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Autore: IndianaJones25    05/08/2017    4 recensioni
Di ritorno da un’avventura a Ceylon, Indiana Jones può finalmente iniziare un nuovo anno accademico. Ma, proprio quando pensa che per qualche tempo le lezioni universitarie saranno la sua quotidianità, il celebre archeologo riceve un nuovo incarico: quello di ricostruire lo Specchio dei Sogni, l’unico oggetto in grado di condurre al Cuore del Drago, un antico artefatto che non deve cadere nelle mani sbagliate. Così, affiancato dal suo vecchio amico Wu Han e da un’affascinante e misteriosa ragazza, Jones si vedrà costretto a intraprendere un nuovo e rocambolesco viaggio attorno al mondo, in una corsa a ostacoli tra mille difficoltà e nemici senza scrupoli…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold Oxley, Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Wu Han
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 - IL TEMPIO DELLA DEA DEL FIUME

   La fortuna, ancora una volta, si tolse la benda e baciò sulla bocca Indiana Jones con la medesima ardente passione di un’amante focosa.
   Il volo gli mandò il cuore in gola, facendogli riversare l’adrenalina nel sangue come una deflagrazione, poi giunse il tremendo impatto. Ma, al contrario di quanto avesse già preventivato, non si fece quasi nulla perché, nel cadere, Bob, più pesante, era finito sotto di lui, facendogli da cuscino ed attutendo il forte impatto. Il grosso omone, però, pagò in pieno le conseguenze del gesto avventato che aveva compiuto.
   Il suo corpo si sfracellò sugli scogli, rompendosi in più parti e tingendo di rosso, per un attimo, le impetuose acque del fiume, che subito trascinarono via quel cadavere martoriato ed il suo sangue.
   Jones, sbalzato via poco prima dell’urto contro le rocce, invece, seppure intontito e dolorante per le percosse ricevute, riuscì a vincere la corrente nuotandovi contro con tutte le proprie forze; così facendo, ottenne di guadagnare uno spuntone di roccia che emergeva dal fiume, issandovisi per poter tirare il fiato.
   Ansante, si trasse all’asciutto, sputando acqua. Scosse qualche volta la testa, ancora ricoperta dal suo inseparabile cappello, per schiarirsi le idee, e si guardò attorno.
   Il fiume scorreva rapido attraverso una stretta gola, con un formidabile frastuono, e tra le sue acque affioravano qua e là grossi ed aguzzi massi; era un miracolo che non vi ci fosse caduto proprio addosso. Un miracolo o, forse, la sua solita fortuna sfacciata? A dirla tutta, era più propenso a credere alla seconda ipotesi.
   «Ma ora come faccio ad uscire da qui?» si chiese.
   Rapidamente, esaminò la parete rocciosa, ma era troppo ripida e liscia per poter pensare di arrampicarvisi, e non voleva correre il rischio di arrivare a metà strada per poi rischiare di perdere la presa e precipitare nuovamente, per cui la sua unica opportunità di trarsi da quella situazione sarebbe stata quella di gettarsi nuovamente in acqua, lasciandosi trasportare dalla corrente.
   Aveva una vaga idea di dove quel fiume sfociasse, ma certo la prospettiva di un bagno tanto lungo e pericoloso non lo allettava, perché quelle acque pullulavano di rettili che non attendevano altro che di addentare la sua coriacea carne, e c’era, inoltre, la concreta, e per nulla stuzzicante, possibilità di imbattersi in una qualche cascata e, quindi, in un nuovo salto nel vuoto; sempre che, ovviamente, la forza della corrente non lo avesse prima sbattuto contro qualche scoglio affiorante. Come se non bastasse, sarebbe stato condotto molto lontano dalle rovine.
   Ricordò che, poco prima di venire aggredito, si era reso conto che il Tempio della Dea Fiume era disegnato, sulla mappa, lungo il fiume. Chissà, forse gettarsi in acqua non sarebbe poi stata un’idea cattiva come avrebbe potuto sembrargli di primo acchito. Tra l’altro, era molto meglio tentare un’impresa del genere piuttosto che rimanersene rintanato in eterno sopra uno macigno in attesa che accadesse qualche cosa.
   Si fece coraggio, pensando che, tanto, negli ultimi dieci anni aveva affrontato situazioni anche peggiori di quella, trasse un respiro profondo e si tuffò in acqua.
