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Autore: Vale3    13/04/2005    7 recensioni
Freddo, buio, ombra…Ira, odio, sofferenza… Può, un’anima devastata, tornare alla luce? Può provare di nuovo quel calore che scioglie il cuore e rimargina le ferite più profonde? Gli è concesso assaporare almeno l’ombra di un affetto che lo ha sempre condannato?…Ma si sa, il destino non perdona e il passato non si può cambiare… lo si deve solo affrontare, radunando le proprie forze, e combattendo fino alla fine!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spero possa piacervi

Spero possa piacervi!  ;-)

 

 

 

V e r s u s

Capitolo I

 

 

 

 

Era tutto sfuocato…una stanza…una stanza poco illuminata…un arco…persone…persone sfuocate…persone che si agitavano, correvano, si muovevano in un turbinio di immagini quasi senza senso...fiotti di luce colorata vagavano poco distanti…corpi…corpi che cadevano… corpi che si rialzavano e riprendevano quella che sembrava un’interminabile battaglia…e poi lui…lui…la sua immagine era nitida e fresca, come una fotografia…i suoi movimenti erano fluidi…apparivano in un modo che ricordava quasi la scena di un film…a rallentatore…era terribile…

I suoi capelli neri e lunghi ondeggiavano seguendo i movimenti del suo corpo…facevano da cornice a quel volto deformato dalla concentrazione e dall’attenzione…ogni errore poteva essere fatale…e poi…quel momento maledetto…l’arco che lo inghiottiva prepotentemente…il suo viso…il suo volto stupito e, al tempo stesso impaurito, scompariva velocemente dietro quel velo…troppo velocemente…troppo…il tempo non ha aspettato…il destino non ha concesso…lo ha solo portato via…per sempre…per sempre…

Aprì gli occhi di scatto, saltando a sedere sul letto, ansimava come se avesse corso.

Si toccò il volto, la fronte, si accorse che era sudata; si asciugò con la manica del pigiama, ma nulla di quello che stava facendo fu in grado di distoglierlo da quello che aveva appena visto, o meglio sognato.

Fece un gran respiro, cercò di calmarsi, anche se era inutile.

Gli lampeggiarono in mente all’istante, le immagini, come fotogrammi, di quello che era stato l’ennesimo incubo.

Da quella notte maledetta, non faceva che sognarlo, non faceva che svegliarsi nel cuore della notte, con i battiti a mille, tutto sudato e con il fiatone.

Non avrebbe retto ancora a lungo…Sapeva di essere al limite di sopportazione.

Da quando era tornato a Privet Drive,  le cose sembravano andar peggio, la rabbia si era triplicata, ma non aveva la forza di calmarla; la tristezza lo sopraffaceva più spesso, ma non riusciva a uscire da quei momenti d’angoscia. Era diventato qualcosa di molto simile ad un vegetale…viveva giusto perché era obbligato, ma non provava minima gioia nel farlo. Non era più lui. Non era più l’Harry che tutti conoscevano, non era più quel ragazzo così forte e coraggioso, ma anche così fragile e debole, fragilità che lui abilmente nascondeva sotto una dura e imperforabile corazza, che adesso era andata distrutta in mille pezzi.

Restò in silenzio seduto sul letto ad ascoltare i battiti del suo cuore che pian piano tornavano a farsi normali.

In quel momento non pensava a nulla, solo a quanto era ingiusta la vita…

Per quanto riguardava l’aspetto esteriore, oltre alle occhiaie, causate dalle varie notti insonnie, si poteva definire normale, senza alcuna preoccupazione; ma in fondo all’animo, nel più profondo del cuore, la sua ardente fiamma di vita si stava ogni giorno più indebolendo…stava morendo, di dolore.

Non erano poche le volte che si era ritrovato con lo sguardo fisso nel vuoto, e poi si era accorto delle lacrime silenziose che solcavano il suo giovane volto…ma il suo dolore, la sua rabbia, il suo sconforto andavano ben oltre delle semplici lacrime.

Che cos’erano le lacrime in confronto all’orrore che si portava dentro? Niente. Sapeva solamente che non ne sarebbe mai uscito. Sapeva solamente che non c’era rimedio, non c’era cura.

Involontariamente si risdraiò sul letto, con la testa sul cuscino, a guardare il soffitto. Il suo sguardo andava al di là del muro sopra si lui; vagava per i ricordi, che lui serbava gelosamente in un angolo nascosto del suo cuore.

