Orizzonte
“Che
ci fai lì seduto? Dai vieni!”
“Dai,
siamo tutti insieme, qui ci divertiamo.”
“Non
stare da solo, non serve, qui ridiamo tutti insieme.”
“Hanno
ragione, dai!”
Il
ragazzo guardò la mano entrata nel suo campo visivo e non
seppe
bene cosa fare. Alle sue narici arrivò anche
l’odore caldo di
quella pelle, sapeva di buono, di qualcosa di confortante che avrebbe
offerto riparo e comprensione. Alzò gli occhi chiari, deciso
ad
accettarla e sollevarsi, ma la sua voce lo freddò.
“No,
lui no, non ancora.”
Era
la sua
voce, non la udiva da anni, ma l’avrebbe riconosciuta ovunque.
La
mano scomparve e l’odore divenne acre, marcescente, come di
fiori
lasciati a imputridire, dimenticati in un vaso di cristallo. Alle sue
orecchie arrivò una musica distante, le parole erano
distorte, come
se la radio non fosse sintonizzata bene sulla frequenza giusta.
I
am not the only traveler who has not repaid his debt
I've been
searching for a trail to follow again
Sì,
doveva trovare una nuova strada, il percorso giusto, ma
dov’era?
Lui non riusciva a vederlo. Non era il solo peccatore a calcare le
strade, ma in quel momento lo era, era da solo. C’era il
vuoto attorno
a sé, nessuna mano tesa, nessun viso, niente, solo il vuoto
e la
polvere che volteggiava prima di depositarsi sulle cose e su chi
era rimasto immobile.
Come lui.
Gaara
si svegliò quasi di soprassalto. Spalancò gli
occhi, con il
rimbombo del cuore nelle orecchie e in gola. Era stato solo uno
stupido sogno, ma come tutti i sogni era sembrato tanto più
vivido e
lucido della realtà. Provava un senso di oppressione al
petto al
ricordo di quella mano tesa, scacciata dalla sua voce che gli
aveva
impedito di afferrarla. Eppure, contradditoriamente, era stato felice
di udire quella voce,
perché oramai era presente solo nei propri ricordi, non
aveva altro
modo per sentirla.
Un
mugolio provenne dal suo fianco e lui si voltò a guardare la
persona
che ancora dormiva nel suo letto.
Sospirò piano, decidendosi a scendere e
raccattare qualche vestito. Aveva intenzione di andare a fare una
doccia e poi di mettere sotto i denti qualcosa; era appena
l’alba ma riposare ancora era fuori discussione,
inoltre non voleva svegliare il suo ospite e avere a che fare col suo
caratteraccio, non con quel malumore che il sogno gli aveva messo
addosso.
Dopo
una doccia, con una tazza di the caldo in mano e un piatto con dei
toast davanti, la giornata appariva sotto un’altra luce.
Gaara
si stava godendo la propria colazione con calma, immerso nella quiete
e in compagnia del suo lettore di e-book, quando sentì la
porta
d’ingresso aprirsi e richiudersi con un tonfo poco delicato.
I
passi in avvicinamento stavano sancendo la fine del silenzio.
“Cazzo
fai già in piedi? O il tuo ospite non ti ha fatto dormire
affatto? –
una risata – Ho visto un altro cappotto
all’ingresso.”
Gaara
osservò Hidan, il suo coinquilino lasciarsi cadere sulla
sedia a
fianco alla propria, ancora col riso sulle labbra.
“Ho
dormito, ma mi sono svegliato presto – spiegò
pazientemente,
spegnendo l’e-reader – tu piuttosto rientri solo
adesso. Nottata
impegnativa?” domandò osservandolo servirsi dei
toast sul tavolo.
“Puoi
dirlo forte! Con Deidara abbiamo rimorchiato un tizio fuori di testa
e abbiamo fatto roba tutti assieme, sono distrutto! È stato
un
sabato sera col botto, ora ho intenzione di dormire almeno fino a
oggi pomeriggio!” esclamò con la bocca piena,
bevendo anche il
the di Gaara.
Hidan
era fatto così: senza filtri. Parlava senza preoccuparsi di
filtrare
quello che gli passava per la testa e le sue maniere andavano di pari
passo; Gaara oramai ci aveva fatto l’abitudine dopo tutti gli
anni
di conoscenza e convivenza che li univano. In realtà non gli
dispiaceva nemmeno del tutto, era un bel contrasto col proprio
carattere riservato e schivo, anzi ad essere sinceri, doveva parecchio
a
quell’uomo irruento che si stava finendo la sua colazione.
