annui con la testa.
“Voglio dire...sei venuto in questo
postaccio solo ora, com’è?” chiese di nuovo.
“Beh, vedi...io vivevo
con qualcuno...” iniziò Harry.
“Con chi?”.
“Con i miei zii...ma è una storia
lunga...raccontami tu piuttosto, come sei finito qui?” chiese Harry piuttosto
freddo, cambiando discorso.
Sembrò che il ragazzo ci
stesse pensando su.
“Guarda...non so sinceramente come ci sono
finito, però sono sicuro di una cosa: sono cresciuto qui, da sempre...perché so
che i miei genitori mi hanno abbandonato quando ero ancora un neonato, e poi
qualcuno mi avrà portato qui...” disse
con voce un po’ rotta.
Harry si lasciò quasi
intenerire, e così si decise anche lui a raccontare.
“Per quanto riguarda me....so
solo quello che mi hanno raccontato i miei zii, cioè, che quando avevo solo un
anno, io e i miei genitori facemmo un grande incidente stradale…loro morirono,
mentre io...” disse,
ma il ragazzo lo interruppe. “Tu ti
salvasti procurandoti quella cicatrice...” disse indicando la fronte di Harry.
Harry rimase sbigottito.
Come...?” chiese ancora.
Il ragazzo fece spallucce.
“Non è difficile capire che ti sei salvato,
visto che sei qui, per quanto riguarda la cicatrice...bò,
chiamalo intuito” disse ammiccando piano con un occhio.
Harry sorrise freddamente.
“E poi?” lo esortò
Dorian.
“E poi...mi mandarono a vivere da i miei zii per tutti questi anni...ma sono qui perché
loro mi odiano, vedi...loro e i miei non erano in buoni rapporti, e loro sono i
miei unici parenti ancora in vita...per cui per forza da loro sarei dovuto
andare...” disse.
“Che fortuna, eh?”
disse Dorian sorridendo.
“Già...poi, ieri, mi sono trovato a dare un
pugno a quel tonto di mio cugino, perché sai, loro hanno un figlio della mia
stessa età...e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per
loro, visto che non aspettavano altro che una buona scusa per mandarmi via...” concluse quasi infastidito dal
fatto di dover rivangare quei pensieri.
“Amico...non sono bravo con le parole,
quando si tratta di uno sfogo a piena regola come il tuo...”
disse Dorian.
Harry si lasciò sfuggire un lieve sorriso; non sapeva perché, ma in quel ragazzo
c’era qualcosa.
“Io invece, sono cresciuto qui,
sempre...ma non per volontà…quando ero un po’ più piccolo, ogni volta che
vedevo arrivare una coppia che veniva qui per adottare
qualcuno, mi saliva il cuore in gola, volevo essere io...ma il tempo è passato,
io sono cresciuto, e più nessuno mi ha adottato...quindi ora aspetto solo la
maggiore età per andarmene...” disse con un’evidente
traccia di malinconia.
Harry la notò subito:
quante volte lui si era sentito così...abbandonato, solo...
“Quanti anni hai?” chiese Harry per
distrarsi dai suoi tristi pensieri.
“17, tu?” rispose Dorian.
“16, appena compiuti” disse Harry.
Rimasero un po’ in
silenzio, Harry vide il viso di Dorian concentrato, sembra
stesse formulando la domanda che più lo assillava dell’intero discorso.
Harry attese…poi
Dorian parlò con fare curioso.
“Ehm, Harry, ma se tu sei conosciuto, nel
senso che comunque sai chi sono i tuoi, vivevi con gli
zii, vedi...ecco, di solito, tutti abbiamo un qualcuno che ci conosca, come una
madrina, un padrino, o magari, perché no, un tutore…?”.
Harry rimase paralizzato,
ma il suo cervello stava lavorando lucidamente.
“Ehm, vedi, lui...lui, anche lui se n’è
andato, altrimenti non sarei qui...” disse con voce strozzata.
“Come si chiamava?” chiese sempre più
interessato, il nuovo ragazzo.
Harry chiuse un momento gli
occhi.
“Si chiamava...Sirius, ed è morto…per colpa
mia...” disse molto
lentamente, soppesando ogni parola.
“Perché?”.
“Non ne voglio parlare! E comunque non capiresti!” urlò ad un tratto Harry.
Dorian si zittì subito,
consapevole di essersi spinto oltre.
“Mi dispiace...non volevo” cominciò Dorian.
“Non fa niente, non scusarti...non potevi
sapere…” gli disse Harry.
