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Autore: Vale3    17/04/2005    2 recensioni
Freddo, buio, ombra…Ira, odio, sofferenza… Può, un’anima devastata, tornare alla luce? Può provare di nuovo quel calore che scioglie il cuore e rimargina le ferite più profonde? Gli è concesso assaporare almeno l’ombra di un affetto che lo ha sempre condannato?…Ma si sa, il destino non perdona e il passato non si può cambiare… lo si deve solo affrontare, radunando le proprie forze, e combattendo fino alla fine!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V e r s u s

V e r s u s

Capitolo II

 

 

 

 

 

Aveva passato tutto il pomeriggio disteso sul letto a fissare il soffitto.

Quella sera stessa non si fece vedere a cena, dubitava che i Dursley gli avrebbero permesso di mettere piede in cucina.

Il suo stomaco cominciava a brontolare, ma era sempre più convinto ad ignorarlo.

Durante tutto quel tempo che aveva passato da solo, il suo più grande incubo prese lentamente forma nella sua mente: l’orfanotrofio.

Davvero i Dursley sarebbero capaci di poterlo abbandonare in uno di quei posti come un cane?

Non aveva mai temuto di andarci, perché inspiegabilmente aveva sempre sentito una specie di aura attorno a lui, aveva sempre saputo che gli zii non l’avrebbero mai fatto.

Invece, ora, si ritrovava appeso ad un filo; sarebbe finito in quel posto come tutti le persone non ancora maggiorenni che non avevano i genitori, o tutori...già, tutori...lui ce lo aveva sempre avuto, anche se non lo aveva mai saputo...e ancora una volta si ritrovò a pensarlo: quei suoi occhi così profondi, che sapevano rassicurare anche nei momenti più critici, quella sua voce, così forte...basta! Sarebbe impazzito se avrebbe ancora pensato a lui, se lo sentiva.

Doveva disperatamente distrarsi o i ricordi dolorosi lo avrebbero ucciso.

Si costrinse a cambiare pensiero...provava ad immaginare come sarebbe stata la sua nuova vita nella sua nuova casa...perché lo sapeva, i Dursley non avevano nominato quell’orrendo posto per nulla, ci sarebbe andato di sicuro, e allora sarebbe stato perduto.

Ma poi, inconsapevolmente un nuovo pensiero prese forma nella sua mente...non ci aveva pensato dagli ultimi giorni di scuola, quando aveva scoperto tutto...la profezia, Silente...sì, Silente gli aveva detto che solo a Privet Drive sarebbe stato sicuro, che solo vivendo con sua zia sarebbe stato protetto...ecco cosa aveva detto zia Petunia poco prima, che non le sarebbe importato se poi, comunque, Silente l’avrebbe richiamata per il fatto di aver allontanato Harry dalla sua protezione, ma davvero Petunia sarebbe stata in grado di poterlo esporre ad un pericolo così grande?

Un rumore lo distolse da quei pensieri.

Si guardò attorno, sapeva che i Dursley erano andati a letto dopotutto erano le due di notte, ma non riusciva a capire da dove potesse venire quello stridio.

Poi si voltò verso la finestra e vide due gufi fuori e cercavano nuovamente di attirare la sua attenzione.

Si avvicinò automaticamente e vide che uno era Leo, il gufetto di Ron, e l’altro era il gufo dell’ufficio postale magico.

Harry, stufo, affamato, ma curioso, prese ad aprire la prima lettera, quella di Ron.

Era talmente stanco di tutto e di tutti, che non badò al fatto che i suoi due amici gli avevano appena spedito i loro auguri per il suo compleanno.

Harry, era così stordito, offuscato, da non riuscire neanche a strapparsi un sorriso per il semplice fatto di aver compiuto sedici anni...non gli importava un granché.

Gettando le lettere sulla scrivania, lasciò uscire i due gufi senza nessuna risposta, si avviò verso il suo letto, sicuro che quella notte sarebbe stata l’ennesima in bianco.

***

 

La mattina dopo sentì il sole caldo entrare dai vetri della finestra e riscaldargli il volto.

