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Autore: NPC_Stories    24/09/2017    1 recensioni
Sono un ranger elfo dei boschi della foresta di Sarenestar, o foresta di Mir come la chiamano gli umani. Il mio nome è Johlariel, per gli amici Johel.
Sì, ho degli amici.
Sì, per davvero, anche se sono un elfo, quelle voci che girano sul nostro conto sono solo calunnie. In realtà sono un tipo simpatico e alla mano.
Questa storia è una raccolta di racconti, alcuni brevi altri lunghi e divisi in più parti, che narrano dei periodi in cui ho viaggiato per il mondo insieme a un mio amico un po' particolare. Per proteggere la sua privacy lo chiamerò Spirito Agrifoglio (in lingua comune Holly Ghost, per comodità solo Holly). Abbiamo vissuto molte splendide avventure che ci hanno portato a crescere nel carattere e nelle abilità, e che a volte hanno perfino messo alla prova il nostro legame.
...
Ehi, siamo solo amici. Sul serio. Già mi immagino stuoli di ammiratrici che immaginano cose, ma siamo solo amici. In realtà io punto a sua sorella, ma che resti fra noi.
.
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Nota: OC. A volte compariranno personaggi esistenti nei libri o nella wiki, ma non famosi.
Luglio 2018 *edit* di stile nel primo capitolo, ho notato che era troppo impersonale.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1316 DR: L’altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3), ovvero Quando non hai incantesimi per comunicare a distanza e allora vai di pala e olio di gomito


Saelas non era in pace. E quando Saelas non è in pace, ha un modo tutto suo di frantumare le palle a chi gli sta intorno.
“Sono in fuga. Tornano alla loro schifosa città sotterranea! Non avremo una seconda occasione di inseguirli e fargliela pagare!” Insisteva, più o meno al ritmo di una volta all'ora.
“Ma noi siamo solo in quattro e siamo venuti qui espressamente per indagare, non per lanciarci in pericolose iniziative.” Ribattei per l’ennesima volta. “Capisco il tuo zelo, capisco che tutti voi siate pronti a rischiare la vita, ma per riuscire a causare gravi perdite a dei nemici serve anche la forza di ferirli.”
Questa argomentazione lo mandava in bestia, ovviamente perché sapeva che avevo ragione. In un giorno di marcia forzata riuscimmo a riunirci con i nostri compagni, che ci aspettavano all'imbocco delle gallerie sulle pendici occidentali delle montagne.
Li aggiornammo rapidamente sulle novità.
Con mio grande sconforto, tutti sembravano concordare con Saelas nel voler andare nuovamente nelle gallerie e inseguire l’esercito in ritirata. Ora che il nostro piccolo gruppetto si era riunito con le altre forze, l’intera pattuglia dei sopravvissuti di Silverthorn, cominciavo a essere a corto di obiezioni.
“Che cosa facciamo?” mi sussurrò Azadeth quella sera, mentre i guerrieri e i ranger si preparavano a inoltrarsi nei cunicoli. “La situazione non è migliorata, rischiano ancora di attirare l’attenzione di Dunspeirrin sulla nostra foresta.”
“Ma non riusciremo mai a convincerli a desistere. La cosa migliore sarebbe che la missione fallisse senza morti o feriti.”
“Impossibile!” Soffiò. “A meno che non manchino in larga misura l’esercito che si ritira, ma è un esercito, anche se fosse passato da alcuni giorni le tracce si vedrebbero lo stesso.”
“Allora dovremo procedere con il piano di emergenza che avevamo concordato.” Annunciai, in tono greve ma solenne.
Azadeth sbiancò leggermente.
“Avrei preferito evitare.” Sussurrò.
“Anche io, ma siamo a corto di opzioni e abbiamo bisogno di aiuto. Ti ricordi come si fa il nodo che ti ho insegnato?”
Azadeth annuì e me lo mostrò usando il laccio di cuoio a cui teneva agganciato il suo simbolo sacro. Fece un nodo che ricordava vagamente un quadrifoglio. Non avrebbe retto alla tensione, ma non era un nodo fatto per tenere legato qualcosa, era un simbolo per comunicare un messaggio.
“Bravo ragazzo. Ricordati di stare attento alle radici, e di portare dell’acqua.”
“Acqua?” Mi guardò senza capire.
“Quando tutto sarà finito vorrai lavarti le mani, credimi.”

“Azadeth non viene con noi?” Inquisì Saelas, vedendolo andare via.
“Qualcuno dovrà restare qui a proteggere i confini della foresta, non pensi?” Risposi, un po’ più bruscamente di quanto avrei voluto.
“Potrebbe servirci qualcuno che ci curi!” Obiettò, chiaramente infastidito dalla partenza del chierico.
Spero proprio che arrivi qualcuno che ci curi, pensai fra me e me, anche se a te servirebbe un tipo di cura molto diverso.
“Azadeth non ha mai creduto nelle missioni suicide e non puoi costringerlo a seguirci.”
“Sei molto protettivo con lui, anche se non sei nemmeno di Shilmista.” Saelas mi guardò storto. Tuttavia, non insistette su quel punto. Non ero di Shilmista, ma stavo comunque scendendo nel sottosuolo con loro a rischiare la mia vita. Per questo comunque tutti loro mi rispettavano, e Saelas non sarebbe entrato in aperto contrasto con me, aveva bisogno di ogni singolo guerriero.

In un giorno, riuscimmo a ritrovare il punto in cui avevamo incontrato i nani. Il passaggio dei difensori aveva lasciato ulteriori tracce confondendo quelle originali, quindi potevamo solo seguirle sperando che avessero seguito lo stesso percorso dei duergar.
Ci fermammo a riposare, facendo turni di guardia, ma nessun mostro sembrava volersi azzardare a disturbare ancora i territori troppo vicini alla città dei nani.
Il giorno dopo raggiungemmo il contingente dei nani. Erano sempre impegnati a esplorare e ripulire le loro caverne e le loro miniere, e accolsero il nostro ritorno con la gentilezza per cui sono famosi: “Ancora voi, dannati elfi ballerini? Questo non è posto per voi!”
Alcuni dei miei compagni si risentirono un po’, ma io ero abituato a girare con Holly, che è in grado di insultare pesantemente una persona e tutti i suoi antenati in nove lingue e mezza fra cui il celestiale. I commenti dei nani mi scivolarono addosso come acqua fresca.

Saelas si fece portavoce del gruppo, ma mi feci avanti anch’io per addolcire un po’ il suo tono e fare da mediatore con i nani. Alla fine riuscimmo a raggiungere un accordo vantaggioso, perché loro ci volevano fuori dai piedi prima di subito, e il fatto che fossimo così ansiosi di gettarci nel pericolo non li riguardava minimamente. Quindi ottenemmo il permesso per spingerci avanti e cercare tracce dell’esercito nemico, una retroguardia se ve n’era una... e loro ci diedero alcune mappe dei territori circostanti. Una mappa sola non sarebbe mai bastata, ovviamente: quando si è sottoterra si deve pensare in tre dimensioni.
Prendemmo congedo dai gentili nani e ricominciammo la nostra cerca.

Alla fine del secondo giorno, non avevamo ancora trovato tracce di vita. Questo in un certo senso era positivo, perché significava che eravamo nella giusta direzione: l’esercito in ritirata si era lasciato dietro una scia di cadaveri di mostri e umanoidi, soprattutto goblin delle tribù che avevano avuto la cattiva idea di stabilirsi in quella zona.
Il terzo giorno ripartimmo di buon’ora. Non c’era alcun modo di sapere che ore fossero, forse mattina; noi elfi possiamo meditare quattro ore anziché dormire, ma il nostro mago Tintagel aveva bisogno di otto ore di riposo per recuperare la freschezza mentale necessaria a lanciare incantesimi.

Procedemmo così per alcuni giorni, nel buio che sarebbe stato assoluto senza gli incantesimi di luce di Tintagel.
Anche quello era stato oggetto di discussione, ma alla fine avevamo convenuto che qualsiasi creatura vivesse laggiù sicuramente aveva altri sensi per individuare la nostra presenza e la luce non ci avrebbe resi dei bersagli, non più di quanto non lo fossimo già. Noi al contrario avevamo bisogno della vista per difenderci dai predatori e trovare le tracce.
Ci stavamo addentrando sempre più in profondità, sempre più lontani dai luoghi che conoscevamo e dalla nostra splendida Superficie. Anche i più ostinati fra noi stavano iniziando a diventare claustrofobici. Sentivamo la mancanza del sole e del vento, degli alberi e della sensazione di spazio intorno a noi.
L’atmosfera nel gruppo si era fatta sempre più tesa, anche perché nessuno di noi aveva grande esperienza nel muoversi nelle caverne sotterranee.
Pregai che Azadeth avesse svolto il suo compito in modo adeguato.

Un giorno, uno di quei giorni senza nome e senza tempo, fummo attaccati a sorpresa. A quanto pare i duergar possono rendersi invisibili, sarebbe stato meglio se i nani ce lo avessero detto. Riuscimmo a ucciderne alcuni, ma presto fummo sopraffatti dal semplice numero di quelle malvagie creature, capaci di attaccare sia con le armi che con infidi trucchi magici. La loro prima mossa fu contrastare l’incantesimo di luce di Tintagel e ingaggiare il mago perché non potesse lanciarne altri, ma in qualche modo riuscimmo a restare in gruppo e a difenderci. Iniziammo un po’ alla volta a retrocedere verso le gallerie da cui eravamo arrivati, ma nel buio più completo il nostro gruppo si divise in due senza che ce ne avvedessimo.
Un colpo sordo alla mia sinistra. Tintagel smise di lanciare incantesimi a raffica contro i nostri assalitori, e capii che era stato colpito, forse a morte. Non sentivo più gli altri, o meglio, i rumori della battaglia c’erano ma rimbombavano nelle caverne da tutte le direzioni. Impossibile capire dove fossero gli altri elfi e a che distanza. Un colpo d’ascia mi aprì una brutta ferita nel fianco e poco dopo la mia mente cominciò a vacillare. Era la semplice perdita di sangue, o c’era del veleno sulla lama?
Continuai a combattere per un tempo che mi sembrò infinito, e quando persi i sensi sognai di continuare a combattere per sempre in quell'oscurità opprimente.

Mi svegliai dopo un tempo indefinito. Ore? Minuti? Non lo so, ma i duergar avevano avuto il tempo di legarci, privarci dell’equipaggiamento e medicare le nostre ferite.
Potevo vedere, grazie a una torcia che era stata lasciata accesa non lontana da noi. I miei compagni erano ancora svenuti. Li passai in rassegna, con il cuore in gola. Dalla mia posizione semi-sdraiata non era facile vedere bene, e sollevarmi e girarmi mi costò un grande sforzo e una brutta fitta al fianco ferito. Ma sembrava ci fossero tutti, e sperai che fossero vivi, perché a quale scopo portarsi dietro un cadavere?
Una risatina maligna mi strappò ai miei pensieri. Qualcuno mi stava guardando e rideva della mia confusione e dei miei sforzi. Una figura scura e longilinea si mosse, staccandosi da una stalagmite. Non l’avevo vista e non l’avrei mai vista se non si fosse mossa, perché il suo mantello con cappuccio era dello stesso color grigio fumo della roccia che ci circondava.
Si avvicinò a noi, portando una mano a schermarsi gli occhi dalla luce della torcia. Da questo dettaglio, e dalla sua corporatura sottile, dedussi che doveva essere un elfo drow.
“Ma che ricco bottino hanno portato i nani grigi.” Cantilenò, schernendoci nella lingua comune del Buio Profondo. “Qualcosa di buono ne è venuto, da questa guerra schifosa.”
Ora era abbastanza vicino perché potessi vedere i suoi occhi brillare di crudele aspettativa anche nell’ombra del suo cappuccio. Lo guardai con odio, ma rispose solo con una risata divertita.
“Capisci quello che dico, schifoso elfo?” Mi disse ancora, estraendo la sua spada lunga dal fodero e puntandomela davanti al viso. “Allora? Capisci?” Con un piccolo scatto del polso fece saettare la punta della lama più vicina al mio viso, in un gesto intimidatorio.
Qualcuno alla mia destra trattenne il fiato, e capii che i miei compagni dovevano essersi svegliati.
“Sì, ti capisco.” Riuscii a rispondere. Avrei voluto aggiungere qualche insulto, ma avevo la bocca secca e riarsa come una gola battuta dal vento, e ogni respiro mi portava in bocca il sapore del sangue.
“Bene, bene. Capisci questo allora: gli stupidi duergar pensano che la minaccia di una punizione mi tratterrà dall'uccidervi. Ma si sbagliano.” La sua lama sottile si spostò sulla mia gola, dove giocò per qualche secondo perché potessi sentire il freddo del metallo.
Improvvisamente, la spada venne allontanata dal mio collo e il drow si chinò verso di me per sussurrare: “È la prospettiva della vostra schiavitù che mi impedisce di uccidervi. Verrete a Dunspeirrin e sarete gli ultimi fra gli ultimi, verrete dati in premio a quelli di noi che si sono distinti in battaglia. La vostra tortura durerà fino al giorno della vostra morte, che vi prometto non sarà oggi.” Sorrise in modo viscido, disgustoso. “Imparerete a non temere la morte. Fra qualche giorno la starete già implorando a gran voce. Il mio destino miserabile non sarà nulla in confronto al vostr...” Il suo tono esaltato si spese improvvisamente in un gorgoglio di sangue. Chissà, forse per via di quel pugnale che gli spuntava dalla gola.
“Allora mi ringrazierai se ti libero dal tuo destino miserabile.” Sussurrò la voce di Holly, dietro di lui.

Dèi. Il sollievo. Il sollievo si rovesciò su di me come pioggia primaverile. Non credo di aver mai provato una sensazione così totalizzante di speranza e conforto, in tutta la mia vita.
Il cadavere del drow si reclinò e sarebbe caduto a terra se Holly non l’avesse accompagnato nella caduta. Probabilmente non voleva attirare l’attenzione con rumori improvvisi. Quando si avvicinò a me per controllare le mie ferite sbattei gli occhi un paio di volte, confuso.
Davanti a me c’era un mezzelfo dei boschi, pelle abbronzata, capelli castani, orecchie a malapena appuntite, i tratti del viso morbidi quasi quanto quelli di un umano. La sua corporatura però era molto più simile a quella di un elfo. Gli occhi erano grigi, come quelli del mio amico, e i suoi capelli erano acconciati in un’unica semplice treccia nella foggia che Holly prediligeva. Intorno al collo aveva il ciondolo che permetteva a una creatura incorporea di diventare corporea, e questo mi tolse ogni dubbio.
“Sei ferito gravemente.” Sussurrò, passando alla lingua elfica. Le sue mani trovarono le ferite peggiori con la sicurezza dell’esperienza, e un momento dopo sentii un flusso di energia risanante penetrare nei tagli e guarire gli organi danneggiati. Mi sentii subito meglio, ma interruppe il processo di guarigione prima che fosse completo.
“Non posso usare tutta la mia energia per guarire te, devo suddividerla fra tutti. Non posso lanciare incantesimi finché indosso questo.” Mi spiegò, indicando il ciondolo che gli permetteva di avere un corpo fisico. Era un limite di cui non ero a conoscenza, e non era di certo una buona notizia.
Mentre mi slegava i polsi e le caviglie, mi accorsi che qualcun altro stava già provvedendo a guarire gli altri: Azadeth era venuto con lui.
“Presto.” Sussurrò Holly in tono concitato mentre aiutava Azadeth a guarire gli ultimi feriti. “Hanno lasciato una guardia sola perché eravate legati e feriti, ma torneranno a momenti.”
Un avvertimento inutile, perché proprio in quel momento due guardie duergar arrivarono in vista della piccola caverna dove ci avevano ammassati, si accorsero della situazione e calarono su di noi come una piccola frana.
Mentre uno si lanciava all'attacco, l’altro abbatté la torcia con un colpo d’ascia e la spense con un piede. Calò di nuovo il buio, un buio quasi completo. Holly aveva evocato delle piccole luci che gironzolavano per la caverna, ma mai troppo lontano da lui. Sapevo perché lo faceva, doveva trovarsi sempre in prossimità di una fonte di luce, ma questa volta la cosa ci fu di grande aiuto. Tuttavia eravamo ancora disarmati, anche se di nuovo quasi sani, e in quelle condizioni potevamo al massimo sperare di evitare i colpi dei duergar. Poi, dal nulla, una serie di saette argentate si scagliò contro uno dei due malefici nani, costringendolo a fare un passo indietro: Tintagel aveva ancora gli incantesimi che aveva memorizzato, anche se gli avevano tolto il libro.
Azadeth mi trovò al tatto e mi mise in braccio la sua spada lunga, senza dire nulla. Sapevamo entrambi che nonostante il suo addestramento ero ancora un combattente migliore di lui. Ingaggiai uno dei duergar mentre Holly combatteva l’altro, e con l’aiuto degli incantesimi di Tintagel riuscimmo presto a sopraffarli e ucciderli.
“Sciocchi presuntuosi.” Sussurrò Holly, con sdegno. “Avrebbero fatto meglio a lanciare l’allarme.”
“Dobbiamo recuperare le nostre armi!” Sibilò uno degli elfi, adirato e bramoso di vendetta per il trattamento che ci avevano riservato.
“Le vostre armi non sono qui, le avranno portate via.” Holly indicò la caverna, facendo scorrere alcune delle sue piccole sfere di luce in giro per quello spazio angusto, illuminando ogni alcova. “E in ogni caso se le riaveste indietro le usereste per qualcosa di stupido, quindi è meglio evitare.” Un moto di indignazione seguì quest’ultima frase.
“Pretendi forse che ci muoviamo in questo luogo pericoloso senza delle armi adeguate?” si fece avