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Autore: rocchi68    08/08/2017    5 recensioni
“La giovinezza è sia una bugia, che un male. Quelli che elogiano la giovinezza stanno solo ingannando se stessi e chi gli sta vicino. Credono che quelli che gli stanno attorno approvino sempre gli atti che compiono.
Usando la parola giovinezza, loro alterano e stravolgono il buonsenso e qualsiasi cosa ci sia di logico.
Per loro bugie, segreti, peccati e insuccessi non fanno altro che aggiungere pepe alla loro giovinezza.
Se il fallimento è il simbolo dell’essere giovani come dicono, allora qualcuno che non è riuscito a farsi degli amici dovrebbe essere all’apice della sua giovinezza, giusto?
Ma di certo, nessuno di loro lo ammetterebbe mai perché tutto deve andare come più gli torna comodo.
Per concludere: gli idioti che si godono la loro gioventù dovrebbero suicidarsi”.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Scott, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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“Descrivi il comportamento di un animale selvatico.”
Era questo il tema che aveva portato a casa quel pomeriggio e che l’aveva tenuto occupato, mentre rimaneva disteso sul divano.
Lo completò in appena 20 minuti e subito rimise il foglio nello zaino, ben sapendo che il prof Hatchet avrebbe avuto qualcosa da ridire.
Di conseguenza lo avrebbe passato al collega McLean e questi lo avrebbe disturbato di nuovo con le sue paranoie.
Per il momento però non era un suo problema.
Restò immobile per molte ore e solo verso le 21 si rialzò per preparare una rapida cena e per poi filare dritto a letto, ben sapendo che era inutile restare sveglio per un qualcuno che avrebbe fatto molto tardi.
Alberta sarebbe rimasta con il fidanzato, mentre la madre si sarebbe trattenuta al lavoro per gli straordinari.
“Perché devono impegnarsi tanto, se la felicità è solo una gioia effimera?”
Aveva provato a rifletterci, ma non c’era nulla di buono in quella domanda.
Era solo un’ansia che non lo riguardava e che creava una visione distorta nella solitudine a cui lui faceva compagnia.
Sapeva che trovare la soluzione a quel problema avrebbe solo rovinato la sua visione.
Era troppo complicato cambiare opinione e per questo preferiva tenersi stretta la sua vita da emarginato sociale.
La solitudine non faceva domande come la compagnia e non era nemmeno così complicata da ottenere.
“Una persona è libera solo quando conosce la solitudine e ci sa stare senza problemi.”
Quanta ragione in così poche parole ben portate.
 