Si alzò molto lentamente, cercando di arrivare giù in cucina il più tardi possibile; sapeva quale spettacolo si sarebbe trovato davanti, e francamente non aveva la minima voglia di subirsi per la seconda volta in due giorni, qualche altra perfida battuta su di lui, o peggio ancora, sui suoi amici.

Quando proprio non poté più tirarla per le lunghe, scese con passo felpato le scale, e ancora una volta poté ascoltare di nascosto quello che, intanto, diceva la voce di sua zia al telefono.

    “Non c’è speranza, mi creda...sì ha sedici anni, ma noi non ce la facciamo più a tenerlo a casa...è ...è un teppista, uno squilibrato...voglio dire, lei mi capisce...abbiamo paura, la notte quando rientra tardi,  chiudiamo la porta della camera...ci aiuti, la prego…” diceva zia Petunia.

Che brava attrice pensò Harry avvilito e furibondo al tempo stesso.

    Ooh, grazie, grazie signore...ci libera di un peso...perché sa, all’inizio credevamo di crescerlo bene, è figlio di mia sorella, che è morta quindici anni fa in un incidente stradale...ne hanno parlato anche al telegiornale, se lo deve ricordare... inventò al momento la zia per sembrare più convincente. “Comunque grazie...quando lo portiamo?...certo, come vuole, a più tardi allora...buona giornata...” terminò riagganciando il telefono.

Harry sentì un urlò quasi disumano proveniente da giù: erano tutti e tre i Dursley che gioivano per la notizia.

Harry, come se niente fosse, entrò in cucina e fece in tempo a vedere Dudley che ancora saltava come un pazzo per tutta la stanza.

Zia Petunia si voltò verso di lui e la sua faccia cavallina si storse in una smorfia schifata.

    “Eccoti accontentato, oops, volevo dire eccoci accontentati... e tutti scoppiarono in una forte risata, mentre Harry li guardava con un sopracciglio inarcato.

    “Dobbiamo accompagnarti lì per le undici di oggi...vatti subito a preparare...e vedi di non dimenticare niente, caro…” disse sottolineando bene l’ultima parola.

Harry corse su per le scale, diretto in camera, per fare l’unica casa sensata in un momento del genere.

Prese il primo foglio di pergamena sotto mano e prese a scrivere.

 

 

Oggi, verrò portato all’orfanotrofio di Londra babbana. I miei zii hanno preso questa decisione, dopo una lite avvenuta ieri.

Non so quanto importi a Petunia, pur essendone a conoscenza, della mia magica protezione.

                                                                             Harry Potter

 

 

 

Harry rilesse la breve lettera, poi la legò alla zampa di Edvige.

    “Fai in fretta, per favore...è per il professor Silente, credo lo troverai ad Hogwarts...vai!” le disse liberandola nel cielo.

Rimase fisso guardandola sparire dietro una nuvola, poi si ricordò che doveva fare in fretta, doveva preparare i bagagli.

Raccolse velocemente le poche cose che aveva sparse per la camera, le chiuse tutte nel grande baule di Hogwarts. Si chiese se avrebbe avuto problemi con quello, ma non c’era tempo.

Scese in salotto, dove trovò tutti e tre i Dursley che lo aspettavano con un sorriso sul volto.

Harry li raggiunse in silenzio, e poi lanciando un’occhiata di sfuggita a Dudley, vide che aveva ancora quel malefico ghigno sul volto.

Salirono in macchina, ed Harry vide le case di Privet Drive sfrecciare fuori dal finestrino. Rivide in breve la sua vita prima di Hogwarts, quando era cresciuto in quel quartiere, quando vi passava tutti i giorni, tutto l’anno.

Una nuove ondata di malinconia gli strinse il cuore, cominciava seriamente a chiedersi che ne sarebbe stato di lui...ma anche in un futuro, se mai sarebbe sopravvissuto ad un definitivo scontro contro Voldemort, il che era molto improbabile, quale sarebbe stata la sua vita, piena di sofferenza per quello che aveva dovuto subire fin dall’età di anno, quando il Male aveva strappato prepotentemente la vita dal cuore dei suoi genitori e lo aveva ridotto in quella situazione? In quelle volte nelle quali si perdeva a fantasticare su un possibile futuro, non riusciva comunque a figurarselo colmo di felicità, magari circondato dalle persone che amava di più...ma quelle persone pian piano stavano scomparendo tutte, risucchiate dall’orribile buco nero della morte; una morte non meritata, ma sopraggiunta, e in più per colpa sua...perché, perché tutte le persone che lo amavano per quello che era o per quello che ricordava, o che semplicemente lo proteggevano, erano destinate a morire? Perché? Anche loro avevano diritto ad una vita piena di serenità, senza il fiato caldo della morte sul collo, che poteva cogliergli da un momento all’altro...ancora una volta, la vita era ingiusta...

