Finalmente ti vedo per quel che sei
Gaara
rimase fermo davanti al portone a rovistare nello zaino: aveva bisogno
delle
chiavi, ma ovviamente in mezzo a quel caos non le trovava. Era pieno di
fascicoli del lavoro, un paio di libri e quaderni
dell’università su cui aveva
studiato durante la pausa pranzo, più fili delle cuffiette,
carte varie,
scontrini e, solo sul fondo, riuscì a trovare ciò
che cercava. Rifletté che aveva
proprio bisogno di dargli una sistemata, ma in quell’ultima
settimana non aveva
avuto quasi tempo di respirare.
Mentre l’ascensore saliva,
pensò che gli sarebbe proprio piaciuto avere una vita
normale,
potersi
permettere di fare lo studente a tempo pieno, tornare a casa e trovare
una
madre con la cena pronta, la camera rassettata, i vestiti puliti, il
fratello con cui avrebbe visto la TV dopo cena. Già, il
fratello…
Uscendo dall'ascensore, si
lasciò alle spalle quei pensieri inutili, avanzando con le
spalle dritte e il
passo elastico lungo lo stretto corridoio, perché doveva
andare avanti senza
fermarsi a perdere tempo su fantasie irrealizzabili.
Entrò
nell’appartamento lasciando cappotto e zaino
all’ingresso, per poi dirigersi
verso la cucina dove trovò Deidara che si abbottonava i
pantaloni e Hidan che
si stava infilando la maglia. Decisamente erano ben diversi da una
madre
premurosa con un succulento arrosto.
“Andare
in camera è diventato noioso? Posso mangiare liberamente o
qualcosa è stato
contaminato?” domandò Gaara, pungente.
“Rompicoglioni
– borbottò Hidan – quando ti prende la
voglia chi se ne frega del luogo. E la
cena è al sicuro in forno.”
Gaara
rimase sorpreso da quell’affermazione. Era raro che si
trovassero a cenare
insieme, gli altri due facevano i barman in locali diversi,
evidentemente
doveva essere la serata libera di entrambi e c’era anche del
cibo da
condividere. Sicuramente qualcosa di semplice, Hidan non era un cuoco
sopraffino, ma a Gaara non importava e quella serata gli apparve
migliore di quanto aveva pensato solo cinque minuti prima.
Mentre
apparecchiavano, pensò che quei due stavano insieme da
parecchio, avevano una
relazione particolare, piuttosto aperta e libera; col carattere che
entrambi si
ritrovavano una qualsiasi altra opzione li avrebbe portati a lasciarsi
molto
tempo prima… o a uccidersi. Non era un’alternativa
da scartare.
“Allora,
come va con quel tipo… Sasuke, giusto? –
domandò Deidara mentre mangiavano –
Ultimamente vi ho visti più spesso.”
Si
davano sempre appuntamento al locale in cui si erano conosciuti e in
cui
Deidara lavorava, così che il biondo barman aveva avuto
occasione di vederli
più di una volta.
“Bene,
credo. In effetti, ci stiamo vedendo un po’ più
spesso, anche se in questi ultimi giorni
è piuttosto impegnato.”
Deidara
fece una smorfia, Sasuke non gli piaceva molto e non ne aveva fatto
mistero con
Gaara; lo riteneva un palo in culo complessato – sue testuali
parole. Persino
nel gay bar si guardava attorno furtivo e, prima di uscire in strada,
guardava
attentamente dalle vetrate, sicuramente per controllare che non stesse
passando
qualche sua conoscenza. No, decisamente non era un tipo che viveva con
tranquillità la sua sessualità e, avendo visto
una gran varietà di essere umani
da dietro il bancone del bar, riteneva che la stessa cosa valesse anche
per
altri aspetti della sua vita.