   Immediatamente, la rapidissima corrente lo rapì nuovamente, trascinandolo con sé e mozzandogli il respiro con le alte ondate. No, decisamente, la sua era stata una pessima trovata, ma ormai la cosa era fatta e non serviva a nulla recriminare; bastava tenere duro e sopravvivere il più a lungo possibile. La qual cosa, pensò con una certa soddisfazione, era una delle sue abitudini più peculiari. Tanto fortunato, era, ma allo stesso tempo una vera calamita per i guai! Un polo magnetico che attraeva a sé ogni tipo di pericolo al limite della conservazione umana!
   Udiva un fragore, di fronte a sé, che andava via via aumentando di intensità, e per un terribile attimo temette che sarebbe finito dritto in una cascata. Ma, in verità, non era proprio così.
   Un affluente, infatti, si riversava dall’alto della gola, precipitando con un boato nel fiume in cui si trovava lui; la forza dell’acqua, lo gettò dietro la massa liquida che pioveva dall’alto, e fu allora che la vide: oltre una piattaforma levigata che si protendeva nella sua direzione, una roccia intagliata con le sembianze di una faccia mostruosa sovrastava quello che pareva essere l’ingresso di una cavità naturale che si incuneava nella pietra. Doveva sicuramente trattarsi del luogo che stava cercando.
   Facendoli quasi urlare per lo sforzo, Jones costrinse i propri muscoli a vincere la violenza tremenda che lo trascinava lontano e ad avvicinarsi alla piattaforma che, dopo qualche tentativo andato a vuoto, a causa della melma formatasi sulla roccia, riuscì ad afferrare con le mani. Gemendo per la fatica, si sollevò dall’acqua e si arrampicò, stendendosi poi all’asciutto, per riprendere fiato.
   Si concesse soltanto due minuti prima di rialzarsi per studiare la situazione.
   Adesso, al sicuro sulla terraferma, poté notare dei particolari che, a prima vista, non era riuscito a scorgere: la faccia mostruosa, ma che da alcuni tratti si riusciva a distinguere ineluttabilmente come femminile, era circondata da bassorilievi raffiguranti quella che sembrava una sacerdotessa, vestita con un’ampia tunica aperta sul davanti a mostrare il prosperoso seno e con i lunghi capelli lasciati sciolti sulle spalle, nell’atto di officiare una funzione religiosa, stringendo in mano dei serpenti, ed alcuni adoratori con il capo chino e le braccia allungate davanti a sé in segno di preghiera e riverenza. Nonostante la spossatezza, Indiana Jones non poté esimersi dal riconoscere, in quella raffigurazione, tratti tipici delle culture mediterranee dell’Età del Bronzo; in special modo, la sacerdotessa era identica alla raffigurazione di una divinità cretese. Ma che cosa ci facesse lì, era un vero rompicapo. Forse che la grande civiltà del Mediterraneo, che aveva caratterizzato le fasi finali del Tardo Bronzo per la sua cultura internazionale, si fosse spinta ben oltre i confini di quel mare? Ora come ora non avrebbe saputo dirlo con esattezza, ma sicuramente ricerche approfondite su quel sito archeologico avrebbero condotto a scoperte sensazionali, che avrebbero obbligato gli storici ad ampliare con un gran numero di pagine i loro trattati. Adesso, però, lui non aveva tempo di fermarsi in quella questione, ci avrebbe pensato a tempo debito. Tornò ad osservare l’orrendo viso della dea, tanto diversa dalla sacerdotessa; quella divinità mostrava tratti certamente tipici dell’isola, non riscontrabili in alcun altro luogo, o almeno non gli rammentavano nulla di quanto avessi mai studiato fino a quel momento. Gli occhi della raffigurazione erano due pietre rosse, che riconobbe come enormi rubini, lavorati finemente ed incastonati nella roccia.
   «Se non fossi un bravo ragazzo, mi arrampicherei, prenderei quei due tesorini e li rivenderei in America al miglior offerente» meditò per alcuni istanti, prima di allontanare immediatamente quei pensieri, che non si addicevano certo ad uno studioso di antichità come lui.
   Piuttosto, preferì concentrare i suoi pensieri su qualcosa di molto più importante, ossia il modo di andarsene di lì una volta recuperato l’idolo. Quindi, girato tutto attorno lo sguardo, notò una scalinata intagliata rozzamente sul fianco della parete rocciosa, che si dipartiva verso l’alto con gradini rapidi e stretti, la quale inizialmente gli era sfuggita.
   «Ecco qual’era la via per giungere al Tempio» disse. «Perlomeno, quando avrò terminato qui, potrò risalire alle rovine anziché tuffarmi per la terza volta nel fiume.» Questa idea, dovette ammetterlo, gli sorrideva parecchio.
   Poi, voltati un poco gli occhi, focalizzò tutta la propria attenzione sull’ingresso del Tempio della Dea del Fiume, da cui proveniva una corrente d’aria che, al contatto con i suoi abiti umidi, sembrava ancora più fredda e fastidiosa di quanto dovesse essere veramente. Gettò una nuova occhiata al viso della dea: «Non sei proprio la ragazza che inviterei a uscire per bere qualcosa» borbottò col proprio solito spirito ironico, che non lo abbandonava mai, neppure nei frangenti più estremi. Quindi, si rivolse al bassorilievo della sacerdotessa: «Ecco, tu saresti già più il mio tipo.»
   Senza farsi intimidire dal poco invitante aspetto della statua della divinità, si incamminò di buon passo e penetrò nella galleria, pronto a svelare i misteri di un luogo rimasto segreto ed inviolato da parecchi secoli.
   E, camminando tra quelle rocce, si avvertiva sul serio il peso inesorabile del tempo in tutta la sua imponenza: i graffiti alle pareti, così come le statue degli idoli poste sul pavimento, sembrava lo guardassero direttamente da un’altra epoca con i loro sguardi fissati per sempre nella pietra da mani umane ormai da tempo ridotte in polvere.
   La grotta che stava percorrendo era in discesa, ed il soffitto si abbassava sempre più, tanto che ad un certo momento si accorse di star camminando piegato in avanti per non urtare con la testa la volta. Meno male che non era mai stato claustrofobico, o gli avrebbe potuto prendere un colpo. Era molto buio, e non riusciva a vedere un granché alla luce dei fiammiferi che accendeva in continuazione, e che si erano salvati dal bagno nel fiume soltanto perché aveva avuto la giusta pensata, al momento di metterli nella sua tracolla, di avvolgerli in carta cerata per preservarli dall’umidità dell’isola. Alla fioca luce di quelle fiammelle, le statue che gli antichi sacerdoti e fedeli avevano collocato lungo il corridoio sembravano davvero muoversi ed essere dotate di vita propria.
   Infine, il corridoio sbucò su di un vasto stanzone illuminato da una luce che, lo capì, proveniva da certe fessure che erano state ricavate nella volta, e da cui, insieme ai raggi del sole, entravano anche le radici di alcuni alberi; da quello, intuì di trovarsi sotto le rovine del palazzo che aveva scoperto.
   Di fronte a sé, Jones aveva uno spettacolo fuori dal comune, che non si sarebbe mai aspettato di trovare: oltre una piattaforma di pietra, infatti, si scorgeva un lago sotterraneo, alimentato probabilmente da qualche polla oltre che dall’acqua che cadeva dall’alto nei giorni di pioggia, al centro del quale si poteva scorgere una roccia piuttosto larga, sopra la cui superficie sorgeva un altare finemente intagliato. E, sul piano dell’altare, era stato posto un oggetto: l’idolo della Dea del Fiume, il prezioso artefatto che era stato inviato a recuperare.
   «Mi aspetta un altro bagno» constatò ad alta voce. «Questa volta, però, ben venga!»
   Stava per immergersi quando si bloccò all’improvviso; sotto la superficie del lago, infatti, aveva notato qualche cosa che lo aveva messo sull’allarme.
   Aguzzando la vista, vide nuovamente ciò che, un momento prima, aveva creduto potesse essere il frutto della propria immaginazione, ossia una grossa ombra che si muoveva sotto il pelo dell’acqua, proprio nei pressi dell’altare.
   «Uhm, pare che qualcuno abbia dato troppo da mangiare, a quel pesce» borbottò con il suo solito sarcasmo.