A volte si trovava a pensare, se la sua vita dal principio fosse stata diversa, o se semplicemente fosse stato qualcun altro, come sarebbe stata? Sicuramente normale...e allora perché proprio a lui? Questa è la domanda che si ritrovano a pensare o a chiedersi tutti quelli che sono speciali, che sono “eletti”, che sono prescelti… che cambieranno la storia, nel bene o nel male...

Senza rendersene conto la macchina di zio Vernon stava rallentando e prese a girare in un vicolo di quelli da brivido.

L’auto si fermò proprio davanti ad un palazzo.

L’imponente struttura sembrava antica, era completamente in pietra, e sembrava avesse bisogno di una profonda ristrutturata.

Aveva la strana forma di un tempio greco: le colonne che precedevano il grande portone di legno, erano riccamente decorate, e vicino all’entrata vi era appeso un cartello, chiaramente vecchio, con lettere grandi e sbucciate, sul quale vi era scritto: Orfanotrofio Grant.

Harry pensò che Orfanotrofio fosse un po’ antiquato, ma comunque la parola s’intonava con l’aria lugubre del posto.

Rimasero un po’ a guardarsi senza una parola, intanto Harry faceva correre lo sguardo sulle numerose finestre del palazzo, probabilmente erano ognuna, una stanza diversa affidata ai numerosi ragazzi e bambini che con ogni probabilità vi trovavano casa.

Improvvisamente il grande portone si aprì facendo uscire una donna, all’apparenza molto severa, con un cipiglio che avrebbe fatto concorrenza solo alla McGranitt.

Venne verso di loro, però, sfoggiando un gran sorriso.

    “Buongiorno, buongiorno signori...” disse con voce aspra e sbrigativa.

    “Mi presento, sono Amelia Grant, attuale direttrice  di questo orfanotrofio...mio nonno lo ha fondato...voi dovreste essere i signori Dursley, non è vero?” chiese scorrendo un elenco di nomi su un taccuino.

Gli zii annuirono vigorosamente.

La signora Grant fece un largo sorriso.

    “Bene...” disse  scrutando Harry e Dudley, che fece cenno verso il cugino.  “Bene...e tu...devi essere il nuovo arrivato...Harry!” esclamò puntando un indice verso di lui, che trasalì.

    “Sì...sì, vediamo...allora, Harry, diventerai uno dei nostri, la tua zia mi ha raccontato la tua storia, i tuoi genitori...insomma, tutto quello che c’è da sapere, no?” disse e senza neanche aspettare una possibile risposta, strinse la mano ai Dursley, afferrò Harry per un braccio e lo tirò a sé, dopodiché, si rivolse agli zii: “Allora, piacere di avervi conosciuto, Harry si troverà bene qui, potrà vivere tranquillo...arrivederci e grazie, abbiamo ancora così tante cose da fare!” disse cominciando a rientrare.

I Dursley si guardarono per un po’ perplessi, poi sfoggiarono uno dei loro più falsi sorrisi, e rimasero a vedere Harry che spariva oltre quel portone, convinti di essersi liberati di lui per sempre.

Harry, dal canto suo, si fermò a guardare per l’ultima volta quelle persone, che avrebbero dovuto essere i primi ad amarlo.

 

***

 

Una volta all’interno, Harry si guardò intorno, entrando, si era ritrovato in una grande sala, col pavimento di legno, le pareti dipinte in modo infantile, e qualche quadro appeso qua e là.

Al soffitto erano appesi tre grossi lampadari penzolanti, di quelli che sembravano provenire da qualche antica reggia francese.

