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Autore: Ancient_Mariner    06/08/2017    2 recensioni
Alcibiade o 'L'Albero della Vita' è un nero abisso che precipita nell'Inconscio Collettivo, lì dove riposano per sempre le spoglie degli Dei e degli Antenati, dove gli spettri degli eroi, dei profeti e degli antichi filosofi vengono rievocati dai loro sepolcri e interrogati attraverso i sogni, in un caleidoscopio divinatorio di mitologia greca, cristiana, norrena, egizia. In altri termini, è il percorso di un’anima in cerca della redenzione.
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I - Immortalità
II - Qualche Breve Considerazione
III - Un Piccolo Viaggio
IV - Primo Nodo Lunare
V - Aphrodite Pandemos
VI - Le Chevalier de Coupes
VII - Et Clamavit Leo
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Ringrazio già di cuore chi volesse lasciare un suo parere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V


APHRODITE PANDEMOS
« Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! »
(Virgilio, Eneide, IV 412)

Comincerò questo canto
Da una grande regina:
Comincerò da te, potente,
Invincibile Ellissa.
Ardet amans Dido
Traxitque per ossa furorem;

Eccoti, danzi come una cerbiatta
In preda ai deliri dell’Obliquo
Volteggi come una ballerina
A piedi nudi su vetri in frantumi
Uritur infelix Dido,
Totaque vagatur urbe furens;

Stremata, cade sul ferro lucente
Del figlio di Venere e Anchise.
Oh, sposa fedele di Acerbas!
Gli astri ti sono contrari
Ma non dar la colpa alla dea
Se tu stessa invochi i tuoi mali;
Sventurata, maledetta!
Quale passione infernale ti ha divorata!
Sventurata, maledetta!
E nessuna parola fu spesa per te,
Nessuna per tua bella città,
Oggi crollata. Macerie fumanti,
Palazzi in rovina,
Cessano solo ora gli ultimi roghi
Nel silenzio
Nel pianto
(Qualcuno la vede ancora, lì,
Piangere la sorte sua e dei sudditi).
 Nessuno levò grida acute nemmeno
Pour le petit Guinefort
Certo non vi fu un gran compianto,
Una cerimonia funebre in grande stile
Con le candele, la bara,
La processione, et cetera
Ma nessuno piangerebbe
Per un dannato cane bastardo!
Lance sul nefasto levriero,
E che se ne vada all’inferno!

Lui, che salvò l’infante tra le fasce
Dalle spire del nero serpente,
Lui, santo, che protesse il neonato
Da morte per veleno, e per questo
Ebbe in odio sua vita.

È su questi fiumi di sangue
Che siedo, e che ripenso a me e a te.


 
Angolo dell'autore
Eccomi da voi. La poesia di oggi non contiene riferimenti a sogni ma a due leggende.
La prima, più famosa, è quella di Ellissa/Didone, narrata da Virgilio nell'Eneide (i due passi latini sono proprio tratti dal IV libro: il primo significa "Arde Didone, amando, e ha tratto il furore nelle ossa", il secondo "Brucia Didone infelice, e vaga delirando per tutta la città"). Regina e fondatrice di Cartagine, Didone accolse Enea in una delle sue tante peregrinazioni verso l'Italia. I due si innamorarono ma quando Enea fu chiamato a ripartire, la sua amante si uccise dal dolore.
L'altro mito è cristiano ed è legato alla leggenda di un cane fatto santo durante il XIII secolo. Secondo la leggenda, il cane era di guardia in un castello dove il cavaliere suo padrone viveva col figlio, di pochi mesi. Tornando un giorno dalla caccia, il cavaliere vide che la stanza del figlio era stata messa a soqquadro, con la culla rovesciata, mentre il cane aveva le zanne insanguinate. Del bambino, ancora in fasce, non v'era traccia. Credendo che il cane lo avesse sbranato, egli lo uccise immediatamente con la sua spada; tuttavia, poco dopo sentì il bambino piangere e lo trovò illeso sotto la culla, assieme a una vipera uccisa dal cane. Esso, dunque, era stato protagonista di una lotta non per fare male al bambino, ma per salvargli la vita.


 
   
 
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