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Autore: _Agrifoglio_    09/09/2017    5 recensioni
Questa è una storia molto breve, tutta incentrata su Diane de Soisson. Saranno narrate le cause - vere e presunte - che portarono alla rottura del fidanzamento della giovane, sarà analizzata la personalità dei protagonisti, in un piccolo campionario di ingenuità adolescenziale, di sogni infranti, di pragmatismo quotidiano, di inguaribile goffaggine, di meschinità umana e di grottesco senza tempo. Saranno, infine, esplorati gli stati d'animo dei personaggi e le loro mutevoli reazioni di sconforto, di comprensione, di stizza, di impazienza, di inadeguatezza caratteriale, di livore, fino all'epilogo della vicenda.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Diane de Soisson, Madame De Soissons, Nuovo Personaggio, Soldati della guardia metropolitana di Parigi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I sogni muoiono all’alba
 
Nel corso della sua disavventura e nei giorni successivi, la piccola Diane era passata, con rapida successione, dal ruolo dell’ingenua a quello della damigella in pericolo, per approdare, infine e senza soluzione di continuità, a quello della disgraziata eroina non sedotta, grazie alla sua provvidenziale presenza di spirito, ma, pur sempre, abbandonata.
L’infelice fanciulla aveva alternato momenti di immensa agitazione emotiva a periodi di profonda prostrazione ed a fasi di calma apparente. Le idee sentimentali ed edulcorate che si era fatte dell’amore stavano crollando una ad una, come dei vecchi palazzi con le fondamenta marce.
C’erano stati dei momenti in cui aveva giurato e spergiurato di non voler rivedere mai Gustave, fosse pure in effigie ed altri in cui aveva pensato che sarebbe morta o impazzita se non avesse più potuto udirne il suono della voce. C’erano stati dei giorni in cui lo aveva considerato il più spregevole degli uomini ed altri in cui si era detta disposta a perdonarlo e ad attribuire quell’ignobile comportamento alla proverbiale intemperanza maschile di cui tanto aveva letto e sentito parlare, ma della quale, in concreto, sapeva poco o nulla. C’erano state ore in cui aveva pensato di essere stata fortunata ad essersi accorta per tempo della reale indole dell’uomo ed altre in cui aveva disperato di poter raggiungere la felicità senza di lui. C’erano stati attimi in cui aveva sperato di vederlo in prigione o incatenato ai remi di una galera ed altri in cui le era apparso come un giovane dalle idee confuse, che aveva commesso uno sbaglio e che lei, da buona cristiana, era tenuta  a comprendere e ad aiutare. In questi alterni moti dell’animo, la stabilità mentale della giovanetta era stata, più di una volta, sul punto di vacillare, le ore di sonno erano andate irrimediabilmente perdute e l’aspetto fisico ne aveva risentito.
Il dolore era stato accresciuto sia dal rifiuto di esternarlo, poiché la giovane non si era confidata coi familiari sia dall’avvitarsi su se stesso di un incessante lavorio mentale che, non avendo trovato uno sbocco fattivo, si era autoalimentato.
La madre era rimasta inerte testimone delle sofferenze della figlia e non era stata in grado di aiutarla in alcun modo. Se le avessero chiesto un consiglio su come mascherare al meglio un rattoppo, su come cucinare cento tipi di carne o di pesce o su come far passare un’allergia o guarire un lieve malanno, ella avrebbe risposto nell’arco di un istante. Con le sofferenze dell’anima, invece, da brava donna pragmatica, aveva sempre avuto scarsa dimestichezza e questa carenza le aveva impedito, già in passato, di essere di aiuto al consorte. Le pene d’amore, poi, neppure sapeva cosa fossero. Se un uomo va bene, va bene; se non va bene, non va bene e Gustave de Morvan, per lei, non andava assolutamente bene. A ciò si riduceva il tormento amoroso per Madame de Soisson.
Le giornate si erano susseguite in rapida sequenza ed avevano portato con sé sprazzi di sole alternati ad ore di pioggia scrosciante; una fioriera di coccio ed una pentola di terracotta, per fortuna vecchia, frantumate da quel pasticcione di Lasalle che, un giorno, invitato a pranzo, aveva trovato il modo, ignoto a tutti loro, di storcere una forchetta; due nuove commissioni di lavoro per la madre, una missione militare per Alain e nulla di rilievo per lei.
Aveva, intanto, scoperto che André Grandier – così si chiamava il Romeo della caserma di suo fratello – tempo prima, era stato picchiato a sangue, a causa di alcuni malumori serpeggianti fra i soldati, ma, indirettamente, per amore del suo Comandante e che le cose si sarebbero messe infinitamente peggio, se non si fosse messo di mezzo Alain. Le botte se le era prese tutte, una dopo l’altra e l’altra dopo ancora, sempre più forti e sempre più dolorose ed egli era rimasto lì, in piedi, finché le forze lo avevano sorretto, a difendersi fintanto che gli era stato possibile e con la mente sempre salda sul suo travagliato ed impossibile amore.
– Proprio come Gustave! – pensò, con sconsolata ironia, la povera giovinetta.
 