“Ah,
e in cosa è impegnato il principino? Sicuramente non a far
diventare il mondo un
posto più amichevole” disse Hidan. Condivideva
l’opinione del suo fidanzato,
per di più aveva incrociato Sasuke in casa un paio di volte
e l’altro si era
giusto degnato di scambiare un saluto, per poi scappare in camera di
Gaara come
se avesse il diavolo alle calcagna.
Gaara
roteò gli occhi verso il soffitto prima di rispondere:
“Tra
tre giorni si laurea, quindi ha da fare… e non mi risulta
che né io, né voi due
contribuiamo attivamente a spargere arcobaleni e fiorellini nel
mondo.”
“Cazzo
c’entra? È diverso” ribatté
Hidan, bevendo un sorso di birra.
Deidara
invece era molto più interessato al resto della risposta di
Gaara e si sedette
sulla punta della sedia, in modo da avvicinarsi di più al
ragazzo.
“Si
laurea, interessante… e ti ha invitato?”
Gaara
posò la forchetta e rimase a guardarlo, fulminato da quella
domanda che anche
lui si era fatto. Da domenica si erano rivisti solo un’altra
volta, ma anche in
quell’occasione avevano parlato dell'imminente laurea, era
palese che Sasuke
non riuscisse a pensare quasi ad altro, gli aveva addirittura ripetuto
il
discorso che avrebbe tenuto, e gli aveva anche detto nuovamente a che
ora e
dove si sarebbe tenuta la discussione.
“Non
ne sono certo – ammise Gaara – mi ha detto sia ora
che luogo, però
effettivamente non mi ha invitato o chiesto esplicitamente di andare.
Sono un po’
incerto, non mi sono mai trovato in una situazione simile.”
Aveva
difficoltà a rapportarsi con gli altri a differenza della
maggior parte della
gente, trovava difficile capire i sottintesi, i discorsi enigmatici e,
più in
generale, capiva proprio a fatica le persone. Si sentiva come in un
acquario:
galleggiava lasciandosi trasportare dalla corrente, rinchiuso in quella
grande
vasca senza riuscire a venirne fuori, per timore, forse, di non
riuscire
a respirare l’aria come facevano tutti gli altri esseri
umani. Così si limitava
a guardarli, distante, separato da loro dal vetro, entrando
occasionalmente in
contatto solo quando qualcuno decideva di bagnarsi nell’acqua
gelida che lo
avvolgeva.
“Certo
che ti ha invitato! – esclamò Deidara strappandolo
dalle sue riflessioni –
altrimenti perché dirti ora e luogo?”
“Infatti,
figurati se quello si degna di consumare la lingua se non è
necessario –
intervenne Hidan – ma dato che è un asociale non
saprà nemmeno come si fa un
invito decente. Gaara, la prossima volta trovati qualcuno di
più allegro, dammi
retta, non chiassone come Deidara però.”
Guardò il suo fidanzato con un mezzo
sorriso, ma era caldo, uno di quelli che rivolgeva solo a
pochi.
Hidan non era
certo un innamorato modello, di quelli da presentare in famiglia o con
cui
passeggiare mano nella mano, chiacchierando sul nuovo divano da
comprare – non
che Deidara desiderasse davvero un tipo così. Hidan era
irruento, impulsivo e si
gettava nelle cose a capofitto, senza pensare al rischio di potersi
fare male,
ed era anche l’unico che riuscisse a gestire Deidara e la sua
irascibilità.
Il
barman biondo non si smentì nemmeno quella volta, infatti
gli lanciò addosso il
tovagliolo e sbottò:
“Ma
vaffanculo, a volte mi sembri un morto vivente! – si rivolse
poi a Gaara,
ignorandolo – È chiaro, sei
invitato. Per il vestiario non hai problemi a
vestirti abbastanza elegante, però devi pensare al
regalo.”
Gaara
alzò una mano come a frenare l’irruenza
dell’amico, stava decisamente correndo
troppo e lui era tutt’altro che un velocista, sotto tutti i
punti di vista.