“Bene,
sono felice che tu e Deidara abbiate passato un bel sabato sera,
anche se quel tipo doveva essere quasi da ricovero psichiatrico se tu
stesso l’hai definito fuori di testa” rispose
pacato,
strappandogli però di mano l’ultimo toast.
Hidan
fece un sorriso storto, con gli occhi viola scintillanti di
divertimento per poi passare un braccio attorno alle spalle di Gaara
e tirarselo vicino. Il viso pieno di briciole, l’espressione
sorniona e quel gesto affettuoso non riuscivano però a
cancellare
del tutto l’ombra spietata e affilata caratteristica del suo
carattere, ma che il ragazzo riservava al mondo esterno, degno di
ricevere tutto il suo disprezzo e la sua crudeltà. Tra le
mura
di
casa e con le pochissime persone a cui si era legato, le cose erano
un po’ differenti.
“Credo
che nemmeno tu possa lamentarti della tua serata –
affermò ironico
– ultimamente stai vedendo quel tipo un po’
più spesso o
sbaglio?”
Gaara
sorrise, lasciandolo fare e finendo di mangiare il toast prima di
rispondere:
“Mica
mi sono lamentato infatti – precisò –
sì, nell’ultimo mese ci
siamo visti più di frequente, è un problema se si
ferma anche a
dormire?”
Era
iniziato per caso: una sera il suo partner si era semplicemente
addormentato, troppo stanco per rivestirsi e andarsene come al
solito. Da quella volta in poi si era sempre fermato spontaneamente,
senza drammi o discorsoni, non funzionava così tra di loro;
semplicemente era apparso evidente agli occhi di entrambi quanto la
cosa fosse più conveniente. Nessun rischio di incidenti nel
mezzo
della notte per un colpo di sonno, la possibilità di bere
senza
porsi qualche limite, e poi il letto a una piazza e mezza di Gaara
era sufficientemente comodo per entrambi.
“Sai
che cazzo me ne frega! Fa’ come ti pare, come se ti avessi
mai
chiesto il permesso per far dormire Deidara qui – rise Hidan
lasciandolo andare – ero solo curioso. Non era mai successo
prima,
anzi penso di poter dire che questa è la tua relazione
più lunga…
o trombamicizia, o come diavolo vuoi chiamarla.”
Gaara
inclinò il collo su un lato, riflessivo; era vero, dopo
quasi
quattro mesi continuavano a vedersi seppur senza nessuna
regolarità
o obbligo tra di loro.
“Hai
ragione, ma non c’è molto oltre a
questo… non credo almeno. Non
saprei come definire questa cosa.”
Hidan
gli batté una mano su una spalla e si alzò in
piedi:
“Che
te ne fotte? Finché ti dà il culo va bene. Vado a
dormire, a più
tardi.”
Gaara
si ritrovò a concordare solo in parte col suo coinquilino:
normalmente non si
faceva domande, prendeva quello che veniva, però quella
volta le
cose iniziavano a sembrargli un po’ diverse. In fondo nessun
altro
aveva mai dormito nel suo letto.
***
Sasuke
entrò in cucina con solo una maglietta e dei boxer a
coprirlo,
andando verso la caffettiera elettrica per metterla in funzione senza
bisogno di aiuto. Aveva imparato a muoversi in quella casa e la
faccenda, in quella tarda mattinata domenicale, non gli fece
squillare nessun campanello d’allarme nella testa. Qualsiasi
cosa
poteva attendere la sua razione giornaliera di caffeina.
Con
una tazza fumante, si sedette di fronte a Gaara che stava leggendo e
con cui si era scambiato solo un cenno. Continuarono a rimanere in
silenzio per qualche altro minuto, ma quando Sasuke arrivò
quasi alla fine del caffè, si sentì dire:
“Non
sapevo se dovevo svegliarti o meno come altre volte, quindi ti ho
lasciato riposare. Tra l’altro mi eri sembrato un
po’ stanco
ieri.”
Sasuke
si trovò a guardare quegli occhi acquamarina sconcertanti,
che a
volte lo facevano dubitare della propria sanità mentale, per
tutto
quello che di nuovo si era ritrovato a fare in quegli ultimi mesi.
