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Autore: Wednesday88    04/09/2017    0 recensioni
Halamshiral, capitale dell'Impero delle Maschere, è salva. La duchessa Floriane de Chalons è stata sconfitta e di Corypheus sembrano essersi perse le tracce. Il mago eretico Solas sta provando qualcosa di più del semplice affetto per Elanor Lavellan e le chiese un ballo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cole, Dorian Pavus, Inquisitore, Solas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Il viaggio di ritorno a Skyhold fu tra i più disastrosi degli ultimi tempi, pioveva a dirotto da giorni, i cavalli con i carri arrancavano. Il Custode Blackwall e Varric spesso si fermavano a causa del fango che inghiottiva le ruote dei carri: perfino l’agile halla bianco di Elanor, simbolo del suo popolo, procedeva con difficoltà nella fanghiglia. Ci dirigemmo verso Emprise du Lion, cercando il più possibile di aggirarlo, il pericolo in quella zona era più che palpabile e la nostra sola presenta poteva dar luogo ad esplosioni incontrollate di violenza. Non eravamo propriamente adeguati ad un assalto dei Templari Rossi e i consiglieri lo sapevano.
 
Una carovana di Dalish si aggiunse al nostro convoglio: il Comandante Cullen era un uomo misericordioso e giusto, non li avrebbe lasciati a loro stessi con questo tempo inclemente: li avrebbe soccorsi e poi avrebbe permesso loro di viaggiare con noi per un tratto di strada. Non avevamo molto in comune io ed il Comandante: lui un passato da Templare, professione all’epoca rispettabile e di elevato onore, fu un reduce dal massacro di Kirkwall dove un mago umano di nome Anders diede inizio alla rivolta dei maghi contro i Templari, facendo esplodere il Circolo. La guerra che ne conseguì ben presto dilagò in tutto il Ferelden. Il nostro Comandante aveva perso amici e compagni, ma è ora a capo di una delle più grandi ed influenti organizzazioni della storia recente di tutto il Thedas meridionale. La Cercatrice Cassandra aveva visto in Cullen un potenziale enorme e lo mise a capo del comparto tattico dell’Inquisizione stessa. Mentre io? Io sono un Elvhen: un elfo mago eretico, dal passato solitario che ha studiato la sua magia da autodidatta vagando per il Ferelden e i Liberi Confini, o almeno così ero solito presentarmi. Ero un emarginato: dai clan Dalish venivo deriso ed ero visto come un pazzo visionario per aver parlato loro dell’Oblio e mettendoli in guardia dalle sue ombre incontrollabili da menti non addestrate. Mi innervosivano loro e le loro stupide credenze, i vallaslin prima di tutto. Quel loro marchio, un tatuaggio che portavano sul viso con orgoglio in onore dei loro Dei, simbolo di un’antica schiavitù ormai da tutti loro dimenticata. Dagli umani non ero considerato una minaccia o un giullare, si limitavano ad ignorarmi, semplicemente. Nessun Circolo dei maghi mi offrì protezione e sostegno per i miei studi sull’Oblio e sul Velo. Il mondo del Sogno non era un campo di interesse dei Circoli, né la magia del sangue. Non presero nemmeno in considerazione che le due cose assieme non possono coesistere.