   Non si trattava, però, di un pesce, bensì di un enorme coccodrillo, lungo quasi dieci metri, provvisto di immense fauci che non avrebbero fatto alcuna fatica ad inghiottire un uomo adulto in un sol boccone; doveva essere rinchiuso là sotto da parecchio tempo perché, a causa della mancanza di luce, era divenuto albino. Probabilmente, si nutriva degli animali che, di quando in quando, cadevano di sotto dalle rovine sovrastanti, e doveva essere abituato a sopportare lunghi periodi di digiuno forzato; dentro di sé, Jones si augurò che l’ultimo pasto del rettile fosse stato consumato di recente, perché non gli andava di diventare il prossimo pezzo forte del banchetto del mostruoso animale.
   Guardandosi attorno, notò una scala di pietra che saliva lungo la parete di roccia che delimitava il lago, seguendo un giro tortuoso e circolare per, poi, interrompersi proprio sopra l’altare, dove si trovava una sorta di balconata, ad almeno quindici metri di altezza; forse, avrebbe potuto raggiungere quel balcone e, da lì, per mezzo di una corda, farsi scivolare sulla sua meta, mantenendosi al sicuro dall’acqua e, soprattutto, dal suo mostruoso abitante. Peccato, però, che oltre alla frusta, non avesse pensato di portare con sé una corda.
   «Un volo di quindici metri equivarrebbe a gettarsi nelle fauci del mio amico pesce» constatò ad alta voce, come faceva spesso quando si trovava in situazioni del genere. «Senza contare, tra le altre cose, che quella antica scaletta potrebbe crollarmi sotto i piedi non appena provassi a risalirla.»
   Gli rimanevano soltanto due possibilità: la prima sarebbe stata quella più saggia, ossia andarsene e tornare in un secondo momento con una spedizione archeologica adeguata, che avrebbe studiato a fondo l’intero sito e lo avrebbe posto in sicurezza, magari anche in compagnia di qualche esperto cacciatore in grado di catturare il rettile per poi portarlo in un qualche zoo; oppure, la seconda possibilità sarebbe stata quella di tentare di mettere a segno una delle soluzioni più azzardate che gli fossero mai balenate per la mente. Decise che sarebbe potuto benissimo comunque tornare con altri archeologi e studenti in un qualche momento del futuro, ma che avrebbe portato via l’idolo quel giorno stesso. Se il suo piano non avesse funzionato, avrebbe pensato a qualcos’altro. Nel frattempo, tanto valeva tentare.
   Si chinò, raccolse una grossa pietra che giaceva sul pavimento e, dopo averne saggiato il peso sul palmo della mano, la scagliò nell’acqua, il più lontano possibile da sé e dall’altare. Il sasso si inabissò con un forte gorgoglio e, proprio come aveva previsto, la grossa ombra sotto la superficie si diresse immediatamente in quella direzione, attratta dal rumore e dalla possibilità di farsi una scorpacciata.
   Senza fermarsi un solo istante a riflettere se ciò che stava facendo fosse pericoloso oppure no, s’immerse rapidamente, cercando di non far troppo rumore, ed iniziò a nuotare velocissimo, senza guardarsi attorno, diretto alla piattaforma con l’altare. Non aveva la più pallida idea di dove fosse il coccodrillo bianco, né la cosa sembrava interessarlo, ma dentro di sé provava un grande turbamento nell’immaginare le fauci possenti del mostro chiudersi a tenaglia sulle sue gambe e spiccargliele dal corpo con un colpo secco. Quel pensiero, tuttavia, fu utile per spronarlo a nuotare più veloce, ricorrendo a tutte le proprie forze. Ma l’altare, tuttavia, sembrava non avvicinarsi mai: doveva essere molto più distante di quanto avesse inizialmente pensato.
   «Forza, vecchio mio» pensò. «Ricordati di tutte le studentesse che fanno la fila per avere un appuntamento con te. Cosa direbbero se ti presentassi davanti a loro menomato?»
   Finalmente, la roccia dell’altare gli si parò davanti; senza perdere tempo, sollevo le mani e l’afferrò, ma una brutta sorpresa lo attendeva: come già gli era successo nel fiume, anche quella roccia era stata resa completamente viscida dalla fanghiglia umida. Le sue mani, quindi, non riuscivano a fare alcuna presa, ma scivolavano all’indietro, vanificando tutti i suoi sforzi.
