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Autore: PawsOfFire    25/08/2017    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Atterrò nella terra come un corpo morto, straziando l’aria con il cupo ululato del motore ed oscurando il cielo in una nube di fumo denso e nero.
E noi, immersi nel silenzio più totale della fitta boscaglia russa, ci rintanammo terrorizzati come conigli nell’udire il lento canto di morte di un enorme bombardiere tedesco dal ventre lacerato in picchiata verso di noi.
L’impatto violento col terreno lo disintegrò come burro. Una pioggia di metallo e fumo avvolse la piana. Dello Stuka* non rimase che un’ala spezzata, piantata verticalmente sul terreno come una grossa lapide, la croce barrata in un muto memoriale di tragedia.
Capitano...” Daniel si mise al mio fianco, osservandomi con il solito sguardo da boccalone.
Posso andare a controllare?”
Eravamo abbastanza lontani da non aver subito danni, eppur così tragicamente vicini da poter osservare quello che doveva essere un pezzo di coda rimbalzare sul terreno , scivolando infine dentro una pozza d’acqua gelida, rimanendovi inghiottito per l’eternità.
Andiamo. Jager, Achen, copriteci le spalle”
I due uomini, ben lieti di non dovermi seguire, annuirono con una certa convinzione.
“Weisz, tu controlla che non fuggano”
Ai suoi ordini, Capitano” rispose il pilota con tono svogliato. Tornò dentro la Furia, stranamente accogliente con la fredda aria autunnale, accingendosi a schiacciare un pisolino irriverente nei miei confronti ma che seppi solo a posteri, per sua fortuna.
Vedere la paura negli occhi di Daniel mi rasserenava, in un certo senso. Ho sempre avuto un cattivo rapporto con gli aerei. Come se fosse una fobia, perdere qualche battito e trattenere il respiro fino a sentirsi scivolare nella disperazione. Per questo la recluta è il miglior compagno di terrore. Devo essere forte per lui affinché non si faccia un’idea sbagliata nei miei confronti.
Ho un certo profilo da mantenere.
Più ci avvicinavamo e più l’aria diventava aspra e rarefatta. Tossimmo mentre avanzavamo tra i ceppi ancora sfrigolanti di olio e benzina che lentamente andavano a spegnersi, smaltite nel vento umido e freddo.
Una ruota, delle placche di metallo, una scarpa. Daniel la prese in mano con un certo coraggio. Credo vi fosse qualcosa dentro, poiché la giovane recluta pigolò forte, lanciando lontano il macabro relitto. Mi ritrovai a dovergli tenere la fronte mentre vomitava copiosamente, sudando freddo.
Non toccò più nulla.
Tra tutte questa desolazione trovammo, nella terra arsa dal fumo, un paracadute bianco. Immobile e malamente aggrovigliato, sembrava un grosso bozzolo di farfalla.
“Daniel, va tutto bene?” mi sfuggì. Intravidi negli occhi del ragazzo lo stupore.
Non chiamavo nessuno dei miei sottoposti per nome perché esigevo del dolcissimo rispetto ma, come ho già detto, gli aerei spezzano la mia dignità.
Sarà che perdo un battito ogni volta che vedo un aviatore.
Tra le mille maschere che indossano, ritrovarlo dopo tre lunghi anni perché è impossibile che sia successo, non ci credo e mai ci crederò.
“Forse là sotto c’è ancora qualcuno...”
Il giovane mi raggiunse, esitante. Aveva ancora gli occhi rossi dallo sforzo, appena sporgenti dalla paura.
Ci ritrovammo a pochi passi dalla figura avvolta. Vivo o morto, dovevo sapere la sua identità.
Delicatamente lo feci rotolare su un fianco, tentando di sbrogliare l’immenso telo bianco dalla sua figura. Continuai a farlo nonostante le mie mani fossero diventate umide di un rosso denso che scivolava dal tessuto impermeabile.
“Daniel, ti sei ricordato di prendere le bende?”
“Si...” la voce della recluta divenne un sussurro spaventato. Per quanto la stupidità lo rendesse limitato, si era ricordato, a mia differenza, di prendere il materiale per il primo soccorso, nonostante le probabilità di trovare qualcuno ancora vivo fossero già in principio molto basse. Quando gli porsi la mano insanguinata per prendere le garze, il giovane evitò di sfiorarmi le dita.
Lo sentii trattenere il respiro, prima di voltarsi in preda a forti conati di vomito.
La disperazione mi rendeva lucido. O forse era il Pervitin.
O entrambe le cose. Le mani mi tremavano dallo sforzo ma, nonostante questo, riuscii a liberare l’aviatore dal suo paracadute.
Come prima cosa portai le dita sotto il suo collo per controllare il battito.
Era ancora vivo, miracolosamente. Gli tolsi gli occhiali e la maschera che strette avvolgevano il volto, celandone l’identità
L’uomo inspirò l’aria a pieni polmoni. Rimase fermo per un po’, stordito. Quando si accorse della mia presenza iniziò ad agitarsi.
“Shh...va...va tutto bene” la paura faceva battere forte il suo cuore, accelerando la sua prematura dipartita mentre la giacca continuava a gonfiarsi di sangue.
