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Autore: Alli_210    29/08/2017    1 recensioni
Avalea è l'ultimo baluardo di una fiorente civiltà ormai in declino, distrutta da una guerra all'ultimo sangue tra due popoli -gli umani e gli extraterrestri xenon- la cui rivalità pare destinata a non placarsi mai.
In questo mondo ormai distrutto l'amore dell'umana Aerith per lo xenon Rahma si rivela così inossidabile da spingerla ad infrangere ogni legge pur di rimanere con lui, attirando così l'attenzione del temibile capo xenon, spaventato da quella che potrebbe essere una minaccia pericolosa per i suoi piani: quell'umana così simile ad un fantasma del suo passato che si rivelerà una nemica più temibile del previsto e l'unica persona in grado di tenergli testa.
Ma ad Aerith non basterà combattere: il suo sarà un lungo viaggio alla ricerca delle sue origini e di qualcosa che possa aiutarla a ribaltare le sorti del conflitto. Un lungo viaggio alla ricerca di quell'amore che potrebbe essere la sua ultima speranza di salvare se stessa ed il mondo intero.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III. 

Aerith aprì gli occhi molto tempo dopo, quando un raggio di sole che penetrava  da uno spiraglio di luce proveniente dalla finestra si posò proprio sul suo viso.

Sentiva la pelle del volto tirare e gli occhi le bruciavano per le lacrime versate quella notte. Nonostante le ore di sonno si sentiva esausta. Aveva male alla spalla e la profonda ferita alla gamba pulsava sotto la benda con cui Rahma la aveva fasciata. 

Si era obbligata a relegare il pensiero di ciò che era successo la sera prima in un angolo della sua mente, promettendosi di non ricominciare a piangere. Le lacrime non avrebbero riportato in vita i suoi genitori e le urla non avrebbero cancellato l’accaduto. Avrebbe pianto, ma non in quel momento. Non mentre il nemico era ancora lì fuori ad attenderla.

Eppure, nonostante oltre quelle quattro mura la guerra stesse ancora mietendo le sue vittime, una strana calma aveva preso il sopravvento su di lei. Solo non avrebbe saputo dire se si trattasse di una sorta di rassegnazione o se il dolore e la stanchezza le stessero giocando dei brutti scherzi. 

Si sentiva diversa, come se qualcuno le avesse completamente svuotato il cervello. Persino le cose intorno a lei sembravano diverse. 

Il primo dettaglio che attirò la sua attenzione furono i raggi di sole che battevano sulla parete di fronte alla finestra inondando la stanza di una luce rossastra. Doveva essere l’alba…oppure il tramonto. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando erano entrati in quella casa, ma non era un dettaglio che le interessava scoprire proprio in quel momento.

Approfittando della luce osservò la camera dove si trovava: le pareti spoglie, il piccolo armadio e il comodino. Rahma le aveva detto che non rimaneva mai molto tempo nello stesso luogo ed evidentemente non sentiva la necessità di curare l’arredamento di casa. 

Eppure, quel posto sapeva di lui: per quanto spoglia, quella casa era accogliente quanto i suoi abbracci e la felpa che le aveva messo addosso per coprirla durante la notte aveva il suo profumo.

La aveva veramente tenuta stretta a se tutta la notte: il suo braccio le stava ancora stringendo la vita e si era addormentato con la fronte appoggiata alla sua schiena, con i capelli che le solleticavano piacevolmente la pelle.

Si girò lentamente, facendo attenzione a non svegliarlo, e lo osservò mentre dormiva. 

Era bello, lo era sempre stato: i capelli castani, appena ondulati e lunghi che gli coprivano il viso. Gli zigomi alti, la linea del naso, le labbra carnose e la mascella squadrata su cui intravedeva un accenno di barba. 

Con il suo metro e novanta di altezza era a dir poco enorme in confronto a lei e i muscoli possenti delle sue braccia erano ben visibili sotto la pelle pallida e tesa. Il suo sguardo si spostò sulle sue mani, dove le spesse linee nere che ne coprivano il dorso spiccavano prepotentemente. Prima o poi le sarebbe piaciuto sapere che cosa volessero dire e forse Rahma si sarebbe fidato abbastanza da rivelarglielo.

 

Con delicatezza, Aerith sfiorò la mano dello xenon. C’erano dei calli che non aveva mai notato e anche delle cicatrici sottilissime che vedeva per la prima volta in quel momento. Erano sottili, piccole increspature leggermente più chiare della sua pelle. Osservando meglio, si accorse che ricoprivano quasi tutto il braccio. Quando se le era fatte? Le sue dita risalirono fino a sfiorarle: le sentiva chiaramente sotto ai polpastrelli. Come aveva fatto a non notarle prima? 

 

Persa nelle sue riflessioni, si accorse appena che il respiro di Rahma era cambiato e solo quando lo senti muoversi si rese conto che doveva essersi svegliato.

Si voltò appena per poterlo osservare in viso mentre lui si sfregava gli occhi con la mano libera. Le sue iridi grigie colpite dalla luce rossastra del sole erano di un colore incredibile e Aerith vi si perse dentro per un istante quando i loro occhi si incontrarono. 

“Ciao.” sussurrò appena, ancora leggermente addormentato.

“Ciao.” 

“Sei sveglia da tanto?”

“Qualche minuto.”

Rahma annuì in silenzio mentre i suoi occhi osservavano un punto indefinito oltre la finestra.

“Abbiamo dormito molto, il sole sta tramontando.” constatò “Sei riuscita a riposare un po’?”

Lei annuì, poi sorprese entrambi, abbracciandolo e posando la testa contro la sua spalla. Rahma ricambiò l’abbraccio stupito: raramente aveva visto Aerith lasciarsi andare a gesti simili.

“Grazie.” 

