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Autore: IndianaJones25    11/08/2017    3 recensioni
Di ritorno da un’avventura a Ceylon, Indiana Jones può finalmente iniziare un nuovo anno accademico. Ma, proprio quando pensa che per qualche tempo le lezioni universitarie saranno la sua quotidianità, il celebre archeologo riceve un nuovo incarico: quello di ricostruire lo Specchio dei Sogni, l’unico oggetto in grado di condurre al Cuore del Drago, un antico artefatto che non deve cadere nelle mani sbagliate. Così, affiancato dal suo vecchio amico Wu Han e da un’affascinante e misteriosa ragazza, Jones si vedrà costretto a intraprendere un nuovo e rocambolesco viaggio attorno al mondo, in una corsa a ostacoli tra mille difficoltà e nemici senza scrupoli…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold Oxley, Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Wu Han
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8 - WU HAN

   Hong Kong

   Il disarmonico aeroplano bimotore atterrò con qualche scossone di troppo sulla pista erbosa dell’aeroporto di Hong Kong, illuminata dai raggi del sole calante. Il viaggio era durato quattro interminabili giorni e, a dirla tutta, non era stato per nulla confortevole, ma Indiana Jones era ben abituato, oramai, alle più diverse scomodità. Anzi, rispetto a certi suoi standard ormai quasi quotidiani, poteva addirittura definirlo piacevole.
   Dopo essere riuscito ad abbandonare la moschea, s’era confuso tra la calca vociante di Istanbul, senza avere più alcuna noia da parte dei tedeschi; a dire il vero, era stato veramente fortunato a non incontrarli: a quel punto, dovevano infatti avere trovato e liberato Von Beck, il quale non poteva che essere furibondo contro di lui. Quando avesse scoperto che era persino riuscito a sottrargli il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni, probabilmente avrebbe avuto un travaso di bile per l’ira.
   Aveva acquistato il primo biglietto aereo per Hong Kong, senza badare su che tipo di velivolo sarebbe dovuto salire, soprattutto perché, non avendo con sé molto denaro, era stato costretto a tirare sul prezzo; poi, aveva telegrafato all’amico Wu Han, raccontandogli per sommi capi la storia, in maniera che potesse già farsi un’idea di partenza della situazione e cercare chi potesse aiutarli, e chiedendogli di raggiungerlo nella colonia britannica.
   Certamente, Jones non si sarebbe mai immaginato di dover condividere il viaggio con un carico di polli urlanti e puzzolenti. Sperò di non dover mai più ripetere l’esperienza, in seguito.
   Ormai, comunque, era fatta, non avrebbe più dovuto pensarci. Spazzolandosi alcune piume dalle maniche, scese la scaletta del velivolo e si guardò attorno, cercando di individuare il vecchio amico nel mezzo della calca che affollava l’aeroporto. Alla fine, lo vide arrivare nella sua direzione dal fondo della pista, sorridente come sempre. Gli fece un cenno di saluto con la mano e gli mosse incontro.
   Metà olandese e metà cinese, Wu Han era nato nel 1900, un anno dopo Jones; la madre era una locandiera di Hong Kong, che lo aveva cresciuto da sola fino al compimento del suo quinto anno di vita, mentre del padre si sapeva solamente che era un marinaio olandese che, fatto scalo nell’importante porto, s’era invaghito della donna, salvo poi abbandonarla dopo solamente due giorni, quando il suo mercantile era salpato nuovamente. Due giorni che, però, erano stati sufficienti perché il piccolo Wu fosse concepito. Nel 1905, la madre di Wu s’era infine sposata, con il signor Han, un contrabbandiere, che aveva adottato il bambino come se fosse figlio proprio. La coppia, in seguito, aveva avuto parecchi figli, molti dei quali morti prematuramente; i sopravvissuti, però, avevano seguito le orme paterne, compreso Wu Han che, a partire dal 1918, ne era divenuto il braccio destro.
