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Autore: Signorina Granger    31/08/2017    5 recensioni
[Raccolta di One Shot dedicate ai protagonisti di "Dollhouse"]
Dopo l'arresto di Cecily DeWitt e la chiusura della Dollhouse gli Attivi hanno riavuto i loro ricordi, la loro vera identità e sopratutto la loro vita, che sono pronti a riprendere in mano.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Joseph 

 
Joseph Richardson Image and video hosting by TinyPic



Joseph Richardson teneva gli occhi fissi sul vetro della finestra, osservando distrattamente le piccole gocce di pioggia due si abbattevano sul vetro per poi scivolare verso il basso, disegnando lentamente delle linee. 

Non aveva mai amato particolarmente la pioggia, quando c’era quel clima i suoi occhi azzurrissimi tendevano di più al grigio, assumendo quasi il colore del cielo coperto dalle nuvole. A Clare piacevano, però, i suoi occhi in quei momenti. 

Quando i suoi pensieri volarono sulla moglie il suo stomaco si strinse inesorabilmente in una morsa dolorosa, ma l’Auror deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di scacciare l’immagine di quella bellissima ragazza bionda che gli sorrideva, mettendogli una mano sul viso prima di dirgli quanto le piacessero i suoi occhi. 

Anche a lui erano sempre piaciuti, i caldi e affettuosi occhi nocciola di Clare. Così diversi dai suoi, spesso molto freddi nei confronti di chi guardavano. 

Era così assorto che per qualche minuto nemmeno si accorse del pianto e degli strilli che provenivano dalla stanza accanto. Quando si riscosse l’Auror sospirò, alzandosi rapidamente dalla sedia di pelle per uscire dallo studio e raggiungere la loro – sua, si corresse subito mentalmente – camera da letto. 

“Scusa, tesoro…” 

Con un mormorio si avvicinò alla culla dove fino a poco prima sua figlia Diana aveva dormito placidamente, avvolta in un minuscolo body bianco. Ma ormai la bambina si era svegliata e richiamava attenzioni a gran voce. 

“Su, non piangere… ho capito, sono qui.” 

Finì col sorridere alla bambina che teneva tra le braccia, sfiorandole i capelli biondi mentre la piccola Diana muoveva le minuscole mani chiuse a pugno quasi come se stesse protestando per qualcosa. Forse perché ci aveva messo un po’ ad andare da lei? 


“Hai fame, vero?” 

Joseph sedette sul letto, tenendo la bambina – così piccola da riuscire a farlo usando solo una mano – per prendere il biberon che aveva lasciato sul comodino. Ci volle solo un attimo e un colpo di bacchetta per scaldare il latte e poi porse il biberon alla bambina, che subito smise di piangere e allungò le mani verso il suo tanto agognato spuntino. 

“Ecco. Va meglio, vero?” 

Era normale parlare così tanto con una bambina che di certo non capiva ciò che diceva? Forse nemmeno lo amava, troppo piccola persino per quello. 
Non sapeva se era normale o meno, ma non riusciva a farne a meno da quando l’aveva portata a casa dall’ospedale due settimane prima. Aveva soltanto lei, dopotutto, non riusciva a non parlare con nessuno. 

Guardò Diana rilassarsi e chiudere gli occhi azzurri con aria beata, tenendo mollemente il biberon con le mani mentre Joseph sorrideva, accarezzandole i capelli: aveva i suoi occhi, non quelli di Clare. Non sapeva se esserne felice o meno… forse sarebbe stato doloroso guardarli ogni giorno per il resto della sua vita, ma allo stesso tempo già gli mancavano tremendamente. 

Quando glie l’avevano messa tra le braccia per la prima volta e gli avevano chiesto il nome lui, ancora scosso e praticamente in lacrime, non aveva saputo cosa rispondere. Lui e Clare avevano deciso di chiamarla Diana e Melanie di secondo nome, ma per un attimo si chiese se non sarebbe stato meglio chiamarla come la madre… ma poi si era detto che l’avrebbe chiamata come sua moglie aveva deciso. 

Non aveva mai visto nessuno felice come Clare quando aveva superato i tre mesi di gravidanza e, facendo l’ecografia, era risultato tutto in perfetto ordine. Era riuscita ad avere un figlio, finalmente, ma era stato il suo stesso più grande desiderio ad ucciderla. 


