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Autore: Nirvana_04    24/08/2017    2 recensioni
STORIA FANTASY-STEAMPUNK
Sequel di "CIELI SENZA CONFINI"
Jude Hauk e Moris Lautner, salvando il primo la sorella e il secondo il regno, hanno aperto il mondo e i suoi cieli. Non ci sono più confini, e adesso il capitano della Marsadde può navigare verso l'infinito... se non fosse che la sua nave è nelle mani della Marina di Midra e lui si trova bloccato con il suo villaero sopra le terre sconosciute e nemiche di Kabu-Ealim.
Una città davvero strana con strane e rigide regole. E, si sa, al nostro pirata, le regole stanno troppo strette. Una nuova avventura all'insegna della libertà e delle spericolate inventive della cara sorella di Jude, Selene.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cieli senza confini'
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Capitolo 3
All’arrembaggio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era pieno giorno e Iilah brillava alto in cielo; Arci aveva già bestemmiato due volte e mandato a gambe all’aria un frenetico Spike. Nessuna di queste cose, pensò con un sorriso arrogante Jude Hauk, era una novità o presentava un minimo cambiamento dalla solita routine; dopotutto, il sole non tramontava mai e Arci sbraitava anche quando la pacchia annichiliva tutto il resto dell’equipaggio. Però la luce del sole era un buono auspicio e la voce dell’amico una compagnia a cui non sapeva rinunciare. Negli anni aveva imparato a godere di quei momenti come se fossero un rituale che scongiurava il peggio e attirava la buona sorte. Al resto ci avrebbe pensato lui.
Il capitano Hauk strinse una corda di uno dei ponti sospesi tra le case e diede un’occhiata giù, con il suo solito ottimismo a gonfiare il suo soprabito. Crowsand era ancora sospeso poco al di là dell’alta torre dell’orologio, che in quel momento segnava la libertà per le Aimra; i suoi ingranaggi erano immobili e un leggero alito di vento faceva dondolare il legno delle passerelle. I pescatori erano pronti, le canne dalle lunghe lenze costruite per l’occasione al loro fianco. Doveva riconoscere che nessuno degli uomini del villaero, giovane o vecchio che fosse, si era tirato indietro da quell’avventura. Hauk aveva offerto loro un’alternativa alle tasse e al ruolo marginale che avevano come abitanti di Midra, e loro semplicemente avevano accettato, senza chiedere vantaggi o clausole. Si erano fidati. Il capitano guardò la sua ciurma, il suo popolo, e un angolo delle sue labbra metalliche si sollevò leggermente: lui si fidava di loro.
«Arci» chiamò con il venticello ad aprire, intorno alla sua figura, il suo soprabito, «vediamo se Bait ha fatto il miracolo.»
Il secondo in comando gli fece un cenno e si voltò verso i suoi uomini: «Rospi e ratti, vediamo di darci una mossa. Mi si stanno arrugginendo le palle a forza di star fermo in questo posto, lontano dalla società civilizzata. Muovetevi con quelle lenze! Spike, togliti dalla mia vista, mi dai ai nervi! Voglio sentirvi scattare, come scrofe in calore, adesso! Bait!»
Jude soffiò l’aria fuori dai polmoni: quell’uomo era capace di vanificare tutti i suoi sforzi d’ingentilire i cuori dei marinai. I motori ebbero uno scoppio preoccupante, gli ingranaggi scattarono per poi arrestarsi di botto. I tubi di scappamento ronfarono, ingolfati, e il villaero ebbe uno scossone. Il gong del grande orologio si propagò per tutta Kabu-Ealim proprio nello stesso istante in cui le ruote di sospensione iniziarono rumorosamente e faticosamente a girare. I motori erano sotto sforzo e minacciavano di dare forfait da un momento all’altro, ma gli ingranaggi resistettero allo sforzo fino a portarli nel cielo dell’entroterra, sopra le zone trivellate. L’ombra di Crowsand si allontanò dalla costa e risalì la collina, come una nuvola nefasta che conquistava il cuore della vittima. L’oscurità si fermò proprio ai confini delle strutture di trivellazione.
