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Autore: NPC_Stories    23/09/2017    1 recensioni
Sono un ranger elfo dei boschi della foresta di Sarenestar, o foresta di Mir come la chiamano gli umani. Il mio nome è Johlariel, per gli amici Johel.
Sì, ho degli amici.
Sì, per davvero, anche se sono un elfo, quelle voci che girano sul nostro conto sono solo calunnie. In realtà sono un tipo simpatico e alla mano.
Questa storia è una raccolta di racconti, alcuni brevi altri lunghi e divisi in più parti, che narrano dei periodi in cui ho viaggiato per il mondo insieme a un mio amico un po' particolare. Per proteggere la sua privacy lo chiamerò Spirito Agrifoglio (in lingua comune Holly Ghost, per comodità solo Holly). Abbiamo vissuto molte splendide avventure che ci hanno portato a crescere nel carattere e nelle abilità, e che a volte hanno perfino messo alla prova il nostro legame.
...
Ehi, siamo solo amici. Sul serio. Già mi immagino stuoli di ammiratrici che immaginano cose, ma siamo solo amici. In realtà io punto a sua sorella, ma che resti fra noi.
.
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Nota: OC. A volte compariranno personaggi esistenti nei libri o nella wiki, ma non famosi.
Luglio 2018 *edit* di stile nel primo capitolo, ho notato che era troppo impersonale.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1315 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 2), ovvero Gli occhi vedono quel che il cuore vuole vedere


Il giovane Azadeth accettò la mia proposta e divenne mio allievo. Ogni mattina, pomeriggio o sera trovavamo un’ora o due per allenarci, anche quando pioveva o faceva freddo. Non era del tutto digiuno di combattimento, i chierici non lo sono mai, ma non era nemmeno particolarmente dotato. Però aveva molta buona volontà, ed è già qualcosa. In quelle settimane diventammo anche amici, anzi ho idea che abbia iniziato a vedermi quasi come una figura paterna.
Una sera eravamo andati ad allenarci vicino alla quercia, come facevamo spesso. Quando fu troppo stanco per continuare, lasciai che si sedesse a riposarsi e poi decisi che i tempi erano maturi per indicare finalmente il metaforico tarrasque nella stanza.
“Che cosa sai di lui?”
“Lui chi?” Mi domandò, ancora confuso per le botte che aveva preso.
Indicai la quercia con un cenno della mano. Azadeth impallidì, rimase in silenzio per un po’, ma sapevo che aveva troppo rispetto per me per mentirmi.
“Ah. Lui. Perché, tu cosa sai di lui?”
Decisi di scoprire subito le mie carte. Lo avrei messo più a suo agio.
“So che è un Ruathar. So che non sembra affatto un Ruathar. Dico bene?”
Azadeth lasciò andare il respiro che aveva trattenuto.
“Mannaggia se non lo sembra.” Sussurrò, trattenendo un brivido. La sua espressione quasi infantile mi fece sorridere. “Era dannatamente convincente nel ruolo dell’assassino.”
“Sì, è molto bravo nel recitare quella parte.” Anche se non ha mai voluto usare questa sua dote per spingere una donzella fra le mie braccia, il bastardo. “So anche che è dannatamente difficile liberarsi di lui, quindi qualunque dispiacere tu possa provare per la sua morte, ti consiglio di passare oltre.”
Pronunciai queste ultime parole solo per alleggerire la tensione, ma l’espressione tesa di Azadeth non cedette di un millimetro.
“Quando è morto non sapevo che fosse un Ruathar.” Continuò. “L’ho sorpreso alcuni giorni dopo la sua morte, quando è venuto a riprendersi il suo equipaggiamento. Era un fantasma.”
“Ah, quindi sai anche questo.” Presi nota.
“All’inizio non avrei creduto alla sua storia e lui lo sapeva, quindi continuò a recitare il suo ruolo e mi disse che era tornato per fare un altro accordo: ci avrebbe consegnato gli altri colpevoli se in cambio gli avessi restituito il suo equipaggiamento.”
