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Autore: IndianaJones25    11/08/2017    2 recensioni
Di ritorno da un’avventura a Ceylon, Indiana Jones può finalmente iniziare un nuovo anno accademico. Ma, proprio quando pensa che per qualche tempo le lezioni universitarie saranno la sua quotidianità, il celebre archeologo riceve un nuovo incarico: quello di ricostruire lo Specchio dei Sogni, l’unico oggetto in grado di condurre al Cuore del Drago, un antico artefatto che non deve cadere nelle mani sbagliate. Così, affiancato dal suo vecchio amico Wu Han e da un’affascinante e misteriosa ragazza, Jones si vedrà costretto a intraprendere un nuovo e rocambolesco viaggio attorno al mondo, in una corsa a ostacoli tra mille difficoltà e nemici senza scrupoli…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold Oxley, Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Wu Han
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7 - NEL PALAZZO DI BELISARIO

   La scala, intagliata rozzamente lungo la parete rocciosa che fungeva da piattaforma naturale per la moschea, era ripida e sdrucciolevole, ma non sembravano esserci altri passaggi per poter raggiungere il fondo. Se, poi, gli operai tedeschi erano passati per di lì trasportando le attrezzature da scavo, poteva riuscirci benissimo anche lui, che aveva le mani libere.
   L’emozione della scoperta gli aveva fatto passare il mal di testa, e doveva ammettere che, quella, era una gran bella cosa; gli rimanevano, ancora, vari dolori in altri punti del corpo, ma ormai Indiana Jones aveva fatto il callo alle privazioni ed alle percosse, e non ci faceva quasi più caso.
  Prima di iniziare la propria discesa verso l’ignoto, però, volle sbarazzarsi del travestimento da arabo: non solo perché lo impacciava nei movimenti, ma soprattutto perché mai sarebbe penetrato in quello che appariva essere, a tutti gli effetti, il più importante cantiere archeologico che avesse mai avuto occasione di visitare, senza indossare quella che, col tempo, era divenuta la sua uniforme, ossia i pantaloni marroni, la camicia bianca, il giubbotto di pelle e, soprattutto, il cappello. Non si sarebbe nascosto come un codardo; là sotto, inoltre, gli operai potevano anche scambiarlo per uno dei tanti archeologi che, di sicuro, dovevano essere arrivati lì con Von Beck. Diamine, quel tedesco non poteva certo avere avuto occasione di far circolare la sua fotografia tra tutti i mercenari! Soprattutto, se pensava che, fino a qualche minuto prima, egli era saldamente nelle mani del nazista, che non avrebbe avuto alcun motivo, quindi, di mettere in allerta i suoi uomini. Adesso, forse, sarebbe stato diramato tra i mercenari un ordine di cattura nei confronti dell’americano ma, ne era certo, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarlo all’interno della città sotterranea, della cui esistenza egli non sarebbe neppure dovuto essere a conoscenza. Si sarebbero sparpagliati inutilmente per Istanbul, nella vana speranza di rintracciarlo mentre si dava alla fuga.
   Si domandò se potesse fidarsi di Mei Ying: dopotutto, la conosceva appena, nonostante lo avesse salvato. Decise di non pensarci, adesso. Aveva ben altre incombenze di cui preoccuparsi, in quel momento, e sapere se la giovane cinesina fosse davvero un’alleata o, piuttosto, una nemica pronta a sbarazzarsi di lui a giochi finiti, non gli avrebbe cambiato in alcun modo la giornata. Se gli fosse stata davvero amica, avrebbe anche potuto trarne una qualche utilità; se, invece, si fosse rivelata l’ennesima doppiogiochista, come gli capitava anche troppo spesso quando pensava di conoscere bene qualcuno, be’ non avrebbe fatto grande differenza. Una persona in più da cui guardarsi le spalle, nulla di nuovo, dopotutto. C’era abituato.
   Adesso, la preoccupazione più grande di Indiana Jones era quella di riuscire a discendere la lunga, stretta, ripida e scivolosa scala senza mettere un piede in fallo; se avesse commesso tale imperdonabile errore, sarebbe volato di sotto per parecchie decine di metri, e la cosa non gli sarebbe affatto piaciuta. Adorava le entrate a sorpresa, certo, ma non fino a quel punto.
   Quindi, con cautela, cominciò ad avanzare lungo la scaletta, lasciandosi alle spalle la moschea per penetrare nella città perduta; ad ogni passo, sentiva l’emozione crescergli a fior di pelle. Per la seconda volta in pochi giorni, stava sperimentando la straordinaria sensazione di mettere piede in un luogo della cui esistenza si era sempre dubitato profondamente, una città i cui antichi abitanti erano ormai stati dimenticati. Ancora una volta, però, stava condividendo il grande momento con i nazisti. Quella gente, per il poco che aveva avuto modo di conoscerla, non gli piaceva affatto e, dentro di sé, sperò vivamente di non doverci avere mai più a che fare, dopo la conclusione di questa avventura.
   I gradini, per quanto sdrucciolevoli, non sembravano dare troppi fastidi e la discesa, sebbene lenta, non fu affatto difficile come aveva inizialmente creduto; più scendeva e più il silenzio si faceva assoluto, come se su quella città tramutata in tomba gravasse incommensurabilmente il fardello del tempo trascorso e delle persone che, lì dentro, avevano vissuto in maniera del tutto normale la propria esistenza fino al tragico momento in cui l’avevano perduta. E la sensazione di discendere inesorabilmente verso un sepolcro era acuita anche dal fatto che il buio si facesse via via più fitto ed il silenzio sempre più assoluto. Ma fu solo per qualche minuto, ossia mentre discendeva gli ultimi gradini, scavati all’interno di uno stretto pertugio tra due pareti di roccia trasudante umidità. Molto presto, sbucò oltre il condotto ed i potenti riflettori montati dai tedeschi, gli stessi che aveva avuto modo di osservare dall’alto, cominciarono ad illuminare ogni cosa in maniera innaturale, annullando la quiete con il loro ronzio elettronico.