«Pronti, capitano» urlò un pirata.
«Questo lo dico io, razza di becchino.» Arci sputò per terra per scongiuro. «Pronti, capitano!» ripeté.
«Calate le lenze, signori. Che la pesca abbia inizio!»
Gli uomini di Crowsand azionarono le speciali canne: un semplice congegno di braccio meccanico e carrucola sporgeva oltre i camminamenti di legno, uno accanto alla facciata di ogni casa; attaccato a ognuno di essi, c’era una particolare lenza che Bait era riuscito magistralmente a fabbricare con un po’ di diams sgraffignato da vecchi blocchi dimenticati nelle periferie della città, e a questa era stato saldamente legato un membro dell’equipaggio.
«Calate quelle corde, non è certo una scusa per dare un’occhiata al paesaggio. Bah! Mi è venuto a noia» mormorò poi tra sé.
Gli uomini del villaero iniziarono a sciogliere le funi, mentre le carrucole striderono con un suono acuto. Jude ridacchiò nel vedere i suoi uomini venire calati verso il basso come goffi ragni appesi a un filo sottile di ragnatela, il quale catturava la luce e brillava, come se gocce di rugiada stessero scivolando per tutta la sua lunghezza. Non appena furono posizionati sopra le buche – vuote, poiché l’ora dei Syd non era ancora giunta – quelli iniziarono a trafficare con l’equipaggiamento: altre corde di diams e ganci di duracciaio. Con queste legarono le trivelle e i coni, vi si aggrapparono come meduse alla caviglia e fecero segno di issarli nuovamente a bordo. I pescatori del villaero cominciarono a riavvolgere manualmente le corde. Due uomini per lenza, il primo con un piede che faceva leva alla base del braccio meccanico, lavoravano a mani nude per tirare nuovamente sopra i propri compagni. Persino Arci continuò a borbottare mentre dava manforte a riavvolgere la lenza più pesante, quella a cui – chissà chi gliel’aveva permesso – era stato legato Parsiet, il cuoco della Marsadde. Pirata coi fiocchi, certo, e cuoco eccezionale visto che non aveva mai fatto ammalare nessuno per intossicazione o dissenteria, ma non si poteva dire di lui che fosse gracile o leggero. Il peso dell’elica, poi, contribuiva a rafforzare la sua possente mole.
«Opera di Spike, sicuro. Maledizione!» sputacchiò, affaticato, Arci.
«No, signore, non mia no, stavolta no, l’idea. Parsiet voleva buttarsi dai faraglioni di Chebe, io so, sempre desiderato. Adesso ha deciso di buttarsi da qui, puf» mimò il gesto giungendo le mani davanti al petto e facendo un saltello sul posto, «ha realizzato il suo sogno, signore, felice lui.»
Il viso del secondo in comando illividì, rischiando di diventare color prugna. «Capitano, per le Terre Estinte, levamelo davanti» ringhiò tra i denti sputando, chissà se per rabbia o l’enorme sforzo.
Il capitano, per tutta risposta, diede una pacca al marinaio elettrico e aiutò a tirare la corda. Con un ultimo strattone, Parsiet fu di nuovo al sicuro, sopra un ballatoio del villaero.
«Divertito, Parsiet?» lo accolse il capitano.
Il cuoco unì le dita e le portò alle labbra; poi, con uno schiocco, le baciò e le fece esplodere davanti al volto. «Bell’assai, capitano. Ed eccovi un ricordino.» Rotolò sulle ginocchia e si tirò su aggrappandosi al primo appiglio che riuscì a raggiungere.
Jude Hauk trattenne il suo secondo mentre questo, con una mano alla gola cercando di riprendere fiato, alzava i pugni verso il pirata della cambusa. «Hauk, lo affetto, stavolta affetto qualcuno» borbottò in un orecchio del capitano.
Quello rise e lo lasciò andare. Si sporse dalla fragile ringhiera di legno e disse: «L’ultimo carico è pronto. Tirateli su.»
Proprio in quel momento, la terra iniziò a tremare.
 