“Di niente. Lo rifarei sempre se servisse a farti stare meglio…”  

“Non mi riferivo solo a questa notte Rahma.” lo interruppe Aerith “mi riferisco a tutte le volte che mi sei stato vicino, a tutte le volte che hai rischiato qualsiasi cosa per colpa mia, a tutto quello a cui hai rinunciato… ci sei sempre stato per me e io non ti ho mai dato niente in cambio. E sarò egoista ma non voglio rinunciare a te. Non ora. Sei l’unica persona che mi rimane.” 

Rahma la fissò confuso: quelle parole lo avevano preso in contropiede. 

Il loro rapporto era sempre stato molto diverso da quello di chiunque altro: la consapevolezza di avere bisogno l’uno dell’altra pur sapendo dell’enorme pericolo che ciò avrebbe comportato. La fiducia estrema tra di loro, nonostante le mille domande e le spiegazioni mai date. Entrambi sapevano poco e niente dell’altro, ma si conoscevano meglio di quanto un estraneo potesse pensare: solo guardandola, Rahma avrebbe saputo distinguere le emozioni che provava. Sentiva il suo cuore accelerare per la paura, distingueva la cadenza del suo respiro e i silenzi tra le parole. Aerith era come un libro aperto per lui e quel modo così unico di comprendersi era ricambiato.

Era vero che Rahma avesse rinunciato alla sua famiglia per lei, anche se non glielo aveva mai detto esplicitamente, ma Aerith non aveva forse fatto la stessa cosa? Si era sempre preoccupata di essere un pericolo per lui, dimenticandosi che non era l’unico a rischiare la vita se qualcuno li avesse scoperti. 

A differenza sua però, Rahma sarebbe stato in grado di difendersi. Aerith no ed entrambi ne erano consapevoli: la sera precedente non era stata la prima volta che aveva deciso di seguirla dall’alto mentre tornava a casa, dopo che si erano visti in uno dei loro incontri clandestini che ormai andavano avanti da qualche anno.

Quando la guerra era cominciata, si erano giurati di non perdersi mai e per i primi tempi erano riusciti a comunicare con lettere nascoste in punti dove entrambi sapevano che nessuno le avrebbe mai trovate a parte loro. Poi, un giorno, Aerith gli aveva scritto di quanto fosse disperata la situazione per gli umani: mancavano cibo, medicine, beni di prima necessità. 

Era stato quello a spingere Rahma a chiederle di rivedersi: era riuscito a portarle uno zaino pieno di cibo e medicine umane. Ricordava ancora il modo in cui Aerith era scoppiata a piangere quando lo aveva visto dopo quasi due anni di flebili parole scritte su pezzi di carta, parole così leggere da perdersi nel vento eppure così forti da essere diventate il loro unico appiglio. Ricordava ancora la meravigliosa sensazione che aveva provato quando la aveva stretta tra le sue braccia dopo tutto quel tempo in cui l’unica cosa a cui si era aggrappato era il ricordo di lei. Erano ancora piccoli allora, ma non abbastanza per non sapere che non sarebbero riusciti a dirsi addio nuovamente. 

Non avrebbe mai immaginato però che cinque anni dopo si sarebbe trovato di nuovo nella situazione di doverle salvare la vita da quella guerra folle, in una situazione ben più tragica di ogni scenario a cui era riuscito a pensare.

Una guerra che ora li avrebbe costretti entrambi a stringere i denti ancora di più se volevano sopravvivere.

Ma ora non erano più dei ragazzini: Aerith aveva ventidue anni, Rahma venticinque. Erano rimasti soli troppo presto, ma erano insieme ed entrambi sapevano che finché avessero potuto contare l’uno sull’altra ci sarebbe stata speranza per loro.

Qualcuno avrebbe chiamato amore quel sentimento che scorreva tra di loro e non avrebbe avuto torto anche se per entrambi però era qualcosa di molto diverso: era la consapevolezza che in qualche modo sarebbero sempre riusciti a trovarsi. La consapevolezza di essere legati da qualcosa che nemmeno loro erano mai stati in grado di comprendere davvero. 

Non aveva mai provato per chiunque altro il sentimento che provava per Aerith, ma la dura realtà era che non potevano permettersi certe fantasie. Erano diversi, troppo. I marchi sulle sue mani glielo ricordavano ogni giorno.

“Mi hai salvato più volte di quanto credi, Aerith. Non sono solo i proiettili a fare male.” sussurrò “Non sei un peso per me, non lo sei mai stata. Farei per te tutto quello che tu faresti per me.” 

Aerith sorrise a quell’affermazione. Lei non era forte: non sapeva combattere, non poteva volare, non si sarebbe nemmeno mai sognata di toccare un’arma. Ma se c’era una persona per cui avrebbe dato la vita, quella era Rahma.

Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto. Avevano bisogno di godersi quegli istanti di calma apparente, perchè prima o poi avrebbero dovuto affrontare il mondo.

Fu solo dopo un po’ che Aerith si ricordò del particolare che prima aveva attirato la sua attenzione.

“Rahma, da quanto hai quelle cicatrici sul braccio?” chiese, senza neanche voltare la testa verso di lui. 

“Da anni credo. Non mi ricordo nemmeno quando me le sono fatte.”

“Non le avevo mai notate.”  

“A dire il vero non pensavo fossi in grado di vederle.”

“Guarda che non sono una talpa solo perchè non vedo una mosca a cento metri di distanza.” Disse Aerith inarcando un sopracciglio. Sapeva bene quanto i sensi dello xenon fossero molto più sviluppati dei suoi e più volte si era trovata ad invidiare quelle caratteristiche strepitose che contraddistinguevano la sua razza. 

“Vi perdete molti dettagli fondamentali.”

“A chiunque piacerebbe una vista come la vostra, non credi?”