   Dietro di sé, udì un forte risucchio, come se una massa imponente e velocissima stesse spostando l’acqua del lago. Tra l’altro, nella sua direzione. Evidentemente, il coccodrillo doveva essersi reso conto che un pasto molto più sostanzioso ed appetitoso di un sasso s’era immerso nel suo regno.
   Con l’adrenalina alle stelle, il cuore che batteva impazzito e le mani tremanti, Jones lasciò perdere i suoi vani tentativi di issarsi a forza di braccia sulla roccia. Veloce come il fulmine, srotolò la frusta dalla cintura e, impugnandola con la mano destra, la sollevò dal pelo dell’acqua. Con forza prodigiosa, dettata più che altro dalla paura che non dalla sua reale possanza fisica, la fece schioccare e, con un solo colpo secco, la mandò ad arrotolarsi intorno all’altare, che per fortuna non era troppo largo, altrimenti non ci sarebbe mai riuscito.
   Immediatamente, senza neppure perdere tempo ad accertarsi che non potesse muoversi, la mise in tensione, tirandola verso di sé e, puntellandosi con i piedi e le gambe rigide alla base della piattaforma rocciosa, iniziò il più velocemente che gli fosse possibile ad arrampicarsi, muovendo gli arti inferiori verso l’alto, uno dopo l’altro, in sequenza. Quando vide i propri piedi alla stessa altezza del perimetro esterno della roccia, smise di muoverli in su, altrimenti avrebbe perso la presa e sarebbe ripiombato in acqua, ed utilizzò le braccia per passare dalla posizione orizzontale a quella verticale, tirandosi lungo la frusta. Non appena fu dritto, utilizzò tutte i residui di energie che gli rimanevano per lanciarsi in avanti. Lasciò andare la presa sulla frusta e cadde in avanti, abbracciando strettamente l’altare, proprio come un supplice del passato colto nell’atto di chiedere la grazia alla divinità.
   Subito, però, si volse all’indietro, appena in tempo per vedere il coccodrillo tentare di arrampicarsi a sua volta sulla piattaforma.
   «Eh, no, mio caro amico, ho fatto troppa fatica per arrivare qui, e non mi va di dividere la festa con te!» borbottò, levandosi al contempo il coltellaccio dalla cintura. La sua prima intenzione sarebbe stata quella di esplodergli due proiettili dritti negli occhi, ma la sua arma e le sue munizioni erano, ormai, troppo fradice per poter sperare che non facessero cilecca.
   Si avventò in avanti brandendo il coltellaccio come se fosse stato una spada e, ignorando le pericolosissime zanne che avrebbero potuto agevolmente tagliarlo in due, assestò due potenti fendenti al muso dell’animale, che emise un grido disperato; prima che il coccodrillo potesse ricacciarsi in acqua per mettersi al riparo, lo colpì nuovamente, questa volta ad un occhio, che si staccò e rimase a galleggiare nell’acqua per alcuni istanti, prima di affondare. Il mostro ferito si capovolse e si agitò, sollevando grandi spruzzi di acqua fredda, e Jones, allungandosi pericolosamente oltre la base della roccia, sferrò una quarta pugnalata, colpendo il coccodrillo bianco al molle ventre, non protetto dalla forte corazza. Gridando e colorando di rosso sangue le acque già torbide del lago sotterraneo, l’antico mostro si agitò per alcuni istanti, dopodiché, rimasto immobile e mandando un sordo brontolio, affondò come un sasso, finché la sua ombra si perse nelle profondità.
   «Mi dispiace, amico mio, so che tu non c’entravi nulla, con tutta questa faccenda, ma io non avevo voglia di diventare la tua cena.»
   Risistemato il coltello nella cintura, Jones si lasciò cadere sul pavimento, completamente sfinito; si chiese cosa avrebbe mai fatto Marcus Brody nel caso non ci fosse stato lui ed avesse dovuto provvedere di persona al recupero dei manufatti. Probabilmente, il museo sarebbe stato solo uno stanzone vuoto e polveroso, ed il suo curatore sarebbe già finito da decenni nello stomaco di un qualche animale selvatico.