Era molto giovane. Come tutti noi, d’altronde. Non credo superasse la trentina, è difficile stabilire l’età di un soldato al fronte dopo molto tempo. Sembrano tutti sempre molto più vecchi, rugosi e stanchi, sfatti dalle droghe e dall’alcool.
Teneva gli occhi chiusi, emettendo dei lievi gorgoglii scomposti.
“Parlo la tua lingua. Ti sto aiutando.” Lo liberai dai vestiti lacerati, pulendo alla meglio la ferita con della garza nuova. Molteplici lacerazioni che partivano dal fianco destro fino a martoriare il petto in profondità, scavato da un grosso proiettile che, come controsenso, rallentava l’emorragia meglio di qualsiasi fasciatura. Mentre tamponavo il sangue dovetti trattenere più volte i visceri che sgradevolmente si contorcevano provocandomi nausea. Lo fasciai meglio che potevo, nonostante fossi conscio che le possibilità di sopravvivenza erano pari allo zero.
L’aviatore lentamente si calmò. Doveva aver capito che non ero un suo nemico e che, in qualche modo, volevo aiutarlo.
“Riconosco la tua voce...” disse improvvisamente, tossendo. Piccoli grumi neri si incrostarono sulla sua bocca gorgogliante. L’impatto, il proiettile...doveva aver subito lesioni interne. Il primo ospedale distava chilometri, non aveva speranze.
“Va tutto bene...” cercai di tranquillizzarlo mentre tenevo a tutti i costi la ferita a bada.
Cercai di sorridere per dargli coraggio, ma riuscii solo a piegare grottescamente gli angoli della bocca.
“Ho freddo...”
“Su, su.”
Continuò ad ansimare piano, gorgogliando sangue prima di tossire.
Ad un certo punto rischiò di soffocare e dovetti rigirarlo sul fianco sano.
Le mani guantate sembravano ancora possedere una certa forza. Si aggrappò al terreno freddo, scavando un piccolo solco con le dita. Mi diede speranza.
Una vana, flebilissima, speranza.
“Daniel, dammi una mano, lo carichiamo sulla Furia e lo portiamo al campo più vicino...”
Prima che potesse rispondere l’aviatore mi mise a tacere schioccando un “No” incredibilmente vigoroso, mettendomi a tacere.
“Stefan...”
Trasalii. Forse stava delirando. La febbre...le ferite che si infettavano...
Chiamai Daniel ancora una volta mentre prendevo il ferito tra le braccia, sollevandone il busto. La recluta, prona e circondata da bile e pezzi di cena, si alzò con una certa riluttanza.
“Riconosco la tua voce...Stefan...”
L’uomo tossì ancora una volta, sbilanciandosi tra le mie braccia. Lo strinsi più forte per evitare che compisse movimenti bruschi.
Invece restò fermo, tentando di recuperare tutte le sue forze per parlare.
Come se dovesse togliersi un peso.
Un enorme, doloroso, peso...
“Non agitarti...”
“Stefan, perdonami...”
Boccheggiò ancora, le labbra nere che si schiudevano grottescamente, rivelando la dentatura rossastra e le gengive di una tragica sfumatura bluastra.
“Va tutto bene, va tutto bene...” l’agitazione in me si faceva sempre più palpabile. Gli strinsi forte una mano, sorridendo grottescamente. L’aviatore socchiuse appena le dita intorno alle mie, ricambiando con un sorriso tirato, di morte.
“Ti...ti...perché non...io...”
“Non agitarti...”
“Non dovevi...tu...dovevi...scappare...”
Strinsi più forte la mano. Daniel aveva paura ad avvicinarsi ed io tacqui, assecondandolo. Non c’era più nulla da fare.
Ma Stefan...era il nome di mio fratello. Che fosse semplice omonimia non mi importava molto...dovevo sapere per crederci e quell’uomo era la mia unica possibilità.
Sentivo lo stomaco rigirarsi per l’orrore, la consapevolezza di quelle parole mi lasciarono tremante ed avido. Desideravo egoisticamente saperne di più. Accarezzai la fronte dello sconosciuto, liberandola dai capelli umidi che erano rimasti incollati.
“Bruciava tutto...dovevi...in acqua...i-io...”
L’aviatore adagiò la testa mollemente all’indietro, penzolante e senza forze.
Io, sempre più inorridito, lo strinsi ancora più forte.
Daniel era di nuovo a gattoni in preda a nuovi conati di vomito.
“...Dovevi...lanciarti...assieme...”
Lo sentii recuperare le ultime forze. Fu una sensazione orribile poiché la sua voce oramai divenuta un rantolo soffiò un’ultima parola polmonare e senza suono, un “Perdonami” che lo svuotò di vita, lasciandomi strabuzzante e confuso.
Avevo visto centinaia di uomini morire Ma lui...quest’uomo...mi aveva scambiato per qualcun altro mentre delirava. Una tragica omonimia o forse si trattava davvero di lui...del pilota Stefan Faust...disperso ed infine dichiarato morto il sette di settembre a seguito degli attacchi su Londra.
Per il Fuhrer e per la patria…
I colori iniziarono a mischiarsi tra loro, vorticando di luce abbagliante che mi feriva gli occhi fino alle lacrime.
Persi l’equilibrio, forse urlai. Non ricordo molto, solo la voce acuta di Daniel che mi chiamava per grado, inchiodandomi a terra con tutto il corpo per...non lo so, non so cosa cazzo passi per la testa di quel ragazzo. Non ha mai agito intelligentemente nemmeno una volta, non mi sarei stupito se avesse fatto qualche cazzata-