“Non centra la vista. Io penso che voi non vediate solo perché non volete vedere: te ne sei accorta da sola di queste cicatrici, solo perchè ci hai fatto attenzione. Probabilmente se avessi osservato meglio te ne saresti accorta molto prima, no? Stessa cosa vale per l’udito. Non sapete ascoltare. Se i nostri sensi sono molto più sviluppati dei vostri è solo perché voi non vi siete mai impegnati per affinarli. E non parlo di tecnologia, su quella ci avete lavorato fin troppo. Parlo del fatto che pretendiate di vedere cosa c’è al di la del cielo ma non riuscite neanche a vedere i colori dell’alba. Forse è questa l’unica vera differenza tra il mio popolo e il tuo. Anziché lavorare su ciò che avete per natura, vorreste poter fare tutto ciò per cui la natura non vi ha creati.” spiegò “Non so come fossero i nostri antenati, ma il nostro sangue non è così diverso dal vostro. Probabilmente sono solo stati più bravi a sfruttare tutte le potenzialità del nostro corpo.”

Aerith lo fissò senza parole. Avrebbe voluto ribattere, ma Rahma aveva ragione. 

Gli xenon non avevano sempre abitato quel pianeta, anche se i tempi in cui erano arrivati erano talmente remoti che non ne esisteva memoria se non qualche leggenda che gli xenon stessi usavano tramandare. 

Erano un popolo arrivato dal cielo in cerca di una casa. Nessuno sapeva da dove venissero, ne quanto tempo fosse passato dal loro arrivo. Alcuni dubitavano persino che quella leggenda fosse vera, anche se ad Aerith sarebbe piaciuto saperlo. 

Sempre secondo le storie antiche, in quei secoli di pace gli umani avevano offerto loro case, riparo e un nuovo punto di partenza. Gli xenon in cambio avevano messo a disposizione tutta la loro conoscenza, le loro tecnologie, le medicine. 

Si narrava che i primi xenon fossero molto diversi da loro: forti, capaci di volare, persino in grado di spostare gli oggetti con il pensiero. Con il tempo molte di quelle caratteristiche erano andate perse ma gli xenon erano rimasti comunque più forti degli umani. 

I due popoli erano vissuti in pace per millenni, fino a quando una guerra durata quasi cent’anni aveva sconvolto il mondo intero, portandolo quasi alla distruzione. Solo dopo milioni di vittime e due fazioni che non riuscivano a prevalere l’una sull’altra si era arrivati ad una resa e ad una pace precaria durata quasi cinquecento anni.

 

Ma quell’armistizio carico di tensioni non era stato destinato ad essere eterno.

 

La pace si era bruscamente interrotta sette anni prima, quando il misterioso nuovo capo del governo xenon, arrivato al potere in pochissimo tempo, aveva attaccato il Palazzo del Popolo di Avalea, baluardo della cultura umana. 

 

Quello era stato l’inizio della fine. 

Gli attacchi erano diventati sempre più frequenti e distruttivi, le armi dei loro nemici sempre più forti e il terreno a disposizione degli Xenon sempre più vasto. 

Quello che era rimasto dei governi umani si era unito tre anni prima nell’ente governativo meglio noto a chiunque come l’Organizzazione, con sede in uno dei tanti Palazzi di Giustizia che erano stati costruiti nelle varie parti del Continente dopo la prima guerra. 

Nessuno sapeva di preciso in quale di questi si riunissero. La segretezza era l’unico modo per evitare un attacco a tutto ciò che rimaneva delle difese umane, ma un governo lontano dalla popolazione aveva avuto degli effetti devastanti sui civili. 

Le perdite umane erano state altissime fin da subito, quando chiunque si era accorto dell’enorme superiorità della fazione nemica, e tutti gli scienziati più importanti del pianeta collaboravano nel disperato tentativo di trovare qualche arma in grado di aiutare i loro soldati a tenere duro. 

Nonostante tutti i loro sforzi però gli Xenon sembravano essere sempre un passo avanti a loro. 

Erano mesi ormai che i civili avevano perso qualsiasi notizia di cosa stesse facendo il governo. Le uniche informazioni che ancora giravano tra la popolazione erano il numero di morti dopo le battaglie e alcuni sporadici aggiornamenti sulle zone sicure, i rifornimenti di provviste e le cure di primo soccorso. A dire il vero Aerith non aveva idea di cosa fosse successo al di fuori di Avalea negli ultimi due anni. 

Quello che però sapeva bene era che la speranza del suo popolo si stava lentamente spegnendo. Non servivano mezzi di comunicazione per vedere che sempre meno soldati tornavano a casa e l’attacco della sera precedente era stato soltanto l’ennesimo bombardamento sulla popolazione, il terzo avvenuto sulla parte umana di Avalea in meno di un mese.

Quei bombardamenti erano un chiaro segno si come la guerra fosse destinata a non durare ancora molto: per anni gli xenon avevano evitato di attaccare posti dove avrebbero potuto trovarsi anche loro soldati, ma quella che era appena cominciato era la resa dei conti finale e i nemici sembravano pronti a sacrificare anche i loro combattenti pur di vincere. 

Che ne sarebbe stato di lei se gli xenon avessero avuto la meglio?

Aerith chiuse gli occhi, lasciando che una lacrima solitaria le scivolasse sulla guancia. Non si preoccupò che Rahma potesse vederla e subito la mano del ragazzo fu sulla sua spalla.

“Scusa, non volevo farti piangere. Non avrei dovuto dire quelle cose.” disse, pentendosi immediatamente di aver detto parole che avrebbero potuto rafforzare l’idea che ormai per lei non ci fosse più speranza. 

 

“No, Rahma, non è quello che hai detto che mi rattrista, era solo la verità. Ho paura. Ho paura di quello che potrebbe succedere se mettessi piede fuori da qui, se qualcuno ci vedesse insieme, di cosa ne sarà di me quando questa guerra finirà.” 

“Hai paura di morire. Tutti la abbiamo. Ma sai che non permetterei a nessuno di farti del male.”

“Hai così tanta voglia di morire per me?”

