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Autore: Signorina Granger    07/09/2017    5 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
[Sequel di "History" e di "Magisterium"]
Siamo appena prima dell’arrivo dei Malandrini ad Hogwarts, alla fine degli anni ’60.
Tutti parlano del decennio successivo, ma chi dice che anche prima non sia successo qualcosa di interessante dentro le mura di Hogwarts?
Sono passati più di vent’anni dalle vicissitudini dei protagonisti di History e di Magisterium… ma forse ci penseranno i loro figli a tenere vivo il loro ricordo.
[Per leggere e/o partecipare non è necessario aver letto le due storie sopracitate]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
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Capitolo 23: Compleanni e malattie  
 
Sabato 8 Maggio 1944

   
Dante Julius scivolò attraverso il buco lasciato dal ritratto della Signora Grassa con tutta l’intenzione di correre al piano terra per fare colazione e farsi coccolare per bene da una certa ragazza… ma non appena mise piede nel pianerottolo si bloccò, trovandosi davanti proprio una Jane sorridente con un piatto pieno di biscotti in mano.

“Buongiorno! Ti ho portato questi… buon compleanno!”

Jane sfoggiò un sorriso allegro che il ragazzo ricambiò, facendo galleggiare il piatto a mezz’aria accanto a loro per poterla abbracciare e baciare.
“Ciao, piccola Jane… grazie.”

“Figurati… è arrivata questa per te a colazione, ho pensato di portartela. E’ di Amos.”
Dante prese la lettera che la ragazza gli porgeva, felice che l’amico si fosse ricordato di fargli gli auguri, anche se non poteva farlo di persona.

Intuendo a cosa stesse pensando Jane gli accarezzò un braccio come a volergli dire che lo capiva, del resto anche a lei il compagno di Casa mancava molto. 
“Ti manca?”
“Si, parecchio. Ma ho te, non va certo male… Dai, andiamo a fare colazione fuori.”
Senza darle il tempo di ribattere Dante prese la ragazza per mano, trascinandola con sé giù per le scale.


 
 
Mercoledì 8 Maggio 1970

7:00 

  
“È lo stesso discorso di ogni volta, perché ne fai sempre una tragedia?” 
“Io non ne faccio una tragedia, ma se hai bisogno di chiedermi perché reagisco così allora non mi conosci per niente!” 


Elizabeth Black era in piedi, accanto al tavolo della Sala da Pranzo e a pochi metri di distanza dal marito, che come lei non sembrava preoccuparsi granché della colazione, troppo impegnati a discutere.
I gemelli si era defilati pochi minuti prima, quando avevano sentito “aria di tempesta” si erano affrettati ad uscire di casa per andare all’Accademia con largo anticipo, giusto per evitare la discussione che era nell’aria fin dalla sera prima. 


“No, ti conosco molto bene, lo so che non ti piace, ma non succede da parecchio ormai. E sto lavorando a questo caso da settimane, non posso relegarlo a qualcun altro! Forse dovresti abituartici, visto quello che sta succedendo.” 
“Tecnicamente potresti eccome Altair, il punto è che non lo vuoi fare. Questa volta non si parla di tre giorni, Altair, e neanche si una settimana, non passi un mese intero fuori casa, te lo puoi scordare.” 
“Adesso devo chiederti il permesso per accettare gli incarichi?” 
“No, ma dovresti parlarle con me per decidere insieme!” 

Lizzy roteò gli occhi, esasperata, stringendo lo schienale della sedia con veemenza mentre davanti a lei Altair si passava nervosamente una mano tra i capelli, borbottando qualcosa a mezza voce:

“Non muoio dalla voglia neanche io, ma è il mio lavoro. Li leggi i giornali, sai cosa sta succedendo di recente… E sapevi che lavoro stavo iniziando a fare quando ci siamo sposati, no? Non comportarti come se fosse tutta una sorpresa!”

“Non lo è infatti, ma non si tratta di una notte Altair. Non voglio passare quattro settimane in pena per te!” 
“Non sparirei dalla circolazione, sapresti dove sono, con chi e ti scriverei.” 

Altair sospirò mentre invece Elizabeth sbuffò sommessamente, evitando di replicare mentre una vena pulsava pericolosamente sul suo collo.

“Sei sicura che si tratti di questo?”  
“Che vuoi dire?”
“Sicura che non vuoi che vada perché ti preoccuperesti? Non è che sei contraria perché in realtà non ti fidi di me?” 