 
 
 
Selene sospirò facendo crollare la testa sul petto: suo fratello sarebbe andato su tutte le furie. Non lo sopportava quando incrociava le braccia al petto e iniziava con la paternale; da quando loro padre era morto sembrava sentirsi in obbligo a ricoprirne il ruolo, e dire che lo sapeva di non riuscire a inarcare le ciglia con quello spaventoso arco che le faceva tremare le gambe da piccola.
Drizzò la schiena e lanciò uno sguardo assassino alle funi che le stavano arrossando la pelle dei polsi. Quanta villania! D’accordo che forse gli abitanti della città non gradivano le chiacchiere, ma imprigionarla solo perché aveva cercato di dare un’occhiata all’interno della torre… Selene sospirò di nuovo, un suono sommesso che le sfuggì teatralmente dalle labbra.
I suoi occhi vennero calamitati sul giovane stravaccato al suolo, proprio di fronte a lei. Per quello che aveva potuto vedere – il mascalzone che l’aveva portata fino a lì era stato tanto cafone da calarle un sacco di iuta sulla testa – era stato stordito con una botta in testa. Come ogni alramadi, il suo volto era completamente avvolto dal ferro, ma grazie alla camicia stracciata e ai calzoni tagliati che poco lasciavano all’immaginazione, Selene ne poté valutare la prestanza fisica. Era un giovane dalla pelle scura, che riusciva a indorarsi anche a lume di quei tetri candelabri appesi alle colonne; i pettorali scolpiti non le dispiacevano – erano un’ottima distrazione dalla scomodità in cui versava la sua schiena. Con gli occhi, stuzzicò i disegni tracciati dalle vene gonfie sulle sue braccia e sulle sue mani; anche le gambe erano molto muscolose e nerborute. Sembrava un agnello sacrificale, troppo bello per essere accolto da una marmaglia di bifolchi.
Un fremito nelle dita l’avvertì che si stava svegliando, così riacquistò la sua aria da civetta inviperita e drizzò la schiena, sperando che i suoi capelli non fossero troppo in disordine. Il giovane tentò di alzare il capo e puntare le mani, ma scopri di averle saldamente legate dietro la schiena. Selene lo vide aprire gli occhi – riuscì a vedere che erano fulvi, un marrone che pareva striato da filoni di rubino – e guardarsi intorno. Poteva quasi immaginare la sua aria confusa e sorpresa.
«Spero non siano amici tuoi» si annunciò. Infatti i suoi occhi scattarono lesti su di lei. Selene distese i muscoli del viso, volendo apparire al meglio, sempre. «Ben svegliato.»
Il giovane non proferì parola. Contraendo i muscoli dello stomaco si mise seduto e avvicinò i piedi al corpo, a gambe divaricate. Un adone di cui non poteva vedere il volto!
Selene tirò fuori uno dei suoi sbuffi impazienti. «Immagino non siano molto comode quelle corde. A me stanno rovinando la pelle» si scoraggiò un po’ nel vedergli voltare lo sguardo. «Potresti aiutarmi?» strinse le labbra in un sorriso scettico e ruotò gli occhi a destra e a sinistra, quasi a voler enfatizzare l’ovvietà.
Per alcuni lunghissimi minuti nessun suono rispose alla sua richiesta.
«Siamo su una nave degli zaeim» lo sentì mormorare.
Una piccola ruga increspò la fronte di lei. «Devo averlo intuito qualche ora fa, a causa di questo fastidioso rollio. Pensi di liberarmi? Vedi, non amo molto il mare.»
Il giovane poggiò la schiena contro una delle colonne alle sue spalle e chiuse gli occhi.
Selene cominciava a perdere la pazienza. «Non che io abbia bisogno del tuo aiuto, mio fratello mi verrà a prendere. Ma nell’attesa, preferirei che queste corde non mi segnassero i polsi come se fossi una schiava.»