Due settimane. 
E la voleva disperatamente indietro. 


*

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“Diana? Dove ti sei nascosta, piccola peste?” 

Joseph Richardson si appoggiò mollemente all’apertura del muro, studiando il salotto in cerca di una figurina avvolta in un body rosa. 

Sentì una vivace risata e sorrise, osservando il divano, certo che fosse lì dietro. 
Molti gli avevano chiesto se fosse in grado di badare a sua figlia subito dopo aver perso la moglie, ma lui si era rifiutato di lasciarla a qualcun altro, persino ai suoi stessi genitori. Di sicuro sarebbe stato difficile farlo da solo, di certo Clare sarebbe stata molto più materna di lui, ma era la sua bambina, sua e di Clare, non l’avrebbe mai lasciata a nessun altro. Aveva anche deciso di non andare al lavoro per i suoi primi mesi di vita, fino ad un anno di età, facendosi mandare tutto a casa per stare con lei. 

“Chissà dove si è nascosta…” 

Sbuffò debolmente, avvicinandosi al divano prima di lasciarcisi cadere sopra, sentendo ancora la risatina della figlia che pochi minuti prima era sfuggita alla sua presa, gattonando in giro per casa e giocando a nascondino. 

Dopo qualche istante l’uomo si voltò, abbassando lo sguardo e sorridendo alla bambina bionda che ricambiò, ridacchiando:

“Eccoti qui!” 

Diana fece per darsi alla fuga gattonando ma il padre fu molto più rapido, afferrandola prontamente per mettersela in grembo e farle il solletico. 

“Credevi di sfuggirmi, piccoletta? A papà non sfuggono neanche i criminali, figuriamoci una bambina piccola come te.” 

Sorrise nel guardare la bambina contorcersi e ridere a causa del suo tocco, e ancora una volta Joseph si ritrovò a chiedersi se fosse felice o meno di averla data vinta a sua moglie, quasi due anni prima, ad acconsentire a provare un’ultima volta ad avere un figlio. 

Se non l’avesse fatto Clare sarebbe stata ancora viva, ancora lì con lui. Ma allo stesso tempo non avrebbe avuto Diana. Non sapeva dire se preferisse riavere indietro la moglie o immaginare di tornare alla vita di prima senza la figlia. 

“Papà ti ama tanto, lo sai?” 
Smise di farle il solletico, prendendola delicatamente per la vita per poi sollevarla, guardandola dritta negli occhi molto simili ai suoi, solo decisamente più vivaci e spensierati. 

“E anche la mamma ti avrebbe amata tantissimo, Didi.” 


*


“Lo so che non è molto buono, ma devi mangiarlo.” 

Joseph sbuffò, continuando a tenere il piccolo cucchiaio di plastica azzurra a mezz’aria, davanti al viso della figlia. Lei per tutta risposta si voltò, imbronciandosi e allungando una mano per indicare il suo piatto, con bistecca e patatine fritte. 

“Vorresti le patatine, eh mia cara? Eh no, è roba da grandi quella, dovrai aspettare un po’. Su, fai la brava.” 

Dovette forzare un po’ la mano ma riuscì ad imboccarla per altre due volte, infilandole in gola l’omogeneizzato. 

“Ma che brava… non era così difficile, vero?” 
Joseph sorrise alla figlia, che ricambiò mentre il padre si sporgeva per pulirle la bocca con il bavaglino. 

“Pa-pà.” 

L’Auror bloccò la mano a mezz’aria, osservando la bambina con tanto d’occhi:

“Che hai detto?” 
“Pa-pà.” 

Diana sorrise, guardandolo con gli occhi chiari luccicanti mentre il padre sorrideva di rimando:

“Sì, sono il tuo papà.” 

La prese in braccio, dandole un bacio su una guancia e facendola ridacchiare leggermente. Ovviamente sapeva che per lei erano solo due sillabe, che aveva sentito spesso quando lui le diceva di “mangiare la pappa”… ma non gli importava nemmeno, per quanto lo riguardava Diana aveva appena detto proprio “papà”.


*


“Didi… papà domani va al lavoro…” 
“In braccio.” 