“Buongiorno Solas. Come procede? Il tuo cavallo come sta?” una Josephine raggiante, avvolta nel suo mantello di lana leggera, accostò il suo cavallo al mio, i suoi grandi occhi scuri mi fissavano felici. “Buongiorno Ambasciatrice Montilyet, procediamo a stento, ma è sempre meglio che doversi accampare: il territorio del Leone non è per niente sicuro. Il cavallo è stufo e sbuffa in continuazione. Non ne vuol sapere di procedere così a rilento.” anche Josephine faceva fatica a trattenere il suo cavallo bianco, si sforzava di frenarlo, in una corsa a briglia sciolta su questo terreno avrebbe potuto rompersi una zampa. Non era il caso. “Le piogge autunnali sono sempre in agguato, speriamo di raggiungere Skyhold nei prossimi tre, al massimo cinque giorni. Ci sono questioni della massima urgenza da svolgere.” mi disse divenendo ansiosa all’improvviso. “Rilassati Josie – intervenne leggera Leliana – hai trovato almeno il tempo di guardare le terme durante il soggiorno ad Halamshiral?” Josephine calò la testa colpevole. Dava tutta se stessa per assicurarsi che l’Inquisizione potesse avere la strada spianata e la politica di due Stati rivali sempre favorevole alla sua causa, era un lavoro tutt’altro che facile e invidiabile, ma lei lo eseguiva alla perfezione. “Non c’è motivo di preoccuparsi, arriveremo quando sarà giusto arrivare. Non possiamo mettere a repentaglio la nostra carovana né quella del clan Dalish su un terreno così imprevedibile.” incalzai. “Hai ragione Solas, devo solo imparare a rilassarmi. Il Gioco, mi ha lasciato troppo nervosismo, una patina di ansia che farò fatica a levare.” Sorrisi. La nostra Ambasciatrice mostrava al pubblico il suo lato più inflessibile ed adamantino, con noi dimostrava di avere sentimenti e fragilità, mi rincuorava. Spronò il cavallo e raggiunse il Comandante Cullen in testa al convoglio.
“Come va con Elanor? Vi ho visti ballare al terrazzo la sera del ballo.” mi chiese Leliana con un ghigno curioso. “Non era mia intenzione rovinare la reputazione dell’Inquisitrice – mi difesi sentendomi vulnerabile di fronte alla nostra Capospia – solo, volevo avere un momento per stare con lei.” Scoppiò a ridere, mi pietrificai. “Non volevo accusarti di aver minato alcunché Solas, non hai messo l’Inquisizione in una posizione scomoda, vi hanno visto poche persone e per lo più ubriache e inebriate dagli eventi della serata. Il Gioco vale se le persone sono sobrie e possono ricordare gli eventi. Mi fa piacere che abbiate avuto modo di ballare. É già stato abbastanza frustrante vedere la tua dama ballare con il nemico. Te lo sei meritato, dopo tutto.” Feci un cenno di assenso con il capo, aveva ragione, è stato ben più che frustrante, sapevo che più di metà degli ospiti erano spie ed il ballo era l’unico momento in cui Elanor e Florianne potevano parlare abbastanza liberamente e senza troppi timori di essere ascoltate dalla corte, così intimamente vicine. Così esotiche. Il pensiero di quello che successe dopo mi fece arrossire e non potei controllarlo. “Siete poi spariti tutta la notte, Josie era preoccupata da morire, avrebbe rivoltato il Palazzo d’inverno se non fossi intervenuta. Conosco i sentimenti che vi legano, non ho potuto non notarli, Elanor tiene molto a te e tu tieni a lei allo stesso modo, tienila al sicuro.” rimasi a bocca aperta. Dimenticandomi che lei non era una persona normale, sapere tutto di tutti discretamente era parte del suo lavoro. “Non era mia intenzione far preoccupare l’Ambasciatrice, avevamo bisogno di prendere una boccata d’aria e siamo andati ai giardini sul crinale est. Siamo rimasti lì tutta la notte.” spiegai in evidente imbarazzo. Il mio viso ardeva. “Ci sono cose che devono rimanere intime Solas, non ti preoccupare, ci sarà sempre gente che disapproverà la vostra unione, sia all’interno che all’esterno dell’Inquisizione. Se la senti vera, vivila. Non preoccuparti di cosa pensa il resto del mondo. Conta quello che lei pensa di te. Vi meritate il meglio, voi siete brave persone e avete entrambe sofferto abbastanza. Lei conta molto sulla tua guida ed il tuo appoggio, sei il suo confidente più intimo...” continuò la Capospia. “Mi stai chiedendo – la interruppi ringhiando – di condividere con te le conversazioni private tra me ed Elanor, Usignolo?” Leliana sbarrò i suoi occhi azzurri. “No Solas, sto dicendo che sei colui che ha scelto di amare.”
 
