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Autore: _Joanna_    16/08/2017    2 recensioni
Fan fiction ambientata durante la II guerra magica.
Una nuova minaccia si allunga su tutto il mondo magico, ancora più terribile di quella rappresentata da Lord Voldemort, che al momento regna quasi indisturbato, con l'unico intento di porre fine una volta per tutte alla vita del Ragazzo-che-è-Sopravvissuto.
Ma le cose stanno per cambiare: un nuovo personaggio entrerà in scena nella lotta per il potere e per la libertà.
Sarà forse uno dei nuovi servi del potente mago oscuro a rivoltarsi contro il suo padrone? E a cosa sarà disposto a rinunciare Voldemort pur di salvarsi?
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Avvertimento: è tutto "lievemente" OOC
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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4.4



Angolo Autrice
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Sakve a tutti, come sempre un grazie di cuore a tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia  :)
Spero che anche questo capitolo vi piaccia.
Buona lettura e un abbraccio a tutti,
_Jo
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Capitolo III

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ENEMIES
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«È morto?» chiese Ron esitante.
«No» rispose Harry dopo un momento. Non sapeva da dove gli giungesse quella sicurezza, ma era certo che fosse la verità.
Si inginocchiò cautamente accanto al corpo del suo acerrimo nemico che giaceva immobile e apparentemente indifeso. Udì gli altri trattenere il respiro mentre allungava una mano verso di lui, reprimendo l’impulso di ritrarla, per tastargli una vena.
Era vivo, ferito, debole, ma vivo. Lo comunicò agli altri.
«Che cosa facciamo adesso?» chiese Bill.
«È ovvio no? Lo uccidiamo» sentenziò rapidamente Ron.
«No» ripetè Harry.
«Oh avanti, Harry» protestò Ron, prima che Harry potesse aggiungere altro «Non è questo il momento di essere nobili, facciamolo fuori adesso così tutto sarà finito»
Harry non riusciva a pensare. Si rialzò, la bacchetta ancora stretta saldamente in pugno, incapace di prendere una decisione.
«Come al solito, Weasley» disse Piton «Non afferri il punto della situazione. Cinque Mangiamorte sono stati uccisi e il Signore Oscuro è stato attaccato. È evidente che qui è successo qualcosa e il Signore Oscuro ne è l’unico testimone. Sarebbe saggio …»
«Risparmiarlo?» ruggì Ron «Secondo te lui lo farebbe? Harry,» aggiunse, rivolgendosi a lui «Chiunque sia stato ci ha fatto un favore, finiamolo e basta o ce ne pentiremo»
Aveva ragione, rifletté Harry. Ma aveva ragione anche Piton.
Rivolse di nuovo lo sguardo a Voldemort. La cicatrice bruciava ancora, ma era un dolore sopportabile. Che cosa doveva fare? Che cosa avrebbe fatto Silente?
Silente! Era questa la risposta, Silente avrebbe saputo che cosa fare.
«Portiamolo con noi» decise, interrompendo gli altri che ancora stavano discutendo.
«Sei matto?» esclamò Ron che ormai stava cedendo al panico.
«Dobbiamo sapere che cosa è successo qui, Ron» spiegò all’amico, tentando di mantenere un tono di voce neutro. Era un rischio, lo sapeva, anzi, quasi certamente si trattava di pura follia; ma come aveva capito subito che Voldemort era vivo, nello stesso modo in cui conosceva le emozioni e gli stati d’animo del suo nemico, così sentiva che quella era l’unica cosa da fare.
E mentre legavano il corpo di Voldemort e si preparavano a Materializzarsi, Harry sperò ardentemente di non stare commettendo lo sbaglio più grosso della sua vita.
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Il loro arrivo a Grimmauld Place era stato accolto con sconcerto e terrore.
Dopo aver dato agli altri alcune frettolose spiegazioni, lui e Piton erano riusciti a sgattaiolare in cucina. Era una sola la persona con cui avevano bisogno di parlare: Silente.
Gli avevano fatto un resoconto completo dell’accaduto, riferendogli tutti i dettagli che erano riusciti a ricordare.
L’ex-preside era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ascoltando attentamente ogni parola. Quando poi finalmente avevano terminato il racconto, Silente aveva chiuso gli occhi e aveva unito le punte delle lunghe dita, un gesto che Harry gli aveva visto fare innumerevoli volte.