Cadde un interminabile
silenzio tra loro, rotto solo da uno scalpiccio di tacchi, fuori
dalla stanza: era la signora Grant.
Poco dopo si sentì bussare
e la porta si aprì piano; sbucò la testa sorridente della signora Grant.
“Allora, Dorian, hai fatto ambientare il
nuovo arrivato?” chiese.
Dorian annuì ancora un po’
imbarazzato da prima.
“Sono venuta a chiamarvi. Il pranzo è pronto” disse prima di avviarsi lungo il corridoio.
I due ragazzi si guardarono
per un attimo in silenzio, poi Harry prese parola.
“Dai, non ti preoccupare, non è successo
niente, è solo che non ho voglia di parlarne...” disse con voce triste.
Dorian annuì una seconda
volta e precedette Harry fuori dalla camera diretto
nel salone.
Lungo il percorso rimasero
in silenzio.
Arrivati nel grande salone, Harry rimase meravigliato della sua immensa
grandezza, cosa che al suo arrivo aveva notato in parte.
Scese le scale sempre
dietro Dorian, e si accorse che c’erano almeno altri mille tra bambini e
ragazzi come lui.
Tutti ridevano,
scherzavano, facevano un gran chiasso.
A Harry ricordava un po’ la
Sala Grande a Hogwarts.
Si sedettero su una delle
lunghe panche, uno affianco all’altro.
Ogni tanto qualcuno
guardava Harry incuriosito.
Poi la signora Grant prese
parola.
“Allora...oggi è arrivato un nuovo ragazzo,
resterà con noi...si chiama Harry...” la sua voce fu interrotta dal grande applauso che si era
levato tra i ragazzi.
Harry sorrise appena.
La signora Grant lo fissò, poi riprese.
“Come dicevo, è arrivato un nuovo
ragazzo...ma se n’è andato un altro, che proprio oggi è stato
adottato...William Gordon, dormirà per l’ultima notte
qui, poi, domani andrà a vivere con la sua nuova famiglia, tanti auguri
William” disse.
Altro grande applauso.
“E ora, si può
mangiare...” continuò.
Molte persone che
lavoravano in cucina si avvicinarono ai lunghi tavoli e cominciarono a distribuire
i piatti.
I
capofila, grandi e piccini, si
alzavano e facevano scorrere il piatto fino all’ultimo posto.
Ci volle un po’ prima che
tutti avessero il loro piatto davanti, ma poi nessuno più fiatava, perché erano
intenti a mangiare; non volava una mosca.
Harry dapprima, guardò il
brodo scuro nel suo piatto, poi si guardò in giro, e infine, chiudendo gli
occhi, non respirando assaggiò il primo boccone.… non era poi così
male...insomma almeno lì sarebbe stato nutrito come si
deve, almeno non sarebbe stato in perenne dieta come con i Dursley.
Il tempo passò velocemente,
anche se Harry, era sempre più avvilito dal fatto di
trovarsi in un posto del genere: non credeva sarebbe andata a finire così.
Sapeva, naturalmente, che i
Dursley volevano, più di qualsiasi altra cosa al
mondo, abbandonarlo e rinchiuderlo in un orfanotrofio, ma sino ad allora, avevano rinunciato all’idea per paura che potesse
succedere loro qualcosa se la comunità magica, in modo più specifico Silente,
fosse venuto a sapere del loro gesto.
Harry comunque
scoprì di non essere affatto preoccupato per il suo destino e futuro: per lui,
vivere o morire, era diventata la stessa cosa.
Macabro.
Macabro e spregevole il
destino!
Condannare qualcuno sin
dalla nascita, ad una vita in bilico sulla lama di un coltello; farlo sentire
sempre più schiacciato sotto il peso di una Spada di Damocle
che affonda sempre di più.
Questi erano i pensieri che
affollavano la mente di Harry, sempre più stanca,
sempre più triste…
Era seduto su quello che a
mala pena si poteva definire letto, nella sua camera.
Era sopraggiunto il tardo
pomeriggio con una velocità fulminante.
Dorian non era con lui, era
con gli altri a salutare il ragazzo che era stato fortunatamente adottato.
Harry era
solo, in preda ad un’infinita tristezza, poteva scorgere dalla finestra
il lento calare del sole dietro l’orizzonte, e il sopraggiungere della sera,
con nuove nubi e la sua aria rinfrescante.
Era proprio così anche la
sua vita…pur essendo ancora molto giovane, stava anche lui tramontando, stava
lentamente affondando sotto il peso di un infernale macigno che era costretto a
portare…
Tutto e tutti intorno a lui
si stavano spegnendo, condannandolo al buio e alla solitudine più amara.