Avrebbe avuto senso vivere in un mondo dove mancava lei? Ci aveva pensato molte volte e la risposta a quella domanda non era mai stata affermativa.

“Preferiresti sapermi vivo in un mondo comandato da un pazzo?”

“E’ pur sempre vita.”

“Una vita senza amore non vale la pena di essere vissuta.”

Aerith ammutolì a quella risposta. Era sorpresa, non tanto per le parole che Rahma aveva appena pronunciato, quanto per il fatto che lei avrebbe dato la stessa risposta se qualcuno le avesse fatto la domanda che lei aveva appena posto a Rahma. 

Un sorriso amaro si aprì sul suo viso. Rahma non era solo più forte, era anche più coraggioso. Abbastanza da sfidare chiunque pur di non nascondersi e non perderla. Poteva non essere un soldato, ma anche lui stava combattendo quella guerra rischiando qualsiasi cosa. 

Perchè lui a differenza sua sperava ancora in un futuro dove entrambi sarebbero stati felici. 

Insieme, forse.

Ma Aerith non poteva permettersi quella speranza, non se la posta in gioco era lui. Se lo era promessa sette anni prima, quando in silenzio aveva messo una clausola a quel “insieme, qualsiasi cosa succeda”. Per lei quella promessa sarebbe caduta nel momento in cui proteggerla sarebbe diventata una missione suicida, a costo di non rivederlo mai più.

Sapeva benissimo che vivere senza di lei per Rahma sarebbe stato peggio che morire. Lo sapeva perchè sarebbe stato lo stesso per lei, anche se si rifiutava di dirlo a voce alta. 

“Aerith.” la sua voce la richiamò alla realtà. “Dobbiamo alzarci. Devi mangiare e devo controllarti le fasciature.”

Lei annuì e non esitò ad afferrare la mano che lui le porse per aiutarla a mettersi a sedere. 

Quando provò ad alzarsi però non riuscì a trattenere una smorfia di dolore. La ferita al fianco le stava ricordando prepotentemente la sua presenza, tanto da impedirle di rimettersi in piedi.

“Non ti muovere. Torno subito.”

Rahma scomparve oltre la porta che separava la camera dal soggiorno minuscolo dove Aerith aveva intravisto la sera prima dei fornelli e un frigorifero. Lo sentì armeggiare con degli armadietti e quando tornò aveva in mano un piatto con della frutta e quello che doveva essere pane.

“Non mi è rimasto molto in casa.”

“Non importa. Va bene comunque.”

“Andrebbe bene se non riuscissi a contare le tue costole. Speravo che il cibo che ti portavo fosse  sufficiente.”

Lei abbassò lo sguardo.

“Lo era fino a qualche tempo fa. Poi le razioni per i civili sono diminuite.”

“Dovevi dirmelo.”

“Mi era già abbastanza difficile giustificare dove avessi trovato quello che mi portavi tu.” rispose Aerith fissandolo di sbieco. Rahma scosse la testa.

“Hai ragione, scusa.” disse “Ti hanno mai fatto domande?”

“Non più di quelle che io ho fatto a te sulla provenienza delle medicine umane che mi portavi.” rispose con un’espressione che Rahma non riuscì a decifrare. “Anche se mi piacerebbe davvero sapere per quale motivo tu riesci a reperire degli antibiotici e i nostri ospedali sembrano essere incapaci di curare una banalissima febbre.” 

“Basta sapere dove cercarle e a chi chiedere.” 

La risposta di Rahma era troppo evasiva per suoi gusti, ma Aerith decise di farsela bastare quando si accorse della tensione nello sguardo dello xenon. Stava sfiorando quella linea sottile tra ciò che Rahma poteva e quello che voleva dirle. 

“Dovrai iniziare a fidarti di più, prima o poi.” 

“Non vedo l’ora del giorno in cui non dovrò più avere segreti con te.” disse avvicinandosi a lei. Con delicatezza sollevò la benda con cui le aveva avvolto la gamba. Era impregnata di sangue, ma il taglio sotto di essa aveva smesso di sanguinare e aveva un aspetto decisamente migliore della sera prima.

“Pensi che ci metterà molto a guarire?”

“Se stai a riposo, forse una settimana. Era molto profondo.”

Un’ombra oscurò il viso di Aerith.

“Dovrò rimanere qui fino ad allora.”

Rahma parve confuso a quell’affermazione. Aveva forse pensato di potersene andare in quelle condizioni?

“Beh mi pareva ovvio. Dove altro dovresti stare?” chiese “Oh, giusto, avrai qualcuno che ti sta cercando dopo ieri sera.”

“No, io… non ho parenti o altre persone che potrebbero pensare che sia sopravvissuta ma Rahma, io non potrò rimanere qui per sempre.”

“Aerith che stai dicendo? Certo che puoi rimanere qui. A meno che tu non abbia qualcuno che ti ospiti, scordati che io ti permetta di andare via. Non sarò sempre così fortunato da poterti salvare al momento giusto.” il tono della sua voce era diventato più duro, un silenzioso monito intriso di paura: non la avrebbe lasciata andare questa volta.

“E pensi mai a chi potrebbe salvare te se qualcuno mi vedesse qui?” ribatté Aerith infervorata. “Cosa dovrei fare, chiudermi qui dentro finché la guerra non finisce sperando che nessuno ci scopra?”

La mascella di Rahma era tesa per la rabbia. Odiava la testardaggine di Aerith.

“Smettila di preoccuparti per me. Mi nascondo da sette anni, so quello che faccio. E si, Aerith, tu rimarrai qui con me finché questa dannata guerra non finisce, a costo di doverti legare al letto.” 

Aerith sgranò gli occhi. Non aveva mai visto Rahma arrabbiato e duro come in quel momento, ma ciò non le impedì di rispondergli a tono.