“Anche
se fosse così non posso andare, a lavoro non posso proprio
chiedere nemmeno
mezza giornata libera, c’è il delirio. Oltre al
solito lavoro, dato che tra
poco arriveranno due nuovi praticanti, devo sistemare gli archivi, fare
controlli e un sacco di altre cose noiosissime e inutili, ma che mi
portano via
un sacco di tempo” rispose, senza badare a Hidan che inveiva,
ci era abituato.
“La
laurea è alle 14, puoi sfruttare la tua pausa pranzo. Magari
non rimani fino
alla fine, ma ci vai, niente storie. Dobbiamo solo pensare al
regalo”
insistette Deidara. Per quanto non gli piacesse Sasuke, giudicava che
per Gaara
quella potesse essere una buona occasione per socializzare e uscire dal
suo
guscio, inoltre avrebbe potuto toccare con mano il futuro che lo
attendeva.
Perché era certo che sarebbe riuscito a laurearsi, diventare
un ottimo avvocato
e un giorno sarebbe stato tanto in alto da essere lui a impartire
ordini invece di eseguirli.
Gaara
aveva la testa nel pallone, era confuso e aveva la sensazione di stare
sbagliando tutto, che non fosse una grande idea andare a quella laurea,
in
fondo lui e Sasuke non avevano un rapporto poi così stretto.
Però… si vedevano
sempre più spesso, la loro intesa a letto era migliorata e
Gaara riusciva
persino a farsi carezzare da lui senza provare il bruciante desiderio
di
scappare, e poi Sasuke gli aveva parlato di sua spontanea
volontà di quella
maledetta laurea. Perché farlo se non aveva interesse che
lui vi partecipasse
in qualche modo?
Gaara
era ancora combattuto, ma gli sovvenne un sogno che faceva
ricorrentemente in
cui alcuni bambini gli proponevano di andare a giocare, lui stava per
accettare
ma all’improvviso una voce glielo impediva e lui si trovava
da solo, senza più
niente e nessuno attorno. Le mani tese, i sorrisi, il sole…
tutto sparito.
Nel
sogno la voce autoritaria era quella di suo fratello, ma lui era certo
che
Kankuro non gli avrebbe mai fatto nulla del genere nella
realtà, aveva quindi finito
per convincersi che quella voce doveva essere la propria, il suo
subconscio che
gli impediva di aprirsi e stabilire rapporti e relazioni con altre
persone,
come se fosse il suo scotto da pagare per gli errori e i peccati
commessi.
“Non
ho idea di cosa potrei regalargli” si ritrovò a
rispondere, stupendosi per
primo per la facilità con cui quelle parole gli erano
scivolate fuori dalla
bocca, sapienti pattinatrici sul ghiaccio.
“Qualcosa
che gli piaccia? A parte scopare con te, Gaara” lo prese in
giro Hidan,
accendendosi una sigaretta, ignorando Deidara che gli intimava di
andare sul
balcone.
Il
ragazzo fissò pensieroso il cibo ancora nel piatto,
ignorando gli altri che
litigavano e Hidan che alla fine usciva fuori, convinto dalla minaccia
di
Deidara di non fargli più pompini, perché sapeva
che l’altro sarebbe stato
davvero in grado di mantenere quella minaccia.
Gaara
pensò a Sasuke e si rese conto sul serio di sapere
pochissimo sul suo conto, di
certo non poteva regalargli una scorta di preservativi, doveva pensare
a
qualcos’altro; si maledisse per essere così
incapace di relazionarsi agli altri
e riuscire in una cosa tanto banale quale era fare un regalo.
“C’è
un gruppo musicale che gli piace, pensi che possa essere
un’informazione
utile?” domandò a Deidara che stava mandando
giù l’ultimo boccone. Si era
ricordato del CD che gli aveva visto una sera nello zaino e delle poche
parole
che Sasuke aveva usato per raccontargli quanto gli piacesse quella band.