   Indiana Jones spuntò su quella che appariva come un’antica piazza e vi rimase fermo, immobile, guardandosi attorno con commossa ammirazione; si trovava in quello che doveva essere stato l’agorà, il luogo in cui i cittadini dell’arcaica città si riunivano per discutere di politica e di filosofia, il cuore pulsante del centro abitato. Quale uomo del suo tempo avrebbe mai potuto affermare di essersi trovato a passeggiare per il maggiore centro di una polis greca ancora in perfetto stato di conservazione? Avvertiva il peso dei secoli gravargli addosso in maniera quasi spossante, eppure sembrava che gli abitanti se ne fossero appena andati, gli pareva addirittura di scorgere gli antichi uomini, politici, filosofi, semplici passanti, avvolti nel loro pallio, fermarsi a discutere ad alta voce di questioni molto simili a quelle di cui aveva letto nelle opere di Platone ed altri autori del mondo antico.
   L’ampia piazza, piastrellata da pietre grigie solamente in parte sconnesse, aveva nel suo centro esatto una fontana, ormai asciutta, di forma circolare e recante nel mezzo, sopra un piedistallo marmoreo, una statua bronzea del dio Poseidone, colto nell’atto di scagliare il proprio tridente, alta all’incirca due metri; a Jones ricordò molto la statua di un dio, forse Zeus o forse lo stesso Poseidone, non bene identificato a causa della mancanza dell’oggetto che stava lanciando, ritrovata una decina d’anni prima a Capo Artemisio, sulla costa nord dell’Eubea, in Grecia, che lui stesso aveva avuto modo di studiare dettagliatamente poco dopo il recupero dal fondo marino. La piazza era circondata, su ciascuno dei lati, da un porticato colonnato, ancora intatto, non fosse stato per qualche pezzo di frontone crollato al suolo. Decisamente, il terremoto che ne aveva decretato la fine non sembrava aver colpito più di tanto la città sotterranea, forse proprio per via della sua posizione sotto la superficie della terra.
   Jones stava osservando con curiosità un bassorilievo recante l’immagine di una processione quando, dal portico alla sua destra, emerse la figura di un soldato tedesco in uniforme. L’uomo si accorse immediatamente di lui e, estratta la pistola che portava alla fondina, gridò: «Alt!»
   Ovviamente, Jones non gli badò. Afferrata con fulminea rapidità la frusta, la srotolò e la fece scoccare, avvolgendola esattamente attorno alla canna della pistola dell’uomo, con un colpo degno di un prestigiatore. Tirò a sé l’arma, che sfuggì dalle mani del soldato, poi si gettò in avanti, intenzionato a mettere fuori combattimento il tedesco prima che potesse correre a dare l’allarme. Lo colpì con un forte pugno sotto il mento, poi lo mandò a gambe all’aria con un diretto alla mascella. Dal modo in cui il soldato si comportava, decisamente non era stato addestrato nella lotta corpo a corpo.
   L’archeologo sollevò il capo dall’uomo, ormai tramortito, appena in tempo per vedere un arabo, indossante la divisa dei mercenari, piombargli addosso come un macigno. Riuscì a scostarsi quel tanto che fu sufficiente ad evitare un impatto più devastante, ma venne comunque colpito alla spalla sinistra da un pugno davvero poderoso, tanto che gli parve di udire le proprie ossa scricchiolare cupamente. Ringhiando come una bestia, l’arabo tornò all’assalto, cercando di afferrargli la testa.
   Indiana Jones, ancora una volta, fu più veloce del suo avversario. Con un salto si portò fuori tiro poi, afferrata la frusta che aveva in precedenza lasciato cadere, prese la mira e saettò nuovamente l’elastico nerbo che, questa volta, andò ad arrotolarsi, come un serpente che catturi inesorabilmente la preda tra le proprie spire, attorno al collo dell’arabo, che venne poi strattonato verso di sé da Jones. Senza fiato, l’uomo perse l’equilibrio e cadde sul selciato, arrancando e tossendo. Poco dopo, avendo ricevuto un pesante calcio in pieno viso, si ritrovò disteso senza più sensi.
   «Scusate se non mi trattengo oltre, ragazzi, ma ho da fare» commentò l’archeologo, cercando con lo sguardo la direzione da seguire.
   Ma, adesso, c’era un problema a cui non aveva pensato: non aveva idea di dove potesse essere nascosto il terzo pezzo dello Specchio e, se quel luogo era immenso come si diceva, gli ci sarebbero anche potuti volere anni per riuscire a rintracciarlo. Anni che non aveva a propria disposizione, però. Se fosse stato per lui, tuttavia, si sarebbe altamente fregato dello Specchio, a questo punto: rinunciare alla cripta di Qin valeva bene il poter condurre uno studio attento di quella città. Doveva fare i conti con due fattori, però: primo, la scoperta non era sua, ed i nazisti prima o poi si sarebbero di certo imbattuti in lui, e allora non gliel’avrebbero fatta passare liscia; secondo, non gli andava troppo a genio di lasciare un lavoro in sospeso. No, avrebbe continuato la propria ricerca, anche se non sapeva bene neppure da dove cominciare per condurla.
   Per il momento, decise di guardarsi un po’ attorno. Magari, così facendo, gli sarebbe venuta l’ispirazione su come muoversi. Non sarebbe stata la prima volta, dopotutto. Riavvolgendo la frusta, si diresse verso il porticato di fronte a sé, oltre il quale si udiva un curioso rumore di risacca, come se ci fosse un lago sotterraneo, là sotto. Assurdo, ma solo fino ad un certo punto. Non si sbagliava, in effetti.
