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Autore: _Lady di inchiostro_    27/08/2017    7 recensioni
«Non te lo auguro, figliolo, ma se mai dovesse arrivare il momento in cui non sarai più freddo e distaccato… sappi che non è una colpa. Sei semplicemente umano.»
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«Io lo so che devo cercare di non pensarci, ma – un singhiozzo – ho avuto paura, Hajime… Ho paura che un giorno mi dicano che tu non ci sei più e io…»
«Non mi dare per spacciato, razza di idiota!» gli disse, rimproverandolo, continuando a passare la mano tra i capelli con delicatezza. «Non ho mica intenzione di morire! Ci tengo alla mia pelle!»
Oikawa continuò a singhiozzare contro la sua spalla, la bocca impastata di saliva. «Ho paura che tu te ne vada senza che io sia stato in grado di dirti che ti amo…»
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[Storia antecedente a “Caffè amaro”] [IwaOi, tantissimo angst e vaghi accenni a Happy Days (?)] [Hajime!centric] [A Elis8800 ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tè&Caffè'
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Questa storia fa parte della serie "Tè&Caffè". Si consiglia la lettura delle precedenti storie per comprendere meglio le dinamiche, in particolare di “Caffè amaro”.

A Elis8800, perché le sue recensioni aumentano la mia autostima di duecento gradini.




 
Una tazza di tè







Un caso come qualsiasi altro, una marea di fogli a riempire la scrivania e una lavagna bianca piena di fotografie e indizi vari.
Sembrava più complicato del previsto, e più volte il suo superiore gli aveva detto di lasciare tutto alle autorità competenti, ma Iwaizumi non voleva. Non quando guardava la foto di quella giovane donna, sorridente, accanto a quella del suo corpo completamente martoriato.
Era rimasto sveglio per giornate intere, una fioca luce a illuminare quella lavagna, mentre l’intero ufficio era in penombra. Solo una persona era rimasta a fargli compagnia, anch’essa appoggiata alla scrivania, accanto a lui, le braccia incrociate.
«Lo sai?» gli disse una sera, notando che l’orologio segnava già le quattro del mattino. «I problemi si affrontano con una tazza di tè! Che ne dici di utilizzare le essenze che ho ordinato dall’India, mmh?»
Iwaizumi spostò lo sguardo sul ragazzo che gli stava accanto, i capelli castani che gli nascondevano gli occhi di un colore altrettanto brillante. Sapeva perché aveva affermato quella frase: non solo perché sembrava il momento perfetto per prendersi una piccola pausa dal loro lavoro, ma anche perché aveva notato le vistose occhiaie che segnavano il viso della persona che amava. Gli aveva portato diversi caffè, durante la giornata, e non sempre erano accompagnati dalla tazza di tè che il medico legale beveva regolarmente, il che era quanto dire. Eppure, l’idea di prendersi una pausa non riusciva proprio ad attraversargli la mente.
Oikawa ne era consapevole, quando si trattava di casi di quel tipo Iwa-chan ce la metteva sempre tutta, dava sempre il centoventi per cento, tuttavia ci aveva provato. Vide il detective passarsi una mano sugli occhi stanchi, sospirando in un secondo momento.
«Dico che se non mi dai del caffè, sul problema ci dormirò sopra, probabilmente!» affermò.
Tooru sbuffò, facendo spostare alcune ciocche di capelli, avviandosi poi verso la zona relax. «Iwa-chan, sei sempre così noioso, potevi almeno provare!» esclamò, stiracchiandosi subito dopo.
Gli occhi verdi di Iwaizumi erano puntati sulla sua figura, un piccolo sorriso che comparve sul suo volto senza rendersene conto. Nessuno gli aveva detto di rimanere, era stata una sua scelta, esattamente come per il detective. E mentre quest’ultimo tornava a fissare la lavagna, si appuntò in mente di ringraziarlo, in qualche modo, per essere rimasto, chiedendosi poi che cosa avrebbe fatto senza di lui.