L’indomani, verso le 14, si ritrovò, così come aveva fantasticato il giorno prima sul suo divano, nell’ufficio del coordinatore McLean.
“Gli animali istintivamente formano un branco.
I carnivori formano una gerarchia sociale all’interno del branco.
Coloro che falliscono nel diventare leader ne portano il peso fino alla morte.
Sono sicuro che gli erbivori si sentano colpevoli quando sacrificano i loro compagni per sfuggire ai predatori e continuare a vivere.
In questo mondo formare un branco non porta benefici.
Per questo, ho scelto la vita dell’orso solitario che non si aggrega al branco.
L’orso non si sente a disagio a vivere da solo.
Ne è fiero.
Inoltre va in letargo in inverno.
Deve essere proprio fantastico.
Non ho dubbi.
Nella mia prossima vita, voglio essere un orso.”
Era una delle sue opere migliori.
Fissò il professore intento a rileggere quelle poche righe e intuì subito quale sarebbe stata la sua futura reazione.
Lui che sbatteva una mano sul tavolo, che gli avvicinava una sedia e che iniziava con i suoi rimproveri.
Effettivamente era stufo di quella scuola fastidiosa e rumorosa, di quei professori sapientoni e di tutti i suoi compagni chiacchieroni.
Ogni angolo della scuola incontrava il suo disappunto.
“Ti piacciono molto gli orsi.” Gli fece notare seccato il supervisore, sollevando il foglio in aria per poi adagiarlo su un piccolo mucchio.
“Pensavo che insegnasse letteratura moderna.”
“Sono anche il vostro coordinatore. Ecco perché il tuo professore di biologia mi ha chiesto di occuparmi di questo. Cosa centra con il compito che vi ha assegnato?”
“È una critica alla gerarchia sociale del branco.”
“Smettila di straparlare. Lo fai sembrare come se formare un branco fosse un crimine.”
“Forse lo è.” Sbuffò il ragazzo.
Il professore intuendo che non poteva ricavarne nulla di buono, cambiò volutamente discorso, mentre lui si metteva a sedere.
Scott conosceva bene le sue reazioni.
Non avendo ottenuto nessun risultato, lo avrebbe minacciato e rispedito nel club, laddove avrebbe passato il suo tempo a dormire.
E questo fino a quando non avesse notato un cambiamento profondo che non si sarebbe mai verificato.
“Come ti sembra il club?”
“Noioso.”
“Lo immaginavo.”
“Se lo sapeva perché non l’ha evitato?” Domandò il giovane, assottigliando lo sguardo e arricciando le labbra a formare un ghigno maligno.
“Perché mi sembrava divertente.”
“Voialtri avete una concezione di divertimento che non comprendo.”
“Cosa ne pensi della signorina Dawn?” Chiese il professore, sfoggiando un sorriso fastidioso.
“La odio.”
“Anche questa volta non mi sorprendi.”
“Non ha intenzione di lasciarmi libero, vero?”
“Lei è una studentessa davvero brillante, ma anche i talentuosi hanno i loro problemi. In fondo è una ragazza gentile e corretta, ma il mondo non è mai troppo gentile e corretto con voi. Credo che sia dura per lei. Le vostre personalità sono così contorte che temo non riuscirete mai ad adeguarvi alla società. Ecco perché voglio che partecipiate alle attività del club.”
“Un club come casa di cura?”
“Si potrebbe chiamare così.” Ridacchiò divertito l’uomo.
 