   Quando il signor Han era morto, ucciso da alcuni concorrenti, nel 1921, Wu Han, erede dell’imbarcazione paterna, una giunca, insieme a tre fratelli, aveva deciso di continuare la professione di contrabbandiere. Solamente che, nel maggio del 1922, mentre si trovava nelle isole Filippine per ricevere un carico di spezie da contrabbandare in Cina, il suo cammino s’era incrociato con quello del giovane Indiana Jones, giunto in quelle isole alla ricerca dell’Occhio del Pavone, un favoloso diamante sulle cui tracce l’allora studente di archeologia si trovava da ormai parecchi anni, da quando, cioè, ancora bambino, aveva intrapreso il giro del mondo con i genitori.
   Già a quel tempo, Jones poteva vantare un bagaglio di esperienze e di conoscenze non secondo a quello di uomini ben più importanti ed anziani; basti pensare che, appena ventitreenne, si era già imbattuto in diversi tesori ritenuti ormai perduti per sempre, aveva conosciuto personaggi del calibro di Pancho Villa, Theodore Roosevelt, Sigmund Freud, Mata Hari e Pablo Picasso, aveva preso parte a due rivoluzioni, quella messicana e quella russa, aveva prestato servizio come soldato durante la Grande Guerra ed era stato una spia della potenze Alleate verso la fine della stessa guerra. Non da ultimo, aveva collezionato persino una lunga sequela di amanti, degna di un uomo ormai vissuto, tra le quali, in giovanissima età, persino la nipote dell’imperatore d’Austria. In tutto ciò, era scampato alla morte, a volte per il rotto della cuffia, già decine di volte. Insomma, si poteva ben ritenere un uomo fatto e finito: eppure, incredibilmente, le sue più grandi esperienze, Indiana Jones doveva ancora viverle.
   Ed in quel periodo, il giovane Jones era ancora profondamente ossessionato dall’Occhio del Pavone; dopo averlo cercato in lungo ed in largo per anni, spesso in compagnia dell’amico Remy Baudouin, dal quale s’era separato in Nuova Guinea, Indiana aveva deciso di rinunciare per sempre a quel diamante tanto favoleggiato, spinto in questo anche dai saggi consigli del famoso antropologo Malinowski, il quale era riuscito a convincerlo a non sprecare la propria esistenza rincorrendo un fantasma. Eppure, non completamente guarito dalle brame di quel magnifico gioiello, nel ‘22, appena avuto sentore che il diamante fosse apparso alle Filippine, Jones s’era preso una vacanza dagli studi e vi si era recato. E qui, in una maniera piuttosto burrascosa, aveva fatto la conoscenza di Wu Han.
   I due ragazzi, contemporaneamente ma autonomamente, per motivi alquanto differenti, avevano pestato i calli alla persona sbagliata, un famigerato tagliagole dell’isola su cui si trovavano; il quale, deciso a sbarazzarsene, aveva sguinzagliato loro contro i propri uomini. Uniti nella fuga, i due giovani erano riusciti, infine, a mettersi in salvo sulla giunca di Wu Han.
   A quel punto, Jones aveva messo a conoscenza Wu Han della propria ricerca, pensando di potersi fidare di quel ragazzo che gli aveva appena salvato la vita; e non si sbagliava, infatti. Dimostrandosi collaborativo ed assetato di avventure quanto l’americano, Wu Han aveva deciso di aiutarlo nella sua impresa. Purtroppo, in quella occasione, dopo essersi inoltrati in fitte foreste, avere affrontato pericoli d’ogni sorta ed avere superato numerose insidie, i due giovani non erano riusciti ad approdare a nulla. Ciò che, però, maggiormente avevano ottenuto da quell’incontro, era stata la nascita di una profonda amicizia, che li avrebbe mantenuti uniti per sempre. Quindi, lasciatosi convincere da Jones ad abbandonare la vita del contrabbandiere per dedicarsi a qualcosa di più utile, Wu Han s’era trasferito in Europa, dove, dopo aver brillantemente superato gli esami, aveva ottenuto una laurea in scienze politiche. Appassionato anche di archeologia, grazie all’incontro con Jones, con cui aveva continuato a collaborare in quegli anni, aveva deciso di dedicarsi anche a questa materia, anche se senza ottenere alcun riconoscimento ufficiale.
   Nel 1929, era divenuto un agente dei servizi segreti cinesi, contribuendo a sventare diversi tentativi di colpo di stato, fino a quando, nel 1933, aveva deciso di ritirarsi dal servizio attivo, per tornare a dedicarsi all’archeologia; e fu in quello stesso anno che ebbe un nuovo incontro con Jones, il quale lo coinvolse in un’avventura in cui entrambi rischiarono più volte di rimetterci la vita. Nei due anni successivi, pur rimanendo sempre un agente dormiente dei servizi segreti, quindi pronto a tornare in servizio in ogni momento, qualora ve ne fosse stata necessità, aveva deciso di sbarcare il lunario tornando all’antica attività di contrabbandiere. Ed era stato mentre si apprestava a partire per ritirare una grossa quantità di merci da far uscire illegalmente dalla Cina che aveva ricevuto il telegramma di Jones, che lo invitava a raggiungerlo ad Hong Kong. Contento di poter condividere una nuova impresa col vecchio amico, aveva lasciato perdere tutto e si era recato nell’enclave dell’impero britannico.
   Aveva preso alloggio presso un alberghetto da quattro soldi, in attesa di andare ad incontrare l’amico all’aeroporto; e la sera dell’arrivo di Jones, poco prima di uscire per andargli incontro, aveva udito bussare alla propria porta e, apertola, si era ritrovato di fronte un uomo dall’aria distinta, che il suo allenato occhio da agente segreto riconobbe immediatamente per un gangster.
   Wu Han non aveva aperto bocca, lasciando all’altro la prima mossa. Credeva che quell’uomo fosse lo scagnozzo di qualcuno a cui, anni prima, avesse mandato a monte un qualche affare, mandato lì per compiere una qualche vendetta. Si sbagliava.
   «Il signor Wu Han?» chiese lo sconosciuto.
   «Sì» rispose il contrabbandiere, senza sbilanciarsi.
   «Mi manda Lao Che. Posso entrare?»
   Il cuore di Wu Han, a quelle parole, aveva perso un battito; Lao Che era senza dubbio il peggior gangster di Shanghai, un tipo da cui era assai preferibile girare alla larga. Ma, di sicuro, i due non si erano mai incontrati, né avevano avuto alcun motivo di screzio. Forse, quell’uomo non era lì per ucciderlo.
   «Prego» rispose.
   Si scostò per lasciare entrare lo sconosciuto e richiuse la porta. L’uomo andò a sedersi sul letto, mentre Wu Han rimase in piedi, guardingo, con le spalle alla parete e senza mai levargli gli occhi di dosso. Sapeva bene che, con certe persone, abbassare la guardia, anche per un solo istante, poteva significare la morte. Non disse altro, aspettando che fosse il nuovo venuto a spiegargli il motivo della sua visita inattesa.
   «Il signor Lao Che vorrebbe affidarle un incarico» spiegò l’estraneo. «Abbiamo saputo che lei, entro breve tempo, dovrà incontrarsi con il professor Jones, l’eminente archeologo. Il signor Lao è molto interessato alle doti da archeologo del suo amico.»
   Ciò significava, in pratica, che i gangster avevano in qualche modo intercettato il telegramma di Jones.
   «Se il signor Lao sa questo» rispose quindi Wu Han, «saprà anche che il dottor Jones vuole incontrarmi per un altro affare, molto delicato.»
   «Abbiamo letto la sua missiva, esattamente» rispose il forestiero, per nulla turbato di rivelare di aver compiuto un atto del tutto illecito. «Ed il signor Lao non pretenderà che lei ed il dottor Jones rinunciate al vostro lavoro. Non abbiamo potuto fare a meno di notare il nome di Kai, sul telegramma, ed il signor Lao sarà anzi ben felice se scoprirà che i piani di quell’uomo, suo antico rivale, siano stati vanificati dal vostro intervento. Pertanto, non vi ostacolerà, e lascerà che vi prendiate tutto il tempo che vi sarà necessario per portare a compimento la vostra missione. Tuttavia, immediatamente dopo, egli desidera che svolgiate un incarico anche per lui.»