   Appena oltre il portico, dove un tempo doveva esserci stato un grosso tratto di città, a giudicare dai tetti degli edifici che si potevano scorgere affiorare in superficie, si era formato un grande bacino acquatico, forse alimentato dalle acque di una falda acquifera, oppure da infiltrazioni marine provenienti dal vicino canale del Bosforo, o da entrambe le cose combinate tra loro. Il lago brillava sinistramente ed in maniera innaturale, illuminato com’era dai riflettori posizionati dai tedeschi, e nel suo centro si trovava la colossale statua che Jones aveva veduto dall’alto e che, adesso se ne rendeva pienamente conto, raffigurava anch’essa il dio Poseidone; anzi, la statua bronzea all’interno della fontana doveva essere stata una copia di quella gigantesca di pietra, a giudicare dalla somiglianza.
   «Un altro lago sotterraneo, magnifico» borbottò.
   Istintivamente, gettò un’occhiata a quelle acque, cercando di penetrarne le profondità, ma non gli riuscì di vedere alcun animale nuotare sotto la superficie; non avrebbe scordato tanto presto il mostruoso coccodrillo bianco incontrato tra le rovine della città perduta di Ceylon.
   Tuttavia, non gli andava molto di doversi fare un bagno per nulla; sarebbe stato più di suo gradimento farsi un’idea precise del luogo, per sapere come fare a muoversi. Non si sarebbe immerso se, prima, non avesse saputo di non poter fare altrimenti. Gli sovvenne che i tedeschi dovevano di sicuro avere compilato una pianta del sito archeologo, se non intera almeno inerente alla parte che già avevano avuto modo di esplorare. Vi era solamente un problema, però.
   «Se c’è una mappa, sarà custodita all’interno del loro campo base» pensò. «Ed andare ad imbucarmi in quel postaccio equivarrebbe ad infilare la testa nella gabbia dei leoni. Senza contare che non ho idea di dove sia, il campo. E un altro dettaglio da non trascurare è racchiuso nel fatto che, una volta penetratovi, dovrei frugarlo da cima a fondo, senza sapere esattamente da dove cominciare a cercare per la mappa. Ma, comunque, sempre meglio che starmene qui a guardarmi intorno senza nulla di preciso da poter fare.»
   Se solo Mei Ying lo avesse accompagnato, avrebbero potuto cercare insieme una soluzione a quel problema; invece, era lì, tutto solo, a dover affrontare un dilemma piuttosto rilevante. Be’, una normale routine quotidiana, per Indiana Jones.
   Fece, quindi, dietrofront, lasciandosi alle spalle il lago sotterraneo per ritornare alla piazza; il tedesco e l’arabo erano ancora stesi a terra, anche se, quest’ultimo, cominciava a dare segni di poter riprendere conoscenza da un momento all’altro. Con un altro calcio, Jones scongiurò questo fatto.
   Poi, afferrato il soldato tedesco per l’uniforme e trattolo in piedi, lo strattonò fino a farlo rinvenire; l’uomo, riaprì gli occhi, con aria confusa e, dopo un attimo di sbalordimento, avrebbe quasi sicuramente gridato, per chiedere aiuto, se Jones non lo avesse prevenuto tappandogli la bocca con una mano.
   «Ora ascoltami, amico mio» gli sibilò, in tedesco, per essere sicuro che l’altro lo potesse comprendere, «voglio che tu mi indichi il punto in cui voialtri avete posto il vostro campo. Ti lascerò la bocca per parlare ma, se provi ad urlare, od a fregarmi in qualsiasi altro modo, be’, sappi che ho una pistola, ed il primo colpo sarà per te. È chiaro?»
   L’uomo annuì, con un profondo terrore dipinto in viso. D’altra parte, era di piccola statura e dai tratti piuttosto fini, non poteva avere più di vent’anni; e Jones, grande, grosso e vestito quasi come un cowboy, armato con una pistola ed una frusta e con la dimostrata capacità di stendere da solo due uomini in pochi minuti ed apparentemente senza sforzo, doveva certo incutergli un discreto terrore. Ciò nonostante, l’avventuriero volle sottolineare meglio il concetto togliendosi la pistola dalla fondina e puntandogliela alla testa, prima di lasciarlo andare.
   Ansimando, il soldato fece correre qua e là gli occhi iniettati di sangue per il panico, ma non ebbe alcun’altra reazione.
   Immediatamente, Jones lo incitò a rispondere velocemente alla sua domanda, premendogli il revolver sulla tempia: «Allora?» domandò. «Dov’è il vostro campo?»
   «Non è difficile da trovare» farfugliò il soldato. «È oltre il porticato, alle mie spalle, nella direzione da cui mi ha visto arrivare prima, a circa cento metri di distanza, non di più. Ma ora, la prego, non mi uccida!»
   «Forse per oggi te la caverai solo con un mal di testa» rispose Jones.
   Abbassata la pistola, colpì l’uomo con un manrovescio, mandandolo nuovamente a gambe all’aria, privo di sensi. Immediatamente, si diede da fare: tolse al soldato la giacca della divisa, ed all’arabo la lunga veste, che fece a brandelli, per ricavarne dei lacci con cui imbavagliarli entrambi. Per concludere, legò loro mani e piedi e li gettò in un anfratto sotto i portici, dove difficilmente si sarebbe potuti scorgerli, passando.
