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Autore: Signorina Granger    17/09/2017    4 recensioni
[Raccolta di OS dedicate ai protagonisti di "Act II"]
Lavoro, amore, famiglia, amici... dopo essersi Diplomati ci sono molte cose che li aspettano, un'intera vita da vivere.
Ma forse godersela non sarà così semplice, dovendo fare i conti con la prima guerra magica.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
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Markus & Berenike 


 
Markus Fawley IMG_4956 e Berenike Black IMG_4955



“Immagino che non ci sia niente che io possa fare per farti cambiare idea.” 

Il tono rassegnato con cui Berenike parlò lo fece quasi sorridere, continuando a camminare accanto a lei sul marciapiede lungo la strada buia, tenendola per mano. 

“Perché? Non vuoi che diventi un Auror?” 
“Io voglio che tu sia felice, Mark, e so che sogni di fare lo stesso lavoro di tuo padre da anni… ed è una cosa molto bella, davvero. Però non posso fare a meno di pensare che tu lo voglia diventare proprio nel periodo più sbagliato.” 

Vedendo la ragazza rabbuiarsi leggermente l’oramai ex Grifondoro sorrise, sollevando il braccio per appoggiarglielo sulle spalle e attirarla a sé, lasciandole un bacio tra i capelli rossi:

“Forse non ho un gran tempismo, ma sarei ben felice di poter dare una mano in questo momento. Molti di noi sono del parere che dovremmo starcene a guadare con le mani in mano, adagiarsi sugli allori visto che sicuramente non verranno a prendersela con noi Purosangue… ma non sono d’accordo. E poi è ancora presto per preoccuparsi Berenike, non so ancora se sono riuscito ad entrare all’Accademia o meno dopotutto.” 

“Non essere sciocco, sappiamo entrambi che sei passato.” 
“Non puoi esserne sicura!” 
“Sì invece, ho chiesto a mio zio di dare una sbirciatina ai risultati… perciò congratulazioni! Forse non mi rende molto felice, ma sono fiera di te.” 

Berenike sfoggiò un piccolo sorriso, guardando il ragazzo sgranare gli occhi, guardandola con evidente stupore:

“E quando pensavi di dirmelo?” 
“Avevo pensato di non dirti niente in realtà, ma non ce l’ho fatta, mi conosci… ora devi solo darti da fare e sopravvivere ai prossimi tre anni Mark. E poi, se possibile, anche alla vera vita da Auror.” 


*


“Berenike ci aveva detto che volevi intraprendere questa strada… e sei passato con un punteggio molto alto, complimenti.” 
“Grazie, Signor Black.” 

Le labbra di Markus si piegarono in un sorriso mentre, seduto accanto a Berenike su un divano, aveva di fronte gli zii della ragazza, che aveva insistito per presentargli. 

“Sai già a chi ti hanno assegnato?” 
“Zio, volevo presentare Mark a te e alla zia, ma non per parlare solo dell’Accademia! Eltanin non c’è?” 

“No, al momento sta scorrazzando per Londra insieme ad Electra per scegliere le partecipazioni… Il povero Edward se ne è lavato le mani dell’organizzazione quando ha capito che la fidanzata avrebbe dato molta più retta alla sorella che a lui.” 
Elizabeth si strinse nelle spalle prima di rivolgere un sorriso gentile a Markus, chiedendogli dolcemente se volesse altro thè. 

“Sì, grazie Signora Black… In ogni caso non abbiamo ancora incontrato gli istruttori che ci seguiranno, Signore, ci hanno lasciato soltanto i nominativi ieri mattina. Accanto al mio nome c’era scritto “Selwyn-Cavendish”, non mi è ben chiaro se si tratti di due persone o meno.” 

“Zio, ti viene in mente qualcuno?” 

Alla domanda di Berenike Altair sollevò leggermente un sopracciglio, sforzandosi visibilmente per non ridere mentre lanciava un’occhiata in direzione della moglie, che ricambiò prima di parlare:

“Pensi si tratti di lei?”
“E di chi altro?” 

“Lei? Quindi è una donna?” 
“Sì Markus… Temo proprio che tu sia stato assegnato a Charlotte Selwyn. In realtà il suo cognome da sposata è Cavendish, ma ti sconsiglio vivamente di chiamarla così se non vuoi inimicartela dal primo giorno… ed è una di quelle persone, per intenderci, che è meglio non contrariare mai.” 

“Zio, non spaventarlo!” 

“Non spavento nessuno Berenike, dico le cose come stanno… Charlotte negli ultimi anni passa alcuni mesi ad aiutare all’Accademia per la formazione delle matricole, ed è senza dubbio una dei migliori. Se sopravvivi sarai un ottimo Auror, Markus.” 
“Ma è così ferrea?” 
“Una volta ha mandato tuo padre a lavare i piatti perché era arrivato in ritardo alla sua lezione.” 

Altair si strinse nelle spalle prima di bere un sorso della sua tazza, dove poco prima aveva cercato di versare furtivamente dello scotch che era subito stato sequestrato dalla moglie. 
Berenike invece rimase spiazzata per un attimo prima di stendere le labbra in un sorriso, quasi illuminandosi al sentire quelle parole mentre continuava a tenere la mano stretta in quella di Markus:

“… davvero? Posso conoscerla?” 


*



La stanza era piuttosto affollata, mentre alle sue spalle le sue sorelle, ormai tutte pronte, chiacchieravano e ridevano insieme alle cugine. 
Non tutte, in realtà: Berenike osservò il riflesso delle ragazze presenti nella stanza nello specchio ovale che aveva davanti, non riuscendo a non notare l’assenza di Andromeda. 
La cugina se n’era andata di casa da circa un anno, e da un anno nessuno l’aveva praticamente più nominata, o almeno non davanti ai suoi genitori, Bellatrix o Narcissa. 

Le aveva comunque spedito l’invito qualche mese prima, ma la ragazza aveva gentilmente declinato l’offerta, facendole i migliori auguri ma sostenendo che non volesse assolutamente creare scompiglio durante la cerimonia anche se le sarebbe piaciuto molto esserci. 
E anche a lei sarebbe piaciuto averla lì, insieme a tutto il resto della famiglia. 


