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Autore: afterhour    17/09/2017    6 recensioni
In un universo alternativo solo parte degli Uchiha è stata sterminata, e Sasuke è cresciuto con suo fratello all'interno del distretto, con il dubbio, mai del tutto soppresso, che ciò che gli è stato raccontato in proposito sia solo una bugia.
Alcune verità è meglio non vengano svelate mai, dicono, e forse è vero, ma non si può fingere per sempre di non vedere le ombre del passato, perché sono già dentro di noi.
Sasusaku, Alternative Universe.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danzo Shimura, Itachi, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Eccomi qua, sono stanca di rileggere e correggere. 

Non padroneggio ancora l'html come vorrei e gli spazi e le misure non sono quelli che volevo, ma ci arriverò!

 

Come ho anticipato questo capitolo è dal punto di vista di Sasuke, che visto da vicino perderà un po’ del suo fascino misterioso ma diventerà più umano e comprensibile, suppongo.

Introduce anche il tema della storia, e…vabbè, inutile che vi ripeta gli avvertimenti dell’altra volta, buona lettura, spero vi piaccia!

 

 

 

 

 

2. Il diritto di capire

 

 

 

 

 

Sasuke è seduto sul gradino che porta alla veranda, una gamba piegata verso l’esterno e l’altra stesa, appoggiata sulle assi del pavimento. Guarda fuori, fin dove il buio gli permette di vedere: il lago è solo un’ombra dai riflessi argentei, la luna una sagoma sfocata nel cielo nuvoloso.

 

Ci sono giorni in cui quello scorcio, quel lago familiare, appaiono minacciosi, in cui invece di dargli conforto generano inquietudine, ed anche se non bada molto a sensazioni e stati d’animo, oggi quelle acque sembrano sussurrargli qualcosa, forse un ammonimento, o un presagio.

Sa che sono solo assurdità.

Beve un sorso dalla tazza di the che tiene in mano, e ripensa ancora a quello che gli ha detto quel pazzo.

 

Non avrebbe dovuto farsi distrarre, e quella piccola esitazione quasi gli è stata fatale, ma non ha potuto fare a meno di ascoltarlo, e da allora quelle parole gli risuonano nell’orecchio, mentre avvenimenti mai realmente accantonati gli riaffiorano con prepotenza tra i ricordi.

 

Nella sua vita esistono un prima e un dopo, divisi nettamente da uno spartiacque cruento che ha cercato a lungo di cancellare, e che ancora, dopo anni, mantiene un alone di irrealtà.

Gli hanno sempre ripetuto che dimenticare era la cosa giusta da fare, che c’erano i sopravvissuti cui pensare, e ci ha provato, seppellendosi in missione dopo missione, obiettivo dopo obiettivo, ignorando quella crepa dentro di lui, e quella rabbia che non ha un perché, o una sua dignità, ma esiste, come esisteva la paura di quel bambino che un giorno si è ritrovato in un mondo vuoto e ostile, come esisteva l’odio per quegli esseri demoniaci che sono entrati in ogni casa del clan, del suo mondo sicuro di bambino, ed hanno scelto di assassinare alcuni membri di ciascuna famiglia, a volte tutti. A caso? Non sa, non crede, non è chiaro, perché se da una parte sono stati ammazzati molti dei loro combattenti migliori, in mezzo sono finiti anche civili, vecchi e bambini.

Non lui, non Itachi, ed ha smesso da tempo di cercare una logica nella sua sopravvivenza.

 

Ricorda vividamente le notti passate sveglio per paura che quelle creature irreali, mostruose, tornassero e uccidessero anche lui, o peggio ancora uccidessero Itachi lasciandolo completamente solo; ricorda bene il dopo: c’è voluto del tempo per abituarsi ad una vita in cui non c’era più una madre da amare, né un padre da rendere fiero un giorno, una vita in cui il mondo con tutte le sue certezze può svanire in un istante, ed anche se ormai non ha più paura dei mostri, sa che può combatterli, o della morte che prima o poi arriva, al di sotto rimane un’eco sospesa di instabilità, e a volte, anche se odia ammetterlo, un grumo invisibile di vulnerabilità.

 

Beve un ultimo sorso del the che si è raffreddato, e con impazienza aspetta Itachi, che è di ritorno dalla lunga missione che lo ha tenuto lontano per mesi.

 

Deve parlare con lui. 