   Per la seconda volta in poche ore, Indiana Jones si sarebbe dovuto travestire. Sfilò il giubbotto di pelle e, arrotolatolo alla meglio, lo conficcò nella borsa che portava a tracolla; in qualche modo, riuscì a farvi stare anche il cappello. Poi, indossò la giacca grigioverde del soldato tedesco, ma a questo punto si rese conto di una falla nel proprio piano: per quanto provasse, tirando e sforzando, l’abito non sembrava affatto intenzionato a chiudersi, era troppo piccolo per il suo fisico. Alla fine, a causa di un suo tentativo troppo esagerato, la giacca, con un rumore di strappo, gli si aprì in due sulla schiena. Decisamente, avrebbe dovuto rinunciare a quel travestimento. Per cui, si limitò ad indossare solamente il cappellino sottratto al soldato, che pure gli era piccolo, sperando che fosse sufficiente quello a non farlo riconoscere; tanto, avrebbe cercato di mantenersi lontano da qualsiasi essere umano in cui gli fosse capitato d’imbattersi. D’altra parte, non avrebbe potuto nascondere la frusta, ma non voleva neppure abbandonarla, quindi il suo travestimento avrebbe fatto acqua fin dal principio.
   Attraversò il portico e si avviò nella direzione indicata, inoltrandosi tra quelle che dovevano essere state le botteghe della città: osterie, forni del pane, empori, esercizi di fabbri, di falegnami e di scultori ed altro ancora; se non avesse avuto premura di non essere scoperto dai tedeschi, sarebbe entrato in ciascuna di esse, per scoprire tutti i tesori che, certo, dovevano ancora contenere. Diamine, quella città era una scoperta probabilmente ancora più importante di quella di Pompei, per gli studi sull’antichità.
   Improvvisamente, la sua attenzione fu catturata, però, da un ammasso di baracche di legno posto in fondo alla via che stava percorrendo, che non aveva alcun interesse di tipo storico, anzi appariva decisamente fuori luogo; quello, era sicuramente l’accampamento degli archeologi tedeschi.
   Per sua fortuna, non vi era nessuno di guardia, all’ingresso; d’altra parte, isolati sotto terra, i nazisti non avevano assolutamente nulla da temere, per cui sarebbe stato controproducente impegnare degli uomini a controllare chi entrasse e chi uscisse, anziché dedicarli agli scavi.
   Avanzando guardingo, gettando occhiate tutt’attorno per essere sicuro che nessuno lo stesse osservando, Jones raggiunse l’entrata del campo; mantenendosi nell’ombra di una delle baracche, osservò la scena.
   Due mercenari arabi si trovavano non molto distanti, intenti a parlare tra loro; non lo degnarono neppure di uno sguardo. Per il resto, non sembrava esserci in giro anima viva: le uniche voci, infatti, provenivano dall’interno di un paio di baracche. Indiana Jones aveva sufficiente esperienza di campi base di siti archeologici per riconoscerle entrambe come baracche destinate ai dormitori; quella accanto a cui si trovava adesso, invece, doveva contenere i vari attrezzi utilizzati nel corso degli scavi. Guardando meglio, individuò, invece, proprio sul lato opposto del campo, la casupola in cui, a suo giudizio, dovevano essere conservati i reperti e tutte le scartoffie inerenti ai lavori eseguiti tra cui, sempre che esistesse, ovviamente, la mappa del sito.
   Prima l’avesse raggiunta, meglio sarebbe stato.
   Per evitare i due arabi, girò attorno alla baracca nella cui ombra s’era mantenuto nascosto, cercando in ogni maniera di fare attenzione a non provocare alcun rumore, per non attirare curiosi indesiderati. Raggiunta una finestra, osservò l’interno della casetta; come aveva giustamente intuito, l’interno era stipato di pale, cazzuole, mazze, secchi, lampade, carrucole, funi e quant’altro, appoggiati su scaffali, attaccati alle pareti ed anche ammucchiati alla rinfusa sul pavimento. Evidentemente, i lavori erano stati momentaneamente interrotti, forse per permettere a quanti più uomini possibile di uscire all’esterno a dargli la caccia. La notizia della sua fuga doveva essersi diffusa in fretta. Meglio così. Quanti più tedeschi e mercenari erano impegnati nella sua ricerca in superficie, tanti meno ne avrebbe incontrati là sotto.
   Silenzioso come un fantasma, continuò ad incedere, abbandonando la relativa protezione data dal muro della baracca; tuttavia, tra sé e le baracche c’era adesso uno dei riflettori, nel cui cono d’ombra era venuto a trovarsi, per cui, se a qualcuno, dal campo, fosse venuto in mente di guardare nella sua direzione, non avrebbe potuto vedere altro che oscurità.
   Con rapidità, Indiana Jones raggiunse la baracca principale e guardò al suo interno, sbirciando da una finestrella; per prima cosa, notò un ufficiale seduto ad un tavolo, di spalle all’unico ingresso, curvo su alcune carte che stava controllando. Lo riconobbe subito: era Von Beck. Avrebbe avuto il fatto suo. Cercando di non fare troppo rumore, Jones si avvicinò alla porta e ne abbassò la maniglia. Si udì solo un leggero suono di molle, a cui il tedesco, impegnato nella consultazione di quella che appariva essere un’importante relazione sugli scavi, non parve fare alcun caso. Fu solo quando l’avventuriero fu entrato e si fu richiuso con uno scatto la porta alle spalle, che il maggiore parlò, senza voltarsi.
   «Hans, sei tu? Mi hai portato quelle carte che ti ho richiesto?»
   «Ja» rispose Jones, facendo un passo in avanti.
   «E di Jones, che mi dici? Spero che quegli incompetenti di arabi che hai assoldato non se lo lascino sfuggire. Non riesco proprio a capire come sia riuscito a scappare!»
   Detto questo, Von Beck si volse all’indietro, per guardare il sottoposto. Ed uno sguardo di incredulo stupore gli si dipinse sul volto sfigurato, un attimo prima che un possente diretto lo colpisse in pieno viso, ribaltandolo all’indietro. Il tedesco cadde dalla sedia e picchiò sopra il tavolo, che si sfondò. L’uomo doveva possedere una discreta resistenza, e forse il pugno di Jones non lo avrebbe messo fuori combattimento subito, ma nel cadere sbatté con violenza la testa contro un angolo e scivolò sulle assi del pavimento, rimanendo immobile.