Si
rigirò in bocca l'ultimo sorso della bevanda rigorosamente
nera e senza
zucchero prima di rispondere:
“Va
bene così. Oggi non ho niente in programma, avevo bisogno di
una
giornata libera – un istante di riflessione – in
effetti avrei
dovuto avvisarti.”
Sembrava
che avesse fatto una gran fatica ad affermare quella sua mancanza, e
la realtà era proprio quella. Solitamente si sarebbe
tagliato la
lingua piuttosto che ammettere un errore o una distrazione, ma in
quei mesi con Gaara aveva imparato a farlo ogni tanto. In
realtà
entrambi facevano delle piccole concessioni all'altro, erano stati
costretti entrambi dalle circostanze: quello oppure si sarebbero
saltati alla gola.
Non
parlavano molto, al di fuori dello stretto necessario per prendere
accordi su dove e quando incontrarsi non si sentivano nemmeno al
telefono. Poi una sera si ritrovavano a bere qualcosa al bar dove si
erano conosciuti e inevitabilmente dopo finivano a scopare a casa di
Gaara, esattamente come la prima sera.
In
quei quattro mesi però qualcosa era cambiato, il suo
fermarsi a
dormire era solo il fatto più evidente, c’era
anche la maggiore
frequenza con cui si vedevano, le rare chiacchiere futili che si
scambiavano e il bisogno di non schermarsi più. Quando erano
insieme
potevano far cadere le armature che li rivestivano, Gaara gli
permetteva addirittura di carezzarlo.
Intanto
proprio questi sorrise, ironico, perché la frase di Sasuke
era
quanto di più simile alle scuse che esistesse, e sapeva bene
lo
sforzo che c’era dietro.
“Beh,
ieri sera non è che tu abbia parlato molto in
effetti” lo
punzecchiò.
Sasuke
strinse più forte il manico della tazza, irritato,
perché in
effetti la sera prima non erano nemmeno andati a bere, semplicemente
era entrato nell’appartamento, aveva baciato Gaara e si era
fatto
scopare quasi a sangue. Sì, aveva decisamente qualche
problema col
suo equilibrio e la sanità mentale.
Gaara
non gli diede tempo di replicare perché, vedendo il suo
disagio, si
premurò di ammorbidirlo, non aveva voglia di litigare o
passare il
tempo a vomitarsi addosso acidità, anche se succedeva anche
quello
tra di loro.
“Mi
sono accorto che stai attraversando un periodo stressante, che
succede? Puoi parlarmene se vuoi.”
O
puoi anche stare zitto e continuare semplicemente a chiamarmi
più
spesso per sfogarti, la scelta è tua, io sono solo qui e non
giudico.
Sasuke
lesse tra le righe e forse la cosa gli diede ancora più
fastidio.
Perché, accidenti, da quando in qua lui riusciva a capire i
sottintesi degli altri, e da quando qualcuno che non fosse Naruto
riusciva a vedere i suoi? Quegli occhi chiari erano troppo penetranti
e destabilizzanti, rifletté.
Posò
la tazza vuota sul tavolo e poggiò un piede scalzo sul
cuscino della
sedia, mentre l’altro rimaneva a terra. Si voltò a
guardare il
panorama fuori dalla finestra, qualche sparuto albero frustato dal
vento e immerso in una distesa di cemento. Osservò i rami
nudi che si
muovevano scompostamente e pensò che, quando sarebbe uscito,
forse non
sarebbe bastato il cappotto a difenderlo dal freddo pungente. In
quella cucina poteva permettersi invece il lusso di stare in mutande
e maglietta senza gelare, protetto, al sicuro.
“Tra
dieci giorni, mercoledì per l’esattezza, mi
laureo. Sono stato in
tensione per questo, la mia tesi era complicata, ho litigato col
relatore più di una volta e ovviamente non posso prendere
meno della
votazione massima. Mio padre non me lo perdonerebbe –
raccontò –
niente che non potessi gestire, naturalmente, ma ho avuto da fare.
Adesso dovrebbe essere tutto pronto, devo solo aspettare
mercoledì e
ripetere per bene il mio discorso” concluse.
Gaara
aveva ascoltato sorpreso quello sfogo, non si aspettava sul serio che
Sasuke raccogliesse il suo invito. Evidentemente doveva essere sotto
pressione ben più di quanto avesse dimostrato,
oppure… con lui si sentiva libero di parlare. Tuttavia
quest’ultima ipotesi venne
accantonata, perché apriva un ventaglio di
possibilità troppo
ampio.