Diana, gli occhi lucidi, allungò le piccole braccia pallide verso di lui mentre era in piedi nel suo lettino. L’aveva trovata in lacrime e aggrappata alle sbarre poco prima, quando si era svegliato di colpo sentendola strillare. 

“Va bene…” 

Sospirò, chinandosi per prendere in braccio la bambina di un anno e mezzo che aveva davanti, accarezzandole i capelli mentre girava sui tacchi, uscendo dalla sua cameretta per tornare in camera sua. 
Sapevano entrambi come sarebbero andate le cose, dopotutto… esattamente come la sua principessina voleva, ossia dormire con lui. 


“Ecco. Ma ora basta piangere, ok?” 

Diana annuì, sorridendo mentre il padre la sistemava al centro del grande letto prima di stendersi accanto a lei e, come al solito, la bambina andò ad accoccolarsi accanto a lui, lasciandosi abbracciare con aria soddisfatta. 


*


La Dollhouse
Cecily DeWitt 
Melanie 


Scosse leggermente il capo mentre apriva la porta di casa, ripetendosi di non pensarci più, almeno per quella sera, e di godersi Diana e basta. 
Ne discuteva con Richard da giorni ormai, di trasferirsi lì per un po’ per verificare se Melanie fosse davvero stata lì… senza contare che il Dipartimento cercava comunque di mettere le mani su quella fantomatica associazione da diverso tempo. 


“Buonasera, Signor Richardson.” 
L’Auror rispose debolmente al sorriso della ragazza che aveva di fronte mentre si sfilava il cappotto, abbandonandolo sul divano:

“Ciao Stacey… Diana come si è comportata oggi?” 
“Bravissima come sempre, anche se oggi pomeriggio ha avuto una crisi di pianto perché voleva il suo papà. Tesoro? Vieni, c’è papà.” 

La baby-sitter si voltò, sorridendo alla bambina che era ancora fuori dal campo visivo del padre, ma solo per qualche altro istante: poi Diana fece la sua comparsa, correndogli incontro e sorridendo. 

“Ciao Didi… ti sono mancato?”   Joseph sorrise, prendendola in braccio e lasciandole un bacio su una guancia, vagamente consapevole dello sguardo della ragazza su di sé. 

Richard continuava a prenderlo in giro, ridacchiando e sostenendo che la maggior parte delle donne restavano a guardarlo con aria imbambolata quando lo avevano davanti, ma lui continuava a sbuffare e a liquidare rapidamente quei discorsi.


“Non mi interessa, Rick.” 
“Joe, lo so che ti manca Clare, dico solo che…” 

“Non mi interessa. Al momento mi concentro sul lavoro e su mia figlia, nient’altro… avere una relazione è l’ultimo dei miei interessi.” 

Sì, anche dopo quasi due anni Clare gli mancava tremendamente… ma faceva una sorprendente fatica a dirlo ad alta voce, fin troppo orgoglioso persino per ammetterlo. 


*


“Papy? Perché non andiamo a trovare lo zio Rick al lavoro?” 
“Beh, cucciola… papà ha cambiato lavoro, di recente.” 

“Perché? Hai litigato con lo zio?” 
“No amore, avevo solo voglia di cambiare.” 

“Ok, ho capito.”    Diana annuì prima di voltarsi nuovamente, tornando a concentrarsi sulla TV e sul cartone che stavano guardando… Cenerentola, manco a dirlo. 

Joseph sorrise, accarezzandole i capelli mentre la bambina si era seduta accanto a lui, stringendo la sua bambola di pezza sottobraccio. 

“Anche io voglio una fata madrina!” 
“Davvero? Ma la fata madrina arriva solo dalle ragazze che non hanno i genitori piccola.” 

“Ma uffa!” 
“Se vuoi posso andare via, allora… Faccio le valige e parto.” 

L’ormai ex Auror inarcò un sopracciglio, facendo per alzarsi dal divano e cercando di non ridere di fronte all’espressione sgomenta della figlia, che lo afferrò per la camicia e lo implorò di non andare via, abbracciandolo. 

“Scherzavo cucciola, non vado proprio da nessuna parte senza di te.” 