   Rimase disteso per alcuni minuti, intento a riprendere fiato, e cercando di ignorare i dolori che gli avevano invaso il corpo; decisamente, si maltrattava troppo. Ma perché non era divenuto un semplice storico, come suo padre? Avrebbe potuto passare intere giornate nelle biblioteche, a consultare polverosi volumi o documenti antichi ed a scrivere libri, standosene comodamente seduto in una poltrona, ed avrebbe viaggiato solo su confortevoli treni, per raggiungere lussuosi alberghi nelle maggiori città americane ed europee, da cui sarebbe uscito in taxi solamente per entrare in università ed aule magne in cui tenere le proprie conferenze. E gli avrebbero pure offerto pranzi luculliani in compagnia di eminenti personalità.
   E, invece, eccolo lì, adagiato sopra una piattaforma di roccia, nel mezzo di un lago abitato da un enorme mangiatore di uomini, al di sotto delle rovine di una città dimenticata da Dio, sporco e bagnato, con ogni angolo del corpo dolorante e fiaccato dagli sforzi, dopo aver percorso chilometri a piedi, nuotato con tutte le proprie forze e lottato contro mostri lacustri e uomini senza scrupoli; e, per di più, con la sola prospettiva, davanti a sé, di un lunghissimo ed altrettanto devastante viaggio di ritorno, per poi finire a tenere lezioni in un’università dove la quasi totalità dei colleghi lo guardava con sospetto, ritenendolo una sorta di avventuriero senza ritegno, in cui la maggior parte dei ragazzi seguiva svogliatamente il suo corso e le ragazze, senza dimostrare il minimo interesse per la disciplina, frequentavano le sue lezioni solo per convincerlo a concedere loro appuntamenti galanti. Appuntamenti che poi, lo sapeva fin troppo bene, si risolvevano in completi disastri ogniqualvolta che padri, zii, fratelli, ed in qualche occasione anche fidanzati traditi, scoprivano che figlie, nipoti o sorelle frequentavano un uomo tanto più grande di loro e, per giunta, con la testa perennemente tra le nuvole, che arrivava sempre tardi a lezione o, alle volte, non si presentava neppure. E che non presenziava mai agli eventi ufficiali. E che girava il mondo inseguendo manufatti archeologici che, il più delle volte, gli sfuggivano di mano all’ultimo istante. E che era persino colpevole di avere distrutto interi siti di estrema importanza per giungere a niente altro che ad un piccolo obiettivo, facendo inorridire fior di accademici.
   Tutti quei pensieri non erano proprio lusinganti, eppure un sorriso increspò le labbra di Indiana Jones.
   Perché lui, alla fine, che ci poteva fare? Quella, dopotutto, era la sua vita, e gli piaceva così; non l’avrebbe mai cambiata per nulla al mondo. Almeno, non fino a quando le forze non lo avessero abbandonato. Quando, poi, fosse diventato un vecchio con gli acciacchi dell’età come suo padre, avrebbe mutato vita, tramutandosi in un tranquillo insegnante in pensione. O, forse, neppure allora avrebbe smesso di catapultarsi in situazioni disperate ed apparentemente senza alcuna via d’uscita. Se non avesse svolto quel tipo di vita, si sarebbe chiamato semplicemente Henry Jones Jr, non Indiana Jones.
   «Sempre che ci arrivi, ad avere l’età del vecchio» borbottò, nel rimettersi a fatica in piedi a causa delle gambe, che doloravano immensamente dopo essere state utilizzate come rampini da arrampicata.
   Ma ogni dolore scomparve immediatamente dalla sua mente, non appena ebbe posato gli occhi sulla superficie piana dell’altare, sui cui lati erano riprodotte processioni di sacerdotesse e fedeli intenti ad adorare la Dea del Fiume; nel mezzo preciso della tavola, si trovava ciò che era venuto a cercare e che gli era costato così tante fatiche, ossia l’idolo.
   Non era altro che una statuetta, non più alta di trenta centimetri, raffigurante, molto probabilmente, la medesima divinità a cui il tempio era consacrato; ma, al contrario che nelle diverse raffigurazioni in cui aveva avuto modo di imbattersi fino a quel momento, trovava che qui la Dea avesse un viso dolce, quasi rassicurante, in completa armonia con le forme sinuose del corpo. La statuetta era stata ricavata da un blocco di pietra verde, molto probabilmente della giada tirata a lucido da mani esperte.