Da quando quel tizio gli ha buttato lì quella frase ambigua non riesce a pensare ad altro: gli ha offerto di unirsi a lui, a quella setta di matti, ed ha aggiunto che ogni Uchiha dovrebbe farlo, per vendicarsi di quel villaggio che li odia, che li fa ammazzare tra di loro e li vuole tutti morti.

 

Ha pensato che quel pazzo vaneggiasse, eppure ha esitato, perché dentro gli si è risvegliato un dubbio solo assopito, e anche dopo, a casa, gli è rimasto appiccicato il ricordo di quella frase, assieme ad un sospetto che l’istinto gli dice di approfondire. 

 

Qualche giorno fa, durante una missione, è tornato indietro ed ha disseppellito quel pazzo.

Non è servito a niente, quello farneticava e farneticava, e alla fine, con un genjutsu, ha scoperto che le sue erano solo chiacchiere, voci senza fondamento: che in giro si diceva che il massacro degli Uchiha non sarebbe stato compiuto da qualcuno dall’esterno, ma dall’interno.

Solo voci.

Lo ha seppellito di nuovo senza badare ai suoi insulti ed è tornato a casa con quell’idea fissa in testa, perché anche se non è cambiato niente, se si tratta soltanto di voci senza fondamento, c’è una parte di lui che si è chiesta la stessa cosa per anni, soverchiata da tutti i suoi tentativi di sedarla, da anni passati sforzandosi di non voltarsi indietro, dalle voci razionali, sicure, di coloro che gli stavano intorno. 

 

Ora è venuta alla luce, e non può più ignorarla.

 

In questa settimana ha passato il poco tempo libero tentando di indagare, di capire.

 

Tralasciando i membri del clan, tra i quali nessuno pare intenzionato a ricordare, è andato a parlare con Tsunade, l’hokage precedente: le ha creduto quando ha ammesso di non averne mai saputo niente. Ha domandato anche ad un paio di Anbu in pensione che potevano essere presenti al momento del massacro.

Niente.

 

Infine, con la certezza che se si è trattato di un affare interno devono essere coinvolti quelli della Root, ha chiesto ad un loro ex membro, l’unico di cui è a conoscenza dal momento che, anche dopo lo smantellamento dell’unità, è stato mantenuto il segreto sui loro nomi. Anch’esso nega di ricordare qualcosa.

 

L’hokage di allora è morto, e Danzo, il membro del consiglio degli anziani che era a capo della Root, è intoccabile, per cui rimane un’unica opzione, dare una sbirciata negli archivi militari: lì si nascondono tutti i rapporti segreti delle unità Anbu, e lì devono essere confluiti anche quelli degli Uchiha e della Root. Solo che non gli è permesso visionare i documenti secretati, ed è quasi impossibile ottenere un’autorizzazione. 

 

Può anche provarci di nascosto se riesce ad elaborare un piano, ma al momento non sa neppure dove si trova quella parte dell’archivio, e se venisse scoperto sarebbe accusato di alto tradimento. 

 

Ed è qui che entra in gioco Sakura Haruno: è una valente combattente, affidabile, ed è in ottimi rapporti con l’hokage. Soprattutto, da quel che si dice, ha già avuto accesso in passato agli archivi segreti per una ricerca medica, e se è così può ottenere il permesso di nuovo. 

Sa di avere un qualche potere su di lei.

 

Una sua immagine, vibrante di colore, prende forma nella memoria: c’è qualcosa di inesplicabile in lei, una specie di armonia che non riesce a comprendere. 

E’ un pensiero incongruo, e per una frazione di secondo si chiede se il suo interesse per lei sia meramente utilitaristico. 

 

Non ha tempo per patetici sentimentalismi, ma sta ancora pensando a Sakura, a quello strano connubio di forza e dolcezza, quando ode dei piccoli passetti ravvicinati.

 

 — Zio! —

 

Sua nipote sta correndo verso di lui, e gli si butta al collo con un sorrisone enorme e due occhioni pieni di innocenza ed amore.

 

 — E’ tardi per te, cosa fai in piedi piccola peste? — le sussurra stringendola e accarezzandole i capelli scuri.

 

 — Aspetto il papà! Torna questa notte! —

 

 — La mamma sa che vuoi aspettarlo sveglia? —

 

Ovviamente no, dal lampo di preoccupazione e colpa che le rannuvola lo sguardo.

 

 — Non glielo diciamo, va bene? — gli sussurra adagiandosi fiduciosa sul suo grembo.

 

Sa che, per quanto gli possa sembrare lecito lasciarla sveglia un po’ di più per aspettare il padre, non spetta a lui decidere, e sa che le interferenze non sono gradite ad Izumi, la madre.

Ma Mira non vuole saperne di tornare a letto e lui neanche si sforza molto di convincerla, invece la lascia accoccolarsi meglio contro di lui sperando che si addormenti presto.

 

Sua nipote è la sua debolezza, e non riesce neppure a rammaricarsene troppo. Le vuole bene, farebbe qualsiasi cosa per lei, e lei lo adora.

 

Non è figlia di un matrimonio felice: sua cognata sembrava innamorata un tempo, ma Itachi è costantemente impegnato, e non è meno freddo con lei di quanto lo sia con la maggior parte della gente con cui ha a che fare: ha perso la ragazza che amava nella notte del massacro, e gli Uchiha sono tendenzialmente monogami, anche i più promiscui tra loro amano veramente una sola donna nella vita. Probabilmente non si sarebbe neanche mai sposato, è stata una necessità imposta dall’alto, con lo scopo di unire due rami prestigiosi della famiglia e dar vita ad una nuova generazione di Uchiha con un corredo genetico adeguato.

Anche a lui toccherà, suppone, pare che sia il modo più veloce per tornare ad essere numerosi, e forti.

 

Spera il più tardi possibile.

 

Ma poi guarda Mira, sua nipote, che è una meraviglia, anche se in una società patriarcale come la loro non risulta un erede adeguato.

Sasuke ascolta il suo chiacchiericcio con un sorriso involontario tra le labbra, e pensa che Mira sia non solo adeguata, ma anche perfetta, migliore del padre, dello zio.

 

Adesso è lì che sbadiglia e fatica a tenere gli occhi aperti, non resisterà molto: viene svegliata all’alba ogni mattina e la sera crolla prima del tramonto. 

Poco dopo gli si addormenta tra le braccia, e la riporta nell’ala della casa riservata a lei e ai suoi genitori, separata da una porta scorrevole. 

Le rimbocca le coperte con una tenerezza di cui non riesce a vergognarsi, perché Mira merita tutto, tutta la tenerezza, l’amore e la gioia del mondo. E’ l’unica che conosce a meritarlo.

 

Quando torna in cucina c’è Itachi.

 

Tutto ciò che ha dimenticato grazie alla presenza preziosa di sua nipote ritorna pressante, incombente: se c’è qualcuno  tra gli Uchiha che è a conoscenza dei segreti sordidi e degli inganni che si giocano al di sotto della superficie irreprensibile del villaggio, quello è Itachi, l’erede di Fugaku.

 

Aspetta che suo fratello si sia lavato e cambiato, intanto prepara una cena frugale per tutti e due.

 

 — Izumi? — chiede meccanicamente non appena si sono seduti in tavola.

 

 — E’ già in camera —

 

 — Mira ha provato ad aspettarti —

 

 — La vedrò domani —

 

Sasuke sa che ama profondamente la figlia anche se, per come è fatto, è raro che lo dimostri apertamente, e iniziano a mangiare senza più parlare.

 

Con suo fratello bisogna girare intorno all’argomento, difficilmente risponde ad una domanda esplicita, e lui, che di natura sarebbe più diretto, fatica a trovare il modo giusto di approcciarlo.

 

 — Stavo pensando a mamma e papà — si decide — a quella storia che sarebbe stato un gruppo di ninja fuorilegge. Non mi ha mai convinto pienamente —

 

 — Eppure è così. Li ho visti io stesso —

 

Si riferisce ai due ninja sconosciuti che sarebbero stati uccisi mentre fuggivano. Come se un paio di ninja qualunque potesse penetrare indisturbato all’interno del villaggio, nel loro quartiere, ed ammazzare metà del clan Uchiha senza difficoltà.

 

 — Dovevano essere molti di più chiaramente — insiste Itachi — gli altri sono riusciti a scappare. Da allora sono cambiate molte cose a Konoha, anche la sorveglianza esterna. Credevamo di essere al sicuro, è stato questo l’errore —

 

E’ ciò che gli hanno rifilato per anni, ma in quel momento non riesce a crederci neppure con tutta la sua buona volontà, anche solo per una questione numerica: pochi uomini non sarebbero stati sufficienti, tanti non avrebbero potuto entrare indisturbati.

 

 — Non sembra molto credibile — replica freddamente.

 

 — Può sembrare impossibile, ma è così che è andata — 

 

Fin qui sono arrivati più volte, è un discordo che hanno intavolato spesso in passato, quando lui era solo un ragazzino, e si chiudeva sempre a questo punto, con quel tono falso di condiscendenza.

 

  — Perché sei così sicuro che non ci sia qualcos’altro sotto? Un aiuto dall’interno ad esempio — chiede, e al diavolo la diplomazia.

 

Itachi poggia i bastoncini a lato del piatto e lo fissa con quella calma intensità con cui riesce quasi sempre ad avere la meglio.

 

 — Non c’è niente al di sotto, non metterti assurde e pericolose idee in testa — scandisce con fermezza.

 

  — Forse no — gli concede anche se non lo pensa affatto — ma vorrei fare lo stesso alcune ricerche, voglio vederlo con i miei occhi. Tu hai lavorato per Danzo, e puoi dirmi da dove iniziare —

 

 Itachi non si muove, imperturbato all’apparenza, ma c’è un lampo nel suo sguardo che lo tradisce.

Non è facile turbarlo, e forse anche questo è un segno, chissà di cosa, a parte del fatto che avrebbe dovuto aspettare, essere più circospetto.

 

 — E cosa penseresti di scoprire che non è stato scoperto finora? — gli risponde infine con una nota di sarcasmo — Abbiamo investigato, c’ero anch’io, ho visto. E poi sono passati tanti anni, qualsiasi traccia abbiano lasciato quei ninja ormai è svanita, non ha più senso rivangare il passato —

 

 — Lo so, ma vorrei fare lo stesso un tentativo, anche solo per una mia curiosità. Ho bisogno di capire — 

 

 — No — chiude il discorso Itachi — Non serve a niente. Lascia stare, dimentica —

 

Dimentica. E’ stanco di sentirselo ripetere, ed anche di non riuscire a parlare con lui, suo fratello, di qualcosa che li accomuna e li tocca così da vicino.

 

 — Mi spieghi perché non ti interessa scoprire come sono morti? Perché sono morti? — chiede brusco.

 

 — Perché non c’è niente da scoprire, sei solo tu che vuoi rimanere ancorato al passato con patetiche nostalgie —

 

 — Ma pensaci un… —

 

 — Basta Sasuke. Ti ho detto di lasciare perdere queste futili teorie, è un ordine — 

 

Un ordine.

Itachi tecnicamente è un suo superiore, ma qui non sono in missione e suona quasi ridicolo.

E lui non capisce questa chiusura eccessiva che non ammette alternative, non capisce questo disinteresse, se è disinteresse, perché non si tratta semplicemente di futili teorie, non è vero, né di patetiche nostalgie.

Si tratta di un diritto, il diritto di conoscere la verità, il diritto di capire, perché senza capire come può riuscire a chiudere definitivamente con il passato.

Ed è stanco di questa ferita aperta. 

   

Itachi esce subito dopo sostenendo che non ha ancora fatto il suo rapporto, e da fuori lo sente parlare con qualcuno, una donna.

 

Quando la porta si apre ed entra Sakura, scusandosi per l’orario e l’intrusione, lui è di nuovo seduto sul gradino che dalla cucina porta al giardino interno.

Lo raggiunge lì e gli si siede accanto a gambe unite senza chiedere il permesso, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

 

La guarda incuriosito, questa creatura dai pensieri così diversi dai suoi, così aliena.

Ha un bel profilo, nota, ed un lungo collo sottile che la fa apparire esile ed estremamente femminile.

 

 — Scusa l’orario —

 

 — No, va bene. E’ presto —

 

 — E’ la prima volta che entro dentro al vostro distretto, è una mini città nella città! Non pensavo ci fossero tanti negozi — ciancia sorridendo, e in attimo l’atmosfera è cambiata, la tensione svanita.

 

 — Una volta era anche più grande. Molti locali sono chiusi ormai —

 

 — Ma è comunque molto bello, caratteristico. Mi sono sempre chiesta perché nessuno di voi scegliesse di vivere tra noi comuni mortali. Forse ora comincio a capire —

 

 — In realtà c’è una legge che lo vieta —

 

Lo guarda stupefatta, talmente trasparente che ancora si chiede come possa essere diventata un ninja. Ma lo è, ed è brava, lo sa, lo ha visto.

 

 — Una legge che vi vieta di vivere al di fuori del distretto? Ma che razza di legge è? A chi è venuta in mente! —

 

 — Al secondo hokage a quanto pare —

 

 — E non è ancora stata tolta? E’ assurdo! — esclama indignata, lo sguardo acceso di passione. 

 

Chissà se quello sguardo, se quella passione…

 

Si forza a fissare fuori, nel vuoto, irritato da quei pensieri.

 

 — Sei qui per la risposta? — cambia argomento.

 

 — Sì — lei abbassa gli occhi, e quando li rialza sembra più giovane, e ancora più delicata — Non posso accettare, non fa per me quel tipo di vita. Diciamo che non sono il ninja perfetto che gli Anbu richiedono: so che non riuscirei ad adattarmi a certi compromessi, e probabilmente rischierei anche di compromettere alcune missioni…e mi dispiace anche di non avertelo detto subito, perché in fondo quando me l’hai chiesto già lo sapevo —

 

Ora è lui a guardarla sorpreso, e non è per il rifiuto, è per quell’onestà disarmante che gli è così nuova, che non comprende appieno. 

Non riesce a capire dov’è il trucco, perché da qualche parte ci sarà un obiettivo, uno scopo, ma non vede ombre in quello sguardo limpido, non sente inganni o ipocrisia nella voce cristallina.

 

 — Peccato — mormora solo.

 

 — Magari posso partecipare a qualche missione particolare, aiutare in altro modo. Mi piacerebbe —

 

— In realtà ci sarebbe una cosa… — 

 

Esita.

E’ troppo presto, pensa, non deve fidarsi.

 

 — Dimmi —

 

 — Mi aiuteresti a… — esita ancora — a indagare su qualcosa? Una faccenda personale —

 

 — Volentieri se posso —

 

 — Non so quanto è legale —

 

 — Ma è giusto? — chiede lei, con una lucida intelligenza che le ha già riconosciuto.

 

 — Per me lo è. Vorrei scoprire cos’è successo veramente la notte del massacro — spiega d’impulso — Sappiamo che è stato un gruppo di ninja fuorilegge, probabilmente per una vendetta — si corregge, rifilandole la scusa ufficiale — ma vorrei vedere di persona, capire se c’è dell’altro. Ci deve essere qualche documento al riguardo nell’archivio militare — 

 

Lei lo studia a lungo, un lungo sguardo aperto carico di mille sfumature, anche dubbio, ma non solo.

 

 — Cosa pensi di scoprire — va subito al dunque, e lui si volta a fissare il lago, o meglio il luogo in cui sa che si trova, solo un buco nero adesso, prima di tornare a puntare lo sguardo su di lei.

 

 — Non lo so. Probabilmente niente, ma mi aspetto di tutto, anche la possibilità di un aiuto dall’interno, persino un possibile coinvolgimento del villaggio — 

 

La scruta mentre fa uscire quelle parole, ma lei non pare oltraggiata, o incredula, solo pensierosa, per cui non si corregge.

 

 — Cercherò di scoprire qualcosa — gli promette seria, decisa.

 

Continua a fissarla cacciando un principio di emozione, e non può non notare quanto sia bella alla luce soffusa della lampada, bella come si dice in giro.

 

Lei lo guarda a sua volta a viso nudo, tutte le emozioni dispiegate, così esposta che è un invito a chinare la testa e baciarla, a sentire il sapore delle sue labbra, la consistenza della sua pelle.

 

E’ più difficile questa volta girarsi verso il lago.

 

Decidono di incontrarsi una settimana più tardi, per aggiornarsi, ma lei ancora indugia, seduta accanto a lui. Non gli importa, non ha sonno.

Gli chiede del giardino, di quella casa, di sua madre, e si riscopre a raccontarle particolari che credeva di avere dimenticato.

E’ così che li trova Itachi quando torna, perché nonostante la casa abbia due ingressi separati è da qui, da quello originale, che preferisce entrare. 

Saluta Sakura con quel suo sorriso freddo e gentile mentre la esamina attentamente, e poco dopo lei se ne va.

 

Più tardi, ormai a letto, non sa spiegarsi l’impulso improvviso che lo ha portato a scoprirsi così tanto, e si chiede se abbia fatto bene a fidarsi di lei, ma ormai è fatta, inutile rimuginare, e in fondo non è veramente preoccupato.

Non gli importa di correre dei rischi, ha così poco da perdere. 

 
   
 
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