Il grande salone, era abbracciato da due rampe di scale che si trovavano poi in un punto in comune al secondo piano; lì, si potevano incominciare a vedere le varie porte delle tante stanze tutte numerate; all’improvviso si chiese se quello splendore apparteneva solo al salone di ingresso.

Arrivò la signora Grant, che gli si avvicinò, lo spinse per una spalla, sembrava volesse guidarlo al piano di sopra.

Mentre saliva, sentì strani bisbigli provenienti tutto intorno a lui.

Senza smettere di salire le scale, si voltò verso le voci; non vide altro che tanti piccoli visino sporgere dalle ringhiere delle scale, per poi scomparire e far posto ad altri visi, un po’ più grandi e maturi. Si voltò verso la signora Grant, che lo precedette.

    “Non ti preoccupare...sono solo gli altri ragazzi e bambini che vivono qui, fanno sempre così quando arriva qualcuno nuovo, sono tremendamente curiosi” disse con voce mielosa.

I bisbigli non cessarono neanche quando Harry e la signora Grant arrivarono al secondo piano.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui Harry fece scorrere il suo sguardo su tutti quelli occhietti che lo fissavano dall’interno delle stanza, o seminascosti dietro lo stipite di una porta.

La signora Grant li guardò con guardo severo.

    “Che diavolo ci fate fuori dalle vostre stanze? Non è ancora il momento di uscire! Tornate dentro, immediatamente!” urlò furiosamente.

Poi tornò a rivolgersi ad Harry, in un modo falsamente gentile.

    “Vieni...Harry, giusto? Ti accompagno nella tua nuova stanza... disse facendo cenno verso una porta quasi alla fine del lungo corridoio.

Harry la seguì.

Una volta arrivati, la signora Grant aprì la porta e fece cenno a Harry di entrare.

Il ragazzo la guardò un po’ spaesato, poi fece un gran respiro e fece un lungo passo.

La camera, più che camera, sembrava un una cella di qualche prigione: aveva i muri grezzi, grigi, color cemento; aveva un’unica finestra con delle sbarrette verticali molto vicine tra loro.

Harry guardò l’intero ambiente a bocca aperta; altro che accoglienza! Quella era una gabbia! C’erano due letti, uno a destra e l’altro a sinistra, e Harry non aveva la minima idea a chi potesse appartenere.

D’un tratto la signora Grant parlò.

    “Tu sarai in camera con un altro ragazzo, qui comincia ad esserci un problema di spazio...gli orfani o i ragazzi come te sono sempre più numerosi, ma dico io...dove andremo a finire?” disse con voce altera.

All’improvviso, dalla porta, dietro la signora Grant, apparve una testa color miele, con due grandi occhi castani.

Il nuovo arrivato superò la signora Grant e andò a stringere subito la mano di Harry.

    “Ciao, io sono Dorian Orwell, e tu?” disse in un solo fiato.

Harry rimase un po’ stupito, ma poi rispose.

    “ Io mi chiamo Harry Potter, e a quanto pare sarò il tuo nuovo compagno di camera...” disse Harry un po’ imbarazzato.

    “Beh, allora io vado, ho molte cose da fare” disse la signora Grant, avviandosi alla porta per poi sparire lungo il corridoio.

I due ragazzi rimasero per un po’ in silenzio.

     “Allora, sei veramente nuovo?” chiese Dorian improvvisamente, sedendo sul suo letto.

Harry annui con la testa.

    “Voglio dire...sei venuto in questo postaccio solo ora, com’è?” chiese di nuovo.

    “Beh, vedi...io vivevo con qualcuno...” iniziò Harry.

    “Con chi?”.

    “Con i miei zii...ma è una storia lunga...raccontami tu piuttosto, come sei finito qui?” chiese Harry piuttosto freddo, cambiando discorso.

Sembrò che il ragazzo ci stesse pensando su.

    “Guarda...non so sinceramente come ci sono finito, però sono sicuro di una cosa: sono cresciuto qui, da sempre...perché so che i miei genitori mi hanno abbandonato quando ero ancora un neonato, e poi qualcuno mi avrà portato qui... disse con voce un po’ rotta.

Harry si lasciò quasi intenerire, e così si decise anche lui a raccontare.