 



~





Una striscia rossa segnava alcune mattonelle bianche del corridoio.
Luci, milioni di luci diverse che gli passavano davanti gli occhi, ferendo le sue cornee.
Voci diverse dicevano cose che lui non capiva, ma la loro cadenza lasciava intendere quanto, in realtà, la situazione fosse critica.
Riuscì a captare solo la voce dell’uomo che stava alla sua destra, dall’altra parte della barella. «Non c’è più polso!»
I suoi occhi si alzarono di scatto verso l’alto, verso la figura di un medico che, assieme a un suo collega, stavano trascinando a tutta velocità quella stramaledettissima barella.
C’era troppo sangue. Sulle mattonelle, sui vestiti, sulle sue mani…
«No…» mormorò, abbassando lo sguardo sul volto di un ragazzo, i capelli castani appiccicati ai lati del viso, un tubo dentro la bocca. Quella visione era terribilmente raccapricciante. «No, Oikawa!» urlò, le mani premute contro le costole di quel corpo senza vita, il sangue che continuava a fluire copiosamente. Ce n’era troppo. «Non puoi morire, bastardo! Non te lo permetto!»
I paramedici lo stavano fissando, sentiva i loro sguardi addosso, come se fossero degli spilli, gli stessi che si usano per ricucire gli abiti, e gli pungevano la carne. Tuttavia, quel dolore era nullo se paragonato al trambusto che stava avvenendo dentro di lui, lo stomaco al posto delle corde vocali, il cuore che gli era appena stato strappato dal petto.
Continuava a tenere lo sguardo basso, verso il viso pallido del ragazzo, verso quelle palpebre abbassate.
«Dobbiamo rianimarlo immediatamente!» continuava a urlare il medico di prima, non sapendo come dire al ragazzo che doveva allontanarsi.
Iwaizumi non capiva niente di medicina. Oikawa era il medico.
Lui si era solo limitato a rimanere al suo fianco per tutto il tragitto dal luogo in cui era avvenuta la sparatoria, fino all’ospedale, senza mai lasciare la presa sulla ferita del giovane. E probabilmente non l’avrebbe fatto, se non fosse che dovevano portare Oikawa in sala operatoria e che la sua presenza non era necessaria, anzi, era un intralcio.
«Resta con me, Oikawa, ti prego! Resta con me!» Digrignò i denti fino a sentire il sapore del sangue direttamente sulla lingua, più amaro del caffè che beveva sempre. Il sapore era nauseabondo, l’odore era nauseabondo. Come se non l’avesse mai sentito in vita sua e quella fosse la prima volta che lo percepiva veramente. O forse era solo l’idea che quello fosse il sangue di Oikawa a dargli la nausea.
«Detective, se ne deve andare! Ci lasci fare il nostro lavoro!» disse alla fine il medico, la sala operatoria ancora troppo lontana.
«Cosa? Io non-»
Fu interrotto dall’altro medico, dietro di lui. «Lo so che vorrebbe rimanergli vicino, ma se vuole che sia sano e salvo, deve permetterci di operarlo!»
I suoi occhi erano puntati su quelli scuri del giovane paramedico. Era nel panico. Non voleva lasciarlo, era tutta colpa sua se gli avevano sparato, avrebbe dovuto fare attenzione… avrebbe… avrebbe dovuto tenerlo in salvo. Doveva tenerlo in salvo.
Con un ultimo sospiro, scostò lo sguardo su Oikawa, chiudendo gli occhi e cercando di focalizzarsi sull’immagine di lui che gli sorrideva; poi, gli diede un leggero bacio sulla fronte.
Da quel momento, Iwaizumi Hajime lasciò la presa.
L’ultima cosa che vide fu la barella che si allontanava in tutta fretta, il respiro affannoso, rendendosi conto che era rimasto completamente solo.





Diverse immagini gli passarono per la mente. Oikawa che andava a preparargli il caffè. Oikawa che si era addormentato contro la sua spalla, seduto sulla scrivania, i primi raggi del mattino che gli illuminavano il viso. Oikawa seduto in macchina, prima che lui si allontanasse e inseguisse il killer seriale che, per settimane intere, aveva ucciso e torturato ben dieci donne. Oikawa dietro le sue spalle, dopo che era stato attirato dai diversi colpi di arma da fuoco, sebbene Iwaizumi gli avesse detto di restare in macchina. Oikawa che si accasciava per terra, un foro sulla maglietta. Oikawa che si spegneva, lentamente, le parole che gli morivano in gola, mentre lui cercava di rianimarlo, di tenerlo sveglio.

«Tooru, guardami, cazzo! Guardami!»

Poi, altre immagini, scene passate che Hajime conservava come il più prezioso dei tesori: Oikawa che strabuzzava gli occhi quando lo vide al dipartimento la prima volta, Oikawa che storceva le labbra quando lui beveva il caffè, Oikawa che glielo aveva preparato senza alcun preavviso, Oikawa che lo baciava in obitorio, Oikawa che affermava di amarlo.
Le volte in cui gli aveva detto che lo amava erano troppe, era impossibile tenerle in mente tutte, eppure Iwaizumi ci riusciva: ogni scena, ogni momento, aveva una caratteristica diversa, una particolarità diversa. Un’espressione strana, un guizzo nello sguardo dell’altro, un sorriso fin troppo imbarazzato.
Quella volta, però, si rese dolorosamente conto Iwaizumi, non aveva detto a Oikawa che lo amava. L’aveva lasciato in macchina. Non glielo aveva detto.
«Iwaizumi...?» Un voce lo attraversò tutto, come una scarica elettrica, e le sue spalle tremarono. Era rimasto seduto su una di quelle fastidiose sedie di plastica a fissare davanti a sé, gli occhi spalancati.
Alzò il capo, intravedendo a malapena la figura di Isles, le mani strette sulla tracolla della borsa, le gote arrossate. Si sedette accanto a lui, abbracciandolo, le braccia strette intorno al suo collo, e il ragazzo si limitò solo a produrre un sospiro basso, senza ricambiare la stretta. Chiuse gli occhi: il sorriso di Oikawa era ancora lì.
«Come sta?» disse, guardando con attenzione il viso del detective. I suoi occhi erano asciutti. Lucidi, sì, ma asciutti. Non aveva ancora pianto.
«Non lo so… Non me l’hanno ancora detto…»
Rimasero in silenzio, il mormorio dei medici che sembrava un suono distante, mentre questi gli passavano davanti.
«Perché… perché non ti vai a dare una sciacquata?» propose la ragazza, indicando con un cenno le mani ancora sporche di sangue di Iwaizumi, assieme ai suoi vestiti. «Rimango io qui…»
Il ragazzo stava per dire che no, non ne aveva bisogno, ma quando abbassò lo sguardo sulle sue dita sentì quell’odore nauseante dentro le narici, un conato che quasi gli bloccò il respiro. Annuì appena, avviandosi verso il piccolo bagno che, di solito, utilizzavano gli infermieri. Lo trovò aperto, richiuse per bene la porta alle sue spalle e aprì il rubinetto, un getto cristallino e gelato che attraversava le sue mani. Il lavandino in marmo bianco si sporcò di rosso, assieme all’acqua che trascinava via, e Iwaizumi lavò via tutto con movimenti lenti e circolari, serio. Fu difficile, poiché il sangue si era un po’ rappreso, e quei movimenti si fecero sempre più veloci, più forti, quasi come se volesse persino strapparsi la pelle.
Una sensazione di panico cominciò a montargli dentro, un dolore che stringeva il suo cuore in una morsa fortissima, quasi a trasformarlo in una poltiglia. Sbottonò le maniche della camicia, vedendo delle strisce scarlatte anche lì, togliendole con tutta la forza che gli era rimasta.
Eppure, non era abbastanza, il sangue era ancora là.

«So benissimo quello che ti hanno insegnato all’Accademia, giovanotto! Essere freddi e distaccati, giusto?»

Non sapeva perché gli fosse tornata in mente la voce del suo capitano di dipartimento, quando era un semplice poliziotto in una grande metropoli quale New York City. Fissò l’acqua rossa che veniva risucchiata via, il respiro sempre più pesante.

«Ma siamo umani, Iwaizumi. Purtroppo, non possiamo essere sempre freddi e distaccati, abbiamo anche noi le nostre debolezze.»

Senza rendersene conto, era indietreggiato fino alla parete sporca di quel piccolo bagno. Strisciò contro quest’ultima, come un corpo morto che si accascia per terra, come il corpo di Oikawa che si era accasciato per terra, sedendosi poi sul pavimento e fissando l’acqua che continuava a scorrere incessantemente, la mente rivolta ad altro.