*


“Diana, ascoltami. Non sto scherzando. Non devi mai più andare insieme a quelle persone, hai capito? Non devi andare con nessuno che non sia io, i nonni o qualche collega di papà, ok?” 


Diana annuì, guardandolo quasi con aria malinconica mentre il padre sospirava, inginocchiato davanti a lei nell’ingresso di casa. Gli venivano ancora i brividi pensando a quando, poco prima, l’aveva trovata nella Casa. 

“Scusa… sei arrabbiato con me?” 
“No. No, non sono arrabbiato con te Didi, papà ti vuole bene e non vuole che ti succeda niente.” 

Abbracciò la figlia e la bambina ricambiò la stretta, appoggiando la testa sulla sua spalla mentre Joseph le accarezzava le trecce, parlando a bassa voce:

“Ora devo tornare al lavoro… Questione di pochi minuti, ok? Devo parlare con la signora bionda. Torno subito.” 
“Va bene… poi guardiamo i cartoni?” 

“Certo. Vai a giocare adesso.” 

L’ex Auror annuì, dando una leggera spintarella alla bambina, che annuì prima di trotterellare via. 
Poco dopo Joseph uscì di casa per Smaterializzarsi, ma solo dopo aver sigillato la porta con la magia e aver aumentato gli incantesimi di protezione.

No, non gli avrebbe portato via anche sua figlia, dopo Melanie 


*


Era salito al piano di sopra per andare a chiamare Diana, dirle che era pronta la cena… non l’aveva trovata nella sua stanza, ma percorrendo il corridoio per controllare se fosse nel suo studio si era fermato di colpo accanto alla porta della sua camera da letto, gli occhi azzurrissimi fissi sulla bambina che si era inginocchiata accanto al letto matrimoniale, davanti al comodino dove teneva l’abat-jour, un paio di libri, la sveglia e soprattutto una fotografia incorniciata del giorno del suo matrimonio. 

Diana teneva gli occhi fissi proprio su quella foto, osservando il volto della madre che mai aveva visto dal vivo e quello di suo padre, di circa dieci anni più giovane rispetto a quello che conosceva e vedeva ogni giorno. 
Joseph non disse niente e nemmeno si mosse, non seppe perché ma voleva osservare la scena, vedere che cosa stesse facendo sua figlia. 

Diana non faceva mai molte domande su sua madre… era cresciuta senza di lei fino a quel momento, sembrava accettare di non avere un genitore per la maggior parte del tempo. Eppure in quel momento era lì, impegnata a studiare il volto sorridente e felice di sua madre. 

Dopo qualche istante la bambina si mosse, abbassando lo sguardo su qualcosa che teneva tra le mani ma che, da quella prospettiva, Joseph non riuscì a vedere. La vide semplicemente prendere in mano un piccolo pezzo di carta e sistemarlo sulla fotografia, incastrandolo nella cornice proprio in mezzo alla foto, tra le immagini sorridenti dei genitori. 

Poi la bambina si alzò, sorridendo quasi con aria soddisfatta prima di uscire trotterellando dalla stanza, rivolgendogli un sorriso:

“È pronto da mangiare papà? Ho fame.” 
“Sì, vai di sotto… io arrivo subito.” 

La guardò allontanarsi nel corridoio prima di entrare nella stanza, avvicinandosi al comodino per riuscire a vedere che cosa avesse sistemato sulla foto la figlia. 
Quando posò gli occhi sul piccolo disegno che la bambina aveva fatto sorrise, ma allo stesso tempo gli si inumidirono quasi gli occhi, cosa che non succedeva praticamente mai. 

In mezzo a lui e a Clare Diana aveva messo un piccolo pezzo di carta che ritraeva una bambina bionda con un vestitino azzurro addosso.


*


“Papy, perché tu fai le magie e io no?” 
“Beh, dovrai impararle andando a scuola, cucciola.” 

“Ma io ci vado già a scuola!”   Di fronte alla puntualizzazione della figlia Joseph sorrise, lanciando un’occhiata ai piatti che si stavano lavando magicamente da soli:

“Certo… ma quando sarai più grande andrai in una scuola speciale, dove imparerai a fare le magie. È un enorme castello come quello delle favole, penso che ti piacerà.” 
“E dov’è?” 
“A nord, in Scozia… è un po’ lontano da qui, ci si arriva in treno.” 