   «Che genere d’incarico?»
   «Un recupero, nella fattispecie il recupero archeologico dell’urna cineraria di Nurhaci, primo imperatore della dinastia Manciù. Lao Che desidera averla.»
   «Mi dispiace, ma il dottor Jones è un archeologo che lavora per la scienza, non per la ricchezza personale. Per quanto denaro il signor Lao possa offrirgli, non accetterebbe mai di svolgere un simile lavoro.»
   L’uomo si portò rapidamente una mano ad una tasca interna della giacca. Per un attimo, Wu Han si irrigidì, convinto che stesse per prendere una pistola. Invece, ne tolse una semplice ed innocua fotografia.
   «Ma il signor Lao non offrirebbe denaro, al dottor Jones. Gli offrirebbe questo.»
   Passò la fotografia a Wu Han, che la prese e la osservò. Era la riproduzione in bianco e nero di una pietra preziosa molto grossa e finemente cesellata, probabilmente un diamante. Gli sorse un dubbio nella mente, ma volle che fosse l’altro a confermargli quei pensieri.
   «Che cos’è?» domandò.
   «Sa bene di che cosa si tratta, signor Wu Han. Il dottor Jones lo sta cercando da tutta la vita, e lei stesso lo ha aiutato nella sua ricerca.»
   «L’Occhio del Pavone…» mormorò Wu Han.
   L’uomo, senza rispondere, si alzò dal letto e si avviò verso la porta.
   «Resterò in attesa di risposta al Loto d’Oro, in centro a Hong Kong. Spero che non deluderete le aspettative del signor Lao Che.»
   «Lo spero anch’io…» rispose Wu Han, mentre la porta si richiudeva.
   Quindi, infilata la fotografia nel taschino della camicia, era corso in tutta fretta all’aeroporto, arrivandovi giusto in tempo per vedere atterrare l’aereo dell’amico e muovergli incontro.
   I due vecchi compagni d’avventura si incontrarono a metà strada, lungo la pista accidentata, e si strinsero in un abbraccio fraterno.
   «Indy, quanto tempo» salutò Wu Han.
   «È un piacere rivederti» rispose Jones. «Sono contento che tu abbia risposto subito al mio invito.»
   «Credevi forse che mi sarei lasciato scappare l’occasione di una nuova impresa in tua compagnia? Ultimamente, dalla noia, mi ero rimesso a fare il contrabbandiere.»
   I due si avviarono verso l’uscita dell’aeroporto.
   «Allora, hai letto bene quello che ti ho scritto? La faccenda di Kai e della sua assistente, dei nazisti, dello Specchio dei Sogni e tutto il resto?» domandò Jones, non appena si furono trovati a camminare lungo le strade trafficate e caotiche di Hong Kong.
   «Sì, e se devo essere sincero con te, non ne avevo mai udito parlare. Però, ho qualche conoscenza, tra gli accademici, ed ho approfittato del tempo che ti sarebbe servito per arrivare da Istanbul facendo qualche domanda. È tutto vero, a quanto pare. Lo Specchio dei Sogni sarebbe l’unico oggetto in grado di guidare alla cripta di Qin. In che modo, esattamente, non lo sa nessuno, ma sembra che, penetrare nella tomba, non sia sufficiente a trovare la strada per la sepoltura vera e propria. Lo Specchio sarebbe come… come una bacchetta da rabdomante per arrivarci, ecco. Così, almeno, dicono le leggende.»
   «Be’, se i nazisti e Kai stanno impegnandosi tanto per rimetterlo insieme, qualcosa di vero dev’esserci» commentò Jones, pur mantenendo la sua solita mancanza di fede verso qualsiasi cosa che non fosse possibile spiegare razionalmente. «A proposito, hai scoperto qualche cosa di più, su questo Kai?»
   «Ho un contatto, che ci attende al Loto d’Oro, un locale notturno della città, che ti spiegherà tutto quello che c’è da sapere, riguardo Kai.»