“Non dire assurdità, lo sai che non è così.” 
Elizabeth contorse la mascella, scuotendo leggermente il capo mentre Altair la osservava, inarcando un sopracciglio con scetticismo e parlando con irritazione:

“Sicura?” 
“Non dire cose che non pensi, lo sai che mi fido di te.”   Elizabeth scosse leggermente il capo, stringendo la presa sullo schienale della sedia mentre sbatteva le palpebre, cercando di vederci meglio nonostante avesse la vista improvvisamente un po’ annebbiata. 
 
“A volte hai uno strano modo di dimostrarmelo. Ora vado, ne riparliamo stasera.” 

Altair sbuffò mentre si voltava, allontanandosi per raggiungere la porta con lunghe falcate e udendo appena il mormorio della moglie, che si lasciò scivolare sulla sedia deglutendo a fatica:

“Ho bisogno di sedermi…” 
“Sì, lo immagino.” 

L’Auror roteò gli occhi, parlando senza ottenere alcuna risposta. Ma non era ancora uscito dalla stanza quando si fermò, voltandosi di nuovo verso la moglie dopo aver sentito un fruscio e un piccolo tonfo.

“Liz? … Lizzy, che cos’hai?” 


*


“Ehy! Buon compleanno!” 

Astrea, comodamente seduta sul divano della Sala Comune di Grifondoro, rivolse un largo sorriso a Markus quando il ragazzo scese le scale del suo Dormitorio in compagnia di James, che a differenza del festeggiato sorrideva a sua volta con aria divertita. 

La Cercatrice si alzò per raggiungere l’amico e abbracciarlo, che si limitò a rispondere con un borbottio sommesso, ringraziandola per gli auguri senza molta allegria. 

“Beh? Che cos’è questo muso lungo?” 

Astrea guardò l’amico con leggera confusione per qualche istante, o almeno finché la voce di Kathleen non giunse alle sue orecchie, rivolgendosi a James con palpabile tono d’accusa:

“James! Che cosa hai fatto?”
“Niente!” 

“Certo, lo immagino. Markus, qualunque cosa abbia fatto ignoralo, ti aiuterò a vendicarti ad Agosto, quando arriverà il SUO compleanno. Auguri, comunque.” 

Kathleen rivolse un sorriso al ragazzo, avvicinandoglisi per prenderlo a braccetto e spingerlo verso il ritratto della Signora Grassa, strappandogli un sorriso:

“Me ne ricorderò Kath, stanne certa… ora andiamo di sotto, voglio vedere Berenike.” 

“Non vedo perché la fa tanto lunga, lui due anni fa ha persino falsificato una lettera, fingendo di essere la McGranitt e scrivendomi che ero stato bocciato ai G.U.F.O.!” 

“Davvero Mark? È geniale… perché non ci ho pensato io?” 


*



San Mungo 



Jane Julius aveva un enorme sorriso stampato sul volto mentre attraversava la corsia a passo spedito, morendo dalla voglia di raggiungere gli spogliatoi, togliersi il camice che indossava da ore e andare finalmente a casa.

Aveva finalmente concluso il suo turno e poteva tornare a casa dove, sicuramente, Dante stava ancora dormendo della grossa. E come ogni anno sarebbe andata a svegliarlo con un bacio per fargli gli auguri. 

I suoi piani, tuttavia, andarono in frantumi quando una voce decisamente familiare la chiamò, costringendola a fermarsi e a voltarsi:

“Jane?” 
“Sì?” 
“So che hai finito il turno notturno, ma ci sarebbe un’ultima cosa che dovresti fare.” 

“Non puoi trovare nessun altro?” 
“Temo che abbia richiesto espressamente di te. Devi solo fare degli esami.” 
La donna esitò ma alla fine annuì, girando sui tacchi per raggiungere il capo reparto che l’aspettava con un sorriso soddisfatto:

“Va bene, spero sia una cosa rapida… Ha chiesto di me?” 
“Già, penso sia la conseguenza di essere sempre carina e gentile con tutti.” 
“Me lo dice spesso anche mio marito, sì. Di chi si tratta?” 

“Da come ha parlato penso che vi conosciate.” 

La Medimaga prese la cartella clinica che il superiore le porgeva, strabuzzando gli occhi quando, fermandosi davanti alla stanza giusta, lesse il nome scritto in alto a sinistra. 

“Sì, è così. Ok, ci penso io.” 

Jane annuì sbrigativamente prima di aprire la porta senza neanche bussare, avvicinandosi al letto occupato da una persona che conosceva da parecchi anni:

“Ciao Jane. Scusa se ti dico che non sono affatto felice di vederti.” 
“Lizzy! Che cosa è successo, stai bene?” 

“Sto benissimo, infatti gradirei essere mandata a casa all’istante… devo andare al lavoro!” 