«Non te lo auguro, figliolo, ma se mai dovesse arrivare il momento in cui non sarai più freddo e distaccato… sappi che non è una colpa. Sei semplicemente umano.»

Gli sfuggì un singhiozzo, le mani ancora sporche parzialmente di sangue. Se ne portò una alla bocca, cercando di cacciare indietro il suo dolore, perché lui doveva rimanere freddo e distaccato, freddo e distaccato, freddo… distaccato…
Capì di essere crollato definitivamente quando sentì i suoi zigomi farsi sempre più umidi. Stava piangendo. Stava respirando con affanno, in una piena crisi di panico, in cui ancora tentava di levare via quelle macchie rosse che gli sporcavano la pelle, lo macchiavano di una colpa troppo grande. Posò la fronte sulla sue ginocchia, cominciando a piangere come un bambino.
Il capitano aveva ragione. All’Accademia non si poteva piangere, altrimenti si era presi per rammolliti. Tuttavia, Iwaizumi era pur sempre un essere umano. Un essere umano che si era innamorato di quello che, per anni, era stato il suo migliore amico e che, adesso, era anche il suo partner. Un essere umano che si sentiva in colpa perché la vita di quella stessa persona era in bilico, sul filo del rasoio, e tutto perché lui non aveva saputo proteggerla.
Non seppe per quanto tempo rimase dentro quel bagno, con solo lo scrosciare dell’acqua e il rumore dei suoi singhiozzi a tenergli compagnia. Non era sicuro di voler uscire. Non era sicuro di voler sapere dai medici che Oikawa – il suo Oikawa – non ce l’aveva fatta.

 


~



 
[In un futuro non troppo lontano…]