“Lo capisci che non potrai sempre nasconderti per me? Cosa vuoi fare, continuare a vivere come un animale in trappola per il resto della tua vita? Non ti permetterò di farlo. Sai meglio di me che se la guerra dovesse finire in vostro favore il vostro capo ti farà uccidere. Non ti permetterò di suicidarti per…”

“Dannazione Aerith, ma lo capisci che a me non importa niente di vivere se tu sei due metri sotto terra? Che mondo pensi che sarebbe per me?” Urlò in preda alla rabbia. Poi, quasi come se si fosse pentito di aver alzato la voce, si sfregò le tempie con entrambe le mani nel tentativo di calmarsi. “Non ho più niente, a parte la speranza. Se tu te ne vai, io vengo via con te.” 

Fu Aerith ad alzarsi dopo aver udito quelle parole e ignorando il dolore al fianco si avvicinò a lui.

“Dì ancora una volta una cosa del genere e giuro che me ne vado.” Disse con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. “Sei tu a non capire. Sei tu a non renderti conto che se ancora credo ancora che esista una minima possibilità di poter essere felice è perchè so che da qualche parte in questo mondo orrendo ci sei tu. Mi hai sempre detto di non arrendermi, ma ora sei tu che la stai dando vinta a tutti loro. Se tu non ci sei, io non ho più niente in cui sperare.”

Lui la fissò con uno sguardo indecifrabile per qualche istante, mentre le sue mani sfioravano il viso di Aerith.

Vederla in lacrime gli spezzava il cuore.

“Aerith io ti…”

“No.” Lei scosse la testa come a volersi liberare dalla parola che lui non aveva fatto in tempo a pronunciare. “Non dirlo. Non dirlo per favore.”

“E’ così assurdo?” le domandò allentando la presa con cui la stava stringendo.

 Aerith si voltò, dandogli le spalle.

“E’ assurdo. E sbagliato. Lo sai anche tu.” 

La voce di Aerith era debole come le sue parole e Rahma se ne accorse. 

“Cosa c’è di sbagliato? Va bene salvarti la vita quando hai bisogno, farti stare a casa mia, vedersi di nascosto per sette anni, ma non va bene l’essermi innamorato di te?” disse alzando la voce. “Come se tu non lo fossi.”

Quell’ultima frase fu la goccia che fece traboccare il vaso. Aerith si voltò nuovamente verso di lui con la rabbia e il dolore negli occhi.

“Hai così bisogno di sentirtelo dire per crederci? Allora si, ti amo Rahma. Ti amo da così tanto tempo che non riesco nemmeno a ricordarlo. Ti amo abbastanza da fidarmi di te nonostante io non sappia che altro tu abbia fatto in questi sette anni a parte portarmi cibo!” Gridò mentre le lacrime iniziavano di nuovo a rigarle il viso, sfuggendo al suo ormai inesistente autocontrollo. “Ma per quanto io possa amarti, questo non cambia il fatto che io e te apparteniamo a due popolo in guerra e che non possiamo stare insieme se la posta in gioco è la vita di entrambi.”

“Che cosa vale tutto quello che abbiamo passato se non posso nemmeno dirti che ti amo?” sussurrò Rahma senza distogliere lo sguardo ad Aerith. “A che cosa sono serviti sette anni di sofferenze? Dammi una risposta, ti prego. Perchè io non riesco a trovarne una.” 

“Ma non capisci? Rahma, ti conosco meglio di chiunque altro, ti conosco abbastanza da sapere che saresti capace di fare cose folli per una causa persa. Questa guerra non è destinata a finire con un armistizio, è destinata a finire con una strage. Nessuno si fermerà. Tutto ciò che ci rimane è sperare, ma non ti permetterò di guardarmi morire. Sai che non potremo nasconderci per sempre, non c’è un posto dove possiamo stare insieme. Possiamo solo pregare in un miracolo.”

Rahma scosse la testa.

“Non li lascerò vincere così. Non lascerò che mi portino via te.”

Rahma non poteva crederci. Erano davvero arrivati a questo punto? Avrebbe voluto semplicemente prenderle il viso tra le mani e baciarla, farle capire che non le importava niente. 

Ma sapeva che non avrebbe avuto nessun diritto di farlo. 

Si prese la testa tra le mani quasi come a voler mandare via quel pensiero, ma non servì a niente. Sentiva la rabbia bruciargli nel petto, divorarlo dall’interno. 

In preda all’istinto si voltò di scatto tirando un pugno al muro e Aerith trattenne il respiro quando vide la sua mano affondare dentro il cemento, come se questo non avesse avuto una consistenza solida. 

Quando alzò di nuovo lo sguardo, Rahma vide il terrore negli occhi di Aerith. Aveva appena fatto un altro passo falso: vedere quel gesto le aveva tolto il fiato. Le aveva ricordato che per quanto potesse volergli bene, lui era comunque un suo nemico. Il nemico che le aveva appena detto di amarla. 

Rahma spostò la mano dal buco che aveva fatto nel muro. Aveva sentito il respiro di Aerith fermarsi per qualche secondo. Per anni aveva cercato di nasconderle la sua vera forza, probabilmente perché sapeva che essere a conoscenza di cosa avrebbe potuto fare la avrebbe spaventata a morte. 

Così come la avrebbe spaventata sapere che quello era niente in confronto a ciò di cui sarebbe stato capace o conoscere il significato dei disegni che portava sulle mani. Quelle incisioni sulla pelle che erano diventate la sua condanna, il simbolo di una famiglia che lui avrebbe rifiutato volentieri. 

Aerith nel frattempo aveva fatto qualche passo indietro, fino ad arrivare con le spalle al muro. Il suo cervello aveva già inconsapevolmente iniziato a cercare vie di fuga, quasi a prendersi gioco del suo cuore che invece le urlava che quello era sempre il Rahma che conosceva, quello che la aveva accudita quella notte e che aveva accolto le sue lacrime. Avrebbe voluto avvicinarsi, abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene, ma per qualche strano motivo, aveva paura di lui. 