    “Per quanto riguarda me....so solo quello che mi hanno raccontato i miei zii, cioè, che quando avevo solo un anno, io e i miei genitori facemmo un grande incidente stradale…loro morirono, mentre io...”  disse, ma il ragazzo lo interruppe.  “Tu ti salvasti procurandoti quella cicatrice... disse indicando la fronte di Harry.

Harry rimase sbigottito.

    Come...?” chiese ancora.

Il ragazzo fece spallucce.

    “Non è difficile capire che ti sei salvato, visto che sei qui, per quanto riguarda la cicatrice..., chiamalo intuito” disse ammiccando piano con un occhio.

Harry sorrise freddamente.

    E poi?” lo esortò Dorian.

    “E poi...mi mandarono a vivere da i miei zii per tutti questi anni...ma sono qui perché loro mi odiano, vedi...loro e i miei non erano in buoni rapporti, e loro sono i miei unici parenti ancora in vita...per cui per forza da loro sarei dovuto andare...” disse.

    Che fortuna, eh?” disse Dorian sorridendo.

    “Già...poi, ieri, mi sono trovato a dare un pugno a quel tonto di mio cugino, perché sai, loro hanno un figlio della mia stessa età...e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per loro, visto che non aspettavano altro che una buona scusa per mandarmi via... concluse quasi infastidito dal fatto di dover rivangare quei pensieri.

     “Amico...non sono bravo con le parole, quando si tratta di uno sfogo a piena regola come il tuo... disse Dorian.

Harry si lasciò sfuggire un lieve sorriso; non sapeva perché, ma in quel ragazzo c’era qualcosa.

     “Io invece, sono cresciuto qui, sempre...ma non per volontà…quando ero un po’ più piccolo, ogni volta che vedevo arrivare una coppia che veniva qui per adottare qualcuno, mi saliva il cuore in gola, volevo essere io...ma il tempo è passato, io sono cresciuto, e più nessuno mi ha adottato...quindi ora aspetto solo la maggiore età per andarmene...” disse con un’evidente traccia di malinconia.

Harry la notò subito: quante volte lui si era sentito così...abbandonato, solo...

    “Quanti anni hai?” chiese Harry per distrarsi dai suoi tristi pensieri.

    “17, tu?” rispose Dorian.

    “16, appena compiuti” disse Harry.

Rimasero un po’ in silenzio, Harry vide il viso di Dorian concentrato, sembra stesse formulando la domanda che più lo assillava dell’intero discorso.

Harry attese…poi Dorian parlò con fare curioso.

    “Ehm, Harry, ma se tu sei conosciuto, nel senso che comunque sai chi sono i tuoi, vivevi con gli zii, vedi...ecco, di solito, tutti abbiamo un qualcuno che ci conosca, come una madrina, un padrino, o magari, perché no, un tutore…?”.

Harry rimase paralizzato, ma il suo cervello stava lavorando lucidamente.

    “Ehm, vedi, lui...lui, anche lui se n’è andato, altrimenti non sarei qui... disse con voce strozzata.

    “Come si chiamava?” chiese sempre più interessato, il nuovo ragazzo.

Harry chiuse un momento gli occhi.

    “Si chiamava...Sirius, ed è morto…per colpa mia... disse molto lentamente, soppesando ogni parola.

    Perché?”.

    “Non ne voglio parlare! E comunque non capiresti!” urlò ad un tratto Harry.

Dorian si zittì subito, consapevole di essersi spinto oltre.

   “Mi dispiace...non volevo” cominciò Dorian.

    “Non fa niente, non scusarti...non potevi sapere…” gli disse Harry.

Cadde un interminabile silenzio tra loro, rotto solo da uno scalpiccio di tacchi, fuori dalla stanza: era la signora Grant.

Poco dopo si sentì bussare e la porta si aprì piano; sbucò la testa sorridente della signora Grant.

    “Allora, Dorian, hai fatto ambientare il nuovo arrivato?” chiese.

Dorian annuì ancora un po’ imbarazzato da prima.

    “Sono venuta a chiamarvi. Il pranzo è pronto” disse prima di avviarsi lungo il corridoio.

I due ragazzi si guardarono per un attimo in silenzio, poi Harry prese parola.