   «Possiamo fidarci, di questo tuo contatto?» chiese Jones con un accenno di dubbio, dato che, ultimamente, aveva preso l’abitudine a non fidarsi più di nessuno.
   «Assolutamente» lo confortò Wu Han. «È una mia vecchia conoscenza, un membro dei servizi segreti, abbiamo lavorato più volte insieme. Ripongo in quella persona la medesima fiducia che ripongo in te, stanne certo. Però, questo devo dirtelo, al Loto d’Oro c’è anche un altro individuo, ad attenderci, e di costui non sono molto sicuro di potercene fidare, anzi dobbiamo guardarcene bene.»
   «E chi diavolo è?» sbottò Jones.
   Era pronto a tutto. Negli ultimi giorni aveva affrontato troppi pericoli per lasciarsi intimidire da una persona sola.
   «Chi sia, con esattezza, non lo so. Ma so che lavora per Lao Che…» cominciò Wu Han.
   «Lao Che? Lao Che, il gangster di Shanghai?» lo interruppe Jones.
   «Sì, proprio quel Lao Che. Perché, lo conosci?» si stupì Wu Han.
   «Ho avuto il dubbio piacere di fare la sua conoscenza, un paio di anni fa. Stavo venendo ad incontrarmi con te, se ben ricordi. Non è stato piacevole. Che diamine c’entra Lao, con tutta questa faccenda? Non ce lo vedo proprio, a fare il cocco dei nazisti.»
   «No, infatti. Lao non ha nulla a che vedere con questa storia. Ma è riuscito a sapere del tuo arrivo, e vorrebbe affidarti un incarico, non appena sarai libero. Ha detto, però, che prima ti lascerà fare quello che devi; a quanto pare non corre buon sangue, tra lui e Kai, e chiunque tenti di mettergli i bastoni tra le ruote gli fa un favore.»
   «Bah. Ciò mi chiarisce una volta di più che Kai è un brutto personaggio, se ha in qualsiasi modo a che fare con gente di tale risma. E che cosa diamine vorrebbe da me, il vecchio Lao?»
   «Il recupero archeologico dell’urna cineraria di Nurhaci, il…»
   «Il primo imperatore della dinastia Manciù» completò Jones, con la sua solita competenza. «Be’, Cristo santo, Lao può scordarselo. Non se ne parla proprio. Sono un archeologo, non un predatore di tombe. Lavoro in nome della scienza: tutti i reperti di cui vengo in possesso voglio che vengano studiati accuratamente, per poi finire in un museo a disposizione del pubblico e degli storici, non in una collezione privata. Per certe cose, dovrebbe rivolgersi a quel piantagrane di Belloq, lui sarebbe ben contento di accontentarlo, in cambio di pochi spiccioli.»
   «Sapevo che avresti risposto così, e lo sapeva anche l’uomo di Lao. Per questo, mi ha chiesto di mostrarti una fotografia. La tua ricompensa nel caso, cambiando parere, accettassi l’incarico.»
   «Una fotografia…?» fece Jones senza capire.
   Allungata una mano, prese il cartoncino che Wu Han gli porgeva e strabuzzò gli occhi. Il cuore gli balzò in gola e fu costretto a fermarsi perché, se avesse continuato a camminare, avrebbe rischiato di perdere l’equilibrio e sarebbe certamente caduto. Lo aveva visto riprodotto in troppe illustrazioni per pensare di potersi sbagliare. Ma, fino ad allora, erano sempre stati disegni, mai fotografie tanto nitide e chiare. Eppure, eccolo proprio lì, l’Occhio del Pavone; così magnifico da essere certi di non confondersi con un falso neppure attraverso una semplice riproduzione sulla carta stampata.
   «Non posso crederci» quasi gridò.