“Lontano? Quindi non ti vedrò tutti i giorni?” 
“No tesoro… vivrai lì e tornerai a casa per le vacanze, come ho fatto anche io.” 

Joseph guardò Diana, seduta al tavolo della cucina e impegnata a colorare, sgranare gli occhi con orrore prima di parlare di nuovo, scivolando giù dalla sedia:

“Allora non voglio andare a scuola! Voglio stare con te.” 
“Tesoro, ci andrai tra sei anni… cambierai idea.” 

“No invece. Non ci voglio andare!” 


L’Auror, allibito, guardò la figlia girare sui tacchi e correre fuori dalla stanza, sentendola salire le scale poco dopo. 
Non aveva mai pensato a quell’eventualità, in effetti, che lei non volesse andare ad Hogwarts… forse era sempre stato troppo attaccato alla sua unica figlia? 

Non che lui morisse dalla voglia di vederla andare ad Hogwarts, in effetti… e poco dopo si ritrovò nella camera della bambina, seduto accanto a lei per abbracciarla e assicurarle che sarebbero stati sempre insieme per molto altro tempo.


*


“Ok, ora devi andare… divertiti, ma cerca anche di impegnarti. E se qualcosa non va scrivimi, ok?” 

Diana annuì, sorridendo al padre che le stava sistemando il bavero della giacca, inginocchiato davanti a lei. Finalmente quel giorno era arrivato, aveva portato per la prima volta Diana a King’s Cross… ma non poteva certo dire di essere felice.

“D’accordo. Mi mancherai, papà.” 
“Mi mancherai anche tu Didi.” 

Joseph sospirò mentre l’abbracciava, non potendo fare a meno di pensare all’ultima volta in cui aveva salutato qualcuno in quella stazione. Aveva salutato sua sorella proprio lì, anni prima, e non l’aveva mai più rivista, non per davvero. 

Si ordinò mentalmente di non pensarci, che ormai Cecily DeWitt aveva smesso di rappresentare un problema già da sette anni. No, sua figlia sarebbe stata benissimo ad Hogwarts, ne era certo. 

“Secondo te in che Casa finirò papà?” 
“Non lo so… forse Tassorosso, come la mamma. Le somigli molto.” 

Diana sorrise quasi con orgoglio sentendosi dire quelle parole e Alpha ricambiò, ripensando a quando, la sera prima, la figlia si era infilata nel suo letto per dormire con lui come aveva fatto milioni di volte quando era piccola. 
Sì, gli sarebbe mancata tremendamente.



Pochi giorni dopo ebbe la conferma di non essersi sbagliato: Diana gli inviò una lettera, scrivendogli che era stata Smistata a Tassorosso, che il castello le piaceva moltissimo e che non vedeva l’ora di imparare a fare tutte le cose che gli aveva sempre visto fare fin da piccola. 

Joseph ripiegò quella lettera, mettendola nel cassetto della sua scrivania dove teneva ancora le ultime lettere che gli aveva scritto Melanie, insieme a qualche fotografia, sia della sorella che di Clare. Non si liberò mai del contenuto dell’intero cassetto. 











…………………………………………………………………….
Angolo Autrice: 


Nuova OS a tempo di record, ho sempre amato troppo Joseph per metterci molto a scrivere il suo capitolo. 
E con questa chiudo definitivamente la Raccolta ma anche Dollhouse, ancora un enorme grazie per avermi mandato questi OC e per aver seguito la storia, anche se come avrete notato Carter non compare nell’Epilogo e nemmeno in questi “capitoli extra”, anche Keller nelle OS è apparsa solo di sfuggita, questo perché le rispettive autrici non si fanno sentire da un bel po’ di tempo. 

Detto ciò, spero che quest’ultimo capitolo vi sia piaciuto… grazie per aver apprezzato il mio Joseph, sia come Auror ma anche come l’Alpha che vi ho inizialmente presentato. Anche se per me rimarrà Alberto, temo, come l’ha soprannominato Phebe fin da subito XD 

A chi partecipa ad altre mie storie a presto, per le altre ovviamente spero di incrociarvi di nuovo. 

A presto, 
Signorina Granger 

   
 
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