Rimase così a lungo, non seppe dire per quanto, ma in fondo non era importante.

Si ricordò, lentamente, della prima volta che lo vide; quei ricordi gli tornavano spesso in mente…rivide quella sera di tre anni prima quando scappò da casa dei suoi zii.

Si ricordò, con un sorriso amaro sul volto, di quei due occhi che lo fissavano vicino ad un garage in Privet Drive…la prima volta…Sirius.

Lui non lo sapeva, non immaginava neppure, che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata inconsapevolmente.

Quel ricordo prese a sfumare, facendone affiorare un altro.

Si ritrovò, con la mente, in quella che aveva l’aria di essere la Stamberga Strillante…sì, proprio lì dove lo stesso anno si trovò faccia a faccia con lui…solo alla fine di quell’incontro si rese conto di non essere solo al mondo…di avere, e di aver sempre avuto, anche se non vicino, qualcuno che lo amasse e che teneva a lui forse addirittura più della sua stessa vita...Sirius.

Chiuse gli occhi per un attimo, e una lacrima solitaria prese a scivolare sul suo volto sudato. Riaprì gli occhi e vide tutto sfuocato, le lacrime avevano riempito i suoi occhi già colmi di tristezza.

Tirò su col naso, si passò una manica sulle palpebre per asciugarle, fece un altro profondo respiro, si voltò su un lato e chiuse gli occhi nel tentativo vano di riprendere sonno.

Inutile.

Lo sapeva bene, sperava solamente.

Innervosito, si alzò nuovamente di scatto, questa volta inforcò gli occhiali e si diresse verso l’armadio.

Lentamente aprì l’anta cigolante, e si fissò nello specchio attaccato.

Un ragazzo dall’aria sciupata gli ricambiava lo sguardo, lo fissava triste.

Harry si passò le mani sul volto nel tentativo di cancellare per sempre quell’identità, Harry Potter…

Quando si rivolse nuovamente allo specchio, pensò duramente: Voldemort, perché non mi vieni a prendere? Sono stufo di tutto...perché non mi vieni a distruggere definitivamente? Non voglio più essere io, non voglio più vivere…perché mi prolunghi la condanna e la sofferenza? Voglio che sia ora, ora…

Harry scosse la testa rivolto allo specchio.

    “Ho fallito...non sono neanche in grado di proteggere le persone che amo...eppure io riesco sempre a cavarmela, questo non è giusto... continuò sostenendo il suo sguardo attraverso lo specchio.

All’improvviso sentì un fruscio d’ali, si voltò con lentezza verso la finestra e vide curiosamente un gufo che cominciò a battere il becco contro il vetro.

Il ragazzo si diresse verso la finestra e aprì l’anta.

Il gufo sembrava provenire dalla scuola, ma perché in piena notte?

Harry prese la lettera che l’animale tendeva, l’aprì.

Era un messaggio di Silente, era breve, ma conteneva mille significati.

 

Perché vuoi farti del male, Harry…

 

Harry non rimase stupito di quell’unico breve messaggio, lesse le parole senza neanche prestare attenzione a quello che potevano racchiudere al loro interno.

Quasi casualmente appallottolò il foglietto e lo buttò nel piccolo cestino che c’era di fianco alla sua scrivania.

Si diresse poi verso il suo letto, guardò la sua sveglia che segnava le 5.30 del mattino, si sedette sulla coperta, e lentamente, nella sua mente presero forma le parole di Silente.

Le ripeté ad alta voce, ma non colse nessun significato, che invece in condizioni normali avrebbe colto.

Rimase per un po’ di tempo in quella posizione, riflettendo.

Di certo non si può dire che erano pensieri quelli che si formavano all’interno della sua mente; infatti ovunque andasse, qualunque cosa facesse, l’unica cosa che si vedeva sempre davanti era la morte di Sirius.

Giorno e notte. Notte e giorno. Stava impazzendo, ma non riusciva a reagire, per quanto potesse provarci. Non riusciva. No.

Rimase così finché non sentì qualcuno che bussava forte alla sua porta.

    “Allora, dannato ragazzo, ti svegli? Sono le sei, e io devo andare!” disse una voce burbera all’esterno della stanza.

Harry non ci fece neanche caso al tono minaccioso della voce di zio Vernon, che in quei giorni andava a lavorare molto presto.

Si alzò, si diresse piano verso la porta e l’aprì.