********
 
Un martedì mattina, quando erano, ormai, trascorsi esattamente venti giorni da quel brutto pomeriggio, in casa, c’erano tutti e tre, giacché Alain aveva fatto un salto per portare della biancheria sporca e ritirare quella pulita, visto che Diane, in quel periodo, non aveva messo mezzo piede oltre la soglia della loro abitazione.
Salutate madre e sorella, il soldato aprì la porta di casa e fu così che incrociò Gustave de Morvan – col pugno già pronto a percuotere l’uscio – che stava, invece, arrivando.
Alain tornò indietro e, appoggiato l’involto della biancheria pulita sul tavolo, si sedette su una sedia, al centro della stanza. Diane ebbe un tuffo al cuore, divenne pallida come un foglio di carta e rimase in piedi, immobile, in dietro e sulla destra rispetto al fratello, senza aprire bocca. Anche Madame de Soisson restò in piedi, ferma e muta, nel lato della stanza opposto a quello dove si trovava la figlia, ma il suo silenzio era dovuto all’imperturbabilità e non all’emozione.
Gustave de Morvan si fece avanti con decisione, sebbene nessuno lo avesse invitato ad entrare e, dismesse definitivamente l’affettazione e la falsa bonomia, senza darsi pena di mascherare la stizza ed il fastidio, ignorando completamente Alain, per il quale non aveva mai nutrito la benché minima considerazione ed evitando deliberatamente di guardare Diane, si rivolse, con voce secca e tono autoritario, neanche avesse parlato ad una sua sguattera, a Madame de Soisson.
– Madame, i miei sentimenti per vostra figlia sono definitivamente mutati ed è con estrema riluttanza e con sommo rammarico che devo comunicarvi la mia intenzione irrevocabile di rompere il fidanzamento.
Seguirono degli istanti di silenzio tombale. Dopo questa pausa che, nelle intenzioni dell’ex promesso sposo, avrebbe dovuto conferire maggiore solennità alle di lui parole, Gustave de Morvan riprese a parlare, per nulla intimorito dalla presenza di Alain che, malgrado la mole, gli era sempre sembrato un sempliciotto del tutto inoffensivo.
– Devo, con dispiacere, ammettere di essermi gravemente sbagliato sull’indole di vostra figlia e di averne sopravvalutato oltre misura l’intelligenza, lo spirito, le risorse interiori ed etiam l’istruzzione. Avendole erroneamente attribuito delle doti che ella era ben lontana dal possedere, mi ero risolto a passare sopra all’inferiorità della vostra famiglia che, per quanto nobile, è ridotta soltanto un gradino sopra la più vergognosa miseria. Oltre a ciò, mi duole rimarcare – ma, con amarezza, lo devo fare – che i componenti della vostra famiglia sono poco più che delle bestie brute, totalmente incapaci di articolare dei ragionamenti di senso compiuto e di stare al mondo senza ricorrere al disgustoso uso delle mani. Considerando che il lignaggio dei de Soisson è meno antico e meno prestigioso di quello dei de Morvan e che de rusticas proggenie semper villanam fuit, non posso fare altro che scongiurare, adesso che sono ancora in tempo, questa disdicevole e perniciosa mésalliance.
Madame de Soisson stava per rispondere mentre Diane si era nascosta il volto fra le mani, con le spalle scosse da silenziosi singhiozzi, quando Alain, che aveva sopportato fin troppo a lungo per i suoi canoni, restandosene, fino a quel momento, seduto, con i soli occhi sprizzanti odio a tradire la rabbia, sbatté la mano sul tavolo e si alzò di scatto, facendo cadere all’indietro la sedia.
In una sola mossa, piombò addosso, come un falco sulla preda o come un martello sul chiodo, a quel supponente logorroico, afferrandolo per il gilet e strattonandolo con forza.
– Sentimi bene, bel damerino, sei tu a non essere degno di sposare mia sorella e di rivolgere la parola a mia madre! Non sei più il bene accetto in questa casa e ti invito a toglierti di torno! Dal momento che siamo tanto inferiori e che io sono ben consapevole di non avere mai fatto uso, come te, dell’oratoria, voglio iniziare adesso la rimonta, citando Mozart e suonandoti il chitarrino!
Ciò detto, Alain scaraventò de Morvan fuori della porta – che era rimasta aperta – e gli assestò un vigoroso calcio nel sedere che lo fece cadere in avanti, al centro del pianerottolo.
– Siete un barbaro, un bruto, un animale, un minorato! Io vi denuncio! Vi farò finire ai lavori forzati!
– Fai quello che ti pare – urlò Alain, incurante degli altri abitanti del palazzo che si erano affacciati alle porte delle rispettive case – Ma sappi che, se soltanto oserai rimettere piede qua dentro, non te la caverai con un semplice calcio in culo, ma ti scaraventerò giù dalla tromba delle scale!
Gustave de Morvan si rialzò coi glutei e le ginocchia doloranti e se ne andò, sollevando la testa e cercando di darsi un contegno, ma, nel contempo, accelerando, il più possibile, il passo.
 
********
 
Erano passati una settimana dalla rottura ufficiale del fidanzamento e quasi un mese da quell’infelice pomeriggio e Diane era al culmine della disperazione.
Prima che Gustave si presentasse a casa loro, la situazione, a suo giudizio, era sì compromessa, ma non in modo irreparabile ed esisteva pur sempre una speranza, sia pur blanda, di composizione. Adesso che, invece, tutto era perduto, giudicò se stessa una folle per avere desiderato di non rivedere mai più Gustave o, addirittura, di vederlo rovinato e, come tutte le persone che hanno una fervida vita interiore, una scarsa esperienza del mondo, una bassa autostima ed un metro di giudizio alterato dall’esiguità dei rapporti umani e da una certa propensione all’autolesionismo, cominciò a colpevolizzare esclusivamente se stessa.
Si disse che era stata troppo severa nel giudicare l’ex fidanzato, che al mondo non esisteva soltanto lei, che anche Gustave aveva le sue esigenze e che, se il giovane si era deciso a sfogarle con lei anziché con donne compiacenti, ciò era da interpretarsi soltanto come un segno dell’amore di lui. Si biasimò all’eccesso per averlo picchiato e, se fosse vissuta nel medioevo, si sarebbe sicuramente autoflagellata ed avrebbe indossato il cilicio.
A che cosa le sarebbe servita la sua purezza, se non avesse potuto donarla all’unico uomo che avrebbe mai amato? Ben poco le avrebbe giovato una virtù inaridita nella solitudine, avvizzita nella vecchiaia e marcita in una bara.
Si risolse a sistemare la faccenda a modo suo.
Quella sera, dopo che la madre ed Alain – che era in licenza – si erano coricati e dopo che aveva finto di farlo anche lei, si vestì in tutta fretta ed alla meglio, indossò un mantello per ripararsi dall’umido e si diresse, in punta dei piedi, verso la porta di casa. Sforzandosi di fare meno rumore possibile, tolse il chiavistello ed aprì l’uscio. In quel mentre, una mano grande quasi il doppio della sua si sovrappose ad essa, esercitò una pressione in senso inverso e la porta fu, di nuovo, chiusa. Diane alzò gli occhi vergognosi e vide suo fratello. La giovinetta avvampò in un istante e chinò il capo, avendo ben compreso che il suo tentativo di peccato era stato svelato. Guardò di sottecchi Alain, ma, nel volto e nello sguardo di lui, non vi erano rimprovero o disprezzo, ma un’infinita pietà ed un profondo dolore.
– Oh, Alain, ti prego, lasciami al mio destino, non posso vivere senza di lui! Ho sbagliato, sono una persona fuori dal mondo, non ho alcun senso della realtà, vivo di sogni e di fantasie! E’ ora di scendere dal piedistallo e di vivere come fanno tutti gli altri!
– Sei una brava ragazza, Diane e cerca di rimanere tale.
– Oh, Alain, forse, non è ancora tutto perduto, ma devo darmi da fare! Non si può ottenere alcun risultato senza sporcarsi le mani. La vita è fatta di compromessi e non di nobili ideali.
– Sta per sposarsi, Diane!
– Cosa? – chiese la ragazza sul cui capo era caduto il mondo intero.
– Marie Claude Poissarde. Un bel nome elegante, vero? Si chiama così la tua rivale. Monsieur Gustave de Morvan sta per impalmare Mademoiselle Marie Claude Poissarde.
Diane non rispose e non diede alcun cenno di reazione o, soltanto, di comprensione.
– L’ho scoperto cinque giorni fa – proseguì Alain – ed ho chiesto una licenza per trovare il modo di dirtelo. Suo padre è un uomo estremamente ricco, grazie al commercio, ma è anche un gran cafone ed è cafone non nel senso di naif, ma di vero e proprio zotico. Ne parlavo con André Grandier al quale quel cognome non giungeva nuovo. Dopo qualche minuto, ricordò che, durante la sua infanzia, c’era un adolescente, in uno dei tanti possedimenti terrieri dei de Jarjayes, chiamato Jean Paul Poissarde che faceva il guardiano dei porci. Durò poco in quella mansione, perché il Generale, furente non si sa bene per quale motivo, lo mandò via dalle sue proprietà. Da ulteriori ricerche, ho appreso che il giovane non se la prese troppo a male per il licenziamento e si mise nel commercio. Seguì una lunga serie di traffici, quasi tutti di dubbia legalità, finché non arrivò ad espandersi in ambito internazionale e, a quel punto, divenne ricchissimo. Si vocifera che, all’estero, si occupi soprattutto della tratta dei negri e dello sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni oltreoceano. Ha provato a dirozzare se stesso e sua figlia, ma con scarsi risultati. Come vedi, cara Diane, il tuo adorato Monsieur de Morvan, a dispetto di tutte le sue megalomanie e del suo disprezzo per il mondo intero, è stato acquistato, con moneta sonante, da un burino ripulito che, se conosco bene il mondo, non tarderà a metterlo al posto che merita. Non te la prendere, Diane, festeggia lo scampato pericolo e considera che si meritano a vicenda. Ha lasciato te per sposare la figlia di un negriero che non andava bene neppure per i maiali!
Alle orecchie di Diane, ogni singola parola del fratello suonava come una coltellata o come una condanna a morte.
Girò, meccanicamente, il viso verso la finestra e, dalle ante socchiuse, si accorse che albeggiava.
I sogni muoiono all’alba.






Grazie a chi vorrà prendersi la briga di commentare questo secondo capitolo e, se avanza del tempo, anche il precedente.
Avanti, non siate timidi e dite cosa ne pensate, anche per ciò che concerne lo stile ed il ritmo!
Ogni commento aiuta a crescere come scrittori, portando alla luce i punti di forza e di debolezza, ciò che va perfezionato e ciò che va limato.
Preciso che, anche questa volta, gli errori di italiano e di latino commessi da Gustave de Morvan sono voluti, per descrivere l’ignoranza e la pretenziosità senza fondamento del personaggio. 
   
 
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