“È
un punto di partenza – affermò Deidara –
magari se siamo fortunati hanno dei
concerti in programma, o possiamo trovare maglie, oggetti
vari… ora vediamo.”
Si
alzò e tornò poco dopo con il portatile acceso
che appoggiò sul tavolo,
spostando un po’ di stoviglie per mettersi poi a fare qualche
ricerca.
“Cazzo!
Un regalo mica da poco!” esclamò Hidan che era
rientrato e si era messo alle
loro spalle per vedere lo schermo, odoroso di nicotina.
Gaara
stava pensando più o meno la stessa cosa, ma in maniera
decisamente più
analitica: quella band aveva un concerto in città il mese
seguente, ma i
biglietti rimasti costavano parecchio, però quale altro
regalo avrebbe potuto
fargli?
Rimase
in silenzio qualche istante mentre Deidara cercava qualche alternativa,
ma
obiettivamente il ristretto ventaglio di possibilità era
proprio miserabile.
“Credi
di potermi anticipare almeno metà dell’affitto del
prossimo mese?” chiese al
proprio coinquilino.
Hidan
ci rifletté, poi annuì:
“Sì,
ce la posso fare. Ma tu sei sicuro di voler comprare quei biglietti?
Con
l’università dovrai affrontare molte spese, lo sai
che ti aiuterò come posso,
ma nemmeno io sono un fottuto riccone da strapazzo e ho le rate della
macchina nuova da pagare.”
“Non
preoccuparti, ce la posso fare, mi sono fatto un paio di
calcoli” lo rassicurò
Gaara. Non sarebbe stato proprio semplice, ma pensò che ne
valeva la pena,
voleva afferrare quella mano che gli era stata tesa. quella era la sua
occasione.
***
Gaara
si guardava attorno nervosamente, con le mani affondate nelle tasche
del
cappotto. I corridoi dell’università erano
affollati di parenti commossi e
orgogliosi, amici confusionari, pronti a celebrare un traguardo
importante, e
laureandi invece tesi e nervosi che avevano l’aria di volersi
trovare in qualsiasi
altro luogo all’infuori di quello. Gaara si sentiva come
sempre a disagio,
fuori posto, e cercò di non dare ascolto alla vocina
interiore che continuava a
sussurrargli di aver fatto un madornale errore, che era meglio che
girasse i
tacchi, che lì non c’era niente per lui.
Il
ragazzo però teneva duro, era convinto di stare facendo la
cosa giusta, di
doversi mettere in gioco per dare una svolta alla sua vita e di non
poter
pretendere che gli altri facessero un passo nella sua direzione se lui
stava
sempre fermo e immobile ad aspettare; era il momento di agire.
Si
passò una mano tra i capelli rossi tagliati il giorno prima
e poi si sfilò il
cappotto, inutile tra quelle mura riscaldate. Rimase in giacca e
camicia,
niente cravatta e niente di troppo ricercato: erano gli abiti che usava
anche
per andare a lavoro.
Era
affascinato da quella realtà che vedeva sotto ai suoi occhi
e si immaginò a
percorrere quei corridoi tutti i giorni, incontrare un compagno,
rivolgergli
un saluto e qualche chiacchiera sulla partita della sera prima
e… gli piacque
terribilmente quel sogno ad occhi aperti. Tuttavia lui era solo uno
studente
universitario lavoratore, quindi niente lezioni giornaliere, niente
mattinate
nelle aule colme di coetanei, solo libri ed esami da dare in solitaria.
Si
avvicinò alla sala che gli aveva indicato con Sasuke e vide
che ancora non era
piena e la gente continuava a entrare ed uscire; normale visto che lui
era
andato lì un po’ in anticipo. Si guardò
attorno, con quegli occhi chiari che
coglievano sempre ogni dettaglio, senza lasciarsi sfuggire nulla nel
tentativo
di comprendere meglio il mondo e chi lo abitava.