“Oh, cielo. Ecco la famosa premonizione di cui mi hanno parlato Tintagel e Saelas.”
Azadeth arrossì. “Un inganno necessario. Non ne vado fiero.”
“Corrompere le giovani anime, un’altra azione turpe molto tipica di lui.” Scherzai. “Che cosa è successo dopo?”
“Ecco... con il tempo ho cominciato a dubitare che fosse davvero chi diceva di essere.” Raccontò il ragazzo. “C’erano dei punti poco chiari, come il fatto che gli ci fosse voluto un po’ di tempo per trovare i colpevoli e organizzare un piano... come se avesse bisogno di studiarli. Inoltre c’erano problemi di comunicazione perché non parlava bene la loro lingua, e allora mi sono chiesto, come poteva essere un loro alleato?”
“Cioè vuoi dirmi che tu... ti sei fatto queste domande?”
Ero incredulo. È già strano che Holly possa convincere qualcuno di non essere colpevole, ma che qualcuno sviluppi dei dubbi di per sé, è qualcosa di più unico che raro. “Sei davvero intelligente, Azadeth, sono colpito dalla tua capacità di mettere in dubbio ciò che sai. È una dote preziosa.”
I complimenti lo fecero arrossire come una scolaretta.
“Alla fine mi confessò la verità, ma dovetti tirargliela fuori con le pinze, insomma, per così dire.” Terminò il suo racconto. “Non hai idea di come sto male per lui da allora.”
“Non hai già i tuoi problemi a cui pensare? Lui è tormentato dal senso di colpa per non aver fatto nulla per evitare quella tragedia. Evita di ricambiare sentendoti in colpa per la sua morte, è stata una sua scelta.”
Il mio tono dovette sembrargli troppo freddo o brusco, perché mi rivolse uno sguardo in tralice.
“Gli hai parlato, quindi? Lo conosci bene?”
“Non so se lo conosco bene. Ma è il mio migliore amico, quindi forse sono una delle persone che lo conosce meglio.”
Le sue labbra si mossero, ma non ne uscì alcun suono. Continuò solo a fissarmi come un gufo per qualche secondo.
“Non... non commenterò l’assurdità della situazione in generale. Ma se è il tuo migliore amico, non ti importa di lui? Come puoi congedare tutto questo con è stata una sua scelta?”
Gli posai una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarlo.
“Non pensare che non m’importi, ma è già morto una volta nemmeno vent’anni fa, quando qualcosa diventa un’abitudine tende a smettere di sconcertare.”
Si scrollò di dosso la mia mano, guardandomi anche peggio di prima.
“Non è la sua morte a darmi pensieri, ma il modo in cui... insomma, cosa ti ha raccontato di preciso?”
Non comprendevo il motivo della sua ansia, ma lo accontentai riferendogli tutto quello che Holly mi aveva detto sulle circostanze della sua esecuzione. Azadeth mi guardava come se stessi mancando di vedere qualcosa di semplice che stava proprio davanti ai miei occhi.
“Johel, quando dei seguaci di Shevarash indicono una caccia mortale, non lo fanno per svago o semplicemente per dare sollievo al loro rancore.” Mi spiegò infine, visto che non ci arrivavo. “Stiamo parlando del dio della vendetta, che insegue e uccide i nemici degli elfi. Essere uccisi durante una caccia rituale significa essere sacrificati a Shevarash e marchiati come suoi nemici, non è solo una condanna per il corpo ma anche per l’anima. Se l’anima del tuo amico dovesse mai raggiungere il Piano della Fuga, potrebbe trovare qualcuno ad attenderla per riprendere la caccia... in eterno.”
Questa volta impallidii anch’io e per poco non mi sfuggì un’imprecazione molto brutta.
“Per essere un dio, mi pare che non abbia niente da fare.” Commentai, acido.
“Oh, non credo che Shevarash si disturbi per le anime dei mortali. Probabilmente i suoi Supplicanti, le anime dei suoi seguaci, conducono la caccia in sua vece.”
Questo mi tranquillizzò un minimo.
“Holly non me lo ha detto. Possibile che...”
Azadeth scosse la testa, prevenendo la mia domanda. “Deve avertelo taciuto di proposito; ne era stato ben informato prima di morire, perché Saelas ci teneva che vivesse le sue ultime ore nella paura per il suo destino. Ma lui ha risposto con arroganza che correre non è mai stato un problema, e Saelas è andato su tutte le furie.”
In circostanze diverse, questo mi avrebbe strappato una risata.
“Non era solo arroganza, Holly non può più provare paura.” Spiegai. “La mossa di Saelas gli ha solo dato il tempo di pianificare. Adesso è un fantasma, quindi le anime dell’Aldilà non possono arrivare a lui; e se anche dovesse decidere di tornare in vita, ho i miei dubbi che si tratterrà mai sul Piano della Fuga sufficientemente a lungo da diventare un bersaglio.”
Questa volta sembrò davvero un po’ rincuorato.
“Ora Azadeth, sono davvero curioso di sapere come avete fatto a catturare i veri responsabili e quanto tu abbia appreso sul loro conto. In particolare mi interessa quello che tu sai e che Saelas e gli altri potrebbero non sapere; vorrei capire se possiamo usare lo spauracchio di altri attacchi provenienti dalle montagne per dissuaderli dall’idea di andare a Iltkazar.”
Nonostante la sua reticenza a ingannare ancora i suoi compagni, si rendeva conto anche meglio di me che era mandatorio impedire a quegli invasati di andare a muovere guerra a drow e duergar. Inoltre era un ragazzo intelligente, e come tutte le persone intelligenti era intrigato dall’idea di formulare un piano. Iniziò a vuotare il sacco.

“Quando lo sorpresi ad aleggiare vicino al nostro campo, mi è quasi venuto un colpo al cuore. Sono un chierico e dovrei sapere come affrontare un non-morto, ma quando gli ho rivolto contro il mio simbolo sacro ha a malapena battuto ciglio.”
“Sono certo che proseguendo nei tuoi studi un giorno sarai in grado di sopraffare qualsiasi non-morto” lo incoraggiai, ricordando che alcuni anni prima io e Holly ci eravamo imbattuti in un chierico molto potente che lo aveva scacciato prima che potesse aprire bocca, e poi aveva cercato di esorcizzarmi pensando che la mia volontà fosse stata soggiogata da potenze maligne. Ma questa era un’altra storia ed era anche piuttosto imbarazzante.
“Lo spero proprio. Comunque questa volta sono stato fortunato. Mi disse che voleva recuperare le sue cose e andarsene senza clamori, quindi non poteva mettere tutti in allarme lasciandosi dietro il mio cadavere. Visto che ormai lo avevo scoperto mi propose quell’accordo.” Raccontò, riferendosi all’accordo a cui mi aveva accennato prima. “Ora che ci penso, in quel momento avrebbe potuto possedere il mio corpo e cercare il suo equipaggiamento, nessuno si sarebbe insospettito.”
“Che io sappia non gli piace farlo.”
“Buon per me” sussurrò. “Comunque, l’idea di stipulare un patto con una simile creatura mi atterriva, ma lui minacciò di tormentare i suoi cacciatori e ucciderli uno alla volta se non avessi mantenuto il silenzio, quindi io... tacqui. In quei giorni ero davvero terrorizzato, ma sono un chierico e il benessere della comunità è la mia principale responsabilità.” Recitò, molto calato nel suo ruolo. Era una considerazione interessate, che mi diceva molto sul carattere e sulle ambizioni del ragazzo. I sacerdoti sono sempre un anello di congiunzione fra gli dèi e il popolo; alcuni chierici ritengono che il loro principale dovere sia verso la loro divinità, ma ne avevo sentiti altri esprimere convinzioni simili a quelle di Azadeth.
Francamente, da profano, è la posizione che apprezzo di più, ed è la più conveniente per le comunità piccole, isolate o vulnerabili come questa.
“Sentimento ammirevole. Ma hai detto in quei giorni?”
“Sì, impiegò diversi giorni per trovare il gruppo dei veri colpevoli e mi tenne aggiornato regolarmente sui suoi progressi.”
“Quindi è così che hai scoperto che erano schiavi fuggiti da Dunspeirrin?”
Il ragazzo annuì. “Sì ma non fu una scoperta immediata, perché il fantasma non parlava la loro lingua. Però ha passato molto tempo a osservarli ed è stato in grado di dirmi che secondo lui non sapevano un granché della cultura drow, ed è una cosa strana visto che erano drow. Anche senza capire la lingua ha sentito più volte dei riferimenti a Dunspeirrin, e sapeva che tipo di città fosse Dunspeirrin quindi i drow potevano essere solo schiavi oppure mercenari. Ha controllato che non ci fosse un esercito duergar accampato sotto Shilmista, ma l’esercito ovviamente non c’era perché era accampato intorno a Iltkazar.”
“Una serie di deduzioni logiche quindi.”
“Sì, ma hanno trovato conferma quando ho interrogato i prigionieri, dopo che li abbiamo catturati.”
Annuii. Era stato rischioso agire solo sulla base di congetture, ma Holly raramente sbaglia su queste cose.
“Parlami della trappola. Che cosa li ha convinti a tornare a Shilmista per un secondo attacco?”
“Eh, quello non è stato facile da pianificare. La cosa migliore sarebbe stato che il fantasma operasse una possessione spiritica sulla loro femmina convincendo tutti che stesse avendo un’esperienza religiosa. Ma c’era il problema della barriera linguistica.”
“Come l’avete risolto?”
Azadeth sospirò. “Sarebbe stato comodo poter fare in modo che lui parlasse la loro lingua, ma non c’era modo perché è un incantesimo fuori dalla mia portata e fuori dal suo repertorio. Ho accarezzato l’idea di chiedere a Tintagel di creare un oggetto magico, ma con quale scusa?”
Feci un cenno con il capo in segno di comprensione e anche per invitarlo a continuare.
“Alla fine il fantasma ha davvero posseduto la loro femmina, e ha parlato a tutti loro nella lingua dell’Abisso.”
Fischiai in segno di sorpresa. “Non sapevo che la parlasse.”
“Poco e male, per sua stessa ammissione, ma faceva conto che nessuno di loro la conoscesse e quella messinscena era solo per impressionarli.”
“E funzionò?”
Azadeth sorrise, divertito nonostante la gravità generale della situazione. “Sì, a quanto pare. Non capivano l’abissale, ma la voce spettrale che parlava per bocca della loro guida in una lingua sconosciuta e aggressiva riuscì a spaventarli. Visto che non capivano, il fantasma passò a parlare in sottocomune, dicendo che si rifiutava di parlare loro nella lingua dei loro carcerieri perché era una cosa indegna.”
“Sì, sembra una cosa sensata. Quindi è riuscito a convincerli a muovere un nuovo attacco, portandoli proprio dove volevi tu?”
“Avevamo pianificato accuratamente il luogo. Io da parte mia avevo dovuto convincere i miei compagni a dare credito alla mia premonizione.”
Ecco, questo mi interessava molto di più.
“Come ci sei riuscito? Che parole hai usato e come hai mantenuto un tono credibile?”
“Non mi è piaciuto mentire ai miei compagni ma la posta in gioco era troppo alta, e l’idea di punire i veri colpevoli mi spronava ad agire e a trovare giustificazioni per i miei mezzi poco leciti. Questo mi ha dato la forza per mantenere la facciata dell’inganno.”
“I veri colpevoli? Quindi a quel punto avevi già capito che Holly non lo era?”
“L’avevo capito, sì. Non avevo il coraggio di fargli domande dirette quindi andai in cerca del suo luogo di sepoltura per interrogare il suo corpo mentre lui era a spiare i drow. Ma sai bene cosa ho trovato sulla sua tomba.”
Annuii di nuovo. Azadeth poteva anche dire di averlo già capito, ma trovare una quercia benedetta sulla tomba di Holly lo aveva sorpreso e sconcertato comunque. Ma non volevo che cambiasse argomento e gli domandai ancora di come avesse persuaso i suoi compagni.
“Ho detto loro che il mio dio mi aveva inviato un sogno premonitore, dopotutto Solonor Thelandira è un dio che protegge le foreste e gli insediamenti elfici. All'inizio non mi diedero molto credito, pensando che vaneggiassi per via del dolore del lutto, ma io non mi sono arreso. Ho insistito ancora e ancora, facendo notare che non avevamo nulla da perdere e che il prigioniero che avevamo ucciso non poteva essere l’unico individuo coinvolto. Quando caddero nella nostra trappola le mie parole trovarono conferma; erano circa una ventina, sebbene solo pochi di loro vennero catturati vivi e interrogati.”
“Meno male che alla fine ti hanno creduto!” Esclamai senza curare di nascondere la preoccupazione. “Che sarebbe successo se i drow fossero arrivati alla foresta senza nessuno a tendere loro una trappola?” Azadeth però aveva alzato una mano come per fermarmi e stava scuotendo la testa.
“No, non sarebbe successo, il fantasma ha fatto la sua mossa solo dopo aver avuto conferma che i miei compagni avevano avvallato il mio piano. L’allettante prospettiva di poter uccidere dei drow alla fine si rivelò più forte dello scetticismo verso le mie visioni divine.”
“Bene, forse quella prospettiva potrà essere usata di nuovo a nostro vantaggio. I tuoi compagni mi sembrano ancora assetati di vendetta.”
“Non so se sono assetati di vendetta.” Mormorò Azadeth in tono cupo. “La vendetta è compiuta, contro gli autori della strage. Penso siano solo assetati di sangue. La vendetta ha tamponato il loro dolore e li ha messi nelle condizioni di iniziare un percorso di guarigione, ma si rifiutano di continuare su quel percorso. Temo che nessun atto di guerra potrà portarli a una guarigione completa.”
“Questo lo penso anche io, ma non possiamo aiutarli se non vogliono farsi aiutare. Quello che possiamo fare è impedire che la loro follia li porti alla morte, o attiri un pericolo ancora maggiore su Shilmista.”
Annuì accettando la mia obiezione. Non gli faceva piacere dover far leva sul sentimento di rivalsa che animava i suoi compagni, un sentimento che avrebbe voluto combattere anziché incentivare. Ma non aveva scelta, non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea comunque.

L’espediente funzionò. Per un po’. Nei mesi invernali vennero organizzate pattuglie più frequenti lungo il confine orientale e occasionali incursioni nelle caverne sulle pendici più basse delle montagne, ma era impensabile spingersi in alta quota con un clima sfavorevole. Quando la neve ricoprì anche le colline, ci dedicammo a rafforzare le difese della foresta ed esplorarla per assicurarci che non ci fossero cunicoli sotterranei sotto la foresta stessa.

In primavera, appena il tempo ce lo consentì, organizzammo delle vere e proprie spedizioni per esplorare le gallerie che avevano sbocco sulle montagne. Negli strati superficiali non trovammo nulla, a parte decine e decine di goblin (che poi poveracci non avrebbero meritato di essere falcidiati, alla fine non si erano mai spinti fino a Shilmista, ma non verserò lacrime per dei goblin). Se c’erano dei resti dell’accampamento dei drow dell’anno precedente, il tempo o le creature spazzine nel sottosuolo li avevano già fatti sparire.
