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Autore: _root    28/08/2017    1 recensioni
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Il quasi-supereroe in questione continuò: «Queste persone chiedono una festa! Ed è nostro preciso compito trovare la maniera di dargliela!».
A quel punto scattò qualcosa nella mente di Kuroo, che per un istante si vide incoronato dal già citato popolo della piscina, acclamato ed osannato come un salvatore.
«Hai ragione, bro», disse con tono solenne, appoggiando una mano sulla sua spalla, «non possiamo certo lasciare delusi questi poveri invitati. E sia. Facciamolo». Poi si voltò verso il sole che cominciava la sua parabola discendente, mostrando le spalle agli altri, ed aggiunse: «… Per loro»."
[accenni di KurooxKenma; BokutoxAkaashi; KageyamaxHinata; UshijimaxTendou]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Koutaro Bokuto, Nekoma, Tetsurou Kuroo, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bros' party'
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E così la festa si spostò all’interno della casa. Non c’era, ovviamente, abbastanza spazio per tutti, perciò optarono per utilizzare i tavoli da giardino che stavano all’esterno come centro di un buffet da cui ognuno avrebbe potuto attingere. Grazie al cielo nemmeno tutti restarono a cena, dopo qualche altra ora tra piscina, snack – pochi – e bevande – quelle alcoliche finirono prima delle altre… ma chi è che aveva così tanta sete? – e musica, un terzo aveva altri appuntamenti. Probabilmente le proprie ragazze – cosa che creò non poco astio generale e diciamo che più che altro furono proprio cacciati.
Gestire comunque circa venti ragazzi decisamente affamati non era cosa da tutti, e dopo che il primo ristorante si rifiutò di effettuare il servizio da asporto per via non solo del poco preavviso, ma specialmente per le quantità che avrebbe dovuto trasportare con un furgoncino, Kuroo e Bokuto si fecero furbi ed ordinarono da più ristoranti nei dintorni. Ci fu una piccola faida da sedare quando tre diversi ragazzi delle consegne arrivarono pressoché nello stesso istante e si sentirono traditi dai propri clienti, ma nulla che non riuscì a risolversi pacificamente – prima che un tipetto particolarmente irascibile lanciasse tutte le confezioni di noodles con verdure in faccia a quello con i nigiri. Visto poi che anche quasi tutte le bevande si erano volatilizzate, Kuroo mandò il proprio schiavetto – Lev, ovviamente – a fare rifornimenti, con la supervisione di Yaku.
Ah, e sì, si scoprì chi aveva praticamente dato fondo alla riserva alcolica, ma questa è una storia che per essere raccontata deve essere presa dall’inizio.
Tra un imprevisto e l’altro, Kuroo e Bokuto erano sempre stati occupati a spostare qualcosa, a mettere una pezza in un punto, a socializzare con qualcun altro, quando si resero conto che il giorno stesse ormai volgendo al termine e loro due non avevano ancora molestato a sufficienza il loro adorato Tsukki.
Il povero ragazzo aveva avvertito che nell’aria qualcosa non andava, ma la musica e la fame lo avevano convinto a lasciar perdere il suo pessimo presentimento… quando due paia di occhi maliziosi fecero capolino dalle sue spalle.
«Oya oya?».
«Oya oya oya?».
Tsukishima sospirò con il peso di tutta l’amarezza del mondo.
«Ma questo non è il nostro caro Tsukki, bro?», ridacchiò Bokuto.
«Oh, di più: questo è esattamente il nostro caro Tsukki», gli fece eco Kuroo, con un sorriso malvagio.
«Sai che sorpresa, mi avete invitato voi…», rispose il biondino, seccato.
I due lo ignorarono e Tsukishima sentì le loro mani prenderlo per le spalle e voltarlo – stava per esclamare qualcosa sul pesce alla griglia che stava per saltargli fuori dal piatto, quando si accorse a chi si trovasse di fronte. La sua espressione si irrigidì.
Con i suoi occhi a fessura, i suoi improbabili capelli rossi e quell’altezza ingestibile, i due gentili ed altruisti capitani gli avevano portato Satori Tendou.
«Ohh, ma chi c’è!», esclamò Kuroo, con simulatissima sorpresa: «Il centrale della Shiratorizawa!». Bokuto stava gioendo della cosa con troppo trasporto, muovendo la testa con una cadenza inquietante e un sorriso da orecchio ad orecchio.
«Abbiamo notato che non avete ancora avuto occasione di parlarvi e invece pensiamo che avreste taaaante cose su cui confrontarvi!», continuò Kuroo, perfettamente consapevole dei progetti di morte che in quel momento gli stava augurando Tsukishima.
«Ci conosciamo già», scoccò questi, «e ci siamo già confrontati», aggiunse poi, con assoluto controllo, rivolto al rosso.
«Oh, sì!», gioì Tendou – in un modo che probabilmente voleva essere solo sorpreso, ma che come suo solito risultò inquietante indipendentemente da ogni reale intenzione.
«Ricordo bene come hai murato il nostro asso… anche se hai avuto bisogno di giocare una partita intera contro di lui prima di riuscirci».
Non era esattamente un frecciatina, diciamo una semplice constatazione… ma Kuroo e Bokuto esplosero in una risata che a fatica riuscirono a contenere dietro le mani, cosa che non poté non far sentire Tsukishima come se fosse stato appena insultato.
«Un muro sistematico riesce comunque ad ottenere ciò che vuole», rispose allora, cercando di rimanere tranquillo.
«Ma si orienta troppo lentamente», replicò Tendou, aspirando quello che forse era il noodle più lungo mai prodotto da un ristorante giapponese.
«Questo dipende da chi lo guida», concluse Tsukishima, con un sorrisetto.
«Ragazzi, vi prego, dovreste frequentarvi più spesso», disse Kuroo, asciugandosi una lacrima.
«Fatelo per noi», rincarò Bokuto, tenendosi la pancia.
«Certo, e poi magari dovremmo anche allenarci insieme e diventare migliori amici».
A parlare così sarcasticamente era stato – ovviamente – Tsukishima, ma i capitani non fecero in tempo a reagire nuovamente che una voce seria sovrastò le altre.