Poi,
lo vide.
Era
molto bello ed elegante nel suo completo giacca e cravatta, parlava con
due
adulti, probabilmente i genitori visto che gli assomigliava. La donna
aveva un
sorriso dolce, capelli lunghi e neri e lo guardava adorante, non poteva
sbagliare: quella era la madre. L’uomo invece aveva i capelli
tagliati corti,
anch’essi neri, e sia lo sguardo che la postura del corpo
intero erano piuttosto
autoritari e rigidi. Gaara si ricordò che era molto severo
col figlio, almeno
così Sasuke gli aveva accennato.
Questi
intanto stava continuando a parlare coi genitori con calma, quando
voltò la
testa nella sua direzione e fu come se avesse visto un fantasma.
I
suoi occhi si assottigliarono, le spalle si tesero al pari delle corde
di una
chitarra e, sotto la sua espressione apparentemente calma, si capiva
che era
turbato, o perlomeno Gaara lo capì. All’improvviso
comprese di aver fatto un
errore madornale nel venire lì, la mano che avrebbe voluto
sollevare in un
saluto rimase impietrita lungo il fianco; tuttavia lui non se ne
andò, ormai
era troppo tardi, non poteva tornare indietro, né fare finta
di non essere in quell'aula.
Sasuke
si avvicinava, salutando cortesemente altre persone mentre camminava e
poi gli
fu di fronte:
“Che
cazzo ci fai qui?”
Gaara
avrebbe voluto chiederselo lui stesso. Quanto si era sbagliato!
Lì non c’era
niente per lui, nessun futuro, nessuna mano tesa, solo un altro muro,
simile a
tanti altri che aveva già incontrato in vita sua. Era stato
un muro lievemente
differente, era trasparente e gli aveva regalato l’illusione
di non esistere,
di avere la possibilità di afferrare ciò che
aveva intravisto al di là.
“Sono
venuto a vederti, è un giorno importante per te”
rispose, senza mostrare però
tutto il suo turbamento, il suo viso era impassibile.
“Appunto!
– sibilò Sasuke – Non dovresti essere
qui, che diavolo ti è venuto in mente?
Cazzo, se ti vedono…” cercò di darsi
una calmata e sembrare che stessero
conversando amichevolmente, niente di più lontano dalla
realtà. Se solo Sasuke
avesse potuto, probabilmente in quel momento lo avrebbe vaporizzato.
“Se
mi vedono cosa succede? Non ho scritto in fronte che sono gay e nemmeno
che
abbiamo scopato – ribatté Gaara duro –
sembrerei solo un tuo amico, cosa c’è di
così
sbagliato? E poi che diavolo mi hai detto a fare ora e luogo della tua
laurea
se non volessi che venissi?” Stava iniziando ad arrabbiarsi
per tutta quella
sceneggiata che l’altro gli stava facendo. Ok, aveva visto un
invito dove non
c’era, ma non credeva di aver commesso un peccato
così madornale.
Sasuke
sobbalzò nel sentire quelle parole, e infilò le
mani contratte a pugno nei
pantaloni del costoso completo, si vedeva ad occhio nudo la
qualità rispetto a
quello più economico di Gaara.
“Non
provarci mai più a dire cose simili”
mormorò secco, facendo poiinvece un cenno di
saluto garbato con la testa e un mezzo sorriso a una signora.
Tornò a fissare gli occhi
chiari dell’altro e continuò “Non sei
mio amico, proprio per niente, che cazzo
dovrei dire ai miei genitori? Che ti ho conosciuto in un bar? Sei
fuori? –
compresse le labbra – nemmeno mi ricordavo di avertelo detto,
mi sarà uscito
così, per caso… che diavolo ne so! Ora te ne devi
andare prima che arrivino
anche…”
“Certo,
tu dai informazioni tanto dettagliate così, per caso, certo
Sasuke…” lo
interruppe Gaara e, vedendo che l’altro era rimasto
ammutolito, continuò “Me ne
vado, certo, non preoccuparti. Non inquinerò la tua aria con
la mia presenza –
lo guardò negli occhi – cazzo, aveva proprio
ragione Deidara: sei un gay
represso, un pessimo gay represso. Sì, ho ridetto quella
parola, cosa vuoi
fare? Picchiarmi? Però così non daresti un grosso
scandalo proprio in questo giorno così
importante? Vaffanculo Sasuke.”