L’alramadi socchiuse gli occhi. «Non avete l’aspetto di una schiava, donna del cielo.»
Selene sussultò leggermente. «Come hai fatto a capirlo?» Il suo travestimento era perfetto, era riuscita ad abbindolare tutti coloro con cui aveva stretto conversazione, inventandosi un passato da contadina e il sogno di fare fortuna in città.
«Nessuna Aimra avrebbe il coraggio di risalire la piazzola per vedere il mare. Donna debole teme la vastità del blu.»
L’orgoglio bussò nuovamente al petto della donna. «Debole? Se hai capito chi sono, saprai anche chi è mio fratello e da dove veniamo. Tu chiami debole me, quando sei tu a temere la vastità del blu?»
«Prima di essere nessuno, ero destinato a combattere nel blu.»
«Oh, io non parlo del mare, ma dell’azzurro del cielo. Quella è vastità. Non ci sono porti sicuri, non ci sono isole dove poggiare i piedi, solo il cielo. E tu lo temi.»
L’alramadi la fulminò con lo sguardo, un luccichio che sotto il lucore delle candele le rimestò lo stomaco in una fitta di paura. Selene parve turbata da quella sensazione, abituata com’era ad averla vinta, ma lo mascherò subito con un arricciamento delle labbra. «Se non volevi aiutarmi, perché hai cercato di fermare quell’uomo?» Socchiuse gli occhi, assaporando il gusto familiare della vittoria. «O forse mi vuoi dire che l’inettitudine è dovuta a un’incapacità di liberarti? Perché, se è così… oh, santo cielo!» La barca ebbe uno scossone e il rollio si accentuò. «Vorrei tanto sapere chi sta guidando questa mostruosità!»
«Taci!» scattò lui.
Selene sgranò gli occhi e lo fissò a bocca semiaperta, inebetita. Nessuno mai aveva osato azzittirla. L’alramadi era abituato a comandare, poiché non notò la sua aria offesa e osservò con attenzione il tremolio delle ombre create dalle fiammelle.
Ad un tratto il mare sembrò venir risucchiato, trascinando con sé l’imbarcazione.
Selene mugugnò. «Non è il timoniere che si è ubriacato, vero?» Il suo voltò impallidì, assumendo connotati verdognoli. «Rimpiango il buon vecchio Fedrik.»
«Akteìr sta per sbuffare!» esclamò il giovane. Senza il minimo sforzo, ingrossò i muscoli e fece forza per spezzare le corde. Quelle si tesero fino a sfilacciarsi intorno ai suoi polsi, liberandolo con un secco schiocco. L’alramadi scattò in piedi e la raggiunse. «Taci» ripeté, e la liberò. «Dobbiamo uscire da qui prima che Akteìr ci ingoi.»
«Oh, non preoccuparti per me» incrociò le braccia, di nascosto sfregò i polsi contro le costole, «Jude sarà qui a momenti. Pensa che arrivando all’ultimo secondo, io mi spaventi e impari la lezione» sbuffò alzando gli occhi.
La mano del giovane si piantò sulla sua bocca e gliela chiuse. I suoi occhi fulvi la immobilizzarono: la guardavano con una tale intensità che il suo cuore iniziò a battere a mille, sobillato da più e più sensazioni. «Vostro fratello conosce navi che volano. Ma ha mai visto navi che affondano e si muovono sotto il livello del mare?» La sua mano scivolò lungo il mento e lo strinse con delicata forza. «Non ci troverà. Adesso tacete e seguitemi.»
Selene ubbidì, incantata dalla sicurezza con cui quello sgarbato ragazzo aveva avuto l’ardire di azzittirla. Se Jude lo avesse scoperto, lo avrebbe scuoiato vivo… con eleganza, s’intende! Beh, si sistemò la gonna e tergiversò alcuni istanti – giusto quanto bastava perché l’alramadi si voltasse a guardarla – c’erano molte cose che suo fratello non sapeva. Quella sarebbe stata una di esse.
 
 
 
 
Jude Hauk aveva visto molte cose nella sua vita da pirata, ma le potenti vibrazioni che sconquassarono la terra con gli strumenti ancora semisospesi nell’aria ebbe dell’incredibile.
Ecco il loro Dio, una forza della natura che si sta risvegliando, pensò entusiasta.
Mentre i suoi uomini urlavano e si davano da fare per tirare in salvo gli uomini e le macchine, e mentre gli abitanti di Kabu-Ealim si riversavano per le strade, per una volta dimentichi delle rigide regole di circolazione, il capitano Hauk spalancò le labbra metalliche in un enorme sorriso e allargò le braccia, quasi a bearsi di quell’evento naturale. Se avesse potuto portare quella forza con sé, a Midra, dove l’uomo non aveva dei se non una regina dispotica che si credeva padrona del mondo, allora la sua battaglia avrebbe finalmente conquistato un degno alleato e la resistenza dei cieli avrebbe potuto sferrare un attacco diretto al cuore di un regno malato.
«Capitano» ringhiò Arci. Il suo secondo difficilmente faceva trasparire sentimenti diversi da rabbia e impazienza, eppure il suo viso adesso era una maschera increspata da rughe di turbamento. «Ci muoviamo?»
«Abbiamo tutto?» Gli uomini più vicini annuirono frettolosamente. «Bene. Vedete di sostituire i motori con quella roba. Bait» lo avvertì, «giusto quella che serve per farci muovere come si deve. Il resto mi serve.»
Il macchinista annuì, rispingendo gli occhiali su per il naso. Poi sgattaiolò di nuovo sotto il villaero, per le scale di manutenzione, come un topo ritorna verso la sua tana.
«Adesso me lo spieghi, il piano?»
Hauk ignorò ancora una volta la voce del suo amico e ammirò lo spettacolo sotto di loro. La gente di Kabu-Ealim – come chiunque, se si fosse trovato nella loro stessa situazione – stava correndo per le vie, verso il centro della città. Molti avevano gli sguardi terrorizzati e si facevano forza. I Syd trascinavano Aimra isteriche fuori dalle case, a volte staccandole dai pilastri. Quelle sembravano temere più la vicinanza con il mare che la terra che si spaccava sotto i loro piedi. Anche da lassù, il pirata poté sentire voci rincorrersi e invocare il sole – quell’astro che aveva reso debole la loro terra – e gli zaeim, affinché combattessero l’insorgere del Dio Akteìr. Sembravano spaventati, incapaci di reagire; possedevano ingegnerie e innovazioni nel campo dello sfruttamento idrico, ma allo stesso tempo erano così primitivi, di mente ristretta. Ripugnavano il diverso e rifiutavano l’ineluttabile potenza della natura, trovando una spiegazioni in leggende e miti e, in essi, la forza per portare avanti le loro convinzioni.
«Hauk» gli bisbigliò Arci a pochi centimetri dal suo orecchio, riportandolo coi piedi per terra. Il suo amico non usava mai un tono colloquiale con lui davanti agli altri, per questo il pirata trovava divertente quando piegava le labbra di lato e soffiava fuori la sua impazienza, come in quel momento. «Ci diamo una mossa? Qual è il piano? Ne hai uno, vero?» parve allarmato.
Il capitano gli posò una mano sulle spalle e lo spinse contro il bordo della passerella. I ponti di legno traballavano sotto i loro piedi, ma per loro non era una novità. «Guarda i ciechi come corrono, amico mio. La luce del loro Dio li ha abbagliati.» Una luce perfida e vendicativa brillò negli occhi di Hauk, i suoi occhi parvero godere di quello scempio. Infine tornò a drizzare la schiena e a distendere i suoi lineamenti in un’espressione più gentile. «Bait ha finito?»
«Sì, sì, dice che i motori rombano che è una meraviglia» liquidò la faccenda l’altro, innervosito.
«Bene, allora. Che state aspettando?» sorrise. «Signori, per la vostra felicità, andiamo a riprendere quella strega di mia sorella.»
Arci sghignazzò, si voltò verso gli uomini e urlò: «All’arrembaggio!»
 
 
La nave degli zaeim era vittima delle forti correnti, il mare la stava risucchiando in vortici, allontanandola dalla costa. Presto un’onda si sarebbe innalzata come un muro d’acqua, l’avrebbe caricata e fatta sfracellare contro i Ciclopi. Sul ponte non c’erano marinai, la nave sembrava abbandonata e persino la coffa se ne stava, in solitaria, appesa come un cesto per i panni sporchi.
I pescatori di Crowsand calarono per la seconda volta le loro speciali lenze e i pirati della ciurma si fecero scivolare lungo di esse, calandosi sul ponte di coperta. Ralph e Parsiet brandirono le loro armi – fucile a doppia canna e la sciabola seghettata – e iniziarono a muoversi lentamente sulla nave deserta. Il mare era l’unico compagno, tanto bramoso dei suoi tanti amanti da separarli tra loro e corteggiarli uno alla volta. Anche se avessero voluto comunicare, i pirati non avrebbero sentito nemmeno la voce del compagno più prossimo: solo la seducente pericolosità delle onde che si infrangevano contro il fasciame. Arci tamburellò sulla spalla del cuoco, che sobbalzò saltando e fronteggiandolo con la sciabola, e gli fece un veemente segno di proseguire.
Con eleganza, tenendosi con una mano guantata alla lenza e gli stivali incrociati intorno a essa, il capitano si fece scivolare sul ponte e ammirò il vascello. «Può andare» mormorò tra sé, tranquillamente.
Si avviò con passo sicuro e sereno verso il ponte del castello di poppa. Una mano accarezzò la ringhiera d’acciaio e poi scivolò sul timone. Osservò la strana lega che costituiva il terreno sotto e intorno a lui e, compreso l’enigma, fischiò di stupore. «È lo scheletro di un megadonte.»
Appena l’intero equipaggio, meno Spike di vedetta sul villaero, fu sulla nave, Hauk si sporse dal corrimano e fece segno a Bait di avvicinarsi. Gli mise una mano sopra la spalla e, con fare cospiratore, avvicinò il viso al suo orecchio e disse ad alta voce, per superare il rumore delle onde: «Vedi quelle vele laterali? Quelle che servono a far balzare la nave sul mare? Che dici, possono reggere la forza dei venti?» Ammiccò mentre il macchinista, alzate le sopracciglia e socchiusa la bocca, iniziò a ridere come un folle. «Lo prendo come un sì, mio buon vecchio amico. Che dici di montare un paio di quelle eliche sugli alberi di mezzana e trinchetto, e magari aggiungere una trivella all’albero di bompresso? La corazziamo per bene, questa bellezza, e poi ce ne andiamo da qui. Lo considereremo la giusta ricompensa per la loro mancata ospitalità» gli schiacciò l’occhiolino.
«Sei un pazzo, capitano» gli urlò l’uomo, dandogli un paio di pacche sul braccio, il riso che non era ancora scomparso dalle sue labbra. «L’ho sempre saputo, dopotutto, da quando sgattaiolavi giù dal villaero, ricordi? Quand’eri piccino e non ti si poteva prendere, che scappavi come un’anguilla.»
«Sì» gli annuì Hauk, strizzando gli occhi a causa di una pioggia salata che investì tutti loro – il rollio della barca divenne un’altalenante sali e scendi, in cui poco mancava che si capovolgessero. «Ma che ne dici di metterti subito all’opera, mastro Bait? Più tardi parliamo pure di tutte le volte in cui mi hai rincorso tra gli ingranaggi, d’accordo?»
«Con piacere, capitano» acconsentì, e sgattaiolò di nuovo giù dal ponte.
Il capitano fece segno a un paio della sua ciurma di aiutarlo, mentre agli altri urlò: «Troviamo la mia cara sorellina adesso. Credo che vorrà proprio distendersi un po’ dopo tutto questo trambusto.»


 
 
N.d.A.

Questo è l'ultimo capitolo ma, visto che è venuto più lungo del previsto, ho deciso di spezzarlo in due parti. Spero di aver fatto bene^^
Jude non è il solo tipo pazzo nella sua ciurma, come potete aver letto. Che ne pensate degli altri tizi? È stato divertente scrivere di loro, danno il giusto tocco divertente e leggero a questo mondo così rigido e spietato. Fatemi sapere!

Prossimo aggiornamento: 30 Agosto

   
 
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