«Bokuto, basta infastidire gli ospiti».
«Akaashi!», trillò il capitano, abbracciando il proprio alzatore – che, prevedendolo, riuscì a gestire l’onda d’urto senza versare il contenuto del proprio bicchiere – «Gli stavamo solo facendo fare amicizia!».
Tsukishima ed Akaashi si lanciarono uno sguardo eloquente.
«Ma non sarebbe una cattiva idea allenarsi insieme…», riprese Tendou, con lo sguardo completamente assorto di chi contempla misticamente il vuoto: «Certo, diventeresti un mio kohai e allora dovrei insegnarti i rudimenti del muro a intuizione e tu dovresti abbandonare il tuo metodo…», concluse con un sorriso trasognato.
Il centrale della Karasuno non sapeva se rispondere o andarsene, quando Daichi comparve alle spalle del rosso, richiamando la sua attenzione: il suo sguardo era un po’ allarmato; era evidente che non fosse lì per la conversazione in atto e quando si rese conto che ci fossero fin troppo vicini anche Kuroo e Bokuto era ormai troppo tardi. Parlò comunque a bassa voce, cercando di non farsi sentire da terzi: «Ehm, credo che ci sia un problema con… Ushijima… forse è meglio se ci pensi tu…».
Purtroppo per Daichi la sua voce maschile fu udita perfino da Yamaguchi – intento a tenere d’occhio che non se la prendessero troppo con Tsukishima – dall’altra parte del tavolo, figuriamoci se non raggiunse le orecchie dei due organizzatori.
«Un problema con Ushijima?», esclamò Bokuto.
«Non ha distrutto niente, vero?», chiese Kuroo, portando una mano agli occhi.
«Si può sapere come avete fatto a sentirmi? C’è perfino la musica!».
«Taglia corto, Sawamura. Qual è questo problema?».
Il capitano della Karasuno, seppur incalzato da Kuroo, si bloccò e fece passare lo sguardo sul piccolo gruppo che lo circondava. Tendou lo fissava in attesa con i propri occhi allucinati, ma non sembrava particolarmente allarmato; Tsukishima, come suo solito, aveva l’espressione di chi sta soffrendo immensamente la situazione in cui si trova: di sicuro avrebbe avuto bisogno di una via di fuga, ma Daichi non era proprio sicuro di voler dare Ushijima in pasto a Kuroo e Bokuto per aiutarlo, almeno fino a che il suo sguardo non incontrò quello di Akaashi che, semplicemente, annuì, convincendolo che parlare fosse la scelta giusta.
Daichi sospirò e fece strada: «E sia… venite con me, ve lo mostro… ma cercate di non attirare troppo l’attenzione!».
Tsukishima approfittò del momento di distrazione per dileguarsi; il capitano invece si diresse appena fuori dalla casa, sotto il portico dove fino a poco prima si era consumata la festa. Lì c’era Ushijima Wakatoshi, leggermente piegato in avanti, che reggeva con entrambe le mani il proprio cellulare. Dal display luminoso si poteva vedere che aveva in corso una chiamata in vivavoce.
«Maledizione, gli ho sempre chiuso le chiamate per evitare che si mettesse nei guai…», disse Daichi tra i denti. Avanzò cercando di compiere una buona azione, quando Kuroo lo bloccò con un braccio, con una serissima espressione in volto.
Dal telefono si sentì una voce melliflua rompersi per il nervoso:
«Insomma, Ushiwaka! È la sesta volta che chiami senza avere niente di serio o urgente da dirmi! Ti dice niente la parola privacy, razza di stalker?!».
Ushijima biascicò qualcosa, cercando di mettere insieme un pensiero di senso compiuto in tutto quel turbinio di parole che lo mandavano in confusione.
Intanto la voce continuò imperterrita, come una mitragliatrice: «Grande, grosso e con la capacità linguistica di un cavernicolo! Ma è possibile che non ci sia nessuno lì ad aiutarti con quella che sicuramente è la prima sbronza della tua vita?!»
«OIKAWA», tuonò l’asso, zittendolo. Il cellulare non emise alcuna replica. Era finalmente arrivato il momento: alle prese con un precario equilibrio, il capitano si preparò ad esprimere la frase che il suo cervello annebbiato aveva preparato per sei telefonate; espirò ed esclamò tutto d’un fiato: «… Saresti dovuto venire alla Shitatozirawa!».
Dall’altro capo del telefono arrivò un grido isterico.
Kuroo e Bokuto, intanto, avevano resistito più che potevano. Riuscirono a restare concentrati, senza muovere un muscolo, per non perdersi nemmeno un istante della scena, seri ed immobili come due pali della luce – ma questo era oltre le loro capacità: la visione di Ushijima Wakatoshi scomposto ed ubriaco era più di quanto avessero mai osato desiderare!
Esplosero in una risata così sonora ed acuta da procurare loro fitte allo stomaco – «Bro, prendi il cellulare, prendi il cellulare!» – mentre Daichi, da bravo ragazzo altruista e coscienzioso, si precipitò a togliere il telefono di mano al capitano della Shiratorizawa. Non aveva paura diventasse violento poiché aveva notato che i movimenti attorno ai suoi sensi annebbiati non sembravano turbarlo più di tanto, anzi: quando Daichi gli si avvicinò, con un affabile ma deciso: “Questo lo prendo io”, Ushijima fu ben felice di lasciargli il cellulare, e lo ringraziò sorridendo.
«Sono Sawamura», sospirò al ricevitore.
«OH – grazie a DIO», esclamò il capitano dell’Aoba Johsai: «Vi prego, fate disintossicare quell’orco prima che compia qualcosa di cui pentirs…», si acquietò un secondo, poi riprese, malvagio: «Anzi, fategliela fare appositamente e filmatelo».
«Temo stia già accadendo…», commentò Daichi, osservando sconsolato Kuroo e Bokuto riprendere con i telefoni un decisamente troppo gaio Ushijima abbracciare Tendou e strofinargli la fronte nell’incavo tra il collo e la spalla. Stava per dire loro qualcosa, quando sentì Tooru Oikawa parlare ancora:
«Ad ogni modo», sbuffò, «tu sai come faccia ad avere il mio numero?».