   Con riverenza, ed anche con un poco di timore non essendo nuovo a trabocchetti ideati secoli prima, ma ancora perfettamente funzionanti, per proteggere i tesori più preziosi dai ladri, strinse le dita attorno al magnifico idolo e lo trasse a sé; non accadde assolutamente nulla. Evidentemente, il lago ed il suo abitante erano una trappola considerata sufficiente a fermare chiunque. Ma egli non era chiunque, era Indiana Jones, e per l’ennesima volta aveva messo le mani sopra un importante manufatto del passato. Sapeva bene che, la parte più difficile, sarebbe venuta proprio adesso, perché avrebbe dovuto conservare quell’oggetto fino a quando non lo avesse visto al sicuro nella propria teca, al museo. E non era nuovo ad “incidenti di percorso”, come si era risolto a chiamarli, in cui il prezioso artefatto sarebbe passato dalle sue ad altre mani, molto meno accademiche.
   Gli bruciava ancora dannatamente, per esempio, un episodio avvenuto alcuni mesi addietro.
   Aveva svolto ricerche dettagliatissime che lo avevano portato a scoprire, in una tomba celata all’interno di una chiesa di un piccolo villaggio arroccato sui monti della Francia del Sud, Rennes-le-Chateau, un prezioso tesoro, in oro e gioielli, appartenuto nientemeno che ai re Merovingi, per poi vederselo soffiare sotto il naso da un suo rivale, l’archeologo René Belloq, un ex compagno di università che s’era votato alla cupidigia ed alla brama di ricchezze. Quella, poi, non era neppure la prima volta che Belloq gli portava via qualche cosa e, dentro di sé, sapeva che non sarebbe neppure stata l’ultima.
   Istintivamente, si volse verso l’ingresso della caverna, ben poco illuminato, ma non vide nessuno. Trasse un sospiro di sollievo, e sorrise nel ricordare che, in ogni caso, Belloq non avrebbe potuto trovarsi lì: prima di partire, infatti, lo aveva indirizzato su una falsa pista, mettendo in giro la voce che avrebbe svolto degli scavi archeologici nello Yukon. Dato che, da lunghi anni, ormai, il francese era divenuto la sua ombra ovunque andasse, non riuscì a trattenere una risata nell’immaginarselo intento a vagare lungo le sponde del fiume Klondike alla sua ricerca. Certo, prima o poi quell’uomo avrebbe scoperto di essere stato preso in giro ed avrebbe cercato di vendicarsi, e a quel punto sarebbero stati guai seri, ma adesso non era proprio il caso di pensarci troppo.
   Lasciati quei pensieri, Jones tornò a concentrarsi sul presente.
   Trasse dalla propria borsa un panno morbido e, con moltissima attenzione, lo utilizzò per avvolgervi la statuetta, che poi infilò al sicuro sul fondo della tracolla; quindi, recuperata la frusta e calcatosi meglio il cappello sul cranio, si preparò all’ennesimo bagno della giornata.
   Dopo aver scrutato con attenzione le pericolose acque del lago, per accertarsi che il coccodrillo non potesse tornare all’attacco, rifacendosi su di lui per le ferite infertegli, vi s’immerse un’altra volta, iniziando a nuotare verso l’ingresso della caverna; il tocco freddo dell’acqua era come un balsamo, per i suoi muscoli indolenziti, ma era ben conscio del fatto che, una volta fermatosi, avrebbe avuto ancora più male di prima. Cominciava ad essere stufo di nuotare.
   Con molta fatica, raggiunse la riva opposta, ed iniziò l’operazione per guadagnare la superficie che, lo sapeva, non sarebbe stata affatto facile; sperava, tuttavia, di non dover ricorrere nuovamente alla frusta per arrampicarsi. D’altra parte, non voleva allungare troppo la propria permanenza acquatica, non essendo sicuro di essersi sbarazzato definitivamente del mostruoso coccodrillo bianco; di certo, non voleva accertarsi di persona se fosse morto oppure ancora vivo.
   Fu con sua viva sorpresa, quindi, che avvertì delle mani robuste afferrarlo sotto le ascelle e sollevarlo dall’acqua; fu gettato rudemente sul pavimento da dove, sbigottito, osservò tre paia di piedi circondarlo.