“No, non stai benissimo. Jane, falle gli esami per il cuore.” 
“No!” 
“Sì.” 
“No invece!” 
“Per una volta nella tua vita puoi fare quello che ti dico?” 

Lizzy sbuffò alle parole e al tono esasperato di Altair, incrociando le braccia al petto e borbottando che ne stava facendo una tragedia mentre Jane si avvicinava all’amica, leggendo quanto riportato sulla cartella con leggera apprensione:

“Hai avuto un attacco cardiaco?” 
“Sì.”
“Ma va, sono svenuta e basta!” 
“Hai avuto un attacco cardiaco, piccolo, ma l’hai avuto.” 

“Lizzy, temo che Altair abbia ragione… ti misuro la pressione e poi vediamo la frequenza cardiaca, ok?” 
“Va bene, ma se trovi anomalie è solo colpa di questo qui! È lui che mi esaspera!” 
“La cosa è reciproca…” 
“In ogni caso ora puoi andare, ci pensa Jane a me.” 

“Non credo proprio.” 
“Beh, esci comunque, mi fai venire la pressione alta!” 

“Ripeto: la cosa è reciproca! Va bene, esco.” 
“È la prima buona idea che tu abbia avuto da quando ti sei svegliato. E portami una ciambella, non ho fatto colazione!” 

Quando la porta si fu chiusa con uno scatto alle spalle dell’Auror visibilmente irritato Jane sorrise appena, abbassando lo sguardo sull’amica prima di parlare con il suo consueto tono dolce:

“È solo preoccupato per te, Lizzy.” 
“Bah, secondo me ho avuto quel che ho avuto per colpa sua.”
“Stavate discutendo? Dammi il braccio, per favore.” 

Elizabeth sollevò senza dire niente il braccio destro e Jane, che dovette fare il giro del letto perché si era posizionata a sinistra, non osò ribattere sulla sua scelta:

“Circa.” 
“E come mai?” 
“Ieri sera è tornato dal lavoro e se ne è uscito con “sai Lizzy, forse il mese prossimo lo passerò completamente via per lavoro, non ti dispiace, vero?” Certo che mi dispiace! Col cavolo che passo un mese intero a casa, da sola, a preoccuparmi per lui!” 
“… e glielo hai detto?” 
“Certo, ma è sempre la stessa storia… Lasciamo perdere, meglio non parlarne o mi si alza la pressione.” 


*


“Mark! Buon compleanno!”   Berenike si alzò dal tavolo dei Corvonero con un gran sorriso ad illuminarle il volto quando vide Markus mettere piede nella Sala Grande gremita di studenti, raggiungendolo in fretta per abbracciarlo di slancio e dargli un bacio a stampo sulle labbra. 

“Grazie rossa… ma come minimo non dovresti accogliermi con un bacio vero?” 
“Non rompere, poi cosa dirà la McGranitt!” 
 Che domande, dirà che siamo bellissimi!” 


Markus sorrise, continuando a tenere le braccia strette intorno alla vita della ragazza prima di chinarsi e baciarla, mentre Kathleen, James e Astrea si affrettavano a superarli per “lasciarli alle loro effusioni”.

“Bene, ora che Markus si sta slinguazzando la Black ed è felice, io posso iniziare la lettera di auguri per mio padre…” 

James aveva appena preso posto di fronte a Kathleen quando tirò fuori praticamente dal nulla pergamena e piuma, facendo un cenno a sua sorella Cecily, come a volerle dire di avvicinarsi per contribuire. 

“Oh, è vero, è il compleanno dello zio Danny… fagli gli auguri anche da parte mia, e salutamelo tanto.”  Kath sorrise, pensando con sincero affetto allo “zio” mentre Astrea parlava con aria assorta: 

“Sai Dan, mio zio mi ha detto che i tuoi genitori sono stati suoi studenti… Ha detto che tua madre era piuttosto brava, mentre tuo padre combinava parecchi disastri con i veleni. Forse saremmo andati d’accordo, in effetti.” 
“Oh, sì, quando gli ho detto che avevo una Carsen come compagna mi ha subito chiesto se fossi sua figlia o sua nipote… I miei genitori adoravano tuo zio.” 

“In genere lo adorano un po’ tutti.” 
Astrea sorrise, stringendosi nelle spalle mentre pensava con affetto allo zio, nonché padrino, che quando era piccola andava a trovare spesso e volentieri al lavoro, storcendo il naso di fronte agli “odori strani” che uscivano dai calderoni a cui l’uomo lavorava.
Evidentemente non aveva avuto affinità con le pozioni fin da subito. 