Daichi rispose, distratto: «L’ha preso dalla mia rubrica…».
«E come fai tu ad averl–»
«Devo andare», lo interruppe, chiudendo la telefonata e tornando al gruppetto, che aveva fin troppo bisogno dell’intervento di un adulto responsabile.
Rese il telefono di Ushijima al ragazzo dai capelli rossi, che stava bisbigliando qualche: “Lo so, lo so”, a qualcosa che l’asso aveva biascicato sulla sua spalla. Coprì con una mano la visuale della telecamera dei cellulari di Kuroo e Bokuto, che emisero una sonora cantilena in disappunto, ma non si lasciò distrarre e si rivolse a Tendou.
«Ecco, era questo che speravo di evitare…», si scusò.
«Oh, non c’è problema. Non è la prima volta che succede», rispose il centrale della Shiratorizawa, riuscendo con incredibile abilità a gestire il peso – quasi morto – dell’asso con il suo corpo scheletrico, guadagnandosi inconsapevolmente il rispetto degli altri ragazzi.
«Non mi aspettavo fosse così poco resistente… ma quanto ha bevuto?», chiese Kuroo, mettendo via il proprio telefono – quello di Bokuto era stato sequestrato da Akaashi.
«Be’, prima mi ha confessato di essersi bevuto una dozzina di lattine di “uno strano tè” che aveva trovato sotto il tavolo delle bevande», iniziò Daichi, «e di essersi concentrato su quelle perché sembrava che fossero le bibite a non andare per la maggiore».
Kuroo e Bokuto si lanciarono uno sguardo.
«Non intenderà la confezione blu con la scritta arancione?».
Daichi sospirò: «Proprio quella. Ho annusato una di quelle lattine ed era chiaro che fosse birra». Il capitano sembrava un po’ sconcertato.
«Che pessimo senso del gusto», rise Bokuto: «Quella era una birra olandese in saldo… Prometteva bene, invece non aveva un gran sapore».
«Ma poi ho capito che era birra!», disse improvvisamente Ushijima, rialzando la testa dalla spalla dell’amico: «E allora ho pensato che una cosa in più o una in meno non avrebbe fatto differenza», concluse solennemente ondeggiando il capo, ed i ragazzi evitarono di sottolineare che, sì, drink più drink meno fa differenza. Restarono solo in silenzio.
«… Ecco chi si è finito il fusto», collegò Bokuto, parlando per primo.
«Non è che vomita, adesso, vero?», chiese Kuroo, sollevando un sopracciglio. Era palese che fosse combattuto tra l’essere preoccupato per eventuali rigetti gastrici da dover pulire e lo sciacallare sulle performance che, da sbronzo, Ushijima avrebbe potuto ancora regalare loro.
Daichi lesse perfettamente le sue intenzioni ed era già pronto a rispondergli quando Tendou addolcì inaspettatamente lo sguardo e disse: «Se lo conosco abbastanza bene tra un po’ cadrà addormentato, non importa dove si trovi».
Bokuto ridacchiò: «Meglio allora iniziare a fargli fare qualcosa».
«Credo sia ora per noi di tornare a casa», replicò il rosso.
Kuroo si passò una mano tra i capelli e intervenne: «Tsk… No, non preoccupatevi. Non potete certo tornare con lui in queste condizioni. Può fermarsi a dormire qui».
Tendou accettò di buon grado e Daichi sorrise: «Kuroo, sono veramente sorpreso! Allora anche tu hai un’anima buona, in fondo!».
A quelle parole sia Bokuto che l’interessato strabuzzarono gli occhi ed emisero un verso offeso.
«Oh cielo, Sawamura, non pensavo che dalla tua bocca potessero uscire cattiverie simili!».
«Bro, non ascoltarlo», lo spalleggiò Bokuto, teatralmente scioccato: «Non si fida del tuo buon cuore!».
«Figuriamoci», commentò Akaashi, lapidario: «È chiaro come il sole che spera che Ushijima sia in debito con lui, se lo aiuta adesso. O ha in mente qualche piano malvagio».
Alle parole dell’alzatore il padrone di casa avvampò e cercò di ribattere in qualche modo, ma comprese bene che per salvare la sua dignità fosse meglio stare zitto. Dunque semplicemente aiutarono Tendou a portare Ushijima in una delle camere da letto al piano di sopra, resistendo all’impulso di fargli altre foto.
Questo è il sipario che chiude il breve mistero della scomparsa della maggior parte degli alcolici. Vorremmo poter assicurare che il resto della serata finì liscio per i nostri poveri organizzatori, ma ahimé non andò così. Infatti, tempo di lasciare Tendou a sistemare Ushijima sul letto che un grido dal soggiorno fece immediatamente scattare Kuroo e Bokuto al piano di sotto.
«Suonagliele! Suonagliele!».
«Ho scommesso su di te, Yamamoto! Non farmi rimpiangere la fiducia!!».
«Tanaka, hai sentito? Vuoi per caso sfigurare davanti ai tuoi kohai?».
Ciò che sembrava l’inizio di una rissa, si rivelò invece essere una semplice sfida culinaria.
Tanaka e Yamamoto si stavano sfidando – apparentemente – a chi riusciva ad ingoiare per primo un nido di zenzero speziato intinto nel wasabi. E, facendoci caso, nell’aria c’era anche un forte sentore di alcool.
«Volete forse morire, cretini?», gridò Kuroo, dalle scale – no, be’, non avrebbe dovuto ridere, ma fu più forte di lui.
«Non importa! Meglio la morte che il disonore!», strillò di rimando il rasato della Karasuno. Incredibile come, benché fosse palese una certa dose di terrore nei loro occhi, nessuno dei due contendenti avesse intenzione spostare la traiettoria delle bacchette con il cibo diabolico.
«Non voglio nemmeno sapere com’è iniziato», disse Daichi, scendendo insieme agli altri.
«È una cosa stupida», annunciò Suga, con due bicchieri di latte in mano – glielo aveva preso dal frigorifero…?! – «Hanno indetto un giro di scommesse clandestine».