Gaara
non rispose subito, era stato colto alla sprovvista da quel discorso,
inoltre si trattava di qualcosa di cui aveva solo una minima
conoscenza.
E Sasuke aveva una famiglia, con un padre molto severo, ma…
lo
aveva perlomeno.
“Prenderai
il massimo, naturalmente” replicò, asciutto.
“Naturalmente”
ribatté Sasuke, con una punta
d’acidità. Altri risultati non
erano nemmeno da prendere in considerazione come possibili.
“In
cosa ti laurei?” domandò Gaara, moderatamente
curioso. Sapeva che
l’altro era una studente, a differenza sua, ma non avevano
mai
parlato delle rispettive occupazioni.
Dal
loro scambio di battute venne fuori che Sasuke si sarebbe laureato in
architettura, alle 14 nell’aula magna della prima
università della
città, portando come argomento una complessa trattazione
sull’urbanismo, nuovi materiali e un impatto più
ecologico.
Gaara
ne rimase impressionato e affascinato: lui era scappato dalla sua
famiglia adottiva a sedici anni, quando avevano scoperto ciò
che
succedeva tra lui e suo fratello Kankuro.
Aveva
scongiurato in quel modo che li rispedissero in orfanotrofio,
permettendo almeno al fratello di sfruttare le agevolazioni che una
famiglia poteva offrire. In fondo era sempre stato Kankuro quello che
piaceva di più, quello che riusciva a mettere su una
maschera per
risultare gradevole, non Gaara col suo cipiglio scontroso e la sua
scarsa loquacità. Dopo la sua fuga, aveva mentito
sull’età e si
era arrangiato con lavoro in nero, accantonando ovviamente gli studi,
in quel modo era rimasto anche fuori dai radar dei servizi sociali.
Aveva abitato in topaie, gli unici posti che potesse permettersi con
la paga che riceveva, risparmiando su ogni centesimo. Con la maggiore
età era riuscito a trovare occupazioni più
dignitose, aveva
incontrato anche persone che lo avevano aiutato, come Hidan, ed era
riuscito a prendere il diploma frequentando le scuole serali pur
continuando a lavorare. Ora a ventitré anni si ritrovava
segretario
in uno studio legale e col sogno, nemmeno troppo segreto, di diventare
a sua volta avvocato.
Si
era iscritto come studente lavoratore alla facoltà di
giurisprudenza
solo da pochissimo, ancora non aveva dato nessun esame, né
aveva
potuto frequentare le lezioni per via del lavoro, ma stava
già
studiando. E sentire parlare Sasuke di università, di laurea
e di
quella vita spensierata da studente che non avrebbe mai avuto era
affascinante; da quei racconti scarni riusciva a immaginare come
sarebbe potuta essere anche per lui.
Avrebbe
voluto fargli domande, ascoltarlo parlare per ore, ma non chiese
nulla, né mostrò l’entusiasmo che in
realtà lo stava divorando,
bensì ascoltò col viso impassibile quel poco che
Sasuke si lasciò
sfuggire.
“Non
sono mai stato a una laurea” commentò solamente,
alla fine.
Sasuke
sollevò un sopracciglio, sorpreso da
quell’affermazione.
Chiuso
com’era nel proprio ambiente, non riusciva a concepire che
qualcuno
potesse avere uno stile di vita diverso e quell’affermazione
invece
gli sbatteva in faccia quella realtà. Esistevano davvero
persone
che non avevano genitori soffocanti, che non dovevano sempre apparire
perfette, ma potevano anche commettere errori, essere rilassati,
inseguire i propri sogni e desideri senza alcuna costrizione. Da non
credersi, quasi.
“No?
Nessuno dei tuoi amici si è laureato?”
“No,
nessuno” rispose Gaara, riflettendo che non ne aveva poi
così
tanti di amici, più che altro conoscenti.
Sasuke
si alzò per posare la tazza nel lavandino, dicendo in tono
leggero:
“Beh,
da adesso in poi potrai dire di conoscere un laureato.”
Buttò
quella frase lì, tanto per rispondere, senza pensare al
reale
significato di quelle parole o di come Gaara avrebbe potuto
interpretarle. Come al solito non si curava poi troppo di
ciò che
provavano gli altri, concentrato su se stesso e i propri bisogni,
incapace di empatizzare.
Si
portò alle spalle di Gaara e si chinò a baciargli
il collo:
“Ho
ancora qualche ora libera.”