Vernon rimase un po’ allibito dallo sguardo perso del ragazzo, mai in vita sua era stato così, che diavolo era successo?

Harry si limitò a fissarlo, e sentì la rabbia di zio Vernon crescere.

    “Allora, che fai lì impalato? Muoviti! Non ho così tanto tempo...” cominciò lo zio, ma non finì la frase che Harry aveva puntato il dito contro il suo naso grassoccio.

    “Sei impazzito, forse?” sbraitò Vernon restando lì dov’era.

Harry lo fissò con uno sguardo truce.

    “Nessuno...nessuno mi si rivolgerà più con quel tono, mai!” disse il ragazzo a denti stretti.

    “Avete finito di trattarmi così, non fa neanche piacere a me stare qui, ma devo! Quindi d’ora in poi io sarò solo un fantasma in casa vostra, nella vostra vita...anche se solo questo sono stato negli ultimi quindici anni!” urlò con quanto più fiato avesse in gola: perché era stufo, perché non li sopportava più.

Dopodiché, senza degnare di uno sguardo lo zio, che si era ammutolito, girò sui tacchi e scese in cucina.

Arrivato, cominciò a prepararsi qualcosa da mangiare anche se non aveva fame: era da un po’ che non mangiava come si deve, ma un senso di vuoto e nausea lo prendeva ogni volta che sentiva nominare la parola cibo.

Dopo quella che a mala pena si poteva definire colazione, Harry si alzò da tavola, fece per salire le scale per andare a rintanarsi in camera sua, quando qualcosa di molto grosso gli si parò davanti.

Alzò lo sguardo sul massiccio corpo di suo cugino Dudley, che lo guardò con aria di sfida.

Harry sostenne lo sguardo per nulla intimorito.

    “Allora, cugino...come te la spassi?” chiese in modo falsamente casuale il cugino, sbadigliando vistosamente.

    E cosa te ne importa?” chiese Harry in tono di sfida.

Sul volto di Dudley apparve un ghigno malefico.

    “Non hai ancora smesso di blaterare nel sonno, eh?” chiese prendendolo in giro.

Harry lo fissò, ma non aprì bocca, voleva sapere fin dove si sarebbe spinto il cugino.

   “Chi è Sirius?” chiese con vocina stranamente angelica.

Il volto di Harry divenne una maschera di puro odio, lo aveva sentito parlare nel sonno in quei rari momenti in cui riusciva a dormire; a volte si chiedeva se il cugino avesse orecchie o radar.

Harry comunque non rispose: rimase a guardarlo impassibile, cercando di non far trasparire alcuna emozione o espressione.

Il ghigno di Dudley si allargò.

    “Allora? Non rispondi? E’ qualche altro strano tizio del tuo pazzo mondo? Qualcun altro che ha fatto una brutta fine?” continuò.

Si stava ripetendo tutto esattamente come l’estate precedente.

Harry cominciò a bollire dalla rabbia; il cugino sembrò accorgersene.

    “Beh...se ha fatto una brutta fine, c’è solo da stare contenti, no?” chiese sadicamente.

    Ma cosa ne puoi sapere tu...” disse Harry quasi ringhiando.

Quella frase e quell’espressione tolsero il sorriso maligno dal volto di Dudley, che non si aspettava una reazione dal cugino, il quale non dava segni di vita da più di un mese.

Cominciò ad indietreggiare, mentre un Harry sempre più arrabbiato si faceva più vicino.

I loro volti quasi si sfioravano; Harry parlò scandendo bene le parole, con l’intenzione di far recepire il messaggio anche ad una mente come quella di  Dudley.

    Ma-cosa-ne-potete-mai-sapere-voi? urlò ancora una volta, in faccia al cugino, scandendo le parole.

    “Voi...voi credete sempre di essere perfetti...credete che il mondo vi sia amico, credete di poterlo prendere in giro, credete in un mondo nel quale i buoni vincono...ma non è così, voi non sapete niente, non sapete, neppure immaginate cosa si provi...ma è inutile con voi...non capireste mai...” disse sfogando la sua rabbia, che da tempo lo teneva a ferro e fuoco, sul cugino che intanto sudava copiosamente dalla paura.

Un attimo di silenzio cadde fra loro, nel quale si sentiva solo il fiatone di Harry.

    Che cos’è che non capiremmo?” chiese una voce che Harry conosceva bene.

Si voltò verso la cucina, scese le scale, si ritrovò davanti a sua zia Petunia e suo zio. Era stata lei a parlare.