Ci accampammo per un’ultima volta a sud di Skyhold. Dopo dei giorni di pioggia incessante e ritmi rallentati il sole fece capolino all’orizzonte. In seguito alla conversazione con Leliana decisi di non montare la mia tenda e passare la notte da solo, lontano dall’accampamento. Dopo la notte ai giardini sul crinale io ed Elanor non avevamo avuto molti contatti, i consiglieri la assorbivano quasi completamente e non le lasciavano molto tempo libero, né per lei, né per noi. Il tempo lo trascorrevo scrivendo le mie nuove conoscenze ed impressioni sul nemico, sorseggiando del disgustoso té al bergamotto: alle volte giocavo a Grazia Malevola con Blackwall e occasionalmente con Varric, il povero nano non la prese bene quando il locandiere della taverna di Skyhold affisse il divieto di partecipare al torneo sia a lui che alla sua inseparabile Bianca. Mi chiesi spesso, con un certo divertimento, come lui sostenesse la tesi che una balestra potesse tenere in mano un mazzo di carte.
“Non hai montato la tenda, come mai?” mi chiese Elanor con un sorriso. “Ci sono delle rovine qui vicino dove il Velo è più sottile, pensavo di dormire lì ed entrare nell’Oblio in sogno, magari noto qualcosa di diverso.” le dissi impacchettando un po’ di viveri in una borsa leggera. “Posso venire con te? Come hai fatto quando mi hai riportata ad Haven in quel sogno…” mi chiese lasciandomi di stucco. Inclinai la testa con aria interrogativa. “Non mi piace che tu ci vada da solo… è pericoloso.” continuò stringendosi nelle spalle distogliendo lo sguardo. Mi alzai e la abbracciai. La cullai dolcemente tra le mie braccia. Appese le sue mani alla mia maglia di lana eterna e cuoio di nug. “Non è esattamente la stessa cosa e non mi succederà niente comunque, ma se vuoi, possiamo andare assieme.” acconsentii un po’ riluttante. Era un miscuglio di paura per quel che poteva succedere e voglia di averla con me per qualche ora. Non avrei permesso che le succedesse qualcosa nell’Oblio. Avrei dovuto impegnarmi e trovare una zona tranquilla dove accompagnarla. Una zona più sicura di quella che avevo intenzione di esplorare: la fortuna non può sempre assisterci. “Grazie.” mi disse alzando il suo viso verso il mio, le baciai la punta del naso. Sorrise arrossendo e mi baciò più tranquilla sulle labbra. Impacchettai qualcosa in più per la mia compagna: della carne essiccata, un contenitore per bollire dell’acqua, una coperta e una maglia pesante e presi il bastone da eretico. Lei mi si avvicinò alle spalle, silenziosa come un felino a caccia. Non la percerpii affatto. Mi misi il fagotto sulla schiena e appena mi accorsi di lei, le sorrisi. “Andiamo?” mi chiese impaziente reggendo il suo involto e il suo bastone da incantatore. Ci allontanammo e una fitta di preoccupazione si fece strada quando mi chiesi se aveva avvisato Josephine o perlomeno Leliana dei suoi programmi per la notte, ma decisi di non indagare, non sarebbe servito e mi avrebbe solo zittito con la questione della libertà di scelta di ognuno. Avrei voluto avere la sua faccia tosta, la sua indipendenza e la sua forza di opporsi alle regole rigide che la sua posizione richiedeva di continuo. La amavo anche per questo.

“Come ti senti? Adesso che Orlais non è più sull’orlo della guerra civile e l’Occultista di Celine è già a Skyhold?” le chiesi con una certa apprensione. Lei mi guardò con una vena di preoccupazione negli occhi. Sapeva che mancava poco alla resa dei conti. “Sono preoccupata, in un anno e mezzo quello che era poco più di una ventina di eretici, i pochi Templari di Cullen e mercenari è diventata una potenza indipendente a cavallo tra due Stati, rivali da sempre, ed io ne sono il vertice: da me dipende il destino di intere Nazioni. Non ti nascondo che per una come me, un’elfa Dalish, è strano avere a che fare con queste responsabilità. Ho paura di sbagliare, ho paura di non essere all’altezza della missione. Un mio sbaglio di valutazione può significare la rovina per qualcuno. Ho paura, vhenan. Tanta paura…” non ero pronto emotivamente per questa preoccupata confessione, cercai di essere il più delicato possibile: “Sei esattamente dove dovresti essere, amore mio, sei una speranza per noi e per molti altri, sei la chiave di volta per ripristinare l’ordine ed è vero, questo ti dà una grande responsabilità e temo che più avanti possa diventare un grosso bersaglio attaccato alla tua schiena. Ho setacciato l’Oblio in cerca di risposte a quello che sei, a quello che l’Ancora ti ha resa, sono rimasto al tuo fianco dopo aver sigillato il Varco e ancora per me rimani un mistero… un piacevole mistero. Per quanto possa sembrare stupido e scontato dirtelo, io sarò sempre qui al tuo fianco. Qualunque scelta tu debba prendere, conta pure su di me.” Arrestò il suo cammino, singhiozzando e mi disse solo: “Abbracciami.” non me lo feci ripetere due volte, la strinsi al petto. I singhiozzi si trasformarono presto in lacrime, pianse come una bambina mentre la tenevo stretta e le toccavo i lunghi capelli neri raccolti in una crocchia. Il fastidio che provai per averla fatta piangere era inimmaginabile. Guardai in direzione del Varco, in lontananza si vedeva nel cielo terso. Sentii la rabbia salirmi dentro.

Fen’Harel, hai fatto tutto troppo in fretta, amico mio… Corypheus ha stravolto i tuoi piani, poteva accadere ed è successo.
La voce dello Spirito fece capolino e a malincuore aveva ragione. Lo allontanai frustrato.

Dopo un’ora arrivammo alle rovine, ridotte ad un cumulo di pietre lavorate e consunte ed un lastricato. Silenzioso iniziai a preparare il piccolo campo. Per prima cosa cercai un po’ di legna per un piccolo fuoco, ci avrebbe aiutato a tenere lontani i ragni giganti e i lupi. Elanor, ancora stordita dal pianto stese i sacchi a pelo e preparò una rudimentale tenda con dei picchetti e un telo di cuoio di montone angusto, trafugato dai materiali che l’Imperatrice Celene donò all’Inquisizione per aver sventato l’attentato alla sua persona. Il cielo iniziava ad imbrunire. Nella mia cerca di legna per alimentare il fuoco mi imbattei in un fiore di loto nero, lo raccolsi, sperando di alleviare almeno un po’ le preoccupazioni di Elanor. Mi avvicinai alle sue spalle, glie lo misi tra i capelli, lei con lo stupore dipinto in volto si girò, le sue guance e il suo naso erano ancora rossi dal pianto, glie lo baciai e sorrisi. Lei guardò in basso e prese a giocare con il mio ciondolo: “Scusa davvero per prima, mi sono comportata come una bambina capricciosa, non avrei dovuto, non con te, che hai passato momenti peggiori dei miei anche e soprattutto a causa mia.” Inclinai la testa, non volevo si scusasse, avrei potuto andarmene molto tempo fa. Le presi il mento tra due dita e le alzai il viso, la guardai, era così bella. “Quello che ti dissi durante il sogno la prima volta era vero. Quando ti riportammo ad Haven dopo che stabilizzammo il Varco la prima volta: ero terrorizzato e Cassandra non nutriva alcuna fiducia in me, per non parlare di Leliana. Dovevo rigenerarti con ogni mezzo, dovevi tornare da noi. La tua anima era a brandelli, sparsa nell’Oblio e l’unico in grado di poter provare a fare qualcosa, l’unico che sapeva cosa fosse l’Oblio e sapeva muoversi al suo interno ero io. Volevo aiutare, ma non sapevo come fare. Per giorni setacciai il mondo oltre il Velo in cerca dei frammenti in cui si era ridotta la tua anima, eri sempre più debole. Ricomposi a fatica il tuo spirito lacerato, nutrendo ben poche speranze di aver fatto un lavoro discreto… ti stavi riprendendo lentamente, molto, troppo. Avrei voluto andarmene, semplicemente; cosciente che Cassandra e Leliana avrebbero rivoltato l’intero Thedas pur di trovarmi… e probabilmente uccidermi. La mano sinistra della Divina si sarebbe sporcata le mani del mio sangue con estremo piacere, credo. Sono rimasto sì per chiudere gli squarci… ma sono rimasto anche e soprattutto per te. Di te mi importa, molto di più di quanto dia l’impressione. Hai cambiato… tutto.” i suoi occhi violetti brillarono alla luce del tramonto, la presi e la baciai, non mi sentivo così vulnerabile e allo stesso tempo così responsabile da tanto, era una sensazione strana: mettere il proprio cuore tra le mani di un altro era rischioso, ma valeva tutte le pene del mondo. Rispose al bacio con incisiva passione iniziando a levarmi la cintura attorno alla maglia. La lasciai fare. Avevo un egoistico bisogno di abbandonarmi al suo calore, era rischioso, per quello che ero realmente e per quello che era lei, ma volevo camminare sul filo del rasoio. Non avrei permesso a nessuno, nemmeno all’altra metà di me di interferire, mi chiesi solo se mai lei lo avrebbe accettato, avrebbe accettato me nella mia interezza, mi stesi sul sacco a pelo posato sul pietrisco, le levai la camicia di tela rivelando il suo giovane petto candido.
La strinsi a me, geloso anche solo degli insetti che avrebbero potuto ammirarla quanto me, la volevo. Con malizia mi graffiò il ventre con la punta del mio ciondolo. “Cosa rappresenta in realtà? Non riesco a dargli una forma, è una sorta di mandibola?” Sorrisi maliziosamente, mi stava solleticando. Non sapevo di soffrire il solletico, la lasciai fare, era piacevole. “É una reliquia.” risposi vago. “Certo certo… dovevo immaginarlo: rovine, reliquie, antichità...” disse lei con un tono di divertente commiserazione. Con un gesto fulmineo la morsi piano su un braccio. Ridendo si dimenò e si mise sopra di me mesta, baciandomi il collo e proseguendo fino all’orecchio. I suoi capelli nascosero il mio rossore imbarazzato. Il suo inguine percepì il mio apprezzamento e rispose di conseguenza. “Ti amo, Orgoglio.” mi disse, era da tanto che nessuno mi chiamava con il mio nome nella lingua comune.
“Ti amo Stella.”
   
 
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