~
 
“Lui...lui lo conosceva! Era il mitragliere di mio fratello!”
 
~
 
Fu blackout. Gli altri ci raggiunsero e mi scrollarono come corpo morto, forse ero svenuto, forse no. Forse persi il senno e picchiai il terreno fino a spezzarmi le dita, che ritrovai magicamente intatte quando ripresi conoscenza.
Non lo so. Ero confuso, avevo paura. Non sono un supereroe...
No…ho questo desiderio, folle ed assennato, di sopravvivenza. Un desiderio magico, forte e bellissimo che mi sostiene, nonostante sia tutto così crudele...immaginifico e crudele...e mi dà forza di esistere.

~

 
Scavammo una buca e seppellimmo l’aviatore all’ombra della grossa ala verde appartenuta al suo Stuka.
Era una bella tomba per un pilota, mi ritrovai a pensare.
Siegfried Schneeden**, così dicono i suoi documenti, le foto nel suo portafoglio che presi con me, ripromettendole di inviarle a casa dai suoi famigliari...
L’aria era insospettabilmente gelida. Inizialmente pensai che si trattasse del mio stato d’animo, del malessere e dell’orrore che stavo provando e che cercavo a tutti i costi di trattenere dentro al mio stomaco, nelle profondità dei visceri.
Alzai lo sguardo al cielo. Il cielo era bianco, le nubi gonfie e cotonate.
Nevicava.
~

 
Come credente non sono un granché ma tu, tra tutti, eri il più religioso.
Dicevi sempre che quando piove è dio che piange. Però, oggi, queste lacrime sono le tue.





 
Note: 
*Stuka o Junkers Ju 87: abbreviazione di Sturzkampfflugzeug , ovvero "aereo da combattimento in picchiata" fu uno dei più efficaci bombardieri utilizzati dalla Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale.

**Schneeden: riferimento a Snowden da Comma 22
   
 
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