Harry rimase un po’ ammutolito, non si era accorto anche della presenza dei due zii; avevano sentito tutto...ma scoprì che non gliene importava niente: lui aveva solo detto la pura e semplice verità.

    “Allora, vuoi rispondere?” continuò la donna non sentendo alcuna risposta del ragazzo. 

    “Voi...” cominciò Harry,  sentì di non potercela fare, ma fece un gran respiro e riprese. “Voi, siete abituati e siete sempre stati così, a vivere una vita normale, senza grandi imprevisti, a vivere nel vostro comodo mondo ovattato...ma vi sbagliate...il mondo è crudele e spietato, voi non immaginate cosa vi sia dietro...è fatto al contrario, è un mondo contorto, malvagio, nel quale il Male vince e domina, e dove i buoni, che si battono, che combattono per la vita, muoiono...è un dolore grande...è un’orribile realtà…nella quale al Male è permesso di vivere e distruggere, annientare e uccidere tutto fin in fondo all’anima...è...è un mondo avvolto dalle tenebre, nel quale il Bene viene soffocato e distrutto...è un destino crudele, che non credevo potesse avverarsi, ma che invece è successo, perché io...ancora una volta...ho fallito…” si bloccò un momento, accorgendosi che il suo viso era sudato, poi senza guardare gli zii negli occhi continuò. “Fin da piccolo, per come vivevo, ho sempre sognato, ho sempre sperato, che qualcuno mi venisse a prendere, per portarmi via...per portarmi in un mondo fantastico, in un mondo migliore...si può dire che passavo le giornate a creare storie, avventure nelle quali speravo di potermi trovare...ma la mia avventura si è rivelata piuttosto diversa...” disse non riuscendo più a contenersi; decise di dire tutto, non curandosi delle conseguenze, quello che sarebbe accaduto dopo lo avrebbe affrontato, prendendosi le sue responsabilità, ma almeno, forse, si sarebbe sentito più leggero.

    “Oso dire, addirittura, che tutto ciò per cui mi sono battuto finora, è andato perso per sempre: idee, convinzioni, speranze...già…la speranza, si dice che sia l’ultima a morire, beh...invece è stata la prima, perché è stata sopraffatta dalla ragione e dalla consapevolezza di non potercela fare, dalla consapevolezza che è tutto finito irrimediabilmente...” continuò Harry, mentre tutti e tre i Dursley sembravano apparentemente rapiti da quelle parole, che sembravano uscire da un’anima ormai ferita in modo irreversibile.

    “Io...” riprese Harry, “Non so cosa ne sarà di me…cosa mi riserverà il futuro, anche se  credo sia già scritto...ma comunque, da ciò che ormai so, spero che qualunque cosa sia, dia una scossa a questo schifo...nel Bene o nel Male” la sua voce si affievolì, e cadde un silenzio innaturale nel salotto di casa Dursley.

Nessuno si muoveva, fiatava...solo Dudley sembrò uscire da quel trance

Si avvicinò a Harry, che aveva il fiatone, e gli sussurrò all’orecchio, in modo che solo lui potesse sentire: “Da quello che hai detto, non sembri felice della tua vita...beh, peggio per te, io sto bene e non mi interessa di nessun altro...ah, per quanto riguarda quel tuo padrino Sirius, morto e sepolto...non poteva accadere qualcosa di più bello...uno strampalato di meno in torno...così tanto per dare più colore alla tua vita, una perdita che vuoi che sia, dopotutto tu ci sei abituato, non è vero?” si allontanò dall’orecchio di Harry il quale guardava nel vuoto che la bocca aperta... non riteneva Dudley un essere capace di dire quelle cose, si ritrovò come  se  centinaia di lame incandescenti lo avessero appena trapassato, era triste, arrabbiato...vuoto.

Senza capire bene cosa stesse per fare, di diresse verso il cugino, che intanto si era allontanato con un ghigno sul volto.

Lo raggiunse, lo girò per guardarlo in faccia, e senza rifletterci due volte, gli mollò un forte pugno.

Dudley, colto inaspettato, si accasciò a terra tenendosi stretto con le mani, il naso, che aveva cominciato a perdere sangue.

Zia Petunia cacciò un urlo disumano e si precipitò sul figlio quasi agonizzante al suolo.

Harry rimase a guardare quella scena patetica con un’espressione quasi di maligna soddisfazione dipinta sul volto.