Gaara
si voltò e se ne andò senza aspettare una sua
risposta, senza vedere se le sue
parole avessero avuto un qualche effetto, ormai non gli importava
più. Era
stato caustico, cattivo, lo sapeva, ma Sasuke era riuscito a ferirlo
profondamente. Con lui si era esposto e l’altro lo aveva
trattato come se fosse
feccia della peggior specie, portatore di una malattia incurabile e
mortale:
l’essere diverso.
Diverso
per gusti sessuali, per colore della pelle, dei capelli; di una diversa
classe
sociale, religione, schieramento politico… semplicemente
diverso in qualcosa
rispetto ai rigidi standard in cui Sasuke evidentemente viveva. Se per
la sua
famiglia poteva essere un problema concepire di conoscere un amico in
qualche
posto diverso dalle istituzioni formali, la definizione di severo
assumeva
altri connotati.
Urtò
una persona mentre camminava, ma non si fermò, vide giusto
con la coda
dell’occhio che un ragazzo con i capelli raccolti in una coda
si voltava a
guardarlo, ma lui non chiese scusa né rallentò il
passo. Andò avanti, così
doveva fare; andare avanti e non guardarsi indietro e nemmeno attorno,
perché tanto
non aveva nulla attorno a sé.
All’improvviso
si sentì afferrare per una spalla e si voltò di
scatto, indispettito, vedendo
uno sconosciuto dai capelli biondi che non lo mollava.
“Ehi,
cammini proprio svelto, tu” gli disse il ragazzo, prima che
lui potesse aprire
la bocca e intimargli di lasciarlo. “Ho visto che parlavi con
Sasuke, sei un
suo amico? Perché vai via? Tra poco tocca a lui.”
Gaara
rimase spiazzato per la facilità con cui quel tipo sparava
domande e parole a
raffica, possibile che fosse amico con quello stronzo?
Calmati Gaara,
calmati. Sono
domande innocenti, genuinamente curiose, non rispondere male, sii
impassibile
come sempre, menti e poi vai via in fretta, lontano da qui.
“Sì,
ci conosciamo – rispose, sorvolando sulla questione
dell’amicizia, visto che
Sasuke era stato molto chiaro a riguardo – ero solo passato a
salutarlo, non
posso trattenermi, devo tornare a lavoro.”
Sul
viso dell’altro la delusione era evidente e ciò lo
lasciò interdetto, come si
poteva essere dispiaciuti dell’assenza di uno sconosciuto?
“Capisco,
cavoli che fregatura! Beh, comunque io sono Naruto – gli tese
la mano – magari
ci incontriamo stasera alla festa o in un’altra occasione.
Sai, oltre me Sasuke
non ha molti altri amici e sono rimasto sorpreso vedendovi parlare con
tanta
confidenza.”
“Gaara
– rispose stringendo la mano e pensando che quel tipo non
aveva capito proprio
niente – beh, vedremo. Ora devo andare.”
Si
infilò il cappotto e sentì che c’era
qualcosa nella tasca, qualcosa che non
voleva assolutamente; istintivamente tirò fuori la busta e
chiese:
“Naruto,
mi faresti un favore? Andavo di fretta e ho dimenticato di dare questa
a
Sasuke. Non so bene quando lo rivedrò, potresti
consegnargliela tu?”