Aprì gli occhi, un brivido freddo che lo percosse da capo a piedi, cercando di mettere a fuoco quello che aveva davanti a sé. La macchia rossa che vedeva, a poco a poco, si trasformò in una serie di numeri ben definiti, e Iwaizumi intuì che quello doveva essere l’orario mandato dalla sveglia elettronica che aveva sul comodino.
Sbuffò: a quanto pare, il suo orologio biologico aveva deciso che era il momento giusto per svegliarsi, sebbene avesse ancora un’ora di sonno a disposizione prima che la sveglia suonasse. Si rigirò dall’altra parte del letto, aggrottando subito le sopracciglia.
L’altra piazza era vuota, le coperte sfatte. Si mise seduto, per poi scendere dal letto, con l’intento di dirigersi verso la zona giorno. Camminò nella penombra, luci di diversi colori che parevano provenire da uno schermo televisivo. Fece un mezzo sorriso non appena arrivò sulla soglia del corridoio, appoggiando la spalla alla parete.
«Non pensavo ti piacesse “Happy Days”» disse, facendo voltare il ragazzo seduto sul divano, mezza barretta al cioccolato in bocca.
Sbatté gli occhietti color cioccolato, per poi finire in un sol boccone quello che stava mangiando. «È un classico della televisione americana, Iwa-chan, bisogna guardarlo almeno una volta nella vita.»
«Una serie perbenista e dove i personaggi sono uno più imbecille dell’altro? No, grazie!» disse, aprendo il frigo, alla ricerca di qualcosa che placasse il languorino che aveva allo stomaco. «Anche se ti ci vedo nelle vesti di Fonzie, sei scemo quanto lui!»
«Ehi!» Oikawa incrociò le braccia, offeso. «Lo stavo guardando solo perché è l’unica cosa decente che trasmettono alle sei del mattino, okay?»
«A proposito, perché sei sveglio a quest’ora?» chiese, aprendo un paio di credenze, visto che quello che c’era in frigo non aveva destato le sue papille gustative.
«Potrei farti la stessa domanda…»
«Io soffro di insonnia, Oikawa, e lo sai» disse. «Ma tu?»
Per un attimo, non arrivò alcuna voce alle sue spalle, se non quella dei protagonisti della serie televisiva, e Iwaizumi decise di lasciare perdere le credenze, dedicando la sua attenzione alla figura del suo ragazzo che, adesso, era girato di spalle. Richiuse gli sportelli, sedendosi poi anche lui sul divano e silenziando l’audio del televisore.
«Mi dici che ti prende?» gli chiese con tono duro, anche se il tocco sulla spalla del giovane medico legale fu leggero, capace di causare una piccola scossa nelle membra del ragazzo.
«Ho solo… fatto un brutto sogno e non riuscivo più a prendere sonno, tutto qui!» disse, limitandosi solo ad alzare le spalle, continuando però a fissare la scatola delle barrette al cioccolato posta sul tavolino basso.
«Un brutto sogno?» chiese il detective, quasi come se fosse qualcosa di anomalo persino per uno come Oikawa. «Che cosa hai sognato?»
«Ah, niente di che, Iwa-chan! Non me lo ricordo neanche!» mentì.
Iwaizumi parve rifletterci su, accigliandosi ancora più di prima. «Hai sognato che gli alieni domineranno il mondo?» sbottò.
«Ma gli alieni domineranno il mondo!» S’interruppe. «E smettila di cercare di indovinare che cosa ho sognato, tanto non te lo dirò mai!»
«Aspetta, credo di esserci arrivato…» Il castano fissò il suo fidanzato, e in un’altra occasione avrebbe persino trovato quell’espressione estremamente esilarante, contando che lui era un tipo serioso. «Hai sognato che il prossimo film di Star Wars sarà un totale flop?»
Oikawa ci pensò giusto un attimo. «È un mio incubo ricorrente, ma no, ti assicuro che non è questo il sogno che ho fatto stanotte.»
Calò nuovamente il silenzio, Tooru che continuava a fissare la scatola con sguardo vacuo. Fu il detective a interrompere quel silenzio, passandosi una mano sugli occhi ancora stanchi. «Va bene, ho capito che non me lo vuoi dire… Scusami te l’ho chiesto.»
Stava per alzarsi e per tornare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, quando la successiva frase del ragazzo lo costrinse sul divano, raggelandogli il sangue. «Ho sognato che venivi ucciso.»
Gli occhi smeraldini di Iwaizumi si sgranarono, spostandosi sulla figura di Oikawa, le mani intrecciate e un velo di tristezza a coprirgli il volto. Nessuno fu in grado di dire niente per un po’, poi il medico legale continuò con il suo racconto. «Ho fatto questo sogno diverse volte, ma stavolta… Stavolta vedevo il tuo corpo e… avevi un foro sulla fronte, non potevo fare niente, non potevo… non potevo salvarti, Iwa-chan…»
La sua voce scemò col proseguire del racconto, rotta dal pianto, gli occhi che pizzicavano, il tremore delle mani che si fece più persistente.
Iwaizumi sapeva benissimo come ci si sentiva, ricordava ancora perfettamente il momento in cui aveva abbandonato la barella, vedendola scomparire da lontano. Ricordava perfettamente il momento in cui era uscito dal quel piccolo bagno, le mani non del tutto pulite e che tremavano. Ricordava lo sguardo di Isles che ricadde su di lui, preoccupata, ricordava le parole del medico – seppur vagamente –, ricordava le due settimane di agonia passate al fianco del corpo di Oikawa, il terrore che non si risvegliasse che lo dilaniava dall’interno.
Sapeva benissimo cosa si provava a non essere abbastanza per la persona che si ama, perché avrebbe voluto salvargli la vita lui stesso, con le sue stesse mani, ma non poteva. E si sentiva in colpa per questo, perché lui aveva messo a repentaglio la sua incolumità, ma ogni volta che aveva la possibilità di toccare quel foro lasciato su quella pelle perfetta, si diceva che aveva ancora uno scopo: fare in modo che non ricapitasse mai più. Era stato lo stesso Oikawa a farglielo capire, adesso toccava a lui ricambiare il favore.
Lo abbracciò, avvertendo le sue calde lacrime bagnargli la maglietta, passando una mano tra i suoi capelli finissimi. «Shh!» disse, come se stesse cullando un bambino.
La presa si fece più forte, e Oikawa sentì il bisogno di annusare il profumo di Iwaizumi: era simile a quello che lasciano i chicchi di caffè sulle dita. «Io lo so che devo cercare di non pensarci, ma – un singhiozzo – ho avuto paura, Hajime… Ho paura che un giorno mi dicano che tu non ci sei più e io…»
«Non mi dare per spacciato, razza di idiota!» gli disse, rimproverandolo, continuando a passare la mano tra i capelli con delicatezza. «Non ho mica intenzione di morire! Ci tengo alla mia pelle!»
Oikawa continuò a singhiozzare contro la sua spalla, la bocca impastata di saliva. «Ho paura che tu te ne vada senza che io sia stato in grado di dirti che ti amo…»
Certo, è una reazione più che normale. Quando una persona se ne va troppo in fretta, si vive con il costante senso di colpa di non essere riusciti a trasmettere l’amore che si prova per quella persona, poiché in vita non si è dimostrato troppo spesso. Iwaizumi capiva perfettamente quello che stava provando Oikawa.
Gli prese il viso tra le mani, guardandolo negli occhi color cioccolato. «Lo so già che mi ami, non c’è bisogno che tu lo dica sempre!» Sorrise appena. «E poi, non è nei miei piani lasciare da solo un incapace come te!»
In un’altra occasione, probabilmente, il castano si sarebbe lamentato per via di quella affermazione, ma in questo caso ricambiò il sorriso del suo fidanzato, che non tardò di lasciargli un piccolo bacio sulla guancia umida.
Si fissarono per un tempo che parve infinito, Oikawa che cercava di frenare i suoi singhiozzi, prima che Hajime parlasse. «Lo sai, una volta una persona mi ha detto una cosa…» Oikawa parve confuso. «Mi ha detto che i problemi si affrontano con una tazza di tè. Vuoi che te ne faccia una?»
Sulle prime, il ragazzo rimase stupito, ma poi si lasciò sfuggire una mezza risata, annuendo appena. «Sì, grazie.»


