Capitolo 4 –
Arrivo
Pov Bella
È incredibile
quanto può essere assordante il silenzio. È un amico fidato nella maggior parte
dei casi, ma sa essere anche subdolo e ingannatore. Perfino tentatore. Ti
sussurra nell’orecchio con le sue note mute, instilla idee, pensieri, parole.
Il paesaggio
scorreva veloce davanti ai miei occhi, ma non lo vedevo. Il vampiro era
silenzioso al mio fianco, fintamente concentrato sulla strada che gli si apriva
davanti. Chissà se i suoi pensieri erano simili ai miei. Chissà se il suo
silenzio era altrettanto rumoroso. Avrei voluto tapparmi le orecchie per
fermare il flusso dei pensieri.
“È fuggito lontano, subito dopo averti lasciato. Non
poteva soffocare il dolore di averti persa. Non siamo riusciti a fargli
cambiare idea”
Non riuscivo a
smettere di pensare alle parole di Carlisle. Dargli un senso era impossibile.
Inconcepibile. Almeno per me. Era quello che avevo risposto anche al mio padre
immortale, mentre chiuso nell’abitacolo accogliente ma freddo dell’auto che ci
portava a destinazione. dava voce a quei segreti “Davvero
Bella? Davvero non hai mai dubitato delle parole di Edward? Mai?”
Le parole di
Edward. Mi dispiace di averla fatta
durare tanto a lungo. Non voglio che tu venga con me. Sarà come se non fossi
mai esistito. Le ricordavo tutte. Glaciali, crudeli, affilate. Mi
squarciavano e spezzavano con la forza di mille lame. “Ha detto che sarebbe stato come se non fosse mai esistito”avevo
ribattuto io. Mi era sfuggita una risata amara. “A quello non ho mai creduto”
Carlisle si era
limitato ad annuire.”Il problema era la
mia anima, vero?Lui ha negato ma…” Aveva rivolto lo sguardo all’immensità degli
spazi aperti che quello stato regalava al mondo, non vedevo altro che verde e
il bianco in lontananza che già in
quella stagione avanza senza pietà pronto a conquistare ogni angolo. Mi
chiedevo cosa invece riuscisse a vedere lui. “Il problema era l’amore travolgente che provava per te e l’odio e la
repulsione che sentiva per se stesso.”
Ero rimasta in
silenzio da allora, persa nei ricordi, nel rimorso, nella rabbia per non essere
abbastanza. Per essere diventata ancora meno.
Nella paura di ciò che mi aspettava. Nel desiderio quasi insopportabile
di rivederlo. Ancora una volta. Mi occorsero diversi secondi prima di rendermi
conto di non sentire più il lieve ronzio del motore. Prima che mi accorgersi
che il mondo intorno a me era fermo, che non scorreva più.
«Bella.»
Inspirai forte.
La voce pacata di Carlisle mi aveva
colpito come una palla di cannone. Voltai lentamente la testa e mi persi nello
spettacolo davanti a me. Un enorme casa, non molto diversa da quella di Forks,
svettava imponente e maestosa davanti a me, incurante della neve che tentava
senza successo di ricoprire ogni cosa. Cinque figure attendevano immobili
davanti all’ingresso. Una di loro si staccò dalle altre.
Fu un lampo che
non riuscii a registrare. L’istante prima Carlisle era al mio fianco, quello
dopo la portiera era spalancata su un sedile vuoto, la figura del mio secondo
padre a pochi metri dall’auto, la sua schiena china in avanti ad abbracciarne
un'altra più piccola e minuta. Le bianche ed eleganti mani di Esme lo
stringevano in vita mentre il leggero tremore delle sue spalle scuoteva
entrambi, unico sfogo concesso a delle lacrime che non potevano più essere
versate.
Il singulto mi
scosse dal profondo, mi portai un mano alla bocca cercando di non lasciarlo
uscire, mentre le lacrime mi gonfiano gli occhi impazienti di fuggire al mio
controllo. Distolsi lo sguardo per rispetto quando le loro labbra si toccarono
con avida impazienza.
Mi riscossi
quando la mia portiera si aprì e il volto di Carlisle tornò a dominare il mio
campo visivo. Esme era alle sue spalle, gli occhi aperti, sbalorditi,
l’espressione incredula mentre mi guardava da dietro le spalle del marito
registrando ogni più piccolo dettaglio del mio corpo. Mi irrigidii per istinto.