Era frustrato. Contorto.
Spento.
La vivacità nei suoi occhi,
un tempo così accesi e vitali, era cessata. Scomparsa. Un’ombra di morte era
calata su quel verde così stupefacente.
Si sentiva oppresso.
Infelice.
Ripensandoci, su una cosa
era più che sicuro: alla fine…alla fine di tutto…lui sarebbe morto.
Non voleva ammetterlo
neanche a se stesso, ma sperava ardentemente che Voldemort, alla fine, lo
uccidesse. Anzi, non lo sperava, ma lo voleva.
Voleva morire.
In quel momento avrebbe
significato liberarsi già della colpa di poter vivere, quando, al contrario, persone che forse lo meritavano di più, non
avevano avuto questa fortuna.
Fortuna. Si può parlare di
fortuna? No. No, perché era già scritto, che lui
avrebbe dovuto patire la sofferenza della morte delle persone a lui care, come
ferite atroci aperte sulla pelle.
Ferite che non si possono
rimarginare.
Ferite, che solo la morte
può sanare.
La morte sarebbe stata
un’eterna compagnia.
Senza accorgersene, si era
raggomitolato sul letto come un riccio, mentre fuori, si era improvvisamente
scatenato un temporale.
I lampi, che lo
illuminavano di finta luce bianca, alternavano i tuoni ai suoi singhiozzi.
Stava piangendo.
Harry stava piangendo.
Era un pianto liberatorio
il suo: non aveva pianto così forte, nemmeno subito dopo la morte del suo
padrino.
E il cielo, come un silenzioso aiuto, fece in modo che
il rumore dei tuoni coprisse il suono dei suoi singhiozzi.
***
Aprì gli
occhi lentamente, accecato dalla forte luce abbagliante che penetrava
dalla piccola finestra.
Il temporale era cessato,
ora splendeva il sole, e pur essendo mattina presto, l’aria era già afosa.
Harry si ritrovò con una
coperta adagiata sulle spalle, forse pensiero i
Dorian; guardò l’orologio, segnava le nove e un quarto.
Si voltò verso il letto di
Dorian: era vuoto.
Sbalordito e stranamente
incuriosito, cominciò ad avviarsi verso il bagno.
Non fece in tempo ad aprire
la porta, che quella si aprì con uno schiocco, e ne uscì la testa del suo nuovo
compagno di stanza.
Aveva un volto comunque sorridente.
“Già sveglio?” chiese
curioso.
“Sì…” rispose Harry, quasi non curante, con
una traccia di malinconia nella voce, memore della notte precedente.
Non si sentiva fiero di
aver avuto quello sfogo, di aver avuto quel momento di debolezza, ma doveva
ammettere di sentirsi comunque più leggero.
Il sorriso sul volto di
Dorian scomparve.
“Scusa, io non volevo…volevo solo farti
sentire un po’ meglio, tirarti su il morale, visto che
ieri sera non avevi per niente una bella cera...”
“Non ho bisogno della tua pietà! Del tuo
aiuto! Capito?!” si ritrovò ad urlare Harry.
Dorian sbiancò, abbassò lo
sguardo e si avviò verso la porta, per andare a fare colazione.
Harry gli era di spalle.
Alla porta però Dorian si
fermò.
“Non serve a niente crogiolarsi nei ricordi
tristi e scordarsi che c’è un futuro da costruire” disse con una nota fredda
nella voce.
Harry rimase
un po’ sbalordito, poi lo guardò furioso allontanarsi.
Quando il ragazzo fu
scomparso lungo il corridoio, si rese comunque conto
della sua eccessiva reazione, in fondo lui stava solo cercando di aiutarlo...
Andò a sedersi sul letto, coi gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani.
Chiuse gli occhi,
chiedendosi per quanto ancora avrebbe dovuto patire, prima di poter assaggiare
i primi segni di follia...sperava non a lungo.
Come reggere a quella
situazione? Non lo sapeva neanche lui.
Come uscire da quello stato
in cui si trovava? Nessuna possibilità. Niente. Nessun appiglio o aiuto. Solo
il vuoto più assoluto.
***
Ehm.. ok... Abbiate pietà di me, sono folle, questo è poco, ma sicuro.
Spero che comunque questo secondo capitolo, possa aver destato in voi qualche curiosità O.o (come parlo oggi -.-)… (Non ti illudere… ndtutti)
Intanto un ringraziamento a coloro che hanno letto, e un grazie speciale a chi ha recensito^^
A presto^^
(purtroppo… ndtutti^^)