Quella volta, fu Iwaizumi a preparare il tè a Oikawa, facendo una tazza anche per se stesso. Quella volta, ribadì che il tè continuava a fargli schifo, e lo stesso dicasi per “Happy Days”. Tuttavia, rimase sul divano a tenere compagnia al ragazzo, la sua testa posata sulla spalla, prima che la sveglia gli ricordasse che dovevano prepararsi per andare in ufficio.
Oikawa avrebbe continuato a fare quell’incubo, così come Iwaizumi avrebbe continuato a rivivere la scena dell’ospedale, ma adesso sapevano che al risveglio avrebbero trovato l’altro pronto a rassicurarlo.



 
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“I problemi si affrontano con una tazza di tè”
“Se non mi dai del caffè sul problema ci dormirò”


Che dire, come al solito io prendo un prompt che dovrebbe essere spiritoso e lo trasformo in qualcosa di angstissimo :’)
Spero che si sia capito, ma questa storia spiega quello che è successo quando hanno sparato ad Oikawa, quindi sì, IL MIO SETTER DEL CUORE STA BENE, OKAY? 
In realtà, era da un po’ che ragionavo di scrivere su questa scena, perché fondamentalmente sono masochista e mi piace scrivere cose angst, pardon. Mi auguro di aver rispettato la caratterizzazione e il prompt a dovere: non so, descrivere di un Iwaizumi che ha un improvviso crollo è stato doloroso, eppure stimolante. Sempre perché, EHI, mi piace andare a scavare nella mente dei personaggi più intricati :’’)
Altro da dire? Ah sì, mi è partito l’headcanon che Oikawa sogni spesso l’uccisione di Hajime, solo che di solito glielo dicono per telefono, ma questa volta ha visto il suo corpo, quindi il sogno l’ha turbato maggiormente. E sono convinta che sentano l’altro sussultare durante la notte, e che quindi l’abbraccino per farlo riaddormentare, AHHHHHH, ASPETTATEMI, MI E’ FINITA UNA PALLA DELLA MIKASA NELL’OCCHIO, NON STO PIANGENDO! (??)
Perché Happy Days? Perché mio padre lo sta facendo vedere a mia sorella nell’ultimo periodo e perché lui sa fare la posa di Fonzie alla perfezione. Altro headcanon: Iwaizumi lo detesta. L’unica serie tv che guarda con Oikawa e che non gli dispiace è X-Files… *la menano*
Questo è quanto! Voglio ringraziare tutte le persone che seguono questa serie e che mi sostengono, che sia con una recensione o anche con un commentino su Twitter. Siete i miei prodi preziosi! <3 
Vi amo tutti e ci si vede alla prossima <3 
_Lady di inchiostro_ 
  
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