«Bella» disse,
con la sua voce cristallina, incantevole come un coro di cherubini. Mi sforzai
di sorridere. «Ciao, Esme.» Il suo viso passò dall’incredulità alla
consapevolezza, dalla comprensione al dispiacere, per finire di nuovo in uno di
ammirazione e assoluta adorazione tornando sul suo compagno di immortalità.
«Bella. Ora ti
faccio scendere.»
Annuii a
Carlisle e attesi che recuperasse la sedia a rotelle. Tenni lo sguardo basso.
Non volevo guardare i volti di nessuno di loro. La pietà nei loro occhi mi
avrebbe ucciso. Lasciai che Carlisle mi sollevasse dal sedile, come se fossi un
bambina, aspettai guardandolo assicurarmi alla sedia a rotelle e posarmi una
coperta sulle gambe. Erano gesti del tutto automatici per noi, una routine a
cui non facevamo più caso ne lui ne io. Ma mai come in quel momento fui
consapevole di ogni gesto, espressione o movimento. Sentivo lo sguardo
penetrante dei vampiri su di me. Sollevai
lo sguardo. Quattro figure bellissime e assolutamente immobili si
ergevano in tutta la loro magnificenza di fronte a me, gli sguardi fissi
increduli e sbigottiti. Solo una di loro sorrideva, piccola e minuta, elegante
come una dea, gli occhi color caramello sembravano liquidi, piene di un
emozione potente.
«Alice» mormorai
sforzandomi di non piangere. Sobbalzai ritrovandomela davanti in un battito di
ciglia, forse meno. Carlisle alle mie spalle si irrigidì.
«Piano Alice.
Non spaventarla» La vampira sollevò il volto angelico sul nostro padre
adottivo, leggermente spiazzata da quel rimprovero. «Mi dispiace» disse
tornando a guardarmi. «Bella. Mi sei mancata» la sua voce si spezzò in un
singhiozzo strozzato.
Annuii. Non ero
capace di niente di più. Milioni di volte avevo pensato e ripensato a tutte le
cose che avrei voluto dirle se un giorno l’avessi rivista. Fiumi di domande,
distese di parole, milioni di perché. Ma in quel momento non c’era niente in
me. Allungai una mano e sfiorai delicatamente una delle sue.
«Alice» la voce mi si era già spezzata. «Grazie» fu
tutto ciò che riuscii a dire. Non servivano milioni di parole. O spiegazioni.
Non con Alice.
Emmett, Rosalie e Jasper attendevano nella loro
incredibile immobilità a pochi passi da me. I volti innaturalmente perfetti. Alice
raggiunse il marito, mentre Carlisle spingeva lentamente la mia sedia a
rotelle. Non mi staccavano gli occhi di dosso. Ma tutto ciò che riuscivo a
pensare io, era : lui non c’è.
Mi accorsi vagamente che Carlisle si era avvicinato ai
suoi figli, salutandoli. Sentivo mormorii di stupore e credo che qualcuno,
forse Emmett, stesse cercando di attirare la mia attenzione. Ma io non sentivo
niente. Non vedevo niente. Il muro di vampiri si era scostato e tutto ciò che
riuscivo a vedere, era il portico di ingresso della grande casa. Una distesa di
vetro e legno bianco. Una figura immobile mi fissava con occhi del colore della
notte. Il volto distorto in una smorfia di dolore e rabbia. Incredibilmente
pallido e visibilmente provato mi fissava con insistenza. I pugni erano serrati,
i denti scoperti. Non mi accorsi subito di cosa stesse succedendo, qualcosa
tremava e sussultava, scuotendomi in modo convulso. Il viso dell’angelo mutò in
un espressione terrorizzata, gli occhi si riempirono di un nero liquido come
petrolio. Qualcuno gridava il mio nome. Carlisle.
«Respira! Bella! Bella!»
Ero io. Io. I tremori che mi scuotevano venivano dal
mio petto. Non riuscii ad obbedire al mio padre custode, il cuore insisteva per
squarciarmi in due, voleva fuggire da quel dolore, da quel tormento.
«Edward»mi sentii dire, prima che il buio coprisse
ogni cosa.
Pov Edward
Quando credi di aver raggiunto il fondo dell’inferno,
questo si spalanca sotto i tuoi piedi per mostrarti quanto può essere infinito.
Il mio personale inferno dagli occhi di cioccolato me lo aveva appena
dimostrato. Avevo sbagliato tutto. Ogni cosa. Ancora una volta. Guardai mio
padre sistemare un'altra coperta sul suo corpo addormentato. Controllò i suo
parametri vitali per l’ennesima volta, i suoi pensieri erano tutti rivolti a
lei.