Zio Vernon non perse tempo, si avvicinò furtivo ad Harry, lo afferrò per la collottola e lo trascinò fino in cucina, dove lo fece sbattere contro il muro.

Gli si parò davanti con la faccia deformata dalla rabbia.

    “Che diavolo hai fatto, ragazzo? Come ti sei permesso?” urlò lo zio strattonandolo violentemente.

Harry non disse niente, non si mosse, provava solamente un senso ancora crescente di cupa soddisfazione nel vedere lo zio così infuriato: non era neanche lontanamente dispiaciuto o pentito per la sorte di suo cugino.

Non sentiva niente: né la voce grossa dello zio, né i lamenti di Dudley che provenivano dalla stanza adiacente. Solo vuoto. Vuoto attorno a lui.

Non era nemmeno minimamente preoccupato per la sua sorte, di sicuro, si era cacciato in un brutto e grosso guaio, con il risultato di aver fatto solo peggiorare i rapporti, già così freddi e indifferenti, tra loro.

Lentamente, senza neanche prestare attenzione alla minacce di zio Vernon, si allontanò dalla cucina, diretto in silenzio in camera sua.

Ma lo zio non si diede per vinto; gli si parò davanti prima che il ragazzo potesse solo anche mettere un piede fuori dalla porta.

    “Dove  credi di andare, eh? Non ho ancora finito con te!” urlò.

Harry lo guardò alzando un sopracciglio; di sentiva la rabbia montargli dentro di lui.

    “Ah, davvero?” urlò. “Mi pare proprio che tuo figlio se lo sia meritato! Non poteva essere più spregevole! Un colpo basso! Voi non capite! Non capite niente! Niente! Non sapete quando è il momento di tacere, non sapete quando è il momento di dire ciò che è realmente giusto! Niente!” si fermò, osservando l’effetto di quelle parole.

Poi riprese, ma con più calma.

    “Ti è mai capitato di voler bene a qualcuno? Di tenere a lui più della tua stessa vita? No, non credo proprio...Beh, se credi tanto che io mi sia solo più rimbecillito di quello che sono, ti sbagli... sentì le lacrime salirgli agli occhi, incontenibili, erano lacrime di rabbia. “E’ solo che quel qualcuno se è andato...è morto, a causa mia...”.

    “Ah sì?” fece lo zio. “Davvero è morto a causa tua? Beh, ragazzo, la tua presenza non è altro che un pericolo, sei solo un misero essere che non è neanche degno di essere al mondo, tu...tu distruggi famiglie, metti in pericolo la nostra, ma chi diavolo sei per avere questo grande trattamento, eh?” urlò.

Harry, questa volta, non aveva neanche la forza di reagire...tanto qualunque cosa avrebbe detto, non avrebbero comunque mai potuto capire.

Si allontanò dalla cucina per andare in camera sua e restare solo più che poteva: anche se con quei tormenti non sei mai solo...

Mentre saliva le scale, udì distintamente la voce di sua zia Petunia, che intanto aveva raggiunto il marito, dire: “Vernon, c’è solo una cosa da fare, e avremmo dovuto farlo quindici anni fa...non m’interessa di quel ragazzo, che è ancora minorenne, e che ci sta distruggendo, e neanche di quel vecchio pazzo del suo preside, non mi fa più paura, dico solo una cosa...orfanotrofio*...”.

Dall’alto delle scale, aveva sentito ogni cosa, e una lacrima di profonda tristezza prese a scendere sul suo volto pietrificato.

 

 

 

 

 

***

Ciao a tutti!

Spero che il mio primo capitolo possa esservi in qualche modo piaciuto; lo so che può sembrare una storia trita e ritrita, e che ci crediate o no, ci lavoravo da un anno    O.o

E’ solo che preferisco terminare una storia (se questa schifezza si può chiamare tale^^)  prima di pubblicarla in modo da non fare ritardi, o assicurarmi almeno che sia finita^^’

 

*Anticipo che non so minimamente come funzioni un vero orfanotrofio… prendetela come totale fantasia^^’

 

Un’ultima cosa… ho fatto un paio di “locandine”^^ riguardo questa storia…

Prima

Seconda

 

 

Vi andrebbe di lasciare un commento? Spero proprio di sì.. Mi farebbe davvero molto felice ^__^  Ovviamente si accettano le critiche, ci mancherebbe altro, ma… niente pomodori!

 

A presto^^

 

  
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