“Anche mio padre è una delle persone più amabili del mondo… quindi devo scrivergli una lettera decente. Cecily, mi dai una mano?” 
“Io sono Phoebe!”  La Serpeverde sospirò, roteando gli occhi con leggera esasperazione mentre il fratello maggiore la guardava con lieve stupore, chiedendosi il perché di quello “scambio”:

“Bibi? Che ci fai qui?” 
“Sono venuta a dare una mano per la lettera per papà, sappiamo tutti che tu sei come lui, imbrancato ad esprimere affetto a parole. Per fortuna io ho il gene della mamma, quindi ti aiuterò.” 
“Gene della mamma? La mamma è una specie di zolletta di zucchero umana e tu sei una piccola vipera, direi che no, non vi somigliate. Ma grazie per il pensiero!” 


*


Era seduto su quella sedia già da diversi minuti, in silenzio e in attesa. Teneva il capo appoggiato alla fredda parete bianca, ripensando all’ultima volta in cui era stato al San Mungo, quando Lyra era morta. 

Si disse mentalmente di non pensarci, che sicuramente non era stato niente, che stava benissimo e che sua moglie avrebbe continuato a stargli vicino per molto altro tempo ancora. O almeno, lo sperava. 

Quando la porta accanto a lui si aprì e Jane uscì dalla camera si voltò immediatamente verso di lei, guardandola sorridergli con gentilezza:

“Altair, puoi entrare se vuoi… ho finito.” 
“Sta bene, vero?” 

“La pressione è buona, adesso sta bene, sì. Non so di preciso cosa abbia avuto, devo chiedere un consulto a chi è più ferrato con la cardiologia.”
“Ricapiterà?” 

“Temo che potrebbe. Vai da lei, io arrivo subito.” 

Il sorriso che la donna gli rivolse non lo convinse per niente, ma decise di non insistere chiedendole spiegazioni per entrare invece nella stanza della moglie, rivolgendole un’occhiata prima di accennare al vassoio che teneva in mano.


“Ti ho portato qualcosa da mangiare.” 
“Grazie.” 
“Prego.” 

Altair prese di nuovo posto accanto alla moglie, parlando con il suo stesso tono neutro per poi evitare di guardarla in faccia per qualche istante. Per un po’ nessuno dei due parlò mentre aspettavano che Jane portasse i risultati delle analisi, ma poi l’Auror ruppe il silenzio:


“Lizzy… non volevo dire che non ti fidi di me, mi dispiace. E mi dispiace anche di averne “fatto una tragedia” come dici tu, ma mi sono preoccupato.” 
“Non importa. Lo hai detto anche ad Eltanin?” 
“No, ho pensato che adesso ha altro a cui pensare.” 
“Bene, non voglio farla preoccupare per niente.” 

Elizabeth annuì, stringendosi nelle spalle mentre il marito le rivolgeva un’occhiata torva, suggerendo silenziosamente che non sarebbe stato “per niente” prima di alzarsi, sedendosi sul letto accanto a lei:

“Riguardo a stamattina, lo so che non ti piace quando sono fuori casa, e come darti torto, è ovvio che senti la mia mancanza…” 
“Puoi andare avanti per favore?” 
“Ok, un momento! Dicevo, lo capisco, ma nemmeno io faccio i salti di gioia, pensi davvero che muoia dalla voglia di starti lontano? Se lo pensi allora sei tu a non conoscermi.” 

“Lo spero che tu non ne sia felice, ma questo non toglie che prima di accettare dovevi parlarne con me.” 
“Ok, magari ne riparleremo…” 
“Oh, ne riparleremo di sicuro, stanne certo.” 


Altair sorrise al tono seccato della moglie, lasciandole un bacio su una tempia mentre la porta della stanza si apriva e Jane entrava di nuovo, sorridendo ai due:

“Oh, avete fatto pace? Che carini… ok, sentite: Lizzy, la tua pressione è perfetta, quindi puoi andare a casa.” 
“Visto? Te l’avevo detto che non era niente!” 
“In realtà qualcosa c’è, non sei propriamente sana come un pesce.” 

Alle parole di Jane Lizzy ammutolì, sgranando gli occhi mentre Altair parlava, iniziando quasi a sudare freddo:

“Che cos’ha?” 

“È una breve aritmia chiamata Sindrome di Wolff-Parkinson-White, è una malattia ereditaria.” 
“Sì, ce l’aveva anche mia madre.” 

Lizzy annuì con fare sbrigativo mentre invece Altair sgranò gli occhi, guardandola con orrore:

“E non ti preoccupa?” 
“Non è eccessivamente pericolosa, sicuramente non nel tuo caso anche se c’è qualche anomalia. Devi solo prendere i farmaci, quindi puoi andare, ma credo che dovresti comunque riposarti.” 