Rimase a fissarlo immobile e Rahma si sentì sconfitto.

Si girò lentamente, e senza guardarla mai negli occhi si diresse verso l’armadio da cui tirò fuori una felpa nera che indossò. Poi, sempre senza guardarla, si diresse verso la porta. 

“Se hai fame, c’è qualcosa nell’armadio in cucina. Io non starò via per molto, ma tu ricordati di tenere chiuse le finestre e di non rispondere al telefono” 

Attese fino a quando Aerith annuì, poi si diresse verso la porta d’ingresso dell’appartamento e uscì.

Prima di avviarsi verso le scale, inserì la chiave nella toppa e la fece girare due volte.

Gli dispiaceva farla sentire imprigionata, ma chiuderlo dentro era l’unico modo per essere certo che lei fosse al sicuro.

Cercando di calmarsi, cominciò a salire le scale fino ad arrivare al tetto del palazzo, proprio nello stesso punto dove la notte prima era atterrato con Aerith in braccio.

Il sole ormai basso aveva colorato il cielo di Avalea di un rosso incredibile e le ombre dei palazzi ormai in disuso creavano uno spettacolo tetro ma tremendamente affascinante. 

Avalea era stata la città più bella del mondo un tempo. Ora era solo l’eco di qualcosa che non esisteva più.

Rahma chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Non si sarebbe spostato in volo questa volta: era ancora giorno e preferiva evitare che qualcuno riferisse di aver visto uno xenon volante sopra il proprio tetto. 

Per sua fortuna però, disponeva di un mezzo molto più rapido, di cui nemmeno Aerith era a conoscenza: era uno dei pochissimi xenon rimasti in grado di smaterializzarsi. Un processo simile a quello che gli umani chiamavano teletrasporto che gli aveva consentito di spostarsi per anni senza che nessuno lo scoprisse.

Ad occhi chiusi visualizzò il luogo dove doveva arrivare e lasciò che il suo corpo si dissolvesse nell’aria. Quando i suoi piedi toccarono terra nuovamente riaprì gli occhi: il posto dove si trovava era stato usato per anni come parcheggio, fino a quando le macchine non erano quasi completamente sparite dalla circolazione. L’enorme androne in pietra grigia era inondato dalla luce rossa del sole che penetrava dalle finestre rotte e i pilastri creavano dei tetri giochi di ombre. Quel posto puzzava di chiuso e di vecchio, ma il fatto che nessuno vi si avvicinasse lo rendeva un luogo perfetto per Rahma e per molte altre persone che come lui sopravvivevano grazie all’enorme rete di contrabbando sviluppatasi in città.

Anche di quell’aspetto della sua vita Aerith non aveva mai saputo niente. Poteva solo immaginare la sua reazione se lo avesse scoperto e Rahma pregava che quel momento arrivasse il più tardi possibile. 

Non era fiero di ciò che faceva, ma per quale motivo si sarebbe dovuto preoccupare dell’opinione altrui quando quasi tutti i suoi simili si erano macchiati di crimini ben peggiori? 

Lui era un ladro, ma almeno non si era mai sporcato le mani di sangue combattendo in nome di un pazzo.

Aveva cominciato a rubare anni prima, quando la sua famiglia lo aveva cacciato di casa: Rahma era molto più forte della maggior parte, più veloce e più furbo. Ci aveva messo poco ad imparare come contrattare per del cibo in cambio di armi o dei pochi oggetti tecnologici rimasti in circolazione da quando la guerra era iniziata. In un mondo dove le informazioni erano fondamentali, la gente era disposta a pagare a peso d’oro un telefono o un ricevitore radio. 

Aveva imparato dove trovare gli oggetti che i suoi sempre più numerosi clienti necessitavano e aveva iniziato a scambiarli per cibo e medicine, gli stessi che poi portava ad Aerith di nascosto. Il teletrasporto e la capacità di volare si erano rivelati fondamentali per quello era diventato il suo lavoro, così come era fondamentale la sua necessità di non farsi vedere e tantomeno riconoscere. 

Non poteva nascondere di essere uno xenon e chiunque fosse della sua razza non avrebbe avuto bisogno di vedere i suoi marchi per capire che avevano di fronte qualcuno con cui era meglio non litigare, ma quelle linee nere sulle sue mani avrebbero rivelato troppe informazioni su di lui.

E ogni giorno, il rischio che qualcuno scoprisse chi era diventava sempre più concreto.

Era un mondo pericoloso quello dove si era infilato: una parola di troppo poteva voler dire finire sulla lista nera del governo e Rahma sapeva bene quanto fossero bravi a trovare le persone che cercavano. Poteva essere forte, ma non avrebbe avuto molte speranze di cavarsela se l’esercito lo avesse messo nella lista dei ricercati. Ancora meno ne avrebbe avute di salvare Aerith, se fosse arrivato ad esporsi così tanto.

Guardandosi intorno un’ultima volta per essere certo che non ci fosse nessuno nei dintorni Rahma si infilò un paio di spessi guanti neri e si coprì il viso con il cappuccio nero della felpa che indossava, poi cominciò a camminare verso il lato opposto del parcheggio.

Quel luogo era nella periferia nord di Avalea, uno dei posti meno esposti ai combattimenti della zona xenon di Avalea. Era lontano dalla zona rossa e soprattutto lontano dai soldati. Era abitata solo dai civili e di certo nessuno di loro sarebbe stato così incosciente da uscire dalla zona sicura per arrivare nella parte abbandonata.

Quei vecchi capannoni disabitati erano il principale punto di accesso ad un mondo sotterraneo di cui pochissimi conoscevano l’esistenza. Miglia e miglia di cunicoli sotterranei diramati sotto tutta Avalea. La popolazione si preoccupava della guerra, ignara che sotto i loro piedi ogni giorno passavano migliaia di casse colme di merce da contrabbando. Lì sotto c’erano più medicine e beni di primo soccorso di quanti ne fossero rimasti negli ospedali. 