Berenike tornò a concentrarsi sul velo, sistemandosi nervosamente il fermaglio che lo teneva fisso sulla nuca. Era così assorta nei suoi stessi pensieri che quasi non si accorse quando la porta della stanza si aprì e l’ennesima Black entrò, avvicinandosi alla ragazza e sedendo accanto a lei. 

“Siamo davvero in tante, non pensi?”

La rossa si voltò, rivolgendo un piccolo sorriso alla zia mentre annuiva:

“Senza dubbio… Anche se tra poco anche io, come Libra, cambierò cognome.” 
“Formalmente lo cambierai, ma sarai sempre una Black, tesoro.” 

Elizabeth ricambiò il sorriso, allungando una mano per sistemarle il velo sulla spalla prima di parlare nuovamente, lanciando una fugace occhiata a figlie e nipoti:

“Sì, questa stanza è davvero affollata… ma so che l’unica che vorresti avere accanto oggi non può essere presente.” 

La rossa esitò alle parole della zia prima di annuire, abbassando lo sguardo sul legno bianco della toeletta prima di parlare a mezza voce, con tono quasi tetro:

“È così evidente?” 
“No. Ma ci sono passata anche io, quindi lo capisco… é normale. L’ho detto anche a tua sorella quando si è sposata… È naturale che vorreste averla vicino in momenti simili. Se avrai figli sarà la stessa cosa.” 
“Ho una famiglia enorme, eppure negli ultimi giorni, a volte, mi sono comunque sentita sola. A te è successo?” 

“Qualche volta, sì… ma passerà, te l’assicuro. Non appena lo vedrai sorriderai e smetterai di chiederti se a lei Markus sarebbe piaciuto, se avrebbe approvato, se le sarebbe piaciuto il tuo vestito, come sarebbe stato organizzare le nozze con lei… me lo domandavo anche io, ma passerà.” 

“Spero che tu abbia ragione… grazie.” 
“Tesoro, dovresti sapere che io ho sempre ragione. Persino quando ho torto ho ragione, tuo zio lo sa bene.” 


Alle parole della zia Berenike sorrise, guardandola con affetto prima di rivolgersi alla brigata di cugine e sorelle, annunciando che era pronta e che potessero finalmente andare. 


Forse non essere mai riuscita a presentare Markus a sua madre era uno dei suoi più grandi rimpianti… e Lizzy aveva ragione, si era spesso chiesta come sarebbe stato organizzare il matrimonio con sua madre, averla vicino quel giorno. Ma era assolutamente sicura che se Lyra l’avesse conosciuto le sarebbe piaciuto moltissimo e, soprattutto, avrebbe approvato quell’unione. 


*


“Invece di tornare in Inghilterra non potremmo restare qui per il prossimo decennio? El aveva ragione, non dovevamo venire qui, ora me ne voglio più andare.” 

Berenike, stesa su una sdraio con gli occhiali da sole sugli occhi, si lasciò sfuggire un piccolo sospiro seccato mentre invece Markus sorrise, voltandosi verso di lei:

“Non ti manca la grigia, triste Inghilterra?” 
“Neanche un po’, noi questo clima caldo e soleggiato ce lo sogniamo… anche se non sono comunque riuscita ad abbronzarmi minimamente in tre settimane, mi chiedo che problema abbia la mia pelle. E poi vorrei restare qui perché in questo modo non sentirei parlare di “Mangiamorte”, “Tu-Sai-Chi” e attacchi tutto il giorno.” 

Vedendo la ragazza rabbuiarsi Markus sorrise, allungando una mano per stringere quella ancora pallida di Berenike nonostante il cuocente sole dei Caraibi:
“Lo so, piacerebbe anche a me restare qui ancora per un po’ a sorridere e a fare finta che vada tutto bene… ma le lune di miele finiscono, rossa. E prima o poi si deve tornare alla vita reale, con i piedi ben piantati per terra.” 
“Lo so, ma tu ti sei Diplomato poco prima di sposarci e questo significa che ora inizierai a lavorare davvero sul campo come lo zio Altair. So che è quello che hai sempre voluto e sono davvero felice che tu ce l’abbia fatta Mark, ma in questo periodo non posso non preoccuparmi almeno un po’.” 


“Andrà tutto bene rossa, vedrai.” 

Markus le sorrise e Berenike si sforzò di ricambiare e di credere alle sue parole, anche se con scarsi risultati. Erano in guerra solo da due anni e aveva la netta sensazione che le cose non sarebbero cambiate tanto in fretta.


*


“Si può sapere perché ci hai chiesto di venire con così tanta urgenza?” 

Alla domanda di Libra Berenike esitò, seduta accanto a Cara nel salotto con la sorella maggiore, Eltanin ed Electra di fronte. 
Sentendo che la sorella non rispondeva Cara le rivolse un’occhiata eloquente, suggerendole silenziosamente di farla finita e di dirlo anche a loro. 

“Vi deve dire una cosa… e se non lo farà lo farò io, sei avvisata.” 

Berenike smise di fissarsi le mani che teneva sulle ginocchia per fulminare la sorella con lo sguardo, quasi pentendosi di averglielo confidato due settimane prima. 
Del resto non farlo sarebbe stato difficile visto che Cara viveva con lei e Markus.

Libra le rivolse un’occhiata inquisitoria, così tremendamente simile allo sguardo della madre quando carpiva qualcosa di strano nell’aria da non permetterle mai di dissimulare: la rossa sospirò, continuano a guardarsi le mani mentre parlava a mezza voce.

“Sono incinta.” 

“Grazie al cielo, cominciavo a pensare ad una malattia terminale…” 
Eltanin si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo mentre accanto a lei Electra, con Alhena sulle ginocchia che giocava distrattamente con un sonaglio, sorrideva alla cugina:

“Congratulazioni, allora. Lo so che un po’ spaventa rossa, ma non appena lo o la vedrai sarà bellissimo, fidati.” 
“Sei felice?” 