“Sciocchezze, mi alzo e vado al lavoro!” 
“Non me se parla, andiamo a casa!” 
“Ecco, comincia già a trattarmi da malata… Qui l’unica che andrà a casa sua è Jane, fila subito da Dante. Io invece vado al lavoro, dove sono i miei vestiti?” 

Elizabeth fece per scostare le coperte e alzarsi dal letto, ma venne preceduta dall’arrivo di un uomo alto e decisamente familiare che era entrato di corsa nella stanza:

“Sono venuto appena ho saputo… Liz, stai bene?” 
“Hai chiamato Stephen?” 
“È tuo fratello, cosa dovevo fare?” 

“Che cos’hai?” 
“Rilassati, ho solo ereditato la malattia al cuore della mamma.”   Elizabeth sospirò mentre il fratello si avvicinava al suo letto, sedendosi accanto a lei mentre Jane toglieva il disturbo senza farsi notare, cercando di non ridere nell’immaginare già la reazione che di lì a poco avrebbe avuto l’amica mentre lasciava il posto ad una donna mora che entrò di corsa e con gli occhi sgranati:

“HAI UNA MALATTIA AL CUORE? Perché non ne sapevo nulla? È grave?” 
“Hai chiamato anche Cassy? Cassy, sto benissimo, non è affatto grave. Si può sapere chi altro hai chiamato? Devo aspettarmi l’arrivo di tutta la famiglia?” 

“Beh…” 

Altair non fece in tempo a finire perché Electra ed Elnath entrarono nella camera per avvicinarsi al letto della madre, guardandola con sincera preoccupazione:

“MAMMA! Non stai morendo vero? Hai avuto un infarto?”    
“Elly, io non ho avuto nessun infarto, ma vi assicuro che di questo passo starà per venirmi!” 


*


Vedendo il gufo di sua sorella planare davanti a lei aveva sorriso, felice di avere notizie da casa… ma quando aveva aperto la lettera di Elly aveva subito smesso di sorridere, leggendone il contenuto con preoccupazione crescente e smettendo di sentire le voci di Sam, Jonathan e Veronica attorno a lei. 

“El? Mi stai ascoltando? Berenike è dai Grifondoro e lei non mi ascolta, meraviglioso… chi ti scrive?” 
Veronica si rivolse all’amica con leggera curiosità, guardandola alzarsi da tavola con la lettera appena ricevuta stretta in mano senza aver toccato cibo e leggermente più pallida del normale:

“Mia sorella. Devo andare.” 

Prima di dare il tempo agli amici di chiederle spiegazioni la mora era già praticamente corsa via, lasciandosi alle spalle gli sguardi confusi dei compagni di Casa:

“Non mi piace. L’ultima volta in cui si è comportata così la madre di Berenike è morta... Forse dovrei andare con lei?” 

Veronica si accigliò leggermente, rivolgendosi a Jonathan e a Sam come a voler ricevere un qualche consiglio, ma i due si limitarono a stringersi nelle spalle:

“Forse è meglio lasciare che se la veda da sola, magari non le va di parlarne con noi.” 
“Forse… Spero che vada tutto bene, però.” 



“El? Dove stai andando?”   Aiden stava entrando nella Sala Grande quando vide la fidanzata sfrecciargli accanto senza nemmeno fermarsi a salutarlo, seguendola con lo sguardo con leggera confusione:

“Scusa… ho una lettera da scrivere urgentemente, farò tardi a lezione!” 

Probabilmente avrebbe voluto chiederle qualche altra spiegazione, ma un attimo dopo Eltanin era già sparita oltre la scalinata principale, lasciandolo solo e a bocca asciutta. Non poté fare a meno di pensare all’ultima volta in cui la Corvonero era uscita di corsa dalla Sala Grande con una lettera in mano, e sperò sinceramente che non stesse per sparire per due settimane come in quell’occasione. 


*



Quando comparve nel salotto di casa sorrise istintivamente, facendo un passo avanti per uscire dal camino e abbracciare l’uomo che le stava davanti, che come sempre la sollevò leggermente da terra:

“Ciao… mi dispiace, volevo tornare prima ma c’è stato un contrattempo. Buon compleanno.” 
“Grazie piccola Jane… non preoccuparti, oggi non lavoro e abbiamo tutto il giorno per festeggiarmi adeguatamente.” 

Dante sorrise strizzandole l’occhio e Jane ricambiò, ridendo debolmente prima di baciarlo. 


*


“Luke, ti senti bene?” 
“Sì, perché me lo chiedi?” 