Ogni tanto si domandava come potessero i governi non accorgersi di niente ed era abbastanza certo che in realtà stessero in qualche modo sfruttando la situazione a loro vantaggio. Stavano giocando tutti ad un gioco pericoloso e senza regole, ma prima o poi qualcuno avrebbe finito per lasciarci la pelle. Poteva solo sperare di non essere lui, ma ogni giorno che passava il rischio che correva era sempre più alto. 

Se qualcuno avesse capito chi era davvero si sarebbe trovato in guai seri.

Scuotendo la testa come per liberarsi di quei pensieri, Rahma ricominciò a camminare e si fermò solo quando si trovò davanti ad un tombino in la cui copertura in ferro era quasi completamente arrugginita. Quello era il punto d’accesso ad una rete infinita di cunicoli che correvano sotto tutta la città, permettendo ai contrabbandieri di spostarsi indisturbati.

Prima di entrare però, si voltò un’ultima volta a guardare il crepuscolo, mentre l’immagine del viso di Aerith tornava ad invadergli la mente.  

Era passata già mezz’ora da quando la aveva lasciata a casa da sola. Non avrebbe mai voluto abbandonarla, ma vedere quello sguardo di paura nei suoi occhi era stato troppo per lui. 

La sua immagine continuava ad apparirgli nella testa, spezzandogli il cuore. 

Se solo avesse potuto, sarebbe tornato di corsa da lei e la avrebbe abbracciata per ore, come se quello avesse potuto proteggerli da tutto ciò che stava succedendo. 

Aveva bisogno di sentire il suo profumo, il calore del suo corpo e la sua voce. Aveva bisogno di sapere che stava bene.

E quante volte aveva sognato di poterla baciare pur sapendo che lei non glielo avrebbe mai permesso…

Quando quell’immagine proibita gli invase la mente, Rahma capì che era arrivato il momento di muoversi. Non poteva permettersi certe speranze, lo sapeva bene.

Con un gesto sicuro, rimosse la copertura dal vecchio tombino. Era largo a malapena quel che bastava perchè lui potesse passarci, ma Rahma riuscì a calarvisi dentro, per poi ricoprire il vano con la lastra in ferro che aveva appena spostato.

Rimase qualche secondo al buio, permettendo ai suoi occhi di abituarsi

Poi, in silenzio, cominciò a camminare nell’oscurità.

** 

Nel momento in cui aveva sentito la serratura scattare, Aerith aveva sentito le gambe cedere e lei era scivolata per terra, con lo sguardo fisso nel vuoto. 

Se n’era andato.

La aveva lasciata li da sola. 

Quando lo aveva visto avvicinarsi alla porta aveva avuto l’istinto di correre a fermarlo. Non voleva che uscisse da quella casa. Non voleva rimanere sola e il pensiero di Rahma li fuori, in pericolo, la terrorizzava. 

Ma anche vedere Rahma distruggere un muro con una mano sola la aveva terrorizzata: il suo istinto le aveva gridato che quello che aveva di fronte era un suo nemico e il suo cuore aveva perso un battito di fronte a quella consapevolezza. 

Perchè era vera. 

Rahma era uno xenon, lei un’umana. Il predatore e la preda. 

E lei era l’agnello innamorato del lupo.

Fissò il buco che aveva lasciato nel muro.

Se avesse tirato un pugno del genere a lei, probabilmente le avrebbe sbriciolato qualche osso. 

Aveva sempre saputo che Rahma era molto più forte di lei, ma mai avrebbe pensato che fosse capace di fare una cosa del genere. E forse, pensò, quello non era nemmeno tutto. 

Si lasciò scivolare con la schiena contro il muro mentre cercava di riordinare i pensieri e di dare un’ordine razionale a tutti i dubbi che le vorticavano nella mente.

Vedere Rahma sotto quella luce aveva risvegliato in lei tutte quelle domande che non aveva mai potuto farli e tutte quelle risposte che lui le aveva fatto capire di non poterle dare. Domande sulla sua famiglia, sulla sua vita, sul perchè aveva così paura che qualcuno lo trovasse. 

L’immagine di Rahma che aveva andò a sovrapporsi con quella di poco prima e la ferocia che aveva visto in quegli occhi la spaventò a morte. Quello non era il suo Rahma, non era il ragazzo protettivo e razionale che conosceva. Non era il Rahma di cui si era innamorata.

O forse, era solo stata così egoista da non voler vedere.

Era palese che Rahma non fosse uno xenon come tutti gli altri che aveva visto: sapeva volare, era forte. Solo il suo fisico possente incuteva paura, con i suoi quasi due metri di altezza e dei muscoli degni di un guerriero ben addestrato.

Non che potesse escludere l’ipotesi che lui fosse in grado di combattere: il modo in cui si muoveva le aveva sempre ricordato quello di un predatore. Un predatore che però avrebbe dato la vita per proteggerla. 

E la verità, era che tutte quelle risposte che cercava, a lei non interessavano nemmeno così tanto. 

Non voleva sapere perchè Rahma non vivesse con la sua famiglia, non le importava del perchè fosse finito nella zona rossa e non le importava nemmeno di sapere come si guadagnava da vivere.

Tutto ciò che sapeva era che lo amava. Amava il suo sorriso, i suoi occhi argentati, la sua voce calda e i suoi abbracci. Amava il modo in cui si era preso cura di lei, ma odiava l’idea di saperlo costantemente in pericolo a causa sua.

Guardandosi intorno, si chiese in quali condizioni avesse vissuto negli ultimi sette anni. La casa era spoglia e i pochi mobili che la arredavano erano di pessima fattura, vecchi e alcuni persino arrugginiti. I muri del piccolo bilocale dovevano essere stati bianchi un tempo, ma necessitavano di una mano di vernice fresca. I fornelli erano collegati a due bombole di gas lasciate a vista ed appesa in un angolo della cucina una vecchia caldaia ronzava incessantemente da quando i riscaldamenti si erano accesi. 