Berenike esitò alla domanda della sorella maggiore, osservando Electra e la bambina di un anno e mezzo che teneva in braccio con leggera fatica a causa del pancione. 
In famiglia non c’era nessuno che non adorasse Alhena, la prima nata tra tutti i numerosi cugini, seguita poco dopo da Enif, la figlia di Elnath. Lei stessa stravedeva per le due bambine, ma non era sicura di sentirsi pronta. 

“Credo di sì.” 
“Lo hai detto a Markus?”
“Non ancora, volevo prima parlarne con voi.” 
“Per favore, ci pensate voi a dirle che DEVE parlarne con Mark? Lo sa da due settimane e lo ha detto a me solo perché l’ho incastrata!” 

“E me ne sto anche pentendo.” 

Berenike sbuffò, fulminando la sorella minore con un’occhiata mentre Libra invece roteò gli occhi:

“Berenike, so che pensi alla mamma, è normale. Ma lei ha avuto sei figlie e sei parti perfetti, andrà tutto bene… e non sarai da sola, ci saremo noi e la zia Liz. Non diremo niente, neanche a lei e allo zio Altair finché non l’avrai detto a Mark… sono sicuro che sarà felicissimo, tesoro.” 

“E se così non dovesse essere ci penseremo noi a sistemarlo, riceverà una visitina da parte della sorellanza Black, più la mamma.  E vi ricordo che io sono un’Auror e la mamma vale per dieci, quindi fossi in lui accoglierei la notizia con grande gioia.” 


Berenike sorrise alle parole della cugina, guardando lei, Libra ed Eltanin con sincera gratitudine.
Certo, aveva perso sua madre troppo presto, ma almeno non era sola. 

“Grazie ragazze… ma Libra, non dire niente ad Hydra o alle piccole, altrimenti lo saprà anche il Ministro della Corea del Sud entro sabato prossimo!” 


*


Quando uno degli elfi le aveva annunciato che era arrivata una visita per lei Eltanin aveva raggiunto l’ingresso sorridendo, certa di trovarsi davanti Veronica visto che si erano date appuntamento… ma la persona che la ragazza si trovò davanti era molto più alta, con capelli molto più rossi e decisamente non di sesso femminile:

“Mark? Ciao! Che ci fai qui?” 
“Ciao El… scusa l’intrusione, non voglio disturbare… oggi hai visto Berenike, per caso?” 
“Sì, siamo andate fuori a pranzo con mia madre, mia sorella e Alhena, non te lo aveva detto?” 

Eltanin inarcò un sopracciglio, guardando il cognato annuire con leggera perplessità, non capendo il perché dell’espressione cupa del ragazzo:

“Sì, me lo ha detto, volevo solo chiederti conferma. Ultimamente resta parecchio fuori casa, o è al lavoro oppure vede voi… Forse penserai che sono paranoico, ma mi aveva detto che sabato sarebbe uscita con Veronica. Peccato che io abbia incontrato Vee al Ministero.” 

Merda

Eltanin dovette mordersi la lingua per evitare di imprecare ad alta voce, dire a Markus che la cugina era una perfetta cretina perché non si era ancora decisa a dirgli nulla… e lei sapeva benissimo dove fosse stata sabato, ma di certo non poteva dire a Markus della sua visita dal ginecologo. 


“Forse hai capito male Mark, credo che sabato Berenike sia andata a trovare Electra per aiutarla con Ally… sai, ormai mancano poche settimane alla nascita del pargolo e fa un po’ fatica.” 


La Corvonero si costrinse a sorridere, suggerendo mentalmente alla cugina di ringraziare le sue ottime doti da ballista nata. Crescere cercando di coprire i guai che combinava da piccola con la madre le aveva permesso di sviluppare una considerevole inventiva.

“Capisco. Scusa il disturbo, volevo solo chiederti questo.” 
“Non preoccuparti. Ah, Mark… non fasciarti la testa, Berenike non ti mentirebbe mai.” 

Circa


Guardò il ragazzo annuire con scarsa convinzione prima di salutarla, girare sui tacchi e andarsene.
 
E la porta gli si era appena chiusa alle spalle quando Eltanin si voltò, camminando a passo di marcia verso il salotto per raggiungere il camino, cogliendo di sfuggita l’occhiata perplessa che le rivolse Aiden, seduto su una poltrona leggendo il giornale:

“Chi era alla porta?” 
“Mark. Ora devo fare una chiacchierata con mia cugina.” 

Due minuti dopo la Black, china sulle fiamme con il salotto della cugina davanti, la stava chiamano avran voce, ordinandole di farsi vedere mentre Aiden seguiva la scena con aria smarrita ma preferendo saggiamente starne fuori.

“BERENIKE! Vieni subito qui, ti devo fare una ramanzina!” 
“El? Che cosa c’è?” 
“Cara, chiamami tua sorella, le dobbiamo parlare! Il povero Markus penserà che lo stia tradendo, di questo passo!” 


*



“Lo sai da tre settimane? Perché non me lo hai detto prima?” 

Berenike, seduta accanto al marito sul divano, continuò ad evitare di guardarlo in faccia, tormentandosi nervosamente le mani pallide mentre Markus la guardava, confuso ma felice:

“Non lo so. Ho pensato a quello che è successo a mia madre… voglio avere figli, adoro i bambini, ma credo di aver avuto paura. Non solo per come è morta mia madre, ma anche per te, per il tuo lavoro e quello che sta succedendo in questi anni… forse ho paura di restare sola e non dirtelo lo rendeva meno reale.” 


Di fronte alla confessione della moglie lo sguardo di Markus si addolcì, sorridendo prima di prenderle il viso tra le mani per costringerlo a guardarla:

“Non resterai sola rossa… forse pensi che il periodo non sia dei migliori per avere figli, ma credimi, è la cosa più bella che io abbia sentito negli ultimi mesi. E non pensare a tua madre, hai 22 anni, sei giovane e sanissima, andrà tutto bene. Te lo prometto.” 


*


Dormire
Ecco che cosa avrebbe tanto voluto fare in quel momento, mentre saliva le scale di corsa, al buio, circondata dal rumore della pioggia che si abbatteva violentemente sulle finestre accompagnato dai tuoni assordanti.