    “Dai, non ti preoccupare, non è successo niente, è solo che non ho voglia di parlarne... disse con voce triste.

Dorian annuì una seconda volta e precedette Harry fuori dalla camera diretto nel salone.

Lungo il percorso rimasero in silenzio.

Arrivati nel grande salone, Harry rimase meravigliato della sua immensa grandezza, cosa che al suo arrivo aveva notato in parte.

Scese le scale sempre dietro Dorian, e si accorse che c’erano almeno altri mille tra bambini e ragazzi come lui.

Tutti ridevano, scherzavano, facevano un gran chiasso.

A Harry ricordava un po’ la Sala Grande a Hogwarts.

Si sedettero su una delle lunghe panche, uno affianco all’altro.

Ogni tanto qualcuno guardava Harry incuriosito.

Poi la signora Grant prese parola.

    “Allora...oggi è arrivato un nuovo ragazzo, resterà con noi...si chiama Harry... la sua voce fu interrotta dal grande applauso che si era levato tra i ragazzi.

Harry sorrise appena. 

La signora Grant lo fissò, poi riprese.

    “Come dicevo, è arrivato un nuovo ragazzo...ma se n’è andato un altro, che proprio oggi è stato adottato...William Gordon, dormirà per l’ultima notte qui, poi, domani andrà a vivere con la sua nuova famiglia, tanti auguri William” disse.

Altro grande applauso.

    E ora, si può mangiare...” continuò.

Molte persone che lavoravano in cucina si avvicinarono ai lunghi tavoli e cominciarono a distribuire i piatti.

I capofila, grandi e piccini, si alzavano e facevano scorrere il piatto fino all’ultimo posto.

Ci volle un po’ prima che tutti avessero il loro piatto davanti, ma poi nessuno più fiatava, perché erano intenti a mangiare; non volava una mosca.

Harry dapprima, guardò il brodo scuro nel suo piatto, poi si guardò in giro, e infine, chiudendo gli occhi, non respirando assaggiò il primo boccone.… non era poi così male...insomma almeno lì sarebbe stato nutrito come si deve, almeno non sarebbe stato in perenne dieta come con i Dursley.

Il tempo passò velocemente, anche se Harry, era sempre più avvilito dal fatto di trovarsi in un posto del genere: non credeva sarebbe andata a finire così.

Sapeva, naturalmente, che i Dursley volevano, più di qualsiasi altra cosa al mondo, abbandonarlo e rinchiuderlo in un orfanotrofio, ma sino ad allora, avevano rinunciato all’idea per paura che potesse succedere loro qualcosa se la comunità magica, in modo più specifico Silente, fosse venuto a sapere del loro gesto.

Harry comunque scoprì di non essere affatto preoccupato per il suo destino e futuro: per lui, vivere o morire, era diventata la stessa cosa.

Macabro.

Macabro e spregevole il destino!

Condannare qualcuno sin dalla nascita, ad una vita in bilico sulla lama di un coltello; farlo sentire sempre più schiacciato sotto il peso di una Spada di Damocle che affonda sempre di più.

Questi erano i pensieri che affollavano la mente di Harry, sempre più stanca, sempre più triste…

Era seduto su quello che a mala pena si poteva definire letto, nella sua camera.

Era sopraggiunto il tardo pomeriggio con una velocità fulminante.

Dorian non era con lui, era con gli altri a salutare il ragazzo che era stato fortunatamente adottato.

Harry era solo, in preda ad un’infinita tristezza, poteva scorgere dalla finestra il lento calare del sole dietro l’orizzonte, e il sopraggiungere della sera, con nuove nubi e la sua aria rinfrescante.

Era proprio così anche la sua vita…pur essendo ancora molto giovane, stava anche lui tramontando, stava lentamente affondando sotto il peso di un infernale macigno che era costretto a portare…

Tutto e tutti intorno a lui si stavano spegnendo, condannandolo al buio e alla solitudine più amara.

Era frustrato. Contorto. Spento.

La vivacità nei suoi occhi, un tempo così accesi e vitali, era cessata. Scomparsa. Un’ombra di morte era calata su quel verde così stupefacente.

Si sentiva oppresso. Infelice.