Dovresti
andare a caccia.
«Non la lascio»
Leggevo la disapprovazione di mio padre, mal camuffata
nella sua mente,per la mia testardaggine.
Edward. Non
voglio che si spaventi. Non deve agitarsi ancora. Non voglio che ti veda in
questo stato.
Inspirai. Mille lami affilate mi trafissero la gola
lacerandomi quasi fino a strozzarmi. Sentii gli occhi bruciare per la fame. Il
mostro dentro di me ruggì.
Dormirà per
almeno tre o quattro ore. Vai.
Non mi guardava nemmeno. Fissava Bella con la grazia e
l’immobilità che solo gli individui della mia specie erano in grado di
raggiungere. Sentivo il suo dolore come se lo vivessi attraverso Jasper. Ma era
così forte da essere tangibile. Una quarta presenza nella stanza. Soffriva per
lei, per il suo dolore. Lessi il senso di colpa che dominava la sua mente. Si
rammaricava di non essere arrivato in tempo. Era un litania continua. Non
riusciva a darsi pace.
«Non è colpa tua. Se c’è un colpevole sono io. Non
avrei dovuto…» Mi mancavano le parole. Prenderla? Lasciarla? Non ne ero sicuro.
Se fossi stato qualcosa di migliore del mostro che sono, non avrei mai dovuto
prenderla, non avrei mai dovuto lasciare che si innamorasse di me. Ma ero un
mostro e quindi mi rammaricavo di più di averla lasciata, di averla persa, di
averla lasciata andare.
Ero un mostro. E avevo scelto di amarla.
«Dimmi che cosa è successo. Ti prego.»
Una serie di flash scoppiarono nella mia mente come un
incendio nel buio della notte. Mio padre in uno studio medico, lo squillo del
telefono, la voce isterica e disperata di mia sorella dall’altra parte. “Non c’è tempo Carlisle, corri.” Il terrore nel cuore
di mio padre, “Ma Edward?” Alice era stata lapidaria. “No, devi farlo tu!” E
poi la corsa folle, il rumore di uno schianto che frusta l’aria con la potenza
di un onda d’urto e l’ode di sangue. L’odore paradisiaco del sangue di Bella,
insieme all’odore inconfondibile della morte. Charlie. Un groviglio di lamiere
accartocciato e rovesciato contro un albero, il corpo di Bella scomposto
riverso sull’asfalto nero in un mare di rosso.
Un urlo squarcia il silenzio della casa. Le immagini
cessano di colpo. E lo capisco solo in quel momento, lo vedo nella mente che
conosco fin dal primo istante della mia nuova non-vita. Il verso disumano di un
animale selvatico accartocciato su se stesso ridondante della sua stesa agonia.
Io.
E scappo. Fuggo. Corro. E sono nella foresta. Mi
seguono. Jasper. Emmett. Alice. Mi seguono, mi supplicano, mi implorano.
“Fratello, ti
prego”
E sono fermo. Immobile. Agonizzante. E loro sono
dietro di me. E poi sono rabbia. Attacco. Il volto spaurito di mia sorella mi
fissa con occhi spaventati. Stringo la presa sulle sue braccia.
«Perché? Dimmi perché?» E poi non c’è più. E Jasper mi
tiene fermo. Immobilizzato contro il troco di un albero. La mia mente è troppo
offuscata per prevedere le sue mosse. Non mi ribello. La guardo.
«Credi che
non ci abbai pensato?Credi che non abbia pensato di chiamarti immediatamente
appena ho avuto la visione? L'ho fatto. Certo che l’ho fatto…»La sua voce angosciata segue quella dei suoi pensieri.«Ho
corso fino a quasi a raggiungerti, poi quando mi mancavano solo poche miglia,
una visione mi ha annunciato che TU non mi avresti creduto. Non saresti corso
da lei, credendo che era solo un mio tentativo di costringerti a rivedere la
tua decisione. Sarebbe morta Edward. Carlisle a Seattle era il più vicino,
l'unico che poteva salvarla. Non avevo scelta.»
Sto scuotendo la testa, non riesco a pensare, non
riesco a sopportare. Voglio sapere. Voglio chiedere. Voglio perire. La visione
di Alice precede ogni cosa e lei sorride.
«Lei non ha voluto. Carlisle ha promesso. E anch’io.
Mi dispiace Edward.» Non voleva che tu
sapessi. Non voleva la tua pietà.
E cedo. Ora lo so. Non potro più tornare indietro. Non
da questo. Mai più.