Non le erano mai piaciuti i temporali, e a giudicare da quegli strilli nemmeno a suo figlio… 

Berenike aprì la porta della camera del bambino prima di avvicinarsi alla culla quasi di corsa, sollevando il bambino di pochi mesi in lacrime e sistemandoselo in braccio. 

“Sì, non piacciono nemmeno a me, ti capisco.” 

Berenike sospirò, massaggiando con delicatezza la schiena del piccolo Castor mentre, con un colpo di bacchetta, chiudeva le finestre e le tende per attutire il fastidioso frastuono che aveva svegliato il bambino. 
Sedette sulla poltroncina con il bambino in braccio, lanciando un’occhiata al cielo scuro ma illuminato di continuo dai fulmini mentre Castor smetteva lentamente di piangere, chiudendo gli occhi azzurri e lasciandosi cullare dalla madre. 

Avrebbe tanto voluto avere ancora sua sorella vicino, ma Cara si era trasferita poco tempo prima ad Amburgo… si scrivevano di continuo ma le mancava tremendamente, si sentiva molto spesso sola in quella grande casa, in compagnia solo del figlio ancora molto piccolo. 


Sicuramente il fatto che Markus passasse intere notti fuori non l’aiutava, quasi non chiudeva occhio da una settimana tra la preoccupazione e la tendenza di Castor a svegliarsi e a richiamare attenzioni ogni due ore. 




“Lo so tesoro, ti capisco, è difficile. Io e tuo zio abbiamo discusso decine di volte sull’argomento, ma da quando siamo in guerra ho dovuto accettarlo.”
“La paura passa, prima o poi?” 

“Non credo passerà mai del tutto, tesoro… io mi preoccupo di non vedere Altair tornare a casa da anni, e ora ho anche due figli per cui morire di paura tutti i giorni. Augurati che nessuno dei tuoi figli voglia seguire le orme del padre, in futuro.” 


Finalmente capiva davvero la preoccupazione di sua zia, e non voleva neanche immaginare come dovesse sentirsi dovendo pensare anche ai due figli maggiori… lei, per cercare di non pensarci, tendeva a concentrare tutta la sua attenzione e le sue energie sul figlio, ma Elizabeth non poteva farlo. E per questo Electra, Elnath e Eltanin le chiedevano spesso di occuparsi dei nipoti, fornendole almeno una piccola distrazione di tanto in tanto. 


Lanciò un’occhiata all’orologio: le tre. E di Markus ancora nessuna traccia, ma ormai ci aveva praticamente fatto l’abitudine, a non vederlo tornare prima dell’alba. 
Di recente Bartemius Crouch aveva concesso agli Auror l’utilizzo delle Maledizioni senza Perdono a causa di quella precaria situazione, e non sapeva se esserne felice o meno, forse da quando era stata promossa quella legge la sua preoccupazione era solo aumentata.


“Beato te, che non hai nessun pensiero…” 

Berenike sospirò, appoggiandosi allo schienale della poltrona mentre Castor ormai dormiva placidamente tra le sue braccia. La madre lanciò un’occhiata al bambino, invidiandolo per la facilità con cui dormiva… avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi anche lei.

Forse poteva farlo, in fin dei conti. Chiudere gli occhi, solo per un attimo. 




Di solito, al suo ritorno, trovava la moglie ad aspettarlo raggomitolata sul divano o impegnata a girovagare per casa come un fantasma, ma quella sera non vedendola pensò che fosse andata a dormire, come lui le ripeteva di fare da mesi invece di aspettarlo sveglia.

Mentre saliva silenziosamente le scale per raggiungere la camera pensò di fermarsi a salutare il figlio, che con suo profondo rammarico riusciva a vedere molto di rado. 
Aprì la porta senza far rumore, ma finì col esitare sulla soglia mentre i suoi occhi indugiavano sulla poltrona sistemata accanto alla finestra, dove trovò la moglie con Castor in braccio, entrambi profondamente addormentati.

Non riuscì a non sorridere di fronte a quello spettacolo, quasi rammaricandosi di non avere una macchina fotografica sottomano mente entrava nella stanza con passo felpato, sistemando su moglie e figlio il pail trovato sopra la cesta dei giochi del bambino. 
Prima di uscire dalla camera e chiudersi la porta alle spalle lasciò solo un bacio sulla fronte della moglie, promettendole silenziosamente che non avrebbe mai fatto la stessa fine di suo padre. 


*


“C’è qualcosa che non mi stai dicendo, lo so.”
“Stai diventando paranoico, Markus Fawley, smettila di assillarmi, non ti nascondo nulla!” 


Berenike sbuffò, camminando quasi a passo di marcia lungo il corridoio per cercare di seminare il marito, ma inutilmente visto che il rosso le stava alle calcagna, deciso a farla parlare:

“Non sono affatto paranoico Berenike, ti conosco e so che c’è qualcosa che non vuoi dirmi.” 
“Ti sbagli!” 
“No che non mi sbaglio! Ogni volta in cui dici che non c’è assolutamente niente che dovresti dirmi le tue pupille si spostano per una frazione di secondo in alto a destra, si chiama “visivo costruito” e vuol dire che stai mentendo! Se stessi dicendo il vero le pupille si sposterebbero a sinistra, si chiama “visivo ricordato”, cosa che NON accade nel tuo caso.” 

“Che cavolo stai blaterando adesso?” 
“Ce lo hanno insegnato all’Accademia per capire quando le perone mentono, agli interrogatori… Berenike guardami.” 

Markus sbuffò, prendendo la moglie per un braccio e costringendola così a fermarsi e a guardarlo, osservandola con attenzione prima di formulare nuovamente la stessa domanda:

“So che c’è qualcosa, hai continuamente la testa tra le nuvole. Dimmi che cosa succede!” 
“Parla piano, Castor dorme.” 
“Berenike, continuerò a chiedertelo finché non cederai, e sai quanto possa diventare insistente, volendo.” 


La ragazza non disse niente per qualche secondo, evitando di confermare le parole del marito che invece continuava a guardarla, in attesa. 