Quello
lo disse con più attenzione, gli interessava sul serio la
reazione
del ragazzo, perché questo avrebbe decretato o meno la
soddisfazione
dei propri bisogni. E Sasuke, nei suoi ventidue anni di vita, era
inesperto su molte cose, capiva poco di se stesso e ancora meno degli
altri, ma aveva ben chiaro cosa voleva e come fare per ottenerlo.
L'angolino
oscuro:
Avevo detto che sarei tornata ed eccomi qui, stavolta niente one-shot
bensì una long *lancia coriandoli* nemmeno io credevo che da
sola sarei mai riuscita a portarla avanti, sono decisamente sorpresa ma
il merito non è solo mio, bensì di Fra aka
Happy_Pumpkin
la mia fedele zucchetta che mi sopporta oramai da più di
nove
anni. Se questa storia sta venendo pubblicata è solo grazie
a
lei, ai suoi incoraggiamenti costanti, alla pazienza di fronte ai miei
dubbi, gli scleri sull'IC, sullo stile, su *inserire argomento random*.
Insomma, mi è stata vicino e grazie alle discussioni con lei
le
mie idee si chiarivano e riuscivo ad andare avanti, quindi questa
fanfiction è interamente dedicata a lei e ho deciso di
pubblicarla proprio oggi per il giorno del suo fantameraviglioso
compleanno, surprise! *O*
Parlando di altro, questa fanfiction altro non è che il
seguito della mia one-shot If
I had a heart
non è obbligatorio leggerla per poter seguire questa long,
ma di
sicuro alcuni particolari risulteranno più chiari. La storia
riprende all'incirca quattro mesi dopo la conclusione della one-shot,
Sasuke e Gaara hanno continuato a frequentarsi, ma hanno un dialogo
quasi inesistente, ogni tanto si aprono, si lasciano sfuggire qualcosa
su loro stessi, ma nonostante i loro silenzi la relazione è
andata avanti. Sasuke si ferma addirittura a dormire e Gaara gli
permette di carezzarlo, cosa che invece normalmente non riesce a
tollerare, eppure tutto ciò basterà per
permettergli di
andare avanti? Questo lo scoprirete leggendo XD
La mia storia tratterà anche lo spinoso argomento
dell'incest,
in questo caso tra Gaara e Kankuro, lo andremo a sviscerare
più
approfonditamente mentre nella one-shot lo avevo appena accennato senza
dedicargli molto spazio. E' un argomento che mi affascina, in effetti
amo anche l'Uchihacest, e spero di essere stata all'altezza di temi
tanto delicati, ma ne parleremo meglio nei capitoli successivi. Per il
momento abbiamo questo breve prologo che ci offre una panoramica
generale della situazione, della vita dei nostri protagnisti ma
successivamente la storia si arricchirà di altri personaggi.
Tra
l'altro adoro Hidan e trovo che con Gaara funzionino maledettamente
bene *O*
La storia è quasi interamente scritta, quindi gli
aggiornamenti
saranno abbastanza regolari e ravvicinati e di certo la
concluderò, non la lascerò a metà, non
temete! Il
titolo della fanfiction Everybody
hurts
è lo stesso di una canzone dei R.E.M. sono una loro fan e
quindi
la conoscevo già, ma qualche tempo fa l'ho ascoltata e ho
avuto
un flash, mi sono detta: "E' lei! E' perfetta per la mia storia" e
già questo vi dovrebbe far capire qualcosa su come andranno
le
cose qui, angst e drammoni a manetta XD
Le due frasi in corsivo nel sogno sono invece della canzone The night we met
di Lord Huron ed è la canzone che mi ha fatto venire in
mente
come poter scrivere questa long, l'ho ascoltata a ripetizione per ore
mentre scrivevo, sì mi fisso leggermente sulle
cose XD
Il titolo del capitolo invece vuole richiamare ciò che gli
occhi
dei due protagonisti vedono, il limite oltre il quale i loro sguardi si
bloccano. Però anche se c'è il sole che nasce e
tramonta
sulla linea dell'orizzonte, che acceca, non è detto che al
di
là non ci sia nulla e che sia impossibile oltrepassarlo, ma
al
momento loro non vedono nient'altro.
Detto ciò, ho parlato un sacco e penso anche a sproposito
quindi
mi dileguo e mi auguro di riuscire a trasmettervi qualcosa e che
vogliate lasciarmi una recensione, rendendomi partecipe dei vostri
pensieri e riflessioni sulla storia, alla prossima!