   Senza minimamente curarsi di controllare se fosse morto o solamente svenuto, Indiana Jones raccattò velocemente tutte le carte che si erano sparpagliate in terra e, piegatele alla meglio, se le conficcò in tasca. Poi si guardò attorno e, individuato uno schedario, lo aprì, traendone tutte le carte che vi trovò. Le avrebbe esaminate una volta tornato alla piazza, dove avrebbe potuto nascondersi meglio. Non voleva trascorrere troppo tempo in compagnia di quel beccamorto di tedesco. La cosa non gli sembrava troppo salutare, ecco tutto. Senza alcuna grazia, incurante di sciuparle, mise tutte le carte nella borsa, dopo averne estratto il giubbotto ed il cappello, che vi occupavano tutto lo spazio. Gettato via il cappellino da soldato e indossati nuovamente i propri indumenti, si apprestò ad andarsene.
   Prima di farlo, però, si assicurò che Von Beck non potesse nuocergli troppo: si chinò su di lui e, accertatosi che fosse vivo, gli sfilò la cintura, che utilizzò per immobilizzargli le mani. Frugandogli nelle tasche, vi trovò due fazzoletti, che gli conficcò in bocca perché non parlasse. Quindi, trascinatolo in un angolo, lo coprì con alcuni sacchi vuoti che dovevano avere contenuto i manufatti che, adesso, si trovavano allineati sopra alcuni scaffali. Fece anche in maniera di rimettere in piedi il tavolo spezzato in due, appoggiandolo ad una parete e puntellandolo sul lato opposto con una sedia. In questo modo, se qualcuno avesse dato un’occhiata superficiale alla stanza, non avrebbe notato nulla di strano.
   Adesso, Jones era pronto ad andarsene, nonostante i reperti archeologici appoggiati sulle mensole sembrassero invocarlo a grande voce affinché li controllasse uno per uno. Fu doloroso doverli abbandonare così.
   Uscì dalla baracca e ritornò nell’ombra oltre il riflettore, appena in tempo per evitare d’imbattersi in un tenente, forse lo stesso Hans nominato da Von Beck, che si stava avvicinando alla casupola. L’uomo, in effetti, trasportava una cartelletta, che doveva contenere le carte richieste dal maggiore. Poteva anche darsi che la mappa fosse tra quelle carte, e non tra quelle rubate. Jones non poteva saperlo; sapeva, però, di aver già sfidato un po’ troppo la sorte, per cui non avrebbe rischiato ancora per cercare di recuperare anche quelle.
   Con il fiato sospeso, rimase a guardare il tenente mentre bussava due volte alla porta dell’ufficio; non ricevendo nulla in risposta, l’uomo socchiuse l’uscio e spiò all’interno. Evidentemente, come lo stesso Jones aveva ipotizzato, non intravide nulla di fuori posto, perché, con un’alzata di spalle, richiuse la porta e si avviò verso i dormitori. Soddisfatto, sapendo di aver guadagnato un po’ di preziosi minuti prima che si scatenasse l’inferno, Jones se ne andò.
   Superò indenne il campo base, senza suscitare alcun allarme, e tornò verso la piazza; individuata una casupola, vi entrò, sperando che potesse offrirgli un po’ di riparo. Era una piccola casetta di mattoni, con i muri smaltati ed il tetto di tegole rossicce; l’interno conteneva alcune giare ed anfore.
   Alla luce elettrica che filtrava anche lì dentro, Jones cominciò per prima cosa ad esaminare le carte che stava leggendo Von Beck poco prima di essere aggredito. Non era affatto una relazione sugli scavi. Era qualcosa di decisamente peggio. La lettera, perché di una lettera si trattava, era scritta in tedesco, e diceva:

 
   «Maggiore Von Beck,
   posso assicurarle che la presenza dell’americano a Praga è stata una scelta pericolosa, ma necessaria.
   Dopo avere, infatti, analizzato i metodi del professor Jones, sono giunto alla conclusione che la sua tecnica avrebbe permesso di scovare il pezzo di Specchio a noi necessario molto prima di quanto avrebbero potuto gli sforzi congiunti dei suoi uomini, nonostante avessero avuto, da parte mia, tutte le più esaurienti indicazioni sulla direzione da seguire. Egli avrebbe recuperato il pezzo e lo avrebbe, poi, consegnato alla mia fedele agente, la quale avrebbe immediatamente dopo provveduto alla sua eliminazione.
   Trovo del tutto indegna la sua lettera di protesta.
   Il nostro accordo, da parte mia, rimane ancora valido e, tuttavia, una profonda ferita s’è venuta a creare tra di noi, ferita che non sarà facile risanare. Le sue allusioni ad un ipotetico tradimento sono completamente fuori strada e dettate da una mancanza di fiducia nei miei confronti, nonostante il nostro patto precedentemente siglato.
   Come lei ben potrà intuire, l’unico motivo per cui non l’ho avvertita del coinvolgimento di Jones è racchiuso nel fatto che lei, di certo, dopo lo spiacevole incidente di Ceylon, non avrebbe permesso al professore di poter agire liberamente, bensì lo avrebbe in ogni modo cercato di ostacolare, per rincorrere la propria personale vendetta. Eppure, è stato proprio quanto accaduto a Ceylon a darmi l’idea di coinvolgerlo nel piano, seppure a sua insaputa e fino a quando non fosse giunto il momento di sbarazzarsene.
   I suoi errori, Von Beck, sarebbero potuti costarci cari. Mi sono visto costretto a corrompere alti funzionari del governo cinese affinché convincessero i britannici del fatto che il manufatto di Ceylon, di nostra proprietà, fosse stato sottratto illegalmente dal loro territorio e condotto negli Stati Uniti d’America. Mi creda, ho dovuto far trapelare più informazioni di quante avrei voluto per poter riavere il pezzo di Specchio da lei sventatamente perduto. Quindi, per favore, non venga a parlarmi di tradimento, né di scarsa collaborazione. La scarsa collaborazione è stata la sua, che ha mostrato incompetenza, non solo a Ceylon, ma anche a Praga, dove Jones è comunque riuscito a trovare il secondo pezzo in molto meno tempo di quello impiegato da lei e dai suoi uomini per non giungere ad alcun risultato! E, sebbene non ci fosse alcun pericolo, in quanto Jones avrebbe immediatamente consegnato il pezzo a me, ancora una volta lei avrebbe rischiato di farselo sottrarre, e lo ha recuperato sul filo del rasoio, per pura e semplice casualità.
   Spero che, almeno ad Istanbul, non fallirà, altrimenti mi vedrò veramente costretto a mutare le condizioni del nostro patto. Non siamo abituati a fallire, noialtri. Invierò il mio migliore agente a controllarla da vicino: non s’affanni a cercarlo, perché non riuscirà in alcun modo a trovarlo.
   Faccia di Jones quello che crede, purché non possa raccontare a nessuno dell’accaduto. Confido che lei possegga almeno le capacità necessarie ad eliminarlo. Trovi in fretta il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni e, poi, con entrambi i pezzi in suo possesso, mi raggiunga dove sa, in maniera che io possa compiere il rituale e riattivarlo.
    Ho ancora fiducia in lei, maggiore Von Beck.
   La prego di non deludermi.
   Kai.
»

   Esterrefatto, Jones abbassò le carte e fissò il vuoto.
   Senza saperlo, aveva in qualche modo lavorato per i tedeschi: Kai e Mei Ying erano loro complici, in tutta quella faccenda. Pur sfuggendogli i particolari, aveva compreso che tra quel Kai, che certo non era un ufficiale dell’esercito cinese, e i nazisti, c’era sempre stato un patto, di cui lui non era altro che una pedina. E l’agente a cui avrebbe dovuto consegnare il terzo di Specchio, e da cui sarebbe stato eliminato immediatamente dopo, altri non era che Mei Ying, era pronto a scommetterci. In questa maniera, si spiegava la sua presenza a Praga. E la ragazza doveva essere lo stesso agente inviato da Kai a sorvegliare le mosse di Von Beck, ne era sicuro.
   Ma, allora, perché lo aveva aiutato a fuggire?
   Un’idea gli si fece immediatamente largo nella mente, una prospettiva niente affatto divertente.
   «Non mi ha liberato perché fuggissi, quel diavolo di donna. Mi ha liberato perché, ancora una volta, fossi io a recuperare il pezzo dello Specchio dei Sogni. Forse, quei diabolici cinesi hanno in mente di fregare i tedeschi, oppure, più semplicemente, non si fidano di loro. Sanno che non riusciranno mai a trovare il dannato manufatto, da soli, quindi, ancora una volta, si rivolgono a me. Ma quando avrò trovato anche l’ultimo pezzo di Specchio, non ci sarà più alcun motivo per tenermi in vita. Altro che farmi diventare il primo archeologo ad entrare nella tomba di Qin. Ed io ci sono anche cascato come un pollo.»
   Jones si convinse di una cosa. La prossima volta che avesse visto avvicinarsi Mei Ying non avrebbe esitato: le avrebbe piazzato un colpo preciso dritto nel cuore.
   Adesso, tuttavia, si trovava in una situazione piuttosto pericolosa: cosa avrebbe dovuto fare? Abbandonare tutto e tornarsene a casa, lasciando che i tedeschi ed i loro mefistofelici amici cinesi ricomponessero lo Specchio dei Sogni e s’impadronissero del Cuore del Drago? Be’, poteva anche lasciare che lo facessero. Non credeva certo che il Cuore possedesse veramente le virtù magiche per cui lo si decantava tanto. Eppure, non poteva darla vinta a quella banda di incalliti criminali, pronti ad uccidere chiunque pur di portare a termine i propri loschi piani.
   No, avrebbe agito diversamente. Avrebbe trovato il pezzo dello Specchio e, solo a quel punto, se ne sarebbe tornato a casa, dove lo avrebbe nascosto o, meglio, dove lo avrebbe distrutto. Così, né Von Beck né Kai avrebbero mai potuto avere il reperto a cui sembravano ambire tanto. Un piano semplice, dopotutto.
   Oppure, avrebbe potuto sì trovare il pezzo di Specchio, ma poi non tornarsene affatto in America, bensì sottrarre in qualche modo gli altri due pezzi ai tedeschi ed ai cinesi, per essere lui a trovare il Cuore del Drago. Questo secondo piano, in effetti, era pieno di incognite e punti oscuri. Gli piaceva parecchio. Ma da dove cominciare? Aveva l’idea che, per trovare Kai, sarebbe dovuto volare fino in Cina, ma in che punto, di preciso? Be’, sapeva per certo a chi avrebbe potuto chiedere aiuto: Wu Han, il suo vecchio amico, con cui aveva condiviso parecchie pericolose avventure, l’ultima delle quali un paio d’anni prima. Se c’era qualcuno di cui potersi fidare, sul suolo cinese, quello era proprio Wu Han.
   Prima di tutto, però, avrebbe dovuto trovare il pezzo di Specchio e fuggire di lì incolume ma, soprattutto, vivo, seminando i tedeschi, gli arabi e la ben più pericolosa Mei Ying. E, chissà perché aveva questo brutto presentimento, non sarebbe stato affatto facile riuscirci.
   Immediatamente, quindi, intascata nuovamente la lettera, si diede da fare a controllare tutti gli altri documenti di cui era entrato in possesso. La maggior parte gli bastò un’occhiata per capire che si trattava di ordinazioni di vettovaglie e materiali, per cui li gettò via incurante del loro contenuto. Trovò più interessanti, invece, alcune relazioni riguardanti gli scavi, soprattutto quelle correlate da disegni e mappe schematiche; riguardavano quasi tutte l’area sottostante la moschea, ossia i luoghi in cui si era mosso fino a quel momento, ognuno riportante la precisazione che il pezzo di Specchio ancora non era stato rinvenuto. Un ultimo foglio gli rivelò che lo scavo, attualmente, stava concentrandosi in una zona oltre il campo base, ossia un punto in cui egli, ancora, non era stato; una nota a margine del documento indicava che la zona sommersa non era ancora stata esplorata, ma che i lavori, anche lì, sarebbero cominciati molto presto, ossia non appena fossero giunte delle attrezzature da palombaro che erano state ordinate dalla Germania.
   «Ebbene, se i tedeschi lì non ci sono ancora stati, dev’essere un buon segno. Una nuotata non fa mai male, dopotutto.»
   Senza indugiare oltre, Jones uscì dalla casupola e, dopo essersi guardato attorno, per accertarsi che non arrivasse nessuno, si diresse a rapidi passi oltre la piazza, nel punto da cui giungeva il suono della risacca sotterranea, amplificato dall’alta volta rocciosa. Infine, sulla riva di quel piccolo mare sotterraneo, rimase fermo, a valutare la situazione.
   I tetti degli edifici, tutti più o meno simili alla casetta da cui era appena usciti, sporgevano dall’acqua, il che significava che la profondità, almeno fino nei punti illuminati dalla luce elettrica, non doveva essere troppo elevata; avrebbe potuto nuotare fino alla statua del dio Poseidone, dato che era lì che intendeva arrivare, senza troppi rischi, se non quello di impigliarsi da qualche parte. Senza ulteriori, indugi, quindi, s’immerse.
   Trovò l’acqua parecchio fredda, quasi gelida, non essendo praticamente mai esposta ai raggi del sole, ma non badò a tali sottigliezze e cominciò a nuotare, cercando di non fare rumore e sperando vivamente che a nessuno, proprio in quel momento, venisse in mente di guardare verso la superficie del lago. Sarebbe stato una preda molto facile, altrimenti.
   Con forti bracciate, raggiunse in breve tempo la statua, che spuntava fuori dall’acqua dalle ginocchia in su; aggrappandosi con un braccio alla possente gamba della divinità, Jones si guardò attorno, chiedendosi che cosa mai avesse potuto sperare di trovare una volta lì. E, proprio mentre pensava così, lo vide.
   Il tetto di una delle case, verso la quale puntava il tridente di Poseidone, era completamente ricoperto di caratteri della scrittura cinese, incisi sopra le tegole; non poteva esserci alcun dubbio, quindi. Il monaco cinese doveva avere prescelto quel luogo per nascondervi il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni. Si chiese se, anche lì, fosse stata predisposta una trappola mortale, come a Praga. Non gli andava proprio, infatti, di dover affrontare un altro mostro simile a quello con cui aveva avuto a che fare nella torre di Vega. Poi, però, riflettendo, capì che, nel suo caso, la protezione del pezzo dello Specchio sarebbe dovuta essere l’acqua, la stessa in cui stava nuotando adesso.
   «Ma certo, è chiaro» pensò. «Dev’essere stato il monaco a fare in maniera che l’acqua marina penetrasse qui dentro. Probabilmente, avrebbe dovuto sommergere ogni cosa fino alla volta rocciosa, rendendo, di fatto, impossibile le ricerche qui sotto. Prima dell’invenzioni degli autorespiratori e delle torce elettriche avrebbe di sicuro potuto funzionare e meraviglia. Ma qualcosa, chissà cosa, dev’essere andato storto, ed il livello dell’acqua s’è mantenuto abbastanza basso da permettermi di individuare il nascondiglio. Buon per me, alla fine.»
   Soddisfatto, Jones lasciò la statua e, con poche bracciate, raggiunse la casetta. Per prima cosa, controllò sotto le tegole, ma non vi trovò proprio nulla. Se il pezzo di Specchio era lì, e ne era certissimo, doveva essere custodito all’interno del piccolo edificio. Avrebbe, pertanto, dovuto immergersi. Si tolse il cappello, che aveva continuato ad indossare mentre nuotava, e lo infilò nella cintura. Poi, tratto un profondo respiro, s’inabissò.
   La visibilità, sott’acqua, non era poi tanto male, poiché la massa liquida che lo circondava ormai da ogni parte era abbastanza cristallina da permettere alla luce dei riflettori di penetrare anche là sotto; se non ci fossero stati, in effetti, sarebbe stato piuttosto impossibile riuscire a vedere alcunché. Per cui, mentalmente, Jones ringraziò i tedeschi di essere arrivati per primi portando con sé le attrezzature tecnologiche più sofisticate.
   Jones nuotò attorno all’edificio, fino a quando vi individuò un’apertura, non troppo buia, che gli avrebbe permesso di entrare; soddisfatto, riemerse, per prendere una nuova boccata d’aria. Poi, come ebbe ricaricato i propri polmoni, tornò di sotto e, risolutamente, entrò nella casetta, sforzando gli occhi a penetrare in fretta l’oscurità, fattasi più fitta tra le pareti.
   Inizialmente, gli parve di non vedere alcunché, nonostante cercasse di scrutare ogni singolo recesso; poi, però, quando stava per decidersi a tornare in superficie a respirare - non poteva certo dire di essere un grande apneista, dopotutto - i suoi occhi si posarono sopra un cofanetto di smeraldo, finemente intagliato e riproducente sul coperchio quelli che gli parvero essere i medesimi caratteri che aveva notato sul tetto.
   Senza perdere altro tempo, afferrò il cofanetto, che era poggiato sul pavimento, mezzo affondato tra i sedimenti, e tornò subito a galla. Quando l’aria gli penetrò nuovamente nei polmoni, gli parve di nascere a nuova vita.
   Con il cofanetto stretto a sé, nuotando con le gambe e con un solo braccio, Jones fu lesto a riguadagnare la riva, su cui si lasciò cadere, quasi spossato.
   Stava appunto riprendendosi quando un tocco leggero sopra una spalla lo fece irrigidire; si volse di scatto, aspettandosi di essere stato preso in trappola, e si trovò di fronte il viso sorridente di Mei Ying. La traditrice. Avrebbe voluto spararle sul momento, ma sapeva che sarebbe stato del tutto inutile, adesso: il suo revolver, completamente fradicio, avrebbe certamente fatto cilecca. Non poteva neppure sperare di saltarle addosso, perché si trovava in una posizione di completo svantaggio; inoltre, avendola già veduta in azione, sapeva che non sarebbe stato in grado di vincerla, in una lotta corpo a corpo. No, la sua unica speranza, adesso, era di riuscire a coglierla di sorpresa, al momento buono.
   Senza una parola, quindi, le porse il cofanetto, facendo in maniera, così, di occuparle entrambe le mani.
   La ragazza lo afferrò con reverenza e, mentre Jones si rimetteva in piedi, disse: «Davvero impressionante, dottor Jones. Per la seconda volta, lei è riuscito a vincere i tedeschi. L’ho osservata di nascosto, e l’ho anche aiutata, devo dire: ad un certo momento, un paio di nazisti si sono trovati sul punto di imbattersi in lei, ma sono riuscita a scongiurare questo fatto. Però, nonostante questo, lei è stato davvero straordinario, a fare così in fretta. Ora venga, dobbiamo andarcene da qui il prima possibile. Bisogna raggiungere Hong Kong.»
   «Un momento, bellezza» la trattenne Jones. «Non controlli che, dentro il cofanetto, ci sia effettivamente quello che stavamo cercando? Potrebbe trattarsi anche solo di un abbaglio.»
   «Effettivamente, ha ragione…» rispose la giovane.
   Provò a sollevare il coperchio dello scrigno, ma non vi riuscì, per cui lo appoggiò sul pavimento e, levatasi un pugnale che portava legato alla cintura, lo utilizzò per sforzare la serratura del cofano. L’archeologo, con naturalezza, si portò alle sue spalle, senza insospettirla minimamente.
   Dopo un paio di minuti di lavoro, Mei Ying riuscì a far cedere lo scrigno e, apertolo, ne rivelò il contenuto, ossia un manufatto metallico, del tutto identico a quello che Von Beck aveva rubato a Jones, a Praga.
   Non appena ebbe visto con i propri occhi il pezzo dello Specchio, Jones agì, sapendo che, altrimenti, la sua sorte sarebbe stata segnata. Probabilmente, l’astuta ed imprevedibile cinesina avrebbe tentato di ucciderlo con il medesimo coltello con cui aveva appena concluso il proprio lavoro. Non si fermò neppure un momento a chiedersi se quello che stesse facendo fosse cavalleresco, perché adesso non c’era in ballo solamente la sua vita, bensì anche un prezioso ed antico manufatto che mai e poi mai sarebbe dovuto cadere nelle mani di un gruppo di cinesi facinorosi e di nazisti invasati.
   Con tutta la propria forza, l’avventuriero colpì con entrambe le mani chiuse a pugno Mei Ying alla parte posteriore della testa; la donna, colta completamente di sorpresa in un momento in cui non si aspettava di poter essere aggredita, cadde a terra senza un gemito, rimanendo immobile sul terreno.
   A Jones, un po’, dispiacque. Gli dispiaceva sempre, in realtà, quando una ragazza carina gli dava buca; figurarsi, allora, se una di quelle ragazze tramava per ucciderlo. Ma non poteva lasciarsi prendere dagli scrupoli di coscienza, perché sapeva che, diversamente, la diabolica orientale avrebbe avuto gioco facile nel toglierlo di torno.
   Rapido, tolse il pezzo di Specchio dal cofanetto e lo nascose nella propria borsa; poi, sfilato il cappello ancora grondante di acqua dalla cintura, lo indossò.
   Meditò sul fatto che, un momento prima, la ragazza avesse accennato al fatto di dover partire al più presto per Hong Kong; non era molto su cui basarsi, ma era già qualcosa. Avrebbe contattato Wu Han, chiedendogli di raggiungerlo là, poi insieme avrebbero pensato al da farsi.
   Gettò un’ultima occhiata all’armonioso corpo di Mei Ying, distesa ai suoi piedi come una supplice; molto probabilmente, i nazisti o i mercenari arabi l’avrebbero trovata. Si domandò cosa avrebbero potuto farle; forse nulla, essendo una degli agenti del loro alleato, oppure le avrebbero riservato un orrido supplizio, per far capire a Kai che non avrebbe dovuto dubitare di loro né cercare di violare il loro patto. La cosa, ormai, non lo riguardava. Non avrebbe avuto alcun rimorso di coscienza ad abbandonare al proprio destino la donna che aveva ricevuto l’incarico di eliminarlo.
   Perciò, Indiana Jones si girò, senza più guardare la giovane, e si avviò verso la piazza, non più interessato in alcun modo al leggendario palazzo di Belisario ed ai suoi segreti, desideroso solamente di riemergere alla luce del sole.
   
 
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