«Credo che abbiate fatto bene» aveva commentato alla fine «E concordo con te, Severus: un attacco di questa portata non sarebbe riuscito a molti, anzi credo di non conoscere nessun mago che sarebbe in grado di eliminare cinque Mangiamorte e ferire così gravemente il loro capo. E al momento non disponiamo di abbastanza elementi per poter stabile se questo individuo sia amico e nemico» aveva concluso. Harry e Piton avevano annuito e per un po’ nessuno aveva più parlato: stavano tutti riflettendo sulle possibili implicazioni di quello che era accaduto.
«Ora, se non ti dispiace Severus» aveva ripreso il preside «Vorrei scambiare due parole con Harry»
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«È fuori discussione» stava dicendo Hermione «Non puoi andare là dentro. Nessuno dovrebbe entrarci e di certo non dovresti farlo tu!»
Harry aveva raccontato a Ron e a Hermione quello che lui e Silente si erano detti. Il piano era molto semplice: Harry avrebbe parlato con Voldemort e avrebbe cercato di spingerlo a rivelargli quello che era successo a Oxen. Non era un gran piano in effetti, ma era l’unica cosa che potessero fare.
«Non possiamo leggergli la mente?» propose Ron.
«È un Legilimens e un Occlumante molto abile, Ron» spiegò Hermione in tono sbrigativo.
«Beh ma è debole, no? E Harry ha una specie di canale preferenziale con lui …»
«Non se ne parla, Harry deve cercare di chiudere la mente a Tu-Sai-Chi» ribatté Hermione.
«Sentite» si inserì Harry, che ne aveva abbastanza di sentirli litigare e discutere di lui come se non fosse lì con loro «È legato, debole e senza bacchetta» cominciò «Mi basterà osservare le sue reazioni, mi terrò a distanza di sicurezza e voi tutti sarete dietro la porta, non può succedermi niente» assicurò, sperando in questo modo di convincere anche se stesso. Quell’idea era davvero orribile e ogni giorno Harry ne diventava sempre più consapevole.
Guardò i suoi due migliori amici che evidentemente stavano cercando le parole migliori per ribadirgli che quell’idea era pura follia. Senza aspettare che le trovassero, Harry uscì dalla camera che era appartenuta a Sirius e salì le scale.
Voldemort era stato rinchiuso nella vecchia soffitta che era stata la cuccia di Fierobecco. Avevano attuato ogni genere di precauzione, ma la tensione all’interno del numero 12 cresceva man mano che le condizioni di salute di Voldemort miglioravano. Si trovava lì da una settimana ormai e non sapevano per quanto ancora avrebbero potuto trattenerlo. Avrebbero dovuto abbandonare il Quartier Generale, considerò amaramente.
Remus e Bill stavano facendo la guardia. Si erano organizzati in turni perché ci fosse sempre qualcuno che tenesse d’occhio Voldemort.
«Allora ne sei proprio sicuro?» chiese Bill.
Harry annuì, la bocca gli era diventata improvvisamente asciutta.
Sciolsero alcuni degli incantesimi, quindi tolsero i pesanti lucchetti che sbarravano la porta.
«Dieci minuti» ricordò Remus a Harry
«Stai attento» si raccomandò Bill. Harry rispose debolmente al suo sorriso, quindi spinse in giù la maniglia ed entrò.
La stanza era, se possibile, ancora più buia e tetra del resto della dimora.
Un letto era stato sistemato in un angolo, accanto a un basso tavolino ingombro di bende e medicinali. Voldemort era sdraiato su in fianco. I polsi e le caviglie erano cinti da pesanti catene che luccicavano debolmente alla luce della lampada a olio. Gli dava le spalle.
Notò che portava ancora la tunica e il mantello neri incrostati di sangue: nessuno si era voluto azzardare a spogliarlo.
Per un attimo Harry ebbe la visione di Voldemort vestito di uno dei vecchi pigiami di Ron e si scoprì a mordersi il labbro per trattenere una risata.
Avanzò lentamente, la bacchetta abbassata ma ben salda nel suo pugno.
Ora si trovava a circa tre metri da Voldemort e decise di fermarsi. Non era prudente avvicinarsi oltre.
Si schiarì la gola.
Niente. Se Voldemort lo aveva sentito, non ne diede alcun segno.
Riprovò, ma anche questa volta Voldemort non si mosse.
Doveva avvicinarsi ancora, scuoterlo? Il pensiero di toccarlo gli faceva rivoltare lo stomaco.
Rimase in attesa per un po’, quindi ripetè il verso, questa volta più forte.
Stava ormai cominciando a cedere all’esasperazione, quando finalmente Voldemort si riscosse. Si voltò finalmente a guardarlo, compiendo il gesto con lentezza infinita.
«Non sei così sciocco come pensavo, Harry Potter» disse, flettendo le lunghe dita pallide. La sua consueta voce, acuta e fredda, suonava, se possibile, ancora più raccapricciante in quello spazio piccolo e chiuso.
Si era messo a sedere, gli occhi rossi piantati su Harry. Sapeva che se avesse avuto una bacchetta non avrebbe esitato a colpirlo.
«Anche se portarmi qui non è stata proprio una mossa geniale» considerò Voldemort «Silente non ti ha insegnato che i nemici si uccidono?» lo derise, la bocca piegata in un ghigno disgustoso che si trasformò subito in una smorfia di dolore: un profondo taglio, non ancora del tutto rimarginato, si apriva dalla tempia destra fino a metà della guancia.
«Dipende da chi sono i miei nemici» rispose Harry, ostentando una calma che non aveva.
Doveva fare attenzione ai particolari adesso, un cenno, un’esitazione, piccole cose che avrebbero potuto aiutarli a ricostruire l’accaduto. Dubitava che Voldemort ne avrebbe parlato con lui e infatti non lo fece.
«Io ti  voglio morto Harry Potter, direi che è più che evidente quali sono i tuoi nemici» ribatté serafico Voldemort.
«E che mi dici dei tuoi nemici? Quello che è successo al villaggio, cinque dei tuoi sono stati uccisi, direi che non sono l’unico a volere te morto» disse Harry.
«Il nemico del mio nemico è mio amico, non si dice così?» lo canzonò Voldemort, ignorando il dolore alla guancia «Ma ti posso assicurare che di solito non funziona così»
«Che cosa vuoi … ?» stava dicendo Harry, ma un deciso bussare alla porta gli comunicò che i dieci minuti erano scaduti. Era tempo di andare, ma ora che era entrato non gli sembrava più tanto difficile stare alla presenza di Voldemort. Tuttavia aveva fatto una promessa e così si costrinse a tornare sui suoi passi. Aveva già la mano sulla maniglia, quando Voldemort parlò di nuovo «Non hai alcuna possibilità, Potter» disse, tornando a distendersi.
Con il presentimento che Voldemort avesse ragione, Harry uscì dalla stanza.
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° ° °
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Octavio richiuse in fretta la cella. La sua prigioniera si era dimostrata piuttosto restia a condividere i propri ricordi. Ma ora non aveva tempo, avrebbe pensato più tardi a un modo per renderla più docile. C’erano questioni più urgenti che richiedevano la sua attenzione.
Passò accanto a un vecchio baule e non poté resistere alla tentazione di ammirare i suoi preziosi trofei. Prese tra le mani il più recente, accarezzandolo delicatamente e immediatamente ripensò alle circostanze in cui l’aveva conquistato.

     Aveva preparato tutto nei minimi particolari.
Aveva estorto alla Delacour molte, preziose informazioni, sufficienti a guadagnarsi la fiducia di Potter e dei suoi alleati.
Aveva capito ben presto che non c’era niente di speciale in quel ragazzo e, con suo enorme disappunto, aveva dovuto ricredersi anche nei confronti del Signore Oscuro.
Al loro primo incontro ne erano seguiti altri due. Voldemort gli aveva affidato alcune missioni che sarebbero state premiate, aveva detto, con il Marchio Nero.
Un onore, tuttavia, a cui Octavio si scoprì presto totalmente indifferente. Voldemort non era il grande e potente mago oscuro di cui aveva sentito parlare. Forse lo era stato all’inizio, ma ora non era altro che un relitto, una patetica imitazione di quello che era stato un tempo.
Forse, quando Potter lo aveva sconfitto, qualcosa si era spezzato e la reincarnazione di quell’anima errabonda non poteva reggere il confronto con ciò che era stato.
O forse erano stati tutti quegli anni di solitudine: chiunque sarebbe impazzito in quelle condizioni.
O semplicemente Voldemort si era spinto troppo in là, oltre i limiti concessi all’uomo dalla natura.
Nessun mago dovrebbe mai sfidare le leggi universali che mantengono l’equilibrio della magia stessa, Octavio lo sapeva bene.
Era un errore comune a molti uomini, dopotutto e in Voldemort questo risultava amplificato in proporzione al suo innegabile potere.

     E così Octavio aveva cominciato a raccogliere seguaci per proprio conto, preparandosi a colpire.
E finalmente, dopo alcune settimane, Voldemort lo aveva voluto con sé in una delle sue inutili battute di caccia al Babbano.
Fremeva ancora di eccitazione al pensiero di quello che era accaduto.
Voldemort era davanti a lui, l’orrido ghigno stampato sul suo volto mostruoso.
«Non ti diverte, Killian?» gli aveva chiesto Voldemort.
Aveva notato che Octavio era rimasto indietro, limitandosi a scagliare qualche pigra fattura.
«Non approvi, per caso?» aveva chiesto Voldemort, la bacchetta levata, la maledizione Cruciatus che affiorava sulle labbra inesistenti.
Ma Octavio era stato più rapido, con un’agile scatto, era balzato lontano dal raggio d’azione di Voldemort, poi, in un attimo, era piombato alle sue spalle e lo aveva colpito.
Alcuni Mangiamorte avevano visto l’azione e si erano scagliati contro di lui. Ma era stato tutto inutile: in un attimo si era sbarazzato di Avery, il suo potente Anatema lo aveva colpito in pieno petto, scagliandolo a decine di metri. Poi era toccato a Mulciber e a innumerevoli altri scagnozzi, troppo insignificanti perché Octavio si prendesse il disturbo di conoscerne il nome.
Infine anche gli altri avevano interrotto la carneficina.
Alcuni avevano pensato che si trattasse degli Auror, così si erano Smaterializzati, ma la maggior parte era rimasta a combattere: Dolohov aveva duellato con Roockwood, che Octavio aveva persuaso a passare dalla sua parte, così come Rowle, che con facilità aveva atterrato e disarmato Goyle.  
Octavio li aveva richiamati subito, però, perché sapeva che non ci sarebbe stato tempo per stupide tenzoni.
Con una singola, potente maledizione aveva raso al suolo il piccolo villaggio, uccidendo i Mangiamorte e i Babbani rimasti. Probabilmente anche Voldemort era tra le vittime, ma Octavio aveva voluto esserne certo.
Si era messo a cercare tra le macerie in modo febbrile, sopprimendo di quando in quando un lamento o un movimento di qualche sopravvissuto.
Poi aveva sentito dei sonori crack.
In fondo al viale principale, si erano Materializzate quattro figure.
Potter e alcuni dei suoi, aveva intuito Octavio, che non poteva farsi trovare lì, non aveva ragione per essere in quel luogo.
Così era stato costretto ad allontanarsi in fretta con i suoi nuovi compagni e insieme si erano Smaterializzati.

     E ora Potter lo aveva convocato d’urgenza.
Aveva mandato il suo Patronus e il bel cervo aveva parlato con la voce di Harry: “È successa una cosa inaspettata, vieni subito a Grimmauld Place per una riunione”.
Octavio aveva pensato che si trattasse della morte di Voldemort, tuttavia non era riuscito a scacciare la fastidiosa sensazione di pericolo che lo aveva colto non appena il Patronus si era dissolto in graziosi vortici d’argento.
Richiuse in fretta il baule, indossò il mantello da viaggio e si Smaterializzo, per comparire subito dopo sull’ultimo gradino davanti al numero 12.
Bussò garbatamente alla porta. Una strega di nome Tonks, una ragazza bizzarra e decisamente goffa, venne ad aprire e lo condusse in cucina, dove generalmente si tenevano le riunioni dell’Ordine.
Tuttavia, una volta entrato, si accorse che erano presenti solo pochi membri dell’organizzazione.
Si avvicinò a Potter che stava discutendo con Lupin e Piton.
«Non ho altra scelta» stava dicendo Harry «Devo tornare là sopra, costringerlo a parlare»
«Non lo farà, sa che se lo avessimo voluto morto lo avremmo già ucciso, è in vantaggio» ribatté Lupin.
«Devo tentare» risolse infine Harry, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso le scale, imitato dagli altri due «Voldemort è nostro prigioniero, è la nostra migliore occasione per … » stava continuando, ma il resto della frase si spense nel corridoio che portava ai piani superiori.
Octavio sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Voldemort era sopravvissuto, era in quella casa in quello stesso momento e nel giro di pochi minuti avrebbe potuto raccontare a Potter quello che era davvero accaduto a Oxen.
Doveva trovare un modo per uscire di lì e subito.
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