   «E, invece, dovresti, perché la foto mi pare autentica» rispose Wu Han che, per aspettarlo, si era a sua volta fermato. «Lao gioca sporco, si sa, ma non millanta mai ricchezze che non possiede. Non è nel suo carattere. Non l’ho mai incontrato, per mia fortuna, ma ho sentito molto parlare di lui, quando lavoravo per l’intelligence. Se dice di essere in possesso qualcosa, significa che è vero. C’era un detto, tra gli agenti segreti: “Se Lao vuole qualcosa, è già suo; e chi cerca di impedirglielo, è già morto”. Era il cruccio di tutti gli agenti che gli stavano addosso, perché significava, in parole povere, che non avrebbero mai potuto fare nulla per fermarlo. Non ti immagini neppure quanti amici ho visto morire, uccisi dai suoi sgherri, senza che lui potesse mai essere incriminato di alcunché. E, infatti, spadroneggia ancora come se fosse il vero ed unico padrone di Shanghai.»
   «Ma come diavolo avrà fatto Lao Che ad entrarne in possesso?» si chiese Jones, riprendendo il cammino.
   «Ha più uomini di quanti tu possa immaginare» spiegò Wu Han, al suo fianco. «E, quando vuole che qualcuno lavori per lui, sa come convincerlo.»
   «Lo credo bene» borbottò Jones.
   Non riusciva a staccare gli occhi dalla fotografia. Il sogno di una vita era lì, davanti a lui. Gli sembrava quasi di poterlo già stringere tra le mani. Gli vennero in mente suo padre, Oxley ed Abner: ciascuno con la propria passione ossessiva. Lui, che aveva avuto il coraggio di lamentarsene, ne aveva addirittura due: la croce di Coronado e l’Occhio del Pavone. E, per quest’ultimo, sarebbe stato anche capace di contravvenire alla propria morale. Ma solamente fino ad un certo punto.
   «Va bene» disse in maniera risoluta. «Incontreremo l’uomo di Lao e gli confermeremo che, in cambio del diamante, troveremo Nurhaci e glielo porteremo. Ma, prima, dovrà lasciarci tutto il tempo per risolvere l’altra nostra faccenda, poiché non voglio lasciare un lavoro a metà. Anche perché, dopo aver avuto l’Occhio del Pavone, la Cina diventerà per noi un luogo invivibile, e dovremo affrettarci a tornare negli Stati Uniti. E tu, vecchio mio, questa volta dovrai venire con me, per forza di cose.»
   «Perché, cosa intendi combinare?» domandò Wu Han, con una certa inquietudine.
   «Ho detto che porteremo Nurhaci a Lao, ma non che glielo lasceremo tenere. Una volta avuto e messo al sicuro il diamante, ci riprenderemo anche l’urna e la porteremo con noi, in maniera che possa venire conservata in un qualche museo. Ci penserà poi il governo degli Stati Uniti a trattare con quello cinese per la gestione del nostro amico Nurhaci. Lao, però, non sarà affatto felice della piega che prenderanno le cose, quindi anche tu, a quel punto, dovrai venire via con me.»
   «Non so, Indy, tu la fai facile, ma Lao è uno degli uomini più pericolosi della Cina, non so come potremmo cavarcela giocandogli un simile scherzo» tentennò Wu Han.
   «Come sempre abbiamo fatto» rispose Jones, con un’alzata di spalle. «Un po’ prepareremo in anticipo, un po’ improvviseremo sul momento. Ma ci penseremo al momento giusto. Per ora, dobbiamo concentrarci sulla faccenda dell’altro imperatore. Per cui, andremo dall’uomo di Lao Che e gli diremo di dire al suo capo di aspettare, perché al momento siamo occupati.»
   «Mah, se lo dici tu. Ma, chissà perché, ho un brutto presentimento» fece Wu Han, cupamente.
   «Allegro» replicò Jones. «Un normalissimo recupero archeologico ed una fuga concitata non saranno nulla, in confronto a quanto ci accingiamo a fare. Chissà perché, ho come l’impressione che i pericoli maggiori non siano ancora cominciati.»
   «Magari, invece, non incontrerai mai più né i tedeschi né, tantomeno, quel Kai» provò Wu Han.
   «Non sperarci troppo» commentò Jones, con sarcasmo. «Ricordati che ho io il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni, ed i nazisti lo sanno perfettamente. Non mi lasceranno troppo in pace, quelli.»
   Si recarono all’albergo di Wu Han, dove entrambi indossarono un abito elegante, in quanto era necessario un vestito da sera per poter entrare al Loto d’Oro; Jones aveva con sé una valigia, acquistata ad Istanbul, con qualche oggetto da toilette, un po’ di biancheria di scorta, una camicia, una giacca di tweed, un gilè ed un papillon, tutta roba poco costosa acquistata sempre in un negozio della città turca, ma non aveva nulla che si potesse adattare ad un locale come il Loto d’Oro, per cui Wu Han, mentre lo aspettava, aveva provveduto a procurargli un completo composto da giacca bianca, panciotto, pantaloni e papillon neri, e camicia bianca. Come tocco aggiuntivo, gli aveva procurato un garofano rosso da applicare all’occhiello.
   Lasciarono nella camera la loro roba, poi scesero a mangiare qualcosa nello scadente ristorantino dell’albergo. Infine, furono pronti a partire per andare al loro doppio appuntamento.
   Ormai, era quasi arrivato il momento della verità.
   Dopo aver percorso un paio di chilometri lungo le vie affollate di Hong Kong, sempre più buie mano a mano che la notte montava, Wu Han fece un gesto in direzione di un vicolo umido e sporco. Vi svoltarono e si trovarono di fronte una strada senza uscita; in una parete, si apriva una porticina di metallo sopra la quale un’insegna, scritta in caratteri cinesi ed in inglese, indicava che, quello, era il night club Loto d’Oro. Entrarono.
   L’ingresso consisteva in un corridoio fumoso, che conduceva ad un ampio salone, circondato da palchetti sopraelevati, su cui si trovavano tavolini da dove gli avventori osservavano uno spettacolo sul palcoscenico: donne cinesi in costume tradizionale che danzavano e recitavano qualcosa che, dalla sua posizione, Jones non riuscì a comprendere.
   Venne loro incontro un cameriere.
   «Onorevoli signori» li salutò. «Avete una prenotazione? Purtroppo, siamo al completo.»
   «Sì, dobbiamo incontrarci con una persona al palco numero due» rispose Wu Han. «Ma, prima, dovremmo vedere un uomo, anche se non ne conosco il nome.»
   «Oh, certo, il signore di Shanghai ha detto che, probabilmente, sarebbero giunti due signori, di cui uno americano, a chiedere di lui. Prego, seguitemi.»
   Il cameriere fece loro strada, conducendoli verso una porticina laterale e, poi, attraverso vari corridoi su cui s’aprivano diversi salottini privati. Si fermarono dinnanzi ad una porta chiusa, a cui l’ometto diede tre bussate.
   «Avanti» rispose una voce dall’interno.
   La porta fu aperta ed i tre uomini entrarono. All’interno, la stanza, priva di finestre e dalle pareti rivestite di legno scuro, era ammobiliata secondo lo stile cinese, con mobiletti laccati e lampade velate da carte velina. Seduto ad un tavolo, con una ragazza sulle ginocchia, c’era il gangster di Lao Che.
   «Ah, sì, il signor Wu Han ed il dottor Jones. Prego, accomodatevi» disse l’uomo, accennando con la testa a due sedie vuote, mentre il cameriere, con un inchino, se ne andava.
   «Vattene» disse poi il gangster alla ragazza, che fu così lesta a lasciare la stanza, da farlo prima ancora che Jones e Wu Han si fossero seduti.
   «Allora, signori, immagino che siate qui per parlare d’affari» disse il gangster, non appena si furono trovati da soli. Indicò una bottiglia di champagne ancora tappata che era poggiata sul tavolo e dei bicchieri: «Qualcosa da bere?»
   «Non per me, grazie» rispose Jones, mentre anche Wu Han scuoteva la testa.
   «Molto bene» replicò il gangster. «Allora, dottor Jones, immagino che il signor Wu Han le avrà parlato dell’incarico che il signor Lao vorrebbe affidarle.»
   «Sì» rispose Jones. «Il recupero dell’urna cineraria di Nurhaci. Immagino, quindi, che la tomba sia stata individuata.»