Io e Azadeth sapevamo che il nostro inganno sarebbe servito solo a guadagnare tempo e che prima o poi avremmo dovuto inventarci qualcosa di meglio... ma per fortuna non si rese necessario. Verso il finire della primavera ci imbattemmo in una tribù di goblin dall’aspetto leggermente diverso da quelli che avevamo già incontrato, più grigi che verdi e apparentemente più sensibili alla luce. Al solo vederci fuggirono terrorizzati ma riuscimmo a catturarne qualcuno per interrogarli.
Parlavano il goblinoide con un accento tremendo e capirci fu un processo lento e difficile, ma alla fine ne venimmo a capo: era una tribù del sottosuolo che non aveva mai visto la luce del sole (non nelle ultime generazioni, almeno); quei goblin non avevano nemmeno mai visto un elfo, con la sola notevole eccezione degli elfi scuri.
Saelas e gli altri torchiarono i goblin fino ad avere un resoconto completo, che suonava più o meno così: goblin era in caverne di goblin poi arriva nani grossa tribù e altre cose non-nani che uccide goblin per risate, goblin scappa verso posti mai visti in alto dove fatica ma forse loro non segue, poi trovato voi che è altri non-nani come loro ma più chiari, quindi goblin scappa ancora perché vostro umorismo no piace e dappertutto c’è nemici di goblin.
Ci scambiammo un giro di sguardi e poi in silenzioso accordo li lasciammo andare. L’idea di essere paragonati ai drow ci aveva schifati a sufficienza.
Ma almeno ora avevamo delle indicazioni sulla loro posizione e direzione; io e pochi altri ci arrischiammo a scendere nelle caverne più profonde senza mai dividere il gruppo. Non dovevamo fare nulla, solo osservare e cercare di capire la situazione.

Dopo giorni di esplorazioni infruttuose finalmente i nostri sforzi furono ricompensati: trovammo segno del passaggio di molti stivali, per quanto non sia affatto facile trovare tracce sulla nuda roccia. Le tracce non sembravano freschissime, ma di nuovo, come si fa a dirlo con certezza?
Trovammo anche un’altra cosa: nani. Stavamo cercando di capire in che direzione andassero le tracce quando il terreno iniziò a tremare debolmente come per il calpestio di un gran numero di stivali borchiati. Una pattuglia di nani incazzati si riversò nel cunicolo.
Avremmo potuto nasconderci per tempo, ma non avevamo nulla da nascondere. Questo giocò a nostro favore, ma comunque ci volle tutta la mia esperienza diplomatica per far calmare gli esagitati difensori.
All’inizio dubitarono perfino che fossimo davvero elfi di Superficie, ma per grazia degli dèi avevano un chierico con loro che poté verificare la nostra storia. Spiegammo loro che un anno e mezzo prima la foresta di Shilmista aveva subito un attacco come effetto collaterale della guerra contro i duergar, e che eravamo scesi nelle gallerie contro il parere del nostro chierico e all'insaputa del re.
I guerrieri si limitarono a darsi di gomito e a fare commenti come “Pah! Non mi aspettavo di certo degli elfi come alleati, ed è bello vedere che il mondo è prevedibile!”
Il loro chierico invece non era in vena di battute e ci spiegò che avevano finalmente ricacciato indietro l’esercito dei duergar e ora stavano ripulendo le gallerie da eventuali nemici rimasti, trappole o focus divinatori; ci intimò senza mezzi termini di levarci dai piedi che quello non era il nostro ambiente.

Saelas avrebbe voluto proseguire contro il parere dei nani (anche se lo giudicai un comportamento molto poco ortodosso, dopotutto quello era il loro regno), ma eravamo solamente in quattro e gli altri due per fortuna mostrarono di avere almeno un minimo di buonsenso.
Non ci saremmo addentrati alla cieca nel Buio Profondo, per quanto Saelas potesse strepitare.

           

   
 
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