“Non volevo dirtelo, non ancora almeno, perché non ne sono sicura, ma visto che insisti e continui ad assillarmi da ieri con questa storia… credo di essere incinta, ma prima che tu ti metta ad esultare per poi avvertire tutta la famiglia più il Dipartimento al completo ripeto che non ne sono sicura, domani ho la visita dal gineco-“ 

Quando si ritrovò stretta in un abbraccio soffocante da parte del marito Berenike capì di aver parlato per niente visto che Markus aveva già un enorme sorriso stampato sul volto, senza aver appartenete sentito l’ultima parte del discorso della ragazza:

“Un altro marmocchio? È meraviglioso, perché eri così restia a dirmelo?” 
“MA CI SENTI? Ho detto che non ne sono sicura, volevo aspettare una conferma!” 

“Vado a scrivere a James, gli chiederò di fare da padrino!” 
“Mark, ma ho appena detto… va beh, fai come ti pare.” 


Berenike roteò gli occhi mentre Markus, senza smettere di sorridere, sembrava già partito per la tangente se stava allontanò probabilmente proprio per scrivere all’amico… ma dopo un paio di secondi il Grifondoro si fermò per girare sui tacchi e tornare dalla moglie, sorridendole prima di baciarla. 


“Sono felice che questa volta tu non ci abbia messo quasi un mese, rossa… spero davvero che tu sia effettivamente incinta, voglio una frotta di piccoli pel di carota che corrono per casa.” 

Fece per dirgli che era comprensibile visto che a dover soffrire non era certo lui, così come non era lui a doversene occupare per interi mesi prima di tornare al lavoro… ma non lo fece, limitandosi a ricambiare il sorriso del marito:

“Anche io.” 


*



“Mamma, voglio quello!” 
“No.” 
“Perché?”
“Perché no.” 
“Ma Alex ce l’ha!” 
“E allora? Se Alex si butta sotto un treno tu lo fai?” 
“Che cos’è un treno mamy?” 
“Niente amore.” 
“Voglio saperlo!” 
“Te lo dirà papà a casa, io mi sono dimenticata cos’è.”   

Berenike Black in Fawley camminava in mezzo alla calca che affollava Diagon Alley, tenendo saldamente Castor di tre anni per una mano e Pollux di due per l’altra, ignorando e stroncando sul nascere le loro infinite richieste e domande assillanti. Adorava i figli, ma a volte la tentazione di scappare era molto alta… Quando aveva scoperto che anche il secondo figlio era un maschio non aveva saputo se ridere o trovare quella situazione di un’ironia che sfiorava il crudele: sua madre aveva desiderato un maschio per anni, non lo aveva mai avuto ed era stata proprio quell’ultima gravidanza ad ucciderla… lei invece, a soli 25 anni, di maschi ne aveva già avuti due. 
E si stava chiedendo perché quel secondo figlio non fosse stato femmina, forse sarebbe stato molto più semplice. 

E il fatto che i due fossero circondati da una grande famiglia che li coccolava e viziava al limite dell’inverosimile di certo non l’aiutava.

Stava giusto spiegando al piccolo Pollux che ancora non aveva l’età per usare una scopa come quella di suo padre quando le parole le morirono in gola, accorgendosi di una persona che la stava osservando a qualche metro di distanza, ferma davanti alla gelateria di Florian Fortebraccio. 

“Mamy! Perché non posso usarla?” 

Pollux sbuffò, tirando la manica del mantello della madre che però sembrò non sentire le sue parole, troppo impegnata ad osservare la figura familiare di sua cugina Andromeda, che non vedeva da alcuni anni. 
Eppure non era cambiata, non molto almeno, e sarebbe stato impossibile non riconoscerla. 

Berenike vide la cugina inclinare leggermente le labbra in un sorriso ma lei non ricambiò, i suoi occhi scivolarono sulla bambina ferma accanto a lei, che aveva un enorme cono gelato in mano che minacciava di sciogliersi da un momento all’altro e la bocca sporca di cioccolato.
Sua cugina aveva avuto una figlia. E lei nemmeno lo sapeva. 

“Mamy? Chi stai guardando?”
“Chi è quella signora? La conosci?” 


I suoi figli erano sempre stati decisamente precoci con le chiacchiere e le domande, ma per una volta Berenike li sentì solo distrattamente, limitandosi ad annuire:

“Sì, la conosco. Lei… è mia cugina. Come la zia El.”
“E come si chiama?” 
“Andromeda.” 


Da quanto tempo non pronunciava quel nome ad alta voce? Troppo, probabilmente. 

“Mamma! Aiutami, si scioglie!” 

La bambina, che probabilmente aveva la stessa età di Castor o un anno in più , richiamò l’attenzione della madre con tono disperato, che distolse a sua volta lo sguardo dalla cugina per concentrarsi su di lei:

“Ecco… Dora, possibile che ti sporchi sempre?” 
“Ma non è colpa mia se si scioglie!” 


“Mamma, voglio il gelato anche io!”
“Anche io.” 

“Va bene, vada per il gelato…” 

Berenike annuì, decidendo di arrendersi alle richieste dei due e sperando che con il gelato avrebbero smesso di assillarla per una decina di minuti… ma a stupirla fu il sorriso allegro che Castor rivolse ad Andromeda quando le passò accanto:

“Ciao, cugina Andromeda!” 

L’ex Serpeverde osservò il bambino di rimando con sincera sorpresa prima di sorridere, guardandolo con curiosità:

“Ciao… come ti chiami?” 
“Castor.”

“Che bel nome… bella scelta.”    Andromeda sorrise al bambino prima di rivolgere un’occhiata eloquente in direzione della cugina, che sfoggiò un sorriso colpevole prima di rivolgersi alla nipotina completamente sporca di gelato: 
“Grazie. Lei come si chiama?” 

“Ninfadora.” 
“Il mio nome fa schifo, lo voglio cambiare!” 

“Non dire sciocchezze, non si può. Sii educata e saluta, Dora.” 

La bambina obbedì, rivolgendo un sorriso allegro a quella che probabilmente non sapeva essere parte della sua famiglia. Poi i suoi occhi vivaci indugiarono sui capelli color carota dei bambini che aveva davanti e sorrise con aria divertita prima che anche i suoi diventassero di quello stesso colore, sotto gli occhi sconcertati dei due e di Berenike:

“È una…” 
“Sì. È molto speciale.” 

Andromeda annuì, sfiorando i capelli della bambina e guardandola con affetto. 

“Mamma! Hai visto? Come hai fatto? Lo voglio fare anche io!”   Castor sgranò gli occhi azzurri, osservando la cugina con aria affascinata mentre Ninfadora sorrideva, stringendosi nelle spalle:


“Mi spiace, non puoi, la mamma dice che non si può imparare, io lo faccio da sempre… vuoi un po’ di gelato? Per me è troppo.” 

“Grazie. Hai un nome strano.” 
“Lo so, infatti lo cambierò, ma non dirlo alla mia mamma, se no si arrabbia. Mia mamma è tua cugina? Allora anche sei anche mio cugino, penso. Quanti anni hai? Io ne ho quattro… e tu come ti chiami?” 

“Parla parecchio, vedo…” 
“Oh, sì. Non sta mai zitta un attimo.” 


*


“BRUTTO PEZZO DI STERCO DI…” 

“ELTANIN CATHERINE BLACK, IL LINGUAGGIO!” 


L’esclamazione della ragazza venne provvidenzialmente stroncata a metà dalla voce di Elizabeth, che stava seguendo da una finestra quella che lei aveva definito “un’enorme perdita di tempo” ma che in realtà era una partita di Quidditch familiare. 
Eltanin lanciò un’occhiata ai bambini, figli e nipoti, che ridacchiavano, seduti sul prato intorno al nonno, e si costrinse a non completare la frase indirizzata a suo fratello maggiore:

“Papà! Mi ha tagliato la strada e sono quasi caduta, era fallo!” 
“Scusa tesoro, avevo il sole negli occhi e non ho visto niente.” 

“Come sarebbe a dire?!” 
“El, ti devo forse ricordare che ciò che dice l’arbitro è legge?” 


Aiden si fermò accanto a lei con un sorrisetto stampato sul volto, che però sparì di fronte all’occhiata che la moglie gli rivolse mentre Electra si univa alle proteste, sostenendo che il padre fosse decisamente di parte nel giudicare:

“Giochiamo maschi contro femmine, chissà perché quando fanno fallo loro hai sempre il sole negli occhi, papà…”
“Beh tesoro, dopotutto si dice che il sole bacia i belli, no? Lizzy, perché stai ridendo?” 



Altair fulminò la moglie con lo sguardo, che alla sua constatazione era sparita dalla cornice della finestra con un attacco di ilarità in corso, mentre intorno a lui i numerosi bambini non facevano altro che chiedere quando avrebbero potuto giocare a Quidditch anche loro invece di restare solo a guardare. 
Le uniche a non sembrare molto interessate erano le tre piccole di casa, tutte intorno all’anno di età e impegnate a farsi coccolare dall’arbitro, che le teneva tutte sulle ginocchia in una volta. 


“Ok, papà è ovviamente di parte per quei cerebrolesi che abbiamo sposato, qui occorre un piano strategico. Berenike, fingi di farti male, così Markus si deconcentra!” 
“Non ci penso nemmeno, l’altra volta ho finto di prendermi una storta e Pollux si è spaventato per me, povero piccolo.” 

“Va bene, allora fallo tu Libra! Elly? Danae?”
“Perché non lo fai tu?” 
“Non posso essere sempre io a giocare sporco ragazze, un po’ di iniziativa!” 

Eltanin sbuffò, gesticolando nervosamente alle cugine, sorella e cognata mentre diversi metri più in basso Lizzy faceva la sua comparsa nel grande giardino sul retro della villa con un vassoio in mano:

“Bambini, vi ho portato la merenda!” 

“Che cosa sono?” 
“Tramezzini con la crema al cioccolato… giù le mani, non sono per te!” 

Mentre la frotta di bambini si affollava intorno alla nonna/prozia per prendere i tramezzini la donna assestò uno scappellotto sul coppino del marito, che sfoggiò un’espressione mortificata prima di parlare con tono grave:

“Ma Lizzy, fare l’arbitro mi toglie un sacco di energie, devo assumere calorie! 
“Sei seduto su una sedia. All’ombra di un albero.” 
“Ma ho tre marmocchie in braccio!” 

Elizabeth roteò gli occhi scuri mentre porgeva un panino al marito, che le sorrise con aria soddisfatta e fece per addentarlo quando si accorse di avere due enormi occhi azzurri puntati addosso e un paio di mani pallide protese verso di lui:

“Non ti darò il mio panino, Didi.”

Per tutta risposta la bambina si imbronciò, guardandolo male e con una minuscola ruga in mezzo alla fronte:
“Mio!” 

Bene, ha un anno e sta diventando la versione bionda di sua nonna 


“No, è mio. Non mi guardare così! È inutile, non attacca… forse. Va bene, tieni. Non so come farai a mangiarlo con i tre denti in croce che ti ritrovi, ma contenta tu. Lizzy, ha i tuoi geni.” 

L’Auror sbuffò prima di cedere il tramezzino alla bambina bionda, che sorrise allegramente mentre lo prendeva con le mani paffute, scatenano sonore proteste da parte di Adhara e Miranda, che volevano fare merenda a loro volta.

“Queste tre mangiano quasi quanto me… Lizzy, dammene altri due!” 
“Cosa sono, la serva? Aspetta il tuo turno.”

Alexander, Caleb, Castor e Pollux iniziarono a ridere alle parole della donna, smettendo immediatamente di fronte all’occhiata torva che Altair rivolse loro. 

“Abbiamo deciso di fare una pausa… c’è qualcosa da mangiare anche per noi?” 

Elnath planò di fronte alla famiglia, sorridendo con fare speranzoso mentre Mira ed Enif, vedendolo, si alzavano da terra per andare ad abbracciare il padre. 

“Conoscendovi ne ho preparati tre vassoi, prenderò anche gli altri…” 


Lizzy appellò il resto dello spuntino con un pigro colpo di bacchetta mentre anche Markus planava sul prato, guadagnandosi un enorme sorriso da parte della figlia, che parve illuminarsi quando vide il padre:

“Su, vai a salutare papà.” 