   «Ma chi…?» cercò di dire completamente sbalordito, prima che un calcio lo colpisse al mento.
   Dall’alto, risuonò una voce untuosa dal palese accento tedesco: «Guten tag, dottor Jones. È un bellissimo giorno per una nuotata, non trova? Mi unirei a lei, ma temo d’aver scordato il mio costume da bagno.»
   A fatica, Jones si rimise in piedi, perdendo abbondantemente del sangue dal mento ferito dal colpo ricevuto; come aveva intuito, tre uomini lo circondavano, due energumeni ai lati, uno decisamente più magro standogli di fronte. Il tedesco, alto e biondo, indossava un completo grigio che sarebbe stato più adatto ad un ricevimento che in una grotta sotterranea. Dato che era stato quest’ultimo a parlare, gli si rivolse.
   «Se vuole, posso prestarle il mio. L’ho lasciato in albergo.»
   Il tedesco emise una risatina chioccia.
   «Ah, il famoso senso dell’umorismo americano» commentò. Poi, smesso di ridere, aggiunse: «Non l’ho mai capito.»
   Jones stava cominciando a spazientirsi, ma il suo cervello, adesso, lavorava febbrilmente per scoprire una via di fuga. Poteva anche tollerare che Belloq gli capitasse sempre tra i piedi al momento meno opportuno, ma che pure uno sconosciuto tedesco dall’aria tronfia e vestito come un pinguino lo cogliesse di sorpresa era decisamente troppo.
   «Guarda, Hans, o Claus, o qualunque sia il tuo nome» borbottò Jones. «Non so che cosa tu voglia da me, ma sono sicuro che possiamo trovare un accordo.»
   Il tedesco sorrise: «Molto bene» disse. «Ecco l’accordo. Lei mi consegnerà l’idolo… ora!»
   Ciò detto, il viso dell’uomo si fece truce e la mano destro impugnò la Luger che, fino a quel momento, era rimasta celata nella fondina nascosta dal lembo della giacca.
   «Va bene, va bene» brontolò Jones. «Ti sei spiegato. Ho ciò che vuoi proprio qui.»
   Fece due passi avanti e, tolta la statuina ancora avvolta nel panno dalla borsa, la ficcò nella mano dell’uomo.
   Il tedesco abbassò lo sguardo, per ammirare il prezioso manufatto, e quella distrazione gli costò cara.
   Rapidissimo, con la stessa velocità di un fulmine, Jones lasciò partire un potente diretto al viso dell’uomo, che con un grido cadde all’indietro, lasciando andare la statuina e la pistola. Prima che potesse toccare terra, però, l’archeologo lo afferrò per la collottola e, sollevatolo di peso, lo lanciò nell’acqua del lago sotterraneo. Il tutto avvenne così rapidamente che i due energumeni non ebbero neppure il tempo di reagire.
   «Uccidetelo!» gridò il tedesco, riemergendo dal lago, ma già Jones aveva sfilato la frusta e la stava utilizzando contro i due malcapitati, che erano corsi a rintanarsi in un angolo per non essere colpiti dai potenti fendenti della verga.
   Con un colpo preciso, avvolse il laccio attorno al collo di uno dei due avversari e lo attirò a sé, atterrandolo poi con una testata ed una ginocchiata nell’inguine. L’ultimo uomo tentò di approfittare di questo momento per gettarsi a capofitto sulla Luger abbandonata, ma Jones fu più rapido e gli si avventò contro, mettendolo rapidamente al tappeto con un calcio in pieno viso.
   Si volse verso il lago, per vedere che cosa stesse facendo il tedesco, ma rimase paralizzato di fronte ad uno spettacolo raccapricciante: il mostruoso coccodrillo bianco, difatti, seppure ferito, era riemerso ed aveva imprigionato tra le proprie poderose mascelle l’uomo, che si agitò inutilmente mentre veniva trascinato verso il fondo.
   Soddisfatto di essersi sbarazzato definitivamente di quell’uomo, che non gli avrebbe procurato nuovi guai fintanto che fosse rimasto a Ceylon, Indiana Jones gettò con un calcio la pistola nel lago, per impedire ai due energumeni di riappropriarsene quando fossero rinvenuti, poi raccolse l’idolo e se ne andò fischiettando.


 
   
 
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