Conoscendo la punizione che lo attendeva, era inutile restare a lungo nella sala dei professori.
Raccolse lo zaino che si era portato dietro e si avviò verso il suo patibolo.
Non occorreva nemmeno bussare.
Tanto Chris non l’aveva messo in guardia.
Se ci fosse stato qualche sprovveduto che aveva deciso di partecipare alle attività del club, il vecchio coordinatore lo avrebbe avvertito.
Sapeva, quindi, che era presente solo Dawn e la sua aura falsa e angelica.
Aprì la porta e si sistemò nel posto del giorno prima, mentre lei continuava a leggere ben sapendo chi era l’individuo che si era seduto a pochi metri.
“Non pensavo saresti tornato.”
Non la salutò e riprese da dove si era interrotto il giorno prima: finché dormiva tutto sarebbe andato per il meglio e non si sarebbe contaminato.
“Sai che se il prof venisse a sapere che non interagisci, potrebbe sospenderti?” Domandò serafica, facendolo voltare nella sua direzione.
“È un ricatto.”
“Allora sai parlare.”
“Parlo solo quando ho qualcosa d’importante da dire: non mi va di sprecare fiato inutilmente.”
“Quindi devo dedurre che tu non abbia amici.” Sospirò Dawn, chiudendo il libro e appoggiandolo sul tavolo.
“A cosa servono?”
“Gli amici non sono degli oggetti che puoi utilizzare a tuo piacimento.”
“Non saprei.” Borbottò il ragazzo, alzandosi in piedi e avviandosi verso la finestra.
Era la prima volta che rimaneva senza parole e senza la possibilità di ribattere.
Di solito si zittiva perché il suo stato di mutismo assoluto glielo ordinava, ma questa volta era diverso.
“Ne hai mai avuto uno?” Richiese Dawn con un terzo grado che il rosso considerava eccessivo.
“Perché tutte queste domande?”
“Perché stiamo risolvendo i tuoi problemi.”
“Non credo di averne.”
“Se il prof ti ha costretto a partecipare, significa che sei nei guai.”
“Se anche fosse, chi ti ha chiesto di risolverli?” Chiese, alzando la voce, ma senza spaventarla minimamente.
“Se sei tornato, vuol dire che ci speri.” Gli fece notare la ragazza con un sorriso contro cui Scott adottò uno sguardo infastidito.
Veder sorridere le persone era una menzogna.
Non c’era nulla per cui essere felici nel loro mondo.
Nulla era mai stato come lo desiderava e ovviamente era da stupidi cercare di dimostrare il contrario.
“Sono tornato perché sono costretto. Se non lo fossi, sarei a casa a dormire sul divano.” Precisò, tornando al suo posto.
“Ti sentiresti meglio, se mi esponessi il tuo caso.” Riprese Dawn, senza prestare attenzione alle parole del compagno.
“Perché non mi esponi il tuo di caso? Se sei a capo del club significa che hai bisogno di aiuto e risolvendo i tuoi problemi, posso sbarazzarmi anche di te.”
Era crudele da dire, ma era ciò a cui ambiva.
Con l’aula a sua completa disposizione avrebbe potuto liberarsi in un attimo del programma del prof McLean.
Dopotutto si trattava di 3 idioti senza speranze che lui doveva sentir parlare e a cui dover dare un consiglio.
Senza Dawn in mezzo ai piedi avrebbe potuto dire che tutto era risolto e che le ore al club erano effettivamente concluse.
“Sono convinta che nessuno nella mia classe sia veramente mio amico, ma questo dovresti saperlo dato che siamo nella stessa sezione.”
“E saresti qui solo per questo?”
“Non ti sembra un motivo sufficiente?”
“No.” Rispose sinceramente il giovane, prima che scendesse il silenzio.
Non sapeva se facesse parte della prova del supervisore o se fosse una sorta di test d’iniziazione.
Qualsiasi cosa fosse non voleva correre rischi.
Lei sembrava aspettare solo le sue deduzioni e non voleva cannare la risoluzione del primo test ai suoi danni.
“Se si trattasse di un problema da nulla o che riguarda solo i nostri compagni di classe non capirei la tua scelta, ma essere a capo di un club come questo pone una questione ben più seria su cui concentrarsi.”
“Non ti si può nascondere nulla.”
“Ognuno ha dei segreti che non confesserà nemmeno sotto tortura.”
“In effetti…ho un problema a casa.”
“Grave?” Chiese istintivamente il ragazzo.
“Forse.”
“Immagino che la storia degli amici fosse solo una facciata per notare una reazione su cui poi avresti riflettuto  In base alle mie parole avresti fatto finta di nulla oppure mi avresti raccontato ogni cosa.” Riprese Scott.
“Non sei così stupido.”
“Vediamo cosa posso fare.” Sospirò il giovane, abbandonando, per una volta, i suoi propositi di riposo.
Anche se era costretto al club, nulla gli vietava di risolvere i problemi che gli venivano sottoposti.
Inoltre Chris avrebbe voluto dei risultati immediati e forse non era un caso se lui era stato obbligato a partecipare.
Forse lui sapeva che il rosso, in tutta la sua inadeguatezza, era l’unico capace di liberare la mente e lo spirito della povera Dawn.
“Odio mio padre.”
Erano bastate quelle poche parole a incuriosirlo.
Odiare?
Come poteva esistere una persona al mondo, una così giovane poi, che sapesse odiare senza mostrare nulla?
Scott era abituato al suo di caso, se così poteva essere definito, ma dallo sguardo da lei assunto e successivo a quella verità, capì che non era proprio odio.
Era solo astio o antipatia: non era mai stato odio.
“E lui che dice?” Chiese il ragazzo.
“Non dice nulla.”
