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Autore: Surlaplanche    21/09/2017    1 recensioni
Il giovane Billy Moore stava per avere la sua occasione per sfondare: la sua prima mostra fotografica a Mosca sarebbe stata il perfetto trampolino di lancio verso agenzie e magazine internazionali, modelli da capogiro e testate giornalistiche pronte a sapere tutto di lui e della sua visione artistica.
Per noia, insoddisfazione o chissà quale altra arcana ragione, ha ora distrutto tutti gli scatti della sua collezione, poco prima di consegnarli al Multimedia Art Museum della famosa città russa.
Ora ha solo tre settimane per finire il suo nuovo progetto on-the-road: da Parigi a Budapest, passando per Vienna e altre importanti capitali, il fotografo deve concludere la sua nuova collezione di ritratti, immortalando i volti e i corpi di tutti i suoi ex fidanzati, ormai sparsi in giro per l'Europa. Vuole scoprire che fine hanno fatto e quanto la sua esistenza abbia effettivamente influenzato i loro percorsi di vita.
Tra ritorni di fiamma e rimpianti, Billy dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni e sopravvivere all'idea che ci sono sempre due versioni della stessa vicenda. E della stessa rottura.
Genere: Avventura, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Partecipante alla challenge Ticket to Ride di TortaMillefoglie
Autore: Surlaplanche, pedina rosso-bordeaux
Titolo: La nostalgia di Billy Moore
Tratta: Vienna - Budapest
Biglietto Destinazione: Berlino - Mosca

 


4
Vienna - Budapest
 
Davanti al cancello arruginito, Billy chiude gli occhi prima di buttare a terra il mozzicone di sigaretta che teneva tra le mani. L’insegna del centro di recupero ha una strana tonalità celeste. In generale, i colori pastello inondano esageratamente l’intera città, come in una versione austriaca di Edward mani di forbice.
Mentre supera l’enorme arco in cemento, il giovane Moore non può fare a meno di voltarsi a guardare la strada e tirare fuori il suo documento.
Non sa cosa sta facendo, si sente un mostro ad aver preso la macchina fotografica perfino in una situazione simile. Non ha scelta: la sua personale è alle porte, è ormai questione di dieci, dodici giorni.
Raggiunge lo sportello all’ingresso, dove una receptionist particolarmente giovane lo accoglie con un sorriso falsissimo.
“Vorrei far visita a Jack Haram. Ho un documento firmato dai suoi genitori.”
La ragazza afferra il foglio stropicciato di scatto, prima di richiedere il passaporto di Billy.
Afferra il telefono, chiama i genitori di Jack.
“Mi segua.”
 
Lungo il corridoio bianco, Billy pensa di essere finito su una navicella spaziale abbandonata, o in un ospedale che non viene pulito da settimane.
“Sei un suo amico?” chiede la receptionist, camminando a passo svelto con dei tacchi neri di dubbio gusto.
“Di vecchia data, diciamo” rettifica il fotografo, grattandosi la nuca con fare agitato.
Si fermano davanti a una porta grigia con una finestra circolare al centro.
“Si è stabilizzato, ma evita comunque di parlare troppo di temi che potrebbero ferirlo” dice la ragazza, aprendo l’entrata e allontanandosi poco dopo.
Billy deglutisce, prima di addentrarsi in quella stanza tanto vuota quanto maleodorante. La puzza di chiuso lo fa star male dopo solo alcuni secondi di permanenza in quella cameretta azzura.
Gli occhioni da bambola di Jack osservano l’intruso con una sorpresa simile a quando da piccoli si viene beccati a mangiare la marmellata di nascosto.
Il suo corpo è gracilissimo, uno scheletro vivente. Le sue occhiaie violacee superano l’intensità di quelle che decorano le palpebre di Billy.
“Jack.”
“Billy.”
Rimangono in silenzio, uno sulla sedia e l’altro in piedi, ancora in bilico tra la porta e la stanza stessa.
Moore lo legge nei suoi occhi da cerbiatto: non voleva farsi vedere da lui in queste condizioni.
Indossa una vestaglia bianca a pois azzurri, stropicciata tanto quanto il lenzuolo che ricopre il materasso alla sua destra.
“Ti trovo bene” si complimenta Jack, senza alzarsi da dove è seduto da ore.
“Anche io” ribatte Billy, con un sorriso sbilenco.
Jack alza la testa al cielo, ridendo.
“Sei sempre lo stesso marpione anche a distanza di anni.”
Billy fa spallucce, prima di appoggiarsi sul letto.
“Come stai?” chiede, togliendosi gli stivaletti e appoggiando la testa sul cuscino.
“Secondo te?” risponde Jack, guardandolo e sorridendogli.
“Beh, sei qui... non sembra esattamente un posto fatto per te.”
L’internato unisce i suoi piedi e se li guarda, come per non affrontare un possibile sguardo spocchioso da parte del suo ospite.
“Sono io che non voglio uscire.”
“Cosa?”
“Potrei andare via da qui da mesi ormai. Sto bene.”
“... ma?”
Jack prova ad alzare la testa, fattasi pesante, ma invece che intrattenere uno sguardo con Billy, dirige i suoi occhi verso la finestrella della porta.
Cercando di cambiare discorso, il giovane Haram prova a chiedergli come sta andando con la sua fotografia.
Billy estrare la sua macchina fotografica e sorride.
“Ho una mostra tra neanche due settimane e devo ancora inviare alcuni scatti.”
“... sei qui per questo, vero?”
Rimanendo a bocca aperta, è come se avesse risposto.
Jack sbuffa, mettendosi una mano davanti alla fronte.
“Billy, io non...”
“Assolutamente, capisco in pieno. Non te lo avrei mai chiesto.”
Si alza dal letto.
“Ci sto, se vuoi.”
“Cosa? Fidati, non è un progetto che ti può interessare.”
“Parlamene. Mettimi alla prova” risponde, sorridendo. Quel sorriso giocoso che tanto aveva fatto infatuare Billy è finalmente tornato su quelle labbra carnose e violacee.
“Sto andando a far visita a tutti i miei ex ragazzi. Li faccio spogliare, li fotografo e ci scamb-”
“Figata! Voglio essere nella tua collezione!” lo interrompe, esaltato come se si trovasse davanti a un nuovo film d’animazione Disney.
Billy rimane esterrefatto, ma questa voglia di fare e di provare nuove esperienze è tipica del Jack Haram dei tempi d’oro.
“Una sola condizione, però” gli dice, indicandolo con l’indice, spesso quanto il mignolo di Billy: “Non farmi apparire come una vittima.”
Billy gli sorride, socchiudendo gli occhi e accendendo la macchina fotografica.
Jack si tira la scollatura della vestaglia, così larga da cadere al pavimento giusto stringendo un po’ le spalle.
La sua magrezza è estrema, così come la sua assenza di peli.
Un po’ come un Kirchner britannico, Billy Moore ritrae la bellezza di un giovane in quelle condizioni, tanto raccapriccianti quanto particolari.
L’estetica del brutto incontra la compatibilità tra fotografo e soggetto, in un cocktail di costole sporgenti, ginocchia violacee e zigomi così pronunciati da poterli usare come coltelli.
La stanza, così piccola e finta, rende l’intera situazione inquietante, godevole.
Il corpo decrepito seduce l’artista, quell’ammasso di ossa che gli fa capire che non siamo altro che un’esercito di cartoni di latte, pronto a scadere ed essere buttato via.
Jack alza le braccia e il collo, si sistema i capelli. Si rende regale solo per Billy, un Billy che non deve aprire bocca: il suo soggetto sa cosa sta facendo e sa come farlo.
 
 
Sul treno per Budapest, Billy non può pensare ad altro se non al fatto che Jack è pronto ad andarsene dal centro di recupero.
Gli serviva un qualcosa di casuale, strano e inaspettato, per fargli tornare di nuovo la fame di vita. Dopotutto, pensa Billy Moore, questo intero viaggio non è stato poi così inutile.
“Boljkovac, ho un buon presentimento. Mi mancano giusto due persone da vedere, poi arriverò direttamente a Mosca prima dell’inaugurazione.”
Parlando alla segreteria telefonica, Billy si sente più libero di monologare. Appoggia i suoi stivaletti di pelle sul sedile di fronte al suo.
“Volevo ringraziarti. So di essere un ragazzino egoista ed egocentrico, ma mi sto rendendo conto di quanto tu sia sempre stata al mio fianco per aiutarmi e sostenermi. Ti voglio bene, ci vediamo a Mosca.”
Chiudendo la chiamata, Billy chiude gli occhi per appisolarsi.
Quando una giovane ragazza asiatica gli chiede in inglese di spostare le gambe per farla sedere, lui annuisce e si scusa.
Tiene per mano un ragazzo con delle ciglia lunghissime e dei capelli corti e ricci, color pece. Entrambi indossano maglioni extralarge e jeans, hanno il viso illuminato dalle lampadine all’interno del vagone e gli occhi ancora più luminosi.
Si mettono davanti a Billy, non lo degnano di uno sguardo. Si tirano occhiate a vicenda, con le mani avvinghiate come i due pezzi che formano una tagliola.
La bolla che li circonda profuma di casa, di calore primitivo.
Billy Moore si ritrova accecato da due sentimenti che ha sempre voluto provare ma che non ha mai potuto ottenere: un sentirsi a casa e un amore vero.
Si chiede se è possibile provare nostalgia per un qualcosa che non ha mai avuto.
Il respiro diventa pesante come un masso che precipita da una montagna, il naso e la gola gli si seccano come un arbusto sotto un insistente sole estivo.
Spasmante, si dirige verso il bagno, con gli occhi pronti a staccarsi dalla sua testa e volare in cielo come delle lanterne cinesi.
Ricomincia a respirare normalmente soltanto dopo essersi guardato allo specchio. Si sta dando una sistemata, si sciacqua la faccia come per eliminare l’ipotesi che gli frulla nel cervello; quella di aver sacrificato una vita tranquilla e piena di valori per una fatta di falsità, di estetica.
Billy Moore è un dandy che chiedeva soltanto di essere amato.
 
   
 
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