Rahma le aveva detto che si spostava spesso e quello doveva essere il motivo per cui l’arredamento era così poco curato, ma quello di certo non giustificava il fatto che fosse costretto a vivere nella zona più pericolosa della città, nascondendosi da qualcuno a cui Aerith non avrebbe saputo dare un nome. 

Qualcuno che prima o poi avrebbe iniziato a cercare anche lei, a meno che non lo stesse già facendo.

Aerith tremò al solo pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se li avessero trovati insieme e per un attimo immaginò di tornare indietro a quel mattino, quando si era svegliata tra le braccia di Rahma. Erano nel bel mezzo di una guerra, ma si era sentita al sicuro. 

Se solo avesse potuto impedirgli di andare via…

La sola idea che Rahma potesse non tornare a casa le fece venire voglia di piangere, ma non poteva permettersi di essere debole. Non in quel momento.

Trattenendo una smorfia di dolore si puntellò con il braccio sul bordo del letto e riuscì ad alzarsi in piedi. La ferita alla gamba le faceva male ma non abbastanza da impedirle di camminare e lentamente riuscì ad arrivare al bagno. 

Quando vide il suo riflesso nello specchio le venne un colpo: la pelle del suo viso era spenta e tirata, con due occhiaie violacee in bella vista. Aveva le labbra screpolate, i capelli pieni di polvere e anche il resto del suo corpo non era in condizioni migliori. 

Aveva tremendamente bisogno di una doccia e  sperava che insieme alla sporcizia che aveva sulla pelle dalla sera prima, l’acqua avrebbe lavato via anche la confusione che le attanagliava la testa. 

Cosa stava facendo Rahma in quel momento? Erano passate ormai due ore da quando era uscito e lei era divorata dalla preoccupazione. 

Strinse la felpa che aveva addosso. Rahma gliela aveva messa la sera prima, dopo aver visto come era ridotta la sua maglietta. Aveva il suo profumo. 

Era un profumo che lei amava, il profumo che la faceva sentire sicura.

Facendo attenzione alle suture iniziò a spogliarsi e rimosse una ad una le bende che le avvolgevano la gamba e la spalla. L’aspetto delle ferite non era così nauseante senza tutto il sangue della sera prima, ma Aerith evitò accuratamente di guardarle mentre apriva l’acqua per farla scaldare. 

Quando vide il vapore iniziare ad appannare lo specchio si decise ad entrare nel box doccia, lasciandosi abbracciare dalla coccola rigenerante dell’acqua calda. 

Afferrò la bottiglia di bagnoschiuma rimasta sul fondo della doccia e cominciò a sfregare i capelli. Sentiva i residui di cemento tra le dita e ai suoi piedi l’acqua era diventata grigiastra per la polvere che le era rimasta addosso. Continuò a sfregare energicamente fino a quando l’acqua non tornò ad essere trasparente, poi passò al resto del corpo fino a quando non si sentì finalmente pulita. 

L’acqua calda sembrava averla rigenerata completamente ma Aerith non aveva ancora voglia di uscire. Si sedette sul pavimento in ceramica della doccia, stringendosi le ginocchia al petto e chiudendo gli occhi. 

Nel giro di una notte la sua vita era cambiata per sempre e lei avrebbe dovuto presto fare i conti con la realtà. Era rimasta sola. Non c’erano più ne una casa ne delle persone da cui tornare. Non avrebbe più visto il sorriso caldo di sua madre e non avrebbe più sentito la risata di suo padre. 

Erano morti.

Aerith trattenne il fiato mentre pronunciava con la mente quella parola. 

La morte era diventata una compagna macabra della sua vita da sette anni a quella parte, ma quello non la rendeva meno dolorosa. Un dolore sordo, un enorme buco nero che sentiva proprio al centro del petto che la stava divorando.

Un dolore reso ancora più implacabile dalla consapevolezza che non sarebbe mai potuta tornare indietro: il fatto che lei si trovasse in casa di uno xenon cambiava tutte le carte in tavola.

Ormai erano entrambi troppo compromessi perchè lei potesse ritornare nella zona umana per cercare i suoi genitori. Le avrebbero fatto delle domande e sapeva bene quanto gli ufficiali fossero bravi ad ottenere delle risposte. 

Forse, l’unica opzione era davvero quella di rimanere chiusa li dentro pregando che la guerra finisse in fretta. 

….sempre che fosse finita con la pace. Peccato che una pace in quel momento fosse la cosa meno plausibile a cui avrebbe potuto pensare. 

Sospirando appoggiò la fronte sulle ginocchia, lasciando che l’acqua calda le colpisse la schiena.

Era talmente sopraffatta dalla paura che le venne da piangere di nuovo. 

Avrebbe tanto voluto anche solo una briciola del coraggio di Rahma. Come aveva fatto ad andare avanti scappando e nascondendosi per sette anni? Dove aveva trovato tutta quella forza?

Forse era vero quello che le aveva detto sulla speranza e sull’amore, sul fatto che fossero l’unica via di fuga da quell’inferno. Sarebbe mai riuscita a crederci tanto quanto lo faceva lui?

Non ne era sicura. 

L’unica sua certezza in quel momento era che voleva vederlo entrare dalla porta sano e salvo, voleva abbracciarlo e sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Voleva proteggerlo come lui aveva sempre protetto lei. 

Fino alla fine, insieme

Rahma alla fine aveva ragione di nuovo: niente avrebbe potuto fargli più male di una vita l’uno senza l’altro e lei ci aveva messo così tanto a capirlo. 

Mentre usciva dalla doccia si trovò a sorridere tra se, con una nuova speranza a scaldarle il cuore.

Forse non era ancora tutto perduto.

 
  
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