Tese
una semplice busta da lettere rettangolare, bianca, senza nessuna
scritta,
anonima, come anche l’interno. Dentro c’era solo il
suo regalo, quei due biglietti
che gli erano costati un patrimonio, ma che non voleva rivedere. Non
voleva
nemmeno rivenderli e riprendere i soldi, non voleva nulla da Sasuke.
Naruto
afferrò la busta, perplesso:
“Sicuro?
Puoi dargliela alla festa… comunque va bene, gli
dirò che è da parte tua.”
“Come
preferisci, ma non serve. Scusa ora devo andare” si
incamminò mentre l’altro
ancora lo salutava, ma non gli interessava. Voleva solo fuggire via da
lì, dal
suo ennesimo fallimento e racchiudersi in se stesso, ormai lo aveva
capito: non
c’era altro modo di vivere per lui.
L'angolino oscuro: Tutti in coro: "Sasuke sei una merdaaaaaa!!!!"
Vi sentite meglio? Io sì. Niente, Sasuke non ce la può fare: è così rinchiuso nel suo mondo ristretto che non riesce a concepire che le due vite che ha tenuto attentamente separate possano collidere anche se per poco. Eppure Gaara gli fa un'osservazione giustissima, perché dirgli data, ora e luogo se non lo voleva lì? L'inconscio aveva preso il sopravvento?
Ad ogni modo la razionalità e la paura di Sasuke hanno preso il sopravvento e ferisce Gaara, che se ne va da lì ben deciso a non voltarsi indietro tanto da travolgere qualcuno durante la sua fuga, alla fine Naruto lo blocca e lui si disfa anche di quei costosi biglietti, tanto è il desiderio di non avere più a che fare con Sasuke. E se ne va, con le tasche vuote, il conto in banca in rosso e la consapevolezza di essere solo: persino quando si è messo in gioco si è visto sbattere la porta in faccia; ora chi glielo spiega che ha solo scelto il soggetto sbagliato e che c'è ancora speranza, che troverà qualcuno che lo desideri e lo ami, senza vergognarsi o reprimere quei sentimenti? Giusto per chiarire: non è che Gaara fosse innamorato di Sasuke, ma credeva che il loro rapporto fosse qualcosa più di una semplice serie di scopate, tanto che si lasciava addirittura carezzare da lui, credeva che fosse qualcosa che sarebbe potuto crescere col tempo.
Nella prima parte del capitolo invece abbiamo scoperto qualcosina in più su Gaara, sul suo lavoro e sul rapporto che lo lega a Hidan e Deidara, tra l'altro adoro alla follia questi due come coppia e mi sono divertita a scrivere di loro, dandogli un'aria un pochino più scanzonata e meno sanguinaria come nel manga, ma rimangono comunque due personaggi sopra le righe e, come Gaara fa giustamente notare, non sono esattamente amichevoli e amorevoli verso il mondo. Se avete letto la mia one-shot lo saprete già, ma lo dico anche qui per chiarezza: Gaara e Sasuke si sono incontrati al gay bar dove lavora Deidara come barman, ed era la prima volta che Sasuke entrava in un locale simile.
Il titolo fa riferimento al modo in cui Gaara alla fine rivaluta Sasuke, si era illuso e invece poi lo vede chiaramente per quel che è: un pessimo gay represso che lo ha ferito, anzi a cui ha permesso di ferirlo che è lievemente diverso, si tratta di sfumature, ma lo ritengo molto importante.
Bene, vi lascio, anche stavolta ho straparlato a lungo, questo angolino è quasi più lungo del capitolo XD vi avviso che però già dal prossimo i capitoli diventeranno un po' più lunghi, ma avevo bisogno di questi due capitoli un po' più brevi, il primo come prologo e questo per focalizzare bene l'attenzione su queste scene. Venerdì parto per una decina di giorni e quindi aggionerò dopo il 21, detto questo vi lascio davvero stavolta XD e lasciatemi un commento se vi va, mi fa sempre piacere dialogare con voi e scambiarci opinioni.