Ripensandoci, su una cosa era più che sicuro: alla fine…alla fine di tutto…lui sarebbe morto.

Non voleva ammetterlo neanche a se stesso, ma sperava ardentemente che Voldemort, alla fine, lo uccidesse. Anzi, non lo sperava, ma lo voleva.

Voleva morire.

In quel momento avrebbe significato liberarsi già della colpa di poter vivere, quando, al contrario, persone che forse lo meritavano di più, non avevano avuto questa fortuna.

Fortuna. Si può parlare di fortuna? No. No, perché era già scritto, che lui avrebbe dovuto patire la sofferenza della morte delle persone a lui care, come ferite atroci aperte sulla pelle.

Ferite che non si possono rimarginare.

Ferite, che solo la morte può sanare.

La morte sarebbe stata un’eterna compagnia.

Senza accorgersene, si era raggomitolato sul letto come un riccio, mentre fuori, si era improvvisamente scatenato un temporale.

I lampi, che lo illuminavano di finta luce bianca, alternavano i tuoni ai suoi singhiozzi.

Stava piangendo.

Harry stava piangendo.

Era un pianto liberatorio il suo: non aveva pianto così forte, nemmeno subito dopo la morte del suo padrino.

E il cielo, come un silenzioso aiuto, fece in modo che il rumore dei tuoni coprisse il suono dei suoi singhiozzi.

***

 

Aprì gli occhi lentamente, accecato dalla forte luce abbagliante che penetrava dalla piccola finestra.

Il temporale era cessato, ora splendeva il sole, e pur essendo mattina presto, l’aria era già afosa.

Harry si ritrovò con una coperta adagiata sulle spalle, forse pensiero i Dorian; guardò l’orologio, segnava le nove e un quarto.

Si voltò verso il letto di Dorian: era vuoto.

Sbalordito e stranamente incuriosito, cominciò ad avviarsi verso il bagno.

Non fece in tempo ad aprire la porta, che quella si aprì con uno schiocco, e ne uscì la testa del suo nuovo compagno di stanza.

Aveva un volto comunque sorridente.

    “Già sveglio?” chiese curioso.

    “Sì…” rispose Harry, quasi non curante, con una traccia di malinconia nella voce, memore della notte precedente.

Non si sentiva fiero di aver avuto quello sfogo, di aver avuto quel momento di debolezza, ma doveva ammettere di sentirsi comunque più leggero.

Il sorriso sul volto di Dorian scomparve.

    “Scusa, io non volevo…volevo solo farti sentire un po’ meglio, tirarti su il morale, visto che ieri sera non avevi per niente una bella cera...”

    “Non ho bisogno della tua pietà! Del tuo aiuto! Capito?!” si ritrovò ad urlare Harry.

Dorian sbiancò, abbassò lo sguardo e si avviò verso la porta, per andare a fare colazione.

Harry gli era di spalle.

Alla porta però Dorian si fermò.

    “Non serve a niente crogiolarsi nei ricordi tristi e scordarsi che c’è un futuro da costruire” disse con una nota fredda nella voce.

Harry rimase un po’ sbalordito, poi lo guardò furioso allontanarsi.

Quando il ragazzo fu scomparso lungo il corridoio, si rese comunque conto della sua eccessiva reazione, in fondo lui stava solo cercando di aiutarlo...

Andò a sedersi sul letto, coi gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani.

Chiuse gli occhi, chiedendosi per quanto ancora avrebbe dovuto patire, prima di poter assaggiare i primi segni di follia...sperava non a lungo.

Come reggere a quella situazione? Non lo sapeva neanche lui.

Come uscire da quello stato in cui si trovava? Nessuna possibilità. Niente. Nessun appiglio o aiuto. Solo il vuoto più assoluto.

 

 

***

Ehm.. ok... Abbiate pietà di me, sono folle, questo è poco, ma sicuro.

Spero che comunque questo secondo capitolo, possa aver destato in voi qualche curiosità O.o (come parlo oggi -.-)… (Non ti illudere… ndtutti)

Intanto un ringraziamento a coloro che hanno letto, e un grazie speciale a chi ha recensito^^

 

A presto^^

 

 

 

 

(purtroppo… ndtutti^^)

 

 

 

 

  
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