Altair sorrise, prendendo delicatamente la bambina per la vita per metterla in piedi sul prato, guardandola sorridere prima di trotterellare verso il padre con i capelli color carota scintillanti sotto il sole e un vestitino bianco addosso:

“Papà!” 

 
Sentendo la familiare vocina della figlia Markus abbassò lo sguardo, sorridendo e allungando ostinatamente le braccia per sollevarla non appena gli si fu avvicinata, stampandole un bacio su una guancia:

“Ciao, principessa… fai il tifo per me, vero?” 
Miranda annuì mentre anche Castor raggiungeva il padre, incollandoglisi ad una gamba e chiedendogli se stesse vincendo:

“Certo campione.” 
“Non per molto.” 

Berenike rivolse un’occhiata in tralice al marito, che invece le sorrise con aria divertita:

“Non amate perdere, vero tesoro?” 
“Per nulla. E chissà perché lo zio sta facendo vincere voi uomini…” 

“Sarà solidarietà.” 

“Spero che sia più forte della zia Lizzy, perché le abbiamo appena chiesto di suggerire caldamente allo zio di essere più imparziale.” 

“Siete sleali, lei se lo rigira come vuole!” 
“Lo sappiamo!” 


*



Castor Fawley Image and video hosting by TinyPic  Pollux Fawley Image and video hosting by TinyPic
 Miranda FawleyImage and video hosting by TinyPic

1979



Avevano insistito così tanto perché li portasse a vedere dove lavorassero non solo il padre, ma anche lo zio Nath, la zia Elly e lo zio Altair che alla fine aveva dovuto cedere, accompagnando tutti e tre i figli al Dipartimento un mercoledì mattina.


“Dov’è papà?” 
“Di qua… mi raccomando, comportatevi bene, qui le persone devono lavorare e non dobbiamo disturbare.” 

La Corvonero rivolse un’occhiata in tralice ai due figli maschi, tenendo Pollux per una mano e Miranda in braccio mentre Castor invece camminava accanto al fratello con un largo sorriso stampato sul volto mentre si guardava intorno con curiosità. 

“Lo sappiamo mamma, ce lo hai detto dieci volte!” 
“Con voi non si può mai sapere, avete preso da vostro padre l’indole a combinare guai di quando era piccolo, a sentire la nonna.” 


La strega continuò a camminare a passo svelto lungo il corridoio, tenendo i figli per mano mentre si guardava intorno con una punta di nervosismo che non passò inosservata agli occhi fin troppo attenti del suo primogenito:

“Mamma, che cos’hai?” 
“Niente, sto solo cercando papà.” 


No, in verità stava maledicendo mentalmente l’idiota che aveva pensato bene di piazzare sia il Quartier Generale degli Auror sia la sede amministrativa del Wizengamot sul secondo livello. 
In effetti aveva un senso logico, ma in quel momento avrebbe preferito che i piani non fossero stati gestiti in quel modo. 


Per fortuna poco dopo Markus andò incontro alla famiglia, attirando su di sé l’attenzione dei due figli maschi che gli corsero incontro per abbracciarlo e chiedergli di poter fare un giro.

“Solo se alla mamma va bene… Capo, che ne dici?” 
“Sì, va bene, ma assicurati che non disturbino nessuno con la loro parlantina… C’è mio zio?” 

“Dovrebbe tornare a momenti, lo aspetti qui?” 

Berenike annuì, guardando il marito allontanarsi tenendo i figli per mano, visibilmente felice di aver ricevuto quella visita. Miranda invece non accennò a volersi staccare dalla madre, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo mentre tutti i passanti si fermavano per salutare la madre e complimentarsi con lei per la bambina. 


Stava aspettando di poter salutare lo zio quando, sentendosi osservata, la Corvonero si voltò, pentendosene immediatamente quando i suoi occhi incontrarono quelli azzurri e molto familiari di un uomo che la stava effettivamente guardando, in piedi dall’altra parte della corsia con dei fogli in mano. 

Eccolo, il motivo per cui era sempre stata restia a portare i bambini a trovare il padre al lavoro. 
L’idea di trovarsi faccia a faccia per la prima volta dopo anni con suo padre non le aveva mai fatto fare i salti di gioia, anzi. 


Nessuno dei due si mosse o accennò un saluto, limitandosi ad osservarsi reciprocamente per qualche istante. Poi Berenike vide gli occhi chiari del padre scivolare dal suo viso per posarsi sulla bambina che teneva in braccio, bambina di cui sicuramente conosceva il nome grazie ad Altair e a Lizzy, ma che non aveva mai visto. 


Per un attimo si chiese se si sarebbe avvicinato per salutarla, chiederle come stessero lei o i nipoti che neanche lo conoscevano, praticamente… ma come aveva previsto Antares non lo fece, distogliendo lo sguardo per poi allontanarsi. 
E non seppe mai dirsi se quel gesto le fece piacere o meno. 


*



“Mi raccomando, fai il bravo… non come tuo padre alla tua età.” 

Berenike sciolse l’abbraccio con il figlio più grande mentre, accanto a lei, Markus teneva Miranda per mano con un sorriso stampato sul volto. 

“E non divertirti troppo insieme ad Alex.” 
“Ok mamma, faremo i bravi, lo prometto.” 

Castor sorrise senza convincere per niente la madre, che lanciò un’occhiata incerta in direzione dei gemelli, che stavano salutato i genitori a loro volta. 

“Non vedo l’ora di andare a scuola anche io, l’anno prossimo.” Pollux sorrise, guardando il fratello maggiore con una piccola nota d’invidia. Il padre gli sorrise, assicurandogli che quell’anno saprebbe trascorso in fretta mentre invece Berenike sentì quasi lo stomaco contorcerlesi al solo pensiero di diversi separare da entrambi i suoi ometti.

E probabilmente Eltanin stava pensando la medesima cosa, da come stava cercando con scarsi risultati di trattenere le lacrime. 

“Non piangere mamma, ci vediamo a Natale!” 

Elaine sorrise alla madre, che annuì, asciugandosi gli occhi:

“Lo so… spero che vi comporterete meglio dei vostri zii, altrimenti la McGranitt avrà un colpo al cuore. E anche Lumacorno.” 
“Beh, quello non mi dispiacerebbe particolarmente.” 


Aiden sorrise con aria colpevole di fronte all’occhiata che gli rivolse la moglie, mentre Castor si avvicinava ai cugini per suggerire ai gemelli di andare a prendere posto sul treno. 

“Ok, andate… ci vediamo a Natale. Elaine, tieni d’occhio quei due, capito?” 
“Va bene zia!” 


*


1998


Libra, seduta accanto a lei nel corridoio gremito, le stava stringendo la mano destra e Cara la sinistra, mentre Hydra era seduta accanto alla maggiore, in silenzio. 

Erano lì, tutte e quattro. 
Quasi come quando Lyra era morta, trent’anni prima. 

Solo che quella sera Lizzy e Altair non erano lì a cercare di confortarla, e nemmeno le sue cugine. 
Eltanin ed Electra stavano piangendo la perdita di Elnath, così come i genitori. Bellatrix era morta. 
Andromeda aveva perso sua figlia, quella sera, e suo marito solo poche settimane prima. 

Forse quella che ne era uscita meglio era Narcissa, in effetti. 

I suoi nipoti, o almeno tutti eccetto i figli di Eltanin, Electra ed Elnath erano rimasti ad Hogwarts per cercare di aiutare in qualche modo, ma i suoi tre figli erano lì, seduti dall’altra parte della corsia, tutti e tre in silenzio. Mentre riusciva distintamente a sentire il pianto disperato di Enif a qualche metro di distanza, seduta accanto al nonno che l’abbracciava senza dire niente.
Per una volta persino Altair Black non trovava le parole. 


“Perché ci vuole così tanto?” 

Berenike deglutì, sforzandosi di ricacciare le lacrime indietro mentre accanto a lei Libra sospirava scuotendo il capo:

“Ci sono così tanti feriti…” 
“Lo so. Ma voglio sapere come sta!” 

La donna appoggiò il capo contro la parete fredda mentre, davanti a lei, Miranda si era raggomitolata sulla sedia, il capo appoggiato sulla spalla di Castor mentre stringeva la mano di Pollux. 
Tutti e tre impegnati a pregare mentalmente. 


Libra la imitò, fissando lo sguardo su un punto della parete che aveva di fronte prima di parlare, sfoggiando un piccolo, amaro sorriso:

“Guardateci. Ecco che cos’è, la Nobile e Antichissima Casata dei Black, ecco che cosa è rimasto. Sirius e Regulus sono morti da anni, stasera li hanno seguiti anche Bellatrix ed Elnath… e Andromeda ha perso sua figlia. Nemmeno noi siamo mai stati intoccabili, nonostante il nostro cognome. È solo un’inutile gingillo che abbiamo sempre sfruttato. Ma un cognome non protegge, neanche il nostro che è sempre stato tanto acclamato.” 

“Non mi interessa. Non mi interessa della famiglia, del cognome… io non sono più una Black da un sacco di tempo per quanto mi riguarda, vale per tutte noi. A me interessa solo che mio marito stia bene.” 

“Lo so.” 



Libra annuì, sfiorandole un braccio con la mano mentre la sorella chinava il capo, prendendosi la testa tra le mani. 

“Signora Fawley?” 

Sentendosi chiamare Berenike quasi sobbalzò, deglutendo mentre puntava gli occhi sull’infermiera che aveva davanti con fare speranzoso, parlando con una nota implorante nella voce:

“Sì?” 


*



“Credo che parlare apertamente di quello che provi ti farebbe bene, sai?” 
“Non mi va di parlare.” 


Berenike non si fermò e non si voltò nemmeno, continuando a camminare a passo spedito mentre sentiva la voce del marito chiamarla alle sue spalle:

“Berenike, vieni qui. Berenike, non puoi scappare sempre… se non ti fermi, ti investo!” 

Al sentire le ultime parole del marito Berenike abbozzò un sorriso mentre si fermava, ma senza voltarsi. 

“Vieni qui, per favore? Perché non mi guardi?” 
“Mi dispiace. Non riesco a vederti così.” 

La donna scosse leggermente il capo, parlando con una voce rotta che lo fece sospirare, avvicinandolesi di un paio di metri prima di allungare una mano, sfiorando la sua:

“Fai uno sforzo per me, allora.” 
Berenike si voltò, lentamente, per poi abbassare lo sguardo sul marito, che le sorrise facendole un cenno:

“Vieni qui, su.” 
“Ok…” 

La donna cedette, sedendo con leggera titubanza sulle ginocchia di Markus:

“Sicuro che sia il caso?”
“Tesoro, non sento assolutamente niente, non mi pesi di certo.”

Markus sorrise, accarezzandole i capelli mentre lei si rabbuiava di nuovo, allacciandogli le braccia intorno al collo e appoggiando il capo contro il suo. 

“Mi dispiace, so che sembra egoistico e non è giusto nei tuoi confronti, sei tu quello che dovrebbe reagire male.” 
“E infatti è stato così, all’inizio. Ma poteva andarmi peggio, rossa, lo sappiamo entrambi… per lo meno sono ancora qui. Pensa a Danae, invece.” 
“No, non ci voglio pensare. Sono felice di non averti perso.” 

“E io di essere ancora qui. C’è solo da chiedersi se vorrai passare il resto della tua vita ad occuparti di un marito sulla sedia a rotelle, dopotutto abbiamo solo 46 anni…” 

Markus sorrise quando la moglie sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia prima di assestargli un leggero colpetto sulla spalla:

“Idiota, vicino a chi altro pensi che vorrei stare se non a te? Non riesco più ad immaginarmi senza di te, Mark.” 

Berenike sospirò mentre invece Markus sorrise, annuendo:

“Lo stesso. E infatti continuerò a ronzarti intorno per almeno i prossimi 45 anni, non temere.” 
“Me lo prometti?” 
“Te lo prometto, rossa.” 






   
 
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