“Uno si fa odiare e non dice nulla?” Sbuffò scettico, pretendendo ulteriori spiegazioni che non sarebbero tardate ad arrivare.
“I miei genitori hanno divorziato quasi 5 anni fa e per quanto mia madre abbia cercato di ricostruire la famiglia, non ci è mai riuscita.” Gli spiegò la giovane, facendolo annuire.
“Credi sia stato uno sforzo vano?”
“Non saprei.”
“Io considero ogni legame come qualcosa di inutile, ma non è così quando si parla di una famiglia che ti ama e che ti vuole bene.” Constatò il giovane, guardando verso il soffitto.
“Alquanto triste da parte tua.” Gli fece presente la ragazza.
“E tu?”
“Io?” Domandò perplessa Dawn.
“Tu hai mai provato ad aiutarla? Hai mai parlato con tuo padre per capire i motivi che l’hanno spinto a chiedere il divorzio, oppure sei scappata dinnanzi a ciò che il destino aveva stabilito?”
“Non capisco.”
“Se vuoi che ci sia un cambiamento devi essere tu per prima a permettere che il cambiamento avvenga.” Borbottò, cercando un esempio che potesse soddisfarla.
“Non so cosa intendi dire.”
“Se hai paura di nuotare e non ti tuffi mai, è ovvio che temerai l’acqua per tutta la vita. A volte bisogna saper correre il rischio e se poi lui non ti vorrà ascoltare, significa che ha fatto una scelta e che la devi rispettare, giusta o sbagliata che sia.”
“Dovrei parlare con quello?” Chiese con scetticismo.
“Perché no?”
“Quello è spazzatura e io non lo voglio in mezzo ai piedi.” Ribatté acida, senza ottenere nulla di concreto.
“Noi stessi creiamo e siamo spazzatura. Cosa c’è di tanto strano se due sacchetti cercano di fare amicizia?”
“Io non sono spazzatura e non voglio averci a che fare.”
“Queste sono le parole di colei che vuole conoscere i problemi degli altri e che non desidera risolvere i propri. Finché sarai così ipocrita a tirare avanti questo stupido teatrino, come puoi sperare che la tua famiglia si ricomponga?”
“Se sono qui non significa che desidero migliorare ogni cosa.”
“Molto bene.”
“Non sei poi molto bravo ad aiutare le persone.” Lo punzecchiò, facendolo annuire appena.
“Potrei sapere, così per riconferma, cosa ne pensi della solitudine?” Chiese lui, cambiando discorso.
“Che nessuno è veramente solo.”
“Dovresti essere più realista.”
“Come dovrei?” Chiese sorpresa la giovane.
“Io non conosco nessuno nella nostra classe.” Borbottò Scott, facendole sgranare gli occhi dalla sorpresa.
“Conosci me.”
“Non accetto la tua esistenza e quindi per me sei un nessuno come gli altri.”
“È questo il tuo problema?”
“Evitare le persone che causano problemi è un problema? Che pensiero egoista.” Ribatté sarcastico, concentrandosi sul volto arrossato della ragazza.
“Tu sei strano.”
“Forse siete voi quelli strani. Quelli che cercano di avere amici ovunque sono il simbolo della stranezza.”
“Con degli amici ti sentiresti meglio.”
“Allora perché eviti di ricostruire la tua famiglia? Scommetto che hai paura di non sentirti meglio nell’avere molte persone vicino.” Ribatté, spiazzandola.
“Tu non capisci.”
“Sei così stolta da poter scegliere e preferisci stare lontano da lui. Ci sono persone che pagherebbero per essere al tuo posto e che invece devono accontentarsi.”
“Ma questo…”
“Così va il mondo e tu per orgoglio stai impedendo a tua madre di tornare ad essere felice.”
“Come fai a sapere cosa si prova?” Chiese la ragazza, sperando d’aver trovato qualcosa di cui poter parlare con Scott.
Quella però non era un’apertura sufficiente.
Se avesse compreso che lui al posto del cuore aveva un blocco di cemento, forse anche lei si sarebbe arresa e gli avrebbe voltato le spalle.
“Dinanzi ad un problema irrisolvibile, bisogna voltarsi e lasciar correre.”
“Leggo troppe riviste.” Borbottò il rosso con un ghigno appena accennato.
“E nelle riviste ti insegnano anche a risolvere questi problemi? Mi sembra qualcosa di troppo personale per rientrare nel gossip.”
“Dipende da quali riviste leggi.”
“Non cambiare discorso. Conosci qualcuno che potrebbe volere qualcosa di simile?”
“Non credo t’interessi del tizio con i baffi sulla prima pagina.”
“E se invece volessi saperlo?”
“Pensa al tuo di problema e non soffermarti troppo su quello degli altri.”
“Ma questo è…”
“Tu sai che ho ragione.” L’interruppe bruscamente, facendola annuire.
Un ulteriore silenzio scandì quei minuti.
Scott poteva solo leggere il suo sguardo e i suoi movimenti appena accennati, mentre lei rifletteva molto su quelle dure parole.
“È vero che una seconda opportunità non si nega a nessuno e che lui potrebbe essere pentito, ma un giorno torneremo su questo discorso.”
“Forse.”
“Mi parlerai dei tuoi problemi e riuscirò a risolverli.” Riprese la giovane, alzando la voce e sperando di contagiare con la stessa allegria anche il compagno di classe.
“Illusa.”
“Riuscirò a sistemare le cose e a capire cosa ti tormenta.”
“Fai come vuoi.”
“Ma ora devo trovare il coraggio di parlarci.” Borbottò lei, ritornando sulla questione della sua famiglia e chiudendo momentaneamente quello relativo al ragazzo.
“Se è destino che tutto si sistemi, troverai un modo e con qualsiasi risultato ti sentirai in pace con te stessa.” Spiegò infine, riprendendo tra le mani il libro che aveva chiuso in precedenza, senza preoccuparsi di come Dawn avrebbe speso il suo tempo.
 