«Guarda che è solo merito del nostro diversivo se Noya ha messo via la bonja board!».
«Si chiama ouija board!», strepitò Nishinoya, dal canto suo: «E allora i miei sospetti erano fondati! La vostra stupida gara era un diversivo!».
«Com’è che è diventata “stupida” da quando sei stato escluso per l’altezza?» – ma cos…?!
«E poi quella pratica è inquietante. Alcuni di noi potrebbero spaventarsi», si inserì Suga.
«Sul serio, Noya, qualcuno doveva impedirtelo», annuì Asahi.
Kuroo accarezzò per un attimo l’idea del soggiorno della casa trasformato in un altare per le evocazioni e rabbrividì all’istante – ma accidenti, quei ragazzi non potevano essere lasciati un attimo da soli! Oltretutto Bokuto aveva una strana luce negli occhi, sintomo che il gufo stesse per lanciarsi nella competizione. Una parte di lui sapeva che una volta immerso lo sguardo in quei due fari fin troppo entusiasti ogni briciolo della sua razionalità avrebbe finito per dileguarsi e anche lui avrebbe voluto gettarsi nella misch–
«Mettete via quelle bacchette», sospirò Akaashi, portandosi una mano alla fronte, interrompendo il pensiero dei presenti – e strappando Kuroo all’incantesimo – «Adesso troviamo qualcosa da fare».
«Ho un’altra idea!», esclamò allora Nishinoya, con fin troppo entusiasmo: «Incominciamo rompendo il ghiaccio con il classico gioco della bottiglia!».
«Geniale. Ma vorrei farti notare che siamo tutti maschi», commentò Tsukishima.
Si levò qualche mugugno d’assenso, a cui si unì anche chi in verità inizialmente non aveva battuto ciglio.
«Effettivamente…», convenne Tanaka: «So che tu hai certi gusti, Noya, lo capisco, ma neanche io sono dell’idea», concluse con una mano sulla sua spalla.
Il libero annuì un po’ rassegnato, ma se c’era qualcosa in cui non era mai stato secondo a nessuno, era tener vivo l’entusiasmo: «No problem!», esclamò: «Be’, se la gara non è stata accettata, le mie proposte nemmeno, scegliamo da uno di questi giochi trovati in soffitta!», esclamò, mostrando una serie di confezioni sbiadite.
Mentre i ragazzi acclamarono l’idea – organizzandosi democraticamente per votare a che cosa giocare – Kuroo si fissò su un preciso particolare: aveva capito bene?, il bassino aveva per caso detto “soffitta”? Cioè quelle scatole erano roba sua?
«HABEMUS LUDUM!», esclamò Nishinoya, improvvisamente – ma che lingua aveva appena parlato? Giocare con l’occulto non gli faceva affatto bene –, sventolando una scatola allungata: «Ed è stato decretato… Twister!».
Kuroo strabuzzò gli occhi. No, quello era decisamente troppo: prima non solo aveva generosamente offerto la piscina, poi la casa per la cena – senza contare un letto per Ushijima al piano di sopra –, ora – cazzo – perfino il suo Twister? Era ormai calato il buio, i ragazzi più grandi ci avevano vistosamente dato giù con l’alcool…
Il capitano della Nekoma mosse il primo passo per fermare quella jungla di esagitati, ma non appena alzò lo sguardo incrociò quello elettrico di Bokuto – ed era passato troppo poco tempo dall’ultimo contatto, era troppo debole… doveva… resistergli… No, no, no, doveva farcela, seriamente, serviva che qualcuno tenesse la testa sulle spalle –
«Allora, chi parte per primo?».
«Ovviamente io e Bokuto, visto che sono il proprietario di casa!».
 


La battaglia a suon di Twister infuriò in un baleno e mieté più vittime di quante ne avesse mai mietute un gioco da tavola in tutta la storia.
La prima coppia a sfidarsi fu naturalmente quella di Kuroo e Bokuto contro Daichi e Sugawara (spinti a tradimento dai propri compagni di squadra) e, neanche a dirlo, il capitano e il vicecapitano della Karasuno subirono un’amara sconfitta. Certo, non fu un match che si chiuse velocemente: la incredibile resistenza delle gambe di Daichi Sawamura mise a dura prova gli avversari, anche se non bastò a portare a casa la vittoria. Ad essere sinceri, poi, alcuni tra gli spettatori sollevarono delle polemiche giurando di aver visto i due organizzatori della festa barare senza ritegno, ma non essendoci fotografie o video in slow motion a supportare le loro insinuazioni non vennero prese sul serio.
Successivamente la squadra di Nishinoya e Asahi fu spazzata via da quella – improvvisata, ma ehi!, efficace – di Tanaka e Yamamoto. Il vantaggio di avere un snodabile piccoletto come partner non poté abbastanza contro l’assassina partecipazione degli schiacciatori laterali.
Dopo una così disastrosa sconfitta, sia a Kuroo che a Bokuto tornò voglia di giocare e vista la loro autorità tra quelle mura nessuno si oppose – anche se fu immediatamente istituita una curva di osservatori che tenesse d’occhio il loro comportamento in gara. Non fu necessaria più di tanto perché i due si presentarono con nuovi partner.
Kuroo e Kenma si sfidarono per primi contro una nuova coppia: Lev e Yaku. Li fecero secchi, e furono vendicati da Bokuto ed Akaashi. Nessuno dei due alzatori sembrava aver voglia di partecipare, ma Akaashi rivelò un’insospettata resistenza in quelle situazioni di stress, mentre Lev, messo alle strette, andò in panico e la sua smodata altezza gli remò contro.
Ora, prima di continuare, è necessario ricordare che l’infido gioco del Twister è stato inventato da un certo Charles Foley nel 1966; ciò che i libri di storia non raccontano è che quella fatidica sera fosse ubriaco perché la ragazza l’aveva lasciato e, ossessionato da lei, iniziò ad avere fantasie perverse e maliziose a voce alta che il suo amico, Neil Rabens, si appuntò su uno dei sottobicchieri e gli riconsegnò la mattina successiva. Il dopo sbronza evidentemente stava ancora annebbiando le loro menti quando trovarono grandiosa l’idea e portarono il brevetto alla MB – e da quel giorno sul mondo si abbatté la piaga del Twister, gioco appositamente atto a creare situazioni filo erotiche ed imbarazzanti.
Tornando invece ai nostri eroi, non serve evidenziare che l’esorbitante quantità di machismo nell’aria non aveva ancora concesso chance a questo malizioso proposito del Twister – specialmente con individui così seriamente competitivi come i protagonisti. Ad ogni modo, tutto cambiò quando fu il turno delle ultime coppie di novellini che ancora non si erano sfidate.
Hinata e Kageyama erano stati a bordo campo mal celando la fibrillazione – specialmente il pel di carota, che aveva osservato sfida dopo sfida saltellando da un piede all’altro e mordendosi le labbra. Il moro, al contrario, era diviso tra la voglia di partecipare – vincere – e la sensazione di sentirsi fuori posto: dopotutto, non aveva mai giocato una partita a Twister in vita sua. Ogni volta che un ragazzo cedeva, si diceva che al suo posto forse ce l’avrebbe fatta; ogni mossa che gli altri non riuscivano ad eseguire gli sembrava invece molto intuitiva, non così impossibile...
«Bene, i prossimi sono Hinata e Kageyama…».
Strabuzzò gli occhi al pensiero che ancora una volta la sua sorte era legata a quella di Hinata. Il rossiccio aveva esclamato un “Gwyaaah” – che per tutti i profani significa “Evviva” – ma, dal canto suo, l’alzatore cercò di non mostrare quanto fosse esaltato, oltre al fatto che ci fosse bisogno di una mente lucida per guidare al meglio Hinata, non voleva fare lo spaccone di fronte a tutti quei senpai per una semplice partita di Twister, insomma, non era mica la pallavolo –
«… contro Tsukishima e Yamaguchi».
… D’accordo, questo forse cambiava le cose, ma non era necessario –
«Bene bene», disse Tsukishima, con un sorrisetto: «Vediamo se in un campo così piccolo riuscirai ad evitare di comandarci a bacchetta».
OK, gli avrebbe spezzato le ossa.
«HINATA», sibilò Kageyama, con due bracieri che gli ardevano al posto degli occhi, «devi restare concentrato dall’inizio alla fine senza strafare, mi hai capito?!».
Il rosso saltò di paura; «Come volevasi dimostrare», rise il biondino sotto i baffi, dirigendosi al tabellone.
Kageyama stava per rispondergli, quando fu Hinata a strillare a pieni polmoni: «Non fare tanto il supponente, non volevi nemmeno giocare!».
Nessuno dei presenti si prese gioco di questa cosa perché c’era bisogno di una coppia che gareggiasse. E, naturalmente, tutti volevano godersi la messa in ridicolo dei ragazzi del primo anno.
«Mpf», rispose il biondo, «ho cambiato idea. È vietato?».
«Giusto, Tsukki!», sorrise Yamaguchi.
«Ce la smettiamo di fare i bambini?», si intromise Suga, sfoggiando una delle sue rare espressioni maliziose.
«Alle postazioni!», decretò Kuroo, con un sorriso molto poco rassicurante ed in mano il tabellone più piccolo per l’estrazione delle combinazione.
I contendenti si posizionarono agli estremi del gioco, lanciandosi sguardi di fuoco. In realtà solamente Kageyama e Tsukishima avevano delle espressioni truci, Hinata era fin troppo eccitato dal gioco e Yamaguchi aveva una strana espressione contenta.
«Che inizino i giochi».
 
Tutti i presupposti lasciavano supporre che si trattasse di un’altra sfida all’ultimo sangue, ed in un certo senso lo fu, ma…
«Tsukishima, mano destra sul blu».
Il biondo resistette al manifesto desiderio di imprecare, e per questo Kageyama non poté che essergli riconoscente; dato che i loro visi erano distanziati da soltanto due centimetri gestire l’imbarazzo era una cosa abbastanza difficile. E di certo la posizione del ponte sospeso non aiutava a mantenere una parvenza di dignità.
«Tsukki, datti da fare», lo sfidò Kuroo.
«Datti una mossa, Tsukishima!», incitò Tanaka.
Allora, i contendenti, dal loro punto di vista, non erano certo in grado di rendersi conto del complesso scultoreo d’arte contemporanea che stavano formando. Sentivano solo i loro corpi intrecciarsi in maniera imbarazzante, troppi occhi addosso e soprattutto un sacco, un sacco, ma davvero un sacco di caldo. Ed ecco che l’obbiettivo con cui il Twister era stato creato iniziò a rivelarsi in tutta la sua perversa malvagità.
Da fuori i quattro sembrava stessero inscenando una ragguardevole ma sensuale esperienza tantrica, con Yamaguchi in piedi e le gambe ad angolo retto per raggiungere i lati opposti di un lato del tabellone, piegato perché una mano poggiasse sul verde vicino alla sua caviglia e l’altra sul rosso sotto Kageyama. L’alzatore, come già detto, era arcuato in una sorta di ponte, con le braccia molto più divaricate di quanto in realtà sarebbe consentito per mantenere l’equilibrio. Tsukishima era quasi del tutto riverso su di lui – ringraziò infinitamente i geni della sua famiglia per essere così alto –, con un braccio al lato della testa di Kageyama per sorreggersi. Ed Hinata… be’, Hinata non si riusciva bene a capire come potesse reggere ancora, cioè: era costretto a tenere una gamba sollevata perché ancora non aveva ricevuto alcun assegnamento, l’altra era flessa in una posizione di sforzo perché con la testa fosse sotto Kageyama e con entrambe le mani arrivasse al rosso e al giallo. Ogni tanto gridava qualche “Aaargh!” per caricarsi.
Tsukishima riuscì a spostare la mano sul blu; Yamaguchi lo incitò.
Bokuto girò attorno alla postazione per controllare che tutti e quattro resistessero nelle loro posizioni – mentre il resto della sala lanciava fischi e scattava foto con il cellulare – poi tornò da Kuroo, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Il gatto annuì con un sorriso estremamente malizioso, per poi rivolgersi ai giocatori: «Dunque… Hinata, piede sinistro sul verde».
Si levò un boato dagli spettatori. «Uhm, Kuroo, non ti ho visto girare il contatore», fece notare Akaashi, cercando appositamente di esprimere la più massima mancanza di fiducia possibile. «Ma certo che l’ho fatto, ti pare?», rispose lui con completo controllo, alzando poi un sopracciglio in direzione dell’amico gufo.
«Ah! Oh, ehm! Sì, io l’ho visto. L’ho visto io!», garantì Bokuto, sventolando la mano.
«Visto? Per chi mi hai preso?».
Akaashi alzò gli occhi al cielo.
In quel momento Tsukishima superò la vergogna di avere la bocca a pochi centimetri da quella di Kageyama e protestò: «Mi pareva infatti che da un po’ stessero capitando proprio le combinazioni più impossibili!».
«Ma dai, allora imbrogliate già da tempo!».
«Ah ah! Vi prego, continuate a farlo!».
«Ehy!», esclamò Kageyama: «Non potete rifilarci le posizioni più difficili apposta!».
«FERMI!».
A parlare – o meglio, a gridare – era stato Hinata. La sua voce sovrastò completamente il resto del vociare.
«Fermi», ripeté, «c-ce la posso fare».
Il pubblico esplose in uno scrosciare di applausi e complimenti entusiastici, sbalorditi dalla caparbietà del piccoletto. Non c’era affatto bisogno che accettasse quella sfida impossibile, ma anche soltanto la prospettiva che volesse provarci sembrava fantastica. E, come in ogni gruppo di amici che si rispetti, partirono immediatamente le scommesse sul suo successo. Inutile dire che remavano quasi tutti contro di lui…
Kageyama occhieggiò il verde sopracitato e con orrore si rese conto che si trovava vicino ad una delle mani di Yamaguchi… praticamente dalla parte opposta del tabellone dove si trovava Hinata. Iniziò a sentire il terrore della sconfitta, ma sapeva che non poteva fare molto per aiutarlo, a parte forse… inarcarsi ancora di più? Accidenti, ma questo voleva dire spiaccicarsi contro Tsukishima, non è che la cosa gli andasse proprio a genio…
Poi Kageyama sentì Hinata, sotto di lui, prendere fiato. E sapeva che il rosso si era preparato.
Non gli servì altro per convincersi ad agire: si inarcò sorprendendo Tsukishima, e Hinata si mosse nello stesso istante, come due ingranaggi ben oliati. Quei pochi centimetri guadagnati dall’alzatore erano tutto ciò di cui Hinata aveva bisogno per fare leva sul suo corpo, raggomitolare la gamba e farla passare velocemente sotto Kageyama senza colpirlo. Appoggiò il piede sul verde con un movimento così rapido e fluido che gli spettatori non riuscirono a capire come fosse stato possibile.
Per la seconda volta a breve distanza di tempo si lasciarono tutti andare ad un’esultanza sorpresa e gasata, gioendo con così tanto trasporto da non notare i rossori sui volti di Kageyama ed Hinata che, una volta entrati in posizione, si accorsero che i loro inguini e parti posteriori in genere stessero aderendo con la schiena di uno ed il petto dell’altro.
«QUESTO È IL MIO HINATA!», strillò Bokuto, sopra le voci degli altri. «Sei incredibile! Incredibile!», pianse: «Ti porterò con me alla Fukurodani!».
«Che cosa?!», subentrò tempestivamente Daichi: «Scordatelo! Non ti permetterò di toccare mio figlio!».
Calò improvvisamente uno strano silenzio. Probabilmente il capo della Karasuno non si era reso conto di ciò che gli era uscito dalla bocca, perché continuò a sostenere lo sguardo di Bokuto senza il minimo problema.
«Woah, Sawamura», disse Kuroo, dopo qualche secondo: «E dire che mi guardi sempre male quando ti do del “padre”».
I componenti della Karasuno rimasti in piedi si scambiarono degli sguardi rassegnati e delle alzate di spalle.
«Be’, non è un segreto che tra di noi lo chiamiamo sempre Dadchi…», disse Asahi.
Dadchi – cioè, Daichi – ehm, deformazione professionale – si voltò rosso in viso, finalmente conscio di essersi scoperto troppo con quel branco di iene, e replicò: «B-Be’, non è una cosa di cui devo vergognarmi! L’altro giorno Hinata ha salutato Suga chiamandolo Sugamama!».
Ok, la situazione era abbastanza irrecuperabile, tra la vergogna generale, le risate soffocate, Sugawara che si era portato una mano alla fronte, scuotendo la testa – tutti si scordarono, a quanto pare, della struttura umana che si reggeva per miracolo sopra un consunto tabellone del Twister al centro della sala! Glielo ricordarono quei poveri ragazzi, rovinando sonoramente l’uno sull’altro. Un corpo umano, sebbene in piena giovinezza ed abbastanza allenato, non può sopportare a lungo posizioni così estreme!
Inoltre, se da una parte fu un bene perché nessuno si focalizzò più su quel generale momento di imbarazzo, dall’altra non c’erano testimoni per decretare quale fosse stata la coppia perdente!
Mentre Sugawara e Daichi scattarono ad aiutare i ragazzi a rialzarsi, Kuroo e Bokuto – ovviamente – aiutati da Tanaka, Yamamoto e Nishinoya, cercarono di risolvere quell’incognita: Hinata, per forza di cose, aveva toccato il tabellone per primo – ora il pel di carota stava riemergendo da sotto Kageyama e sembrava abbastanza provato dall’esperienza –, ma non c’era modo di sapere con certezza se fosse stato per proprio fallo o perché Tsukishima avesse ceduto sopra Kageyama. La disputa si placò quando Tanaka fece notare che Yamaguchi non era proprio caduto, ma aveva semplicemente rilassato la posa una volta che i tre alle sue spalle si erano ribaltati. Sembrò più che giusto premiare quel ragazzo lentigginoso e così la vittoria andò, senza ulteriori discussioni, a lui e a Tsukishima, che però rimpianse la decisione dal momento che vennero caricati sulle spalle e cinti di corone di noodles.
Per Kageyama ed Hinata non ci fu alcuna pietà, e Kuroo, Giudice Supremo del Twister, nonché padrone di casa – che ce non ce l’aveva assolutamente ancora con loro per aver divelto il tavolino con gli snack quel pomeriggio –, decretò che avendo perso avrebbero dovuto sgombrare e ripulire il soggiorno.
«Ma non siamo i soli ad avere perso!», protestò Kageyama.
Effettivamente con un ragionamento del genere ci sarebbero finiti in mezzo perfino Kuroo e Kenma, ma il capitano della Nekoma aveva una buona parlantina dalla sua: «Ma questo non è solo ciò che tocca agli sconfitti: è tutto il giorno che per un motivo o per un altro create problemi. Consideratelo un ripagarmi della gentilezza di aver pulito personalmente il portico dopo che ci avete fatto esplodere una quindicina di buste di patatine e salse varie». Il tono pacato e il sorriso serio del moro facevano apparire il ragionamento logico ed inoppugnabile, tant’è che Hinata esclamò: «Ha ragione, Kageyama! Dobbiamo pensarci noi!», senza tener conto che tecnicamente avrebbero già potuto considerarsi pari, dal momento che erano andati a ricomprare tutto – … bene o male – sotto il sole cocente.
Kuroo, una volta avviati i ragazzi ai lavori di casa, provò comunque una improvvisa inquietudine. Quelli del primo anno erano gli unici sobri, ma ciò non era proprio una garanzia, trattandosi di quei due. Inoltre, si chiese come mai i loro genitori non si fossero opposti alla cosa.
Appena varcata la soglia del portico, capì perché: il buio e il caldo della campagna creavano un contrasto invitante con il fresco e la luce elettrica della piscina, perciò la maggior parte degli invitati si era nuovamente tuffata – eccetto Kenma, seduto sul bordo insieme Lev; il problema era che l’assuefazione da alcool aveva reso quegli stomaci deboli estremamente starnazzanti o fin troppo dormienti, e Sugawara e Daichi, insieme a Bokuto ed Akaashi, stavano issando sul bordo di mattonelle due gai Tanaka e Nishinoya. Persino Yamamoto non sembrava molto in sé, ma si era già arenato nella parte bassa della piscina, a parlare con Yaku di non si sa che cosa – ma doveva essere un tema compromettente dato che il libero della Nekoma stava registrando con il cellulare. Ad ogni modo, chi più chi meno, tutti gli invitati avevano uno sguardo particolarmente felice – facevano eccezione Tendou e Asahi –, ciò significava che era salita loro la botta più o meno uniformemente. Anche Kuroo si sentiva abbastanza rilassato, lo stress della giornata sembrava già dimenticato: guardò tutti quegli ingranaggi ben oliati e, consapevole che non ci fosse bisogno di lui in quel momento, si concesse un lungo sorriso.
Ritornando al vero motivo per cui era nato quell’invito in piscina – che si era trasformata da un semplice bagno con la squadra ad un party pomeridiano ed infine ad una festa notturna –, il capitano della Nekoma comparve alle spalle di Kenma, occhieggiando con malizia il ragazzo che lo accompagnava.
«Lev», sorrise, «ho sentito che all’interno hanno bisogno di te».
Il giappo-russo strabuzzò gli occhi: «Per che cosa?».
«Tu vai».
Lev, un po’ capendo l’aria che tirava, anche se timoroso di scoprire in che cosa il capitano l’avesse di nuovo impicciato, lasciò il posto accanto a Kenma, ricasando.
Kuroo lo sentì esclamare – o imprecare – qualcosa all’interno e per tutta risposta sorrise sotto i baffi.
«Lo sfrutti proprio senza ritegno», commentò Kenma, osservandolo con i suoi occhi da gatto.
«Lascia stare, temprerà il suo spirito», ridacchiò Kuroo, di rimando. Si voltò verso il ragazzo più piccolo, trattenendo in bocca un discorso solenne e dagli accenni toccanti che probabilmente Kenma avrebbe trovato imbarazzante. Chissà come avrebbe reagito se gli avesse confessato che, sì, era quasi esclusivamente per fargli fare un’esperienza nuova che Kuroo aveva deciso di lanciarsi in quell’organizzazione mastodontica…
Probabilmente lo sapeva già.
Si scambiarono un lungo sguardo e il capitano ne fu assolutamente sicuro.
Dopo ciò si appoggiò leggermente al ragazzo dai capelli bicolore, estraendo il telefono.
Scorse nella galleria le foto e i video della giornata, ridendone con Kenma. Scelse i file più succosi e li caricò su Instagram: mi dispiace, ma non si erano detti che “ciò che accadeva in piscina sarebbe rimasto in piscina”. Immediatamente un certo mrPerfect~ commentò negativamente tutte quelle dove compariva Kageyama e una certa BigB00bZ scrisse sotto le foto di Tanaka una serie di “loool Ryuuuuuu” e “lmao” in stampato maiuscolo…
Con una nuova risata il capitano della Nekoma rivide scorrere tutti i ricordi della giornata, tra i tuffi, il problema del cibo, l’alcool spazzolato, la quasi lotta dei fattorini, gli invitati all’ultimo secondo; ognuno di questi imprevisti era stato però mitigato dalla voglia, più grande di ogni cosa, di divertirsi insieme, ed ora qualsiasi memoria era piacevole da rievocare perché ammorbidita e colorata da un’enorme quantità di risate. Non gli sembrava vero che la giornata fosse ormai giunta al termine, che quella festa nata quasi per costrizione si stesse chiudendo con anche un discreto successo. Alzò lo sguardo, facendolo spaziare sui ragazzi rimasti: Asahi – forte della sua astemia – stava riportando a casa due traballanti Tanaka e Nishinoya; Inuoka chiacchierava allegramente con Daichi e Sugawara; Yaku, da brava anima pia, stava cercando di convincere Yamamoto ad andarsene a casa a dormire; Bokuto, come al solito, stava facendo un casino incredibile attorno a Tendou ed Akaashi – come diavolo poteva avere ancora così tanta energia?; in un certo senso il giorno stava finendo più o meno così com’era iniziato, ma allo stesso tempo le cose erano profondamente diverse. Kuroo si rese conto di starsi lasciando influenzare da quella sua tipica poesia, ma non poteva farci nulla: ci trovava qualcosa di curiosamente importante e sorprendente, erano sempre gli stessi e allo stesso tempo no. Come poter chiamare quella meravigliosa alchimia se non fortuna? E ora che – incrociando le dita – era andato tutto bene, gli imprevisti avevano contribuito a loro modo a rendere indimenticabile quella festa – forse la prima di molte altre? Non era male come idea –, Kuroo si disse che, al diavolo chi gli avrebbe dato del sentimentale, quello era il modo più gratificante di essere felice, sinceramente felice.
Rialzandosi insieme a Kenma, rientrando con i ragazzi in casa, ancora gocciolanti di acqua clorata, sorridenti per l’euforia e la stanchezza (e, siamo sinceri, anche un po’ per l’alcool), con un braccio di Bokuto attorno alle spalle, si disse che in realtà non era necessario che gli eventi facessero ridere per essere ricordati. Che si potevano trascorrere dei momenti sereni ed essere grati per quello, sentirsi pieni di positività senza dover per forza vivere delle avventure come in un manga –
«Che. Cosa. Avete. Fatto».
Kuroo fu il primo a trovare la forza di parlare.
A parte Tendou (e forse Bokuto), i ragazzi osservarono con shock come fosse stato ridotto il soggiorno del capitano della Nekoma. Sembrava che qualcuno avesse poderosamente vomitato in direzione della porta. Ovviamente non poteva essere veramente del reflusso gastrico (era impossibile che qualcuno avesse un getto così ampio e copioso), ma lo spettacolo fu comunque agghiacciante; la presenza, però, di stoviglie ammassate insieme ai pezzi di cibo e – ma santo cielo, ancora?! – di un tavolo divelto, senza contare quella mortificata delle tre matricole in un angolo, suggerirono velocemente agli spettatori che cosa fosse successo.
«Hinata, Kageyama, diteci che non è come sembra», disse Daichi, con in volto quello che non si capì fosse più incredulità, rimprovero o semplice rassegnazione.
«Lev, prego, unisciti anche tu», sibilò Yaku. Differentemente che al capitano della Karasuno, il libero sembrava senza ombra di dubbio a tanto così dal saltare al collo al giappo-russo.
Insomma, la questione era che tra tutti e tre il panico di non sapere cosa fare aveva genialmente suggerito loro di infilare nello sgabuzzino attaccato alle scale i tavoli e le sedie da esterni piegati alla bell’è meglio. Anche se poi avevano avuto l’accortezza di non impilarci i piatti con le rimanenze della cena, questa saggia decisione era stata controbilanciata dalla stupidità di ignorare il fatto che lo sgabuzzino in questione sembrasse sul punto di esplodere. E quando questo inevitabilmente era accaduto, sedie e tavoli impazziti e brutalizzati riscossero la loro vendetta riversandosi su Hinata e tutti i piatti con il cibo che stava portando.
Daichi si portò una mano alla fronte. Akaashi aveva un’espressione così tirata e calma da far paura.
Kuroo sentiva il bisogno di un calmante.
Poi Hinata si buttò in ginocchio: «MI DISPIACE!», gridò: «Anche se mi sono allenato duramente ancora non riesco ad evitare gli ostacoli come quando schiaccio! Lasciate che ripulisca!».
Il proprietario di casa non si sentiva affatto sicuro di lasciare la risoluzione nelle sue mani ancora una volta, visti i risultati, ma non poté ribattere che subito anche Kageyama si inginocchiò, battendo addirittura la testa sul pavimento: «No, è stata colpa mia! Avrei dovuto immaginare che Hinata si sarebbe scontrato contro il muro, cioè, contro i tavoli, e non gli ho dato le direttive giuste! Fatemi rimediare! Prometto che migliorerò!».
Ora, di fronte a questa scena così seria, la compagnia non seppe se ridere o piangere.
Kuroo ripensò istintivamente al bellissimo momento che aveva vissuto giusto due minuti prima, quella beata pace interiore a bordo piscina insieme a Kenma, e si chiese seriamente quale misterioso karma imperversasse su di lui. Gli era parsa la conclusione perfetta della storia: un momento di serenità e pienezza, che assopisse con solennità le loro avventure – e invece no, troppo facile! A quanto pare chiudere il sipario sulle vicende della propria vita non era qualcosa che potesse scegliere autonomamente!
Sospirò, mentre, in sottofondo, sentì i ragazzi rimproverarsi e rimbrottarsi tra di loro. Aprì gli occhi e lanciò un’occhiata a Kenma e a Bokuto.
«Sigh, ho capito», disse, alzando le mani in segno di resa: «Puliamo, non c’è altro da fare. E se ci metteremo troppo, restate pure a dormire. Ci organizzeremo tra letti e brandine», concluse con un sorrisetto.
Decisamente, no: non c’era alcun sipario, alcun sacro momento di riepilogo cascato dal cielo, ma solo una banda di idioti patentati e il loro assurdo modo di complicare anche le cose più semplici. Non era ancora finita!



Angolo dell'autrice:
(Per capire ciò di cui parla Noya, vi rimando a questo video che ruberà solo 1:48 delle vostre vite: https://www.youtube.com/watch?v=15nNY7uofNw)
Dunque, tutta d'un fiato, ecco la conclusione di questa storia. Essendomi immedesimata in Kuroo più del previsto, ho percepito la sua apprensione per tutta la fic, perciò ora sto tirando un sospiro di sollievo! Mi raccomando, non ubriacatevi ed andate in piscina. Mi prendo la responsabilità di aver stravolto la storia della nascita del Twister - ma per quanto riguarda l'alta concentrazione di trash, vi giuro che non è stata una cosa voluta. Come sempre devo ringrazie le mie bros per la direzione della storia, e un grazie anche a chiunque leggerà la storia e/o lascerà una recensione!
   
 
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