Lucas parlò senza nemmeno alzare gli occhi dal suo rotolo di pergamena, continuando a scrivere frettolosamente mentre accanto a lui Kristal lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite:

“Beh… stai prendendo appunti. Tu non prendi mai appunti!” 
“Dici sempre che dovrei farlo, no? Tra un mese cominciano gli esami, non posso perdermi le ultime lezioni!” 

Lucas piegò le labbra in una smorfia, rabbrividendo al solo pensiero dei M.A.G.O. ormai imminenti mentre invece Kristal sorrideva, quasi stentando a credere di vederlo prestare tanta attenzione ad una lezione di Trasfigurazione, anche se il suo considerevole terrore nei confronti dell’insegnante gli aveva sempre impedito di fare confusione in aula o di chiacchierare esageratamente. 

“Mi fa piacere sentirtelo dire, così io e la povera Eltanin, che ti aiuta da tutto l’anno, non dovremo passarti i nostri anche in questo ultimo periodo.” 
“Povera Eltanin? Reputi la mia compagnia tanto sgradevole?” 

“No, ma io ci sono abituata oramai… a proposito, ha l’aria cupa. Chissà che ha.” 
“Ieri mentre mi aiutava a fare Incantesimi era allegra come sempre… chissà.” 




“El? Che cos’hai? Non è da te restare così in silenzio… va tutto bene?” 

Berenike rivolse un’occhiata quasi preoccupata alla cugina, che si limitò ad annuire debolmente mentre scriveva quello che la McGranitt stava spiegando con aria assente, come se la sua testa fosse altrove.
“Sicura? Ti ho vista uscire dalla Sala Grande di corsa prima, è successo qualcosa?” 
“Mi ha scritto Elly, mia madre è in ospedale.” 

“La zia sta male? Ti ha detto che cos’ha?”   Berenike smise improvvisamente di scrivere a sua volta, guardando la cugina con leggera preoccupazione mentre Eltanin scuoteva il capo, stringendosi debolmente nelle spalle: 

“No, ha detto che non lo sapeva, papà le ha semplicemente detto di raggiungerlo in ospedale con Nath. Prima gli ho scritto, spero mi risponda in fretta.” 
“Beh, magari non è niente di grave. Tua madre non si ammala spesso, no? Sono sicura che va tutto bene.” 

La rossa si sforzò di sorridere alla cugina, che ricambiò debolmente ma senza troppa convinzione, continuando ad essere piuttosto taciturna per tutta la durata della lezione.

Al suono della campanella Eltanin si alzò, uscendo dall’aula in fretta e furia senza fermarsi a chiacchierare con nessuno. Berenike stava rimettendo i libri nella borsa quando Aiden le si avvicinò, piazzandolesi davanti per chiederle spiegazioni:

“Berenike… che cos’ha? Prima le ho chiesto se ci fosse qualcosa che non andasse e lei si è allontanata borbottando qualcosa di incomprensibile!” 
“Pare che sua madre sia al San Mungo, non so altro… vai a consolarla, se non ha voluto nemmeno giocare a Pozioni, Incantesimi e Creature Magiche deve essere abbastanza grave.” 


*


“Sarò sincera, non mi sarei mai aspettata che proprio TU venissi a chiedermi di aiutarti.” 

Delilah sorrise, guardando il ragazzo seduto davanti a lei quasi con leggera soddisfazione, mentre al contrario Nathaniel le rivolse un’occhiata lugubre:

“Credimi, sono sorpreso anche io. Ma, disgraziatamente, io e le piante non andiamo d’accordo. Per niente.” 
“E visto che Erbologia è una delle mie materie preferite e me la cavo molto bene hai pensato di chiedermi una mano. Non pensi che sia abbastanza ironico? Insomma, se vuoi diventare un Pozionista dovresti avere voti abbastanza alti in Erbologia…” 

“È esattamente questo il punto, avrei mollato questa dannata materia molto volentieri alla fine del quinto anno, ma disgraziatamente non ho potuto.” 
“Povero Travers, una vera disdetta... Coraggio, cominciamo, fammi vedere i tuoi appunti. Ah, ovviamente tu mi aiuterai in Pozioni per ricambiare, mi ero scordata di sottolinearlo.” 

“Tranquilla, conoscendoti non avevo dubbi a riguardo.” 


*


Se ne stava seduta sul letto da ormai qualche ora, china su un libro e chiedendosi come avesse fatto a lasciarci convincere da Altair a tornare a casa. 

Aveva anche pensato di sgattaiolare al Ministero quando lui era uscito per tornare al Dipartimento, ma aveva la netta sensazione che, conoscendola, il marito avesse incaricato qualche elfo di avvertirlo se fosse uscita di casa. E a quel punto sarebbe andato a prenderla per i capelli per poi riportala a casa di peso. 


Quando sentì dei passi sulle scale, decisamente troppo pesanti per appartenere ad un elfo, pensò che magari uno dei suoi figli fosse passato a salutarla, o magari suo fratello… invece poco dopo nella camera spuntò proprio Altair, rivolgendole un debole sorriso:

“Allora, come stai?” 
“Sei tornato presto.” 

“Fammi capire, prima ti arrabbi perché potrei stare un mese fuori casa e poi ti lamenti perché torno prima dal lavoro? Ultimamente parto prima e torno più tardi, ma oggi ho relegato il lavoro e sono tornato presto.” 
“Non mi sono lamentata, chiedevo solo visto che, come hai detto tu, ultimamente siete pieni di lavoro per colpa di quegli inutili vermi schifosi. Ma se sei tornato per trattarmi come una moribonda puoi anche tornartene indietro.” 

Elizabeth si strinse nelle spalle prima di abbassare nuovamente lo sguardo sul suo libro, sentendo il marito sbuffare mentre le si avvicinava, strappandole il libro dalle mani per avere la sua attenzione:

“Sono solo preoccupato per te! Sarebbe grave se non lo fossi.. Perché non vuoi ammettere che c’è qualcosa che per una volta non puoi controllare? Lizzy, so che vuoi fare la “roccia” della situazione come sempre, ma per questa volta permettimi di prendermi cura di te.” 

Altair allungò una mano, accarezzandole il viso mentre Elizabeth sbuffava, maledicendolo mentalmente per essere riuscito ad ammorbidirla come al solito. 

“Va bene. Ma parliamo d’altro, per favore… Hai parlato con Burke?” 
“Sì. E temo di non avere molta scelta a riguardo.” 

L’Auror appoggiò il libro sul comodino, sistemandosi accanto alla moglie sul letto per abbracciarla, appoggiando il capo contro quello di Lizzy, che sbuffò leggermente.

“Bene. Ma dì a Burke che mi avrà sulla coscienza se dovessi agitarmi esageratamente per la preoccupazione e mi venisse un altro attacco di cuore.” 
“Non scherzare. Dopo quello che è successo stamattina preferirei non lasciarti da sola tanto tempo, ma hanno bisogno di me Lizzy. Oggi, per la prima volta, ho capito che cosa provavi tu quando tornavo a casa a tarda notte con ore di ritardo e temevi di non vedermi più varcare quella soglia... e non mi è piaciuto neanche un po’.”

“Anche io ho bisogno di te.” 
Il lieve brontolio della moglie lo fece sorridere nonostante tutto, accarezzandole i capelli scuri con le dita e guardandola quasi con aria divertita:

“Sai qual è una della cos’è che più adoro di te? Non sei una persona che spreca molto fiato per dire cose dolci, non lo fai spesso nemmeno con me… non esprimi in modo plateale quello che provi, ma lo fai soltanto quando siamo noi due e basta.” 

“Ti prego, quelli che non fanno altro che dirsi cose melense e scambiarsi effusioni in pubblico mi fanno salire la glicemia!” 

Lizzy piegò le labbra in una smorfia che fece ridacchiare il marito, ma la donna gli rivolse un’occhiata torva, borbottando qualcosa a mezza voce senza unirsi alla sua risata:

“Ma non potevi decidere di andare a fare il postino invece che l’Auror?” 
“Che vuoi farci, ormai il danno è fatto… e poi in che senso il postino?” 

“I Babbani non usano i gufi, ma delle persone per recapitare la posta!” 
“Davvero? Che tipi strani…” 


*


“Ah, eccoti… dove ti eri cacciato?” 
“Ero in Biblioteca.” 
“A fare?” 

“Beh, prima ho ballato il valzer con la Jones, poi ho dipinto perché mi sentito ispirato stando in mezzo ad un mucchio infinito di libri vecchi e polverosi… secondo che cosa avrò mai fatto in Biblioteca?” 

Nathaniel inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata scettica ad Aiden mentre questi sedeva accanto a lui, nell’aula di Incantesimi ancora mezza vuota.

“Scusi se l’ho importunata con la mia domanda Milord… Io ho passato tutta l’ora buca a cercare Eltanin, stare con quella ragazza è un lavoro a tempo pieno! Tu per caso l’hai vista in Biblioteca?” 
“No, mi spiace. Non l’hai trovata?” 

 “Magari, non sono ancora riuscito a parlare con lei…” 

Aiden sbuffò, incrociando le braccia al petto mentre si appoggiava allo schienale della sedia, lanciando un’occhiata torva alla soglia dell’aula e sperando di vedere la Corvonero entrare. 