Il resto del pomeriggio scivolò via in pochi attimi.
Lei era persa in un certo discorso da imbastire con suo padre, mentre lui era tornato a stravaccarsi sul banco.
Dawn, fissandolo, si era resa conto di una cosa.
Aveva compreso quanto conoscesse poco e male il ragazzo con cui condivideva la passione di quel club.
Anche se per Scott di passione non si poteva parlare: quella era solo una minaccia che il vecchio McLean gli aveva rivolto.
L’unica consolazione di Dawn era nell’apprendere che partiva sullo stesso livello degli altri, dato che nessuno nell’intero edificio conosceva qualcosa a suo carico.
Lei stessa era convinta, però, che lui conoscesse almeno qualcosa dei suoi gusti e delle sue amicizie e anche se non si era mai aperto con nessuno, ciò aveva fatto intuire a Dawn il motivo del suo ingresso nel club.
Sentiva che era suo dovere scardinare le sue difese, ma se lui spiccicava parola solo quando era alle strette, ecco che si ritrovava in grave difficoltà.
Se fosse stata a conoscenza di qualche sua passione particolare, allora sarebbe stato tutto più semplice.
Uno sport o un hobby sarebbero stati sufficienti, ma dallo sguardo del rosso non traspariva nulla, se non un velo di malinconia che non era mai svanito in quei lunghi anni di conoscenza.




Angolo autore:

Ryuk: Eccoci di nuovo qui.

Prima di fare come l'altra volta è il caso di lasciare un avvertimento.
Questa storia prende spunto da un anime giapponese, tale Yahari (non vi scrivo l'intero nome che è lungo quasi quanto questo capitolo).
Volevo scriverlo nel primo capiolo, ma la mia pessima memoria è molto più avanti di me.

Ryuk: Alcuni capitoli potranno sembrarvi simili a quell'anime, ma non sarà sempre così. Questo è un motivo in più per continuare a seguire la nostra storia.

Cosa aggiungere?
Il prossimo capitolo uscirà venerdì.
Scott continua con i suoi pensieri orribili.

Ryuk: Parla di Alberta...

Come ho scritto in un'altra recensione, le descrizioni (fisiche almeno) della famiglia di Scott saranno quasi identiche a quelle di Moments.

Ryuk: Ci scusiamo per il disagio, ma purtroppo ci tocca.

Prima di chiudere, ringrazio i recensori e coloro che seguono la storia.
Alla prossima!
   
 
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