   «Esattamente» disse il gangster. «Ma questi dettagli glieli fornirà il signor Lao. Intende incontrarla di persona, prima di rivelarle tutti quanti i particolari. Compreso quello sulla sua ricompensa.»
   «L’Occhio del Pavone» mormorò Jones. Si piegò in avanti: «Ma, allora, è vero?» chiese.
   «Temo proprio di sì, dottor Jones. Il signor Lao è entrato in possesso del diamante all’inizio di quest’anno. Per lui, tuttavia, esso non ha alcun valor affettivo, al contrario di Nurhaci. Quindi, è ben disposto a consegnarglielo, in caso di un suo successo.»
   «Come l’ha avuto?» domandò l’archeologo.
   «Non credo di essere autorizzato a rivelare più di quanto mi sia stato ordinato di riferirle, dottor Jones. Ovviamente, se non ne sarà troppo intimorito, potrà rivolgere questa domanda direttamente al signor Lao, quando vi incontrerete a Shanghai» fu la risposta.
   «E va bene. Però - come Wu Han mi dice che già lei e Lao Che sapete - prima di accettare l’incarico dovrò portarne a compimento un altro.»
   «Il signor Lao lo sa e non vuole farle alcuna fretta, dottor Jones. Ciò nonostante, mi sento di darle un consiglio: il signor Lao non è un uomo paziente, non lo è mai stato. Pertanto, e questo è il mio consiglio, non lo faccia attendere troppo.»
   «Il signor Lao aspetterà il tempo necessario» rispose stizzito Jones, alzandosi, subito imitato da Wu Han. «Accetto l’incarico, ma lo svolgerò appena mi sarà possibile. Se lei avrà la bontà di attendere qui ad Hong Kong, a cose fatte io e Wu Han verremo a riferirle di essere pronti e di comunicare a Lao quando potremo incontrarci. Ma non voglio che mi venga messa alcuna fretta.»
   «Io le ho solo dato un consiglio spassionato, dottor Jones. Attenderò lei ed il suo amico non qui ad Hong Kong, ma direttamente a Shanghai, al Club Obi Wan, dove potrete incontrare anche il signor Lao in persona per definire i dettagli del suo incarico. Arrivederla» salutò il gangster, indicando la porta.
   I due uomini se ne andarono, seguendo i corridoi da cui erano sopraggiunti. Nessuno dei due disse una parola, fino a quando non furono giunti nuovamente all’ingresso.
   «Ed ora, dove dobbiamo andare? Dov’è il tuo uomo?» domandò Jones.
   «Palco numero due. A quest’ora ci sarà già. Da questa parte, seguimi» rispose Wu Han.
   Salirono una scalinata e raggiunsero un corridoio, rivestito anch’esso di legno come tutto il resto del locale, lungo il quale si aprivano diverse porte, quelle dei palchetti da cui si poteva godere di una buona visuale sul palcoscenico sottostante.
   Superarono la prima e si fermarono dinnanzi alla seconda, che era chiusa.
   Wu Han pose la mano sulla maniglia ma, prima di abbassarla, sussurrò: «Il mio contatto, però, non è un uomo. È un membro dei servizi segreti, ma non ti ho specificato che si tratta di una donna.»
   Prima che l’altro avesse modo di replicare, spinse la maniglia e spalancò completamente la porta.
   Seduta al tavolo, dando le spalle al palcoscenico e guardando fissa verso di loro, vestita di uno splendido abito di raso bianco e rosa che ne faceva risaltare incredibilmente la bellezza, c’era Mei Ying. Nello scorgerla, Jones strabuzzò gli occhi. Si volse immediatamente verso Wu Han.
   «Sarebbe lei, il tuo contatto?» tuonò, completamente sorpreso. «Mi devi qualche spiegazione.»
   «Be’, sì, certo, Indy» borbottò l’amico. «Stavo giusto per accennartene…»
   Mei Ying s’era alzata per accoglierli.
   «Se sarà così cortese da sedersi senza fare storie, e senza colpirmi nuovamente, avrà tutte le spiegazioni che desidera, dottor Jones.»
   E con un cenno della mano indicò due sedie al proprio tavolo.
   
 
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