Quando finalmente vide la ragazza entrare in compagnia di Veronica sorrise con sollievo, affrettandosi ad alzarsi per avvicinarlesi:

“El! Finalmente… che cosa succede?” 
“Ciao Aiden… vieni, ti spiego.” 

Eltanin gli rivolse un cenno, prendendolo per un braccio per fargli prendere posto accanto a lei mentre, qualche metro più avanti, Nate apriva il suo libro di Incantesimi borbottando a mezza voce:

“Ed ecco che mi ritrovo seduto da solo, grazie Burke…” 
“Poverino, il tuo fidanzato ti ha abbandonato? Dev’essere dura per te.” 

Il ragazzo sollevò lo sguardo per rivolgere un’occhiata torva a Delilah, che invece gli sorrise prima di sedersi accanto a lui, nel posto lasciato vuoto da Aiden.

“Scusa, perché ti siedi vicino a me?” 
“Non sembravi felice di essere rimasto da solo un minuto fa, Travers… Tranquillo, ti tengo compagnia io, lo so che infondo mi trovi simpatica.” 

“Direi che è tutto da vedere…” 
“Oh, andiamo, smettila, venti minuti fa ero in Biblioteca ad aiutarti con i compiti di Erbologia come TU mi hai implorato di fare, mi risulta.” 

Aveva la netta sensazione che la compagna avrebbe continuato a rinfacciargli quel favore fino alla fine degli esami... forse chiederglielo non era stata una grande idea, infondo. Ma almeno si sarebbe evitato una S proprio alla fine del suo ultimo anno scolastico. 



“Quindi tua madre è in spedale? Me lo ha detto tua cugina… sta bene?” 
“A colazione sono andata a scrivere a mio padre per chiedergli spiegazioni, e poco fa ho avuto la risposta… pare che abbia avuto un piccolo attacco cardiaco, ma ora sta bene. Sembra che abbia ereditato una malattia al cuore da mia nonna, ma non dovrebbe essere troppo pericolosa.” 

Eltanin si strinse nelle spalle mentre sistemava le sue cose ripiano di legno del banco e accanto a lei invece Aiden sbarrava gli occhi, guardandola con leggera preoccupazione:

“Hai detto “ereditato”? Quindi potresti avercela anche TU?” 
“Beh, forse… speriamo che mia madre non me l’abbia trasmessa, direi che ha già fatto abbastanza con la statura, i capelli e occhi scuri..” 
“E la lingua biforcuta, il pessimo senso dell’orientamento, l’indole a voler vincere sempre, la mania di sbattere le ciglia per farmi fare quello che vuoi… scusa, la smetto.” 


*


“Che cosa stai leggendo?” 

Quando sentì la voce di Astrea Sam alzò lo sguardo dal giornale che teneva in mano, rivolgendole un sorriso mentre la Grifondoro prendeva posto accanto a lui:

“Il numero di oggi della Gazzetta del Profeta. Nessuna buona notizia, temo.” 
“Beh… non va molto bene di recente, vero? Silente pensava persino di non farci tornare a casa per le vacanze.” 

“No, le cose non vanno molto bene.” 

Sam ripiegò il giornale per poi lasciarlo accanto a sé, rivolgendosi alla ragazza e mettendole un braccio intorno alle spalle per attirarla a sé, dandole un bacio sulla tempia mene la Grifondoro sospirava leggermente:

“Secondo te miglioreranno o peggioreranno?” 
“Penso che ci vorrà un po’ perché migliorino, sinceramente… Mi chiedo come sarà una volta fuori da qui.” 
“Probabilmente affatto facile, Sam.” 







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Angolo Autrice:

Buonasera! Prima che iniziate a lanciarmi contro pomodori e coltelli per la faccenda di Lizzy tengo a ricordarvi che io metto solo per iscritto ciò che voi mi mandate… quindi al massimo prendetevela con la sua autrice, ecco. Scusa cara, ti uso come capro espiatorio.

Detto questo, nel prossimo capitolo ci sarà l’ultima partita, tra Tassorosso e Grifondoro. E oltre a chiedervi di dirmi chi delle due vorreste vincesse la partita, ho bisogno che mi diciate se preferireste che a vincere la Coppa fosse Corvonero o Grifondoro, che se vincesse contro Tassorosso sarebbe praticamente allo stesso punteggio di Corvonero.

Ci sentiamo presto con il seguito, grazie a chi mi ha già mandato la risposta alla domanda dello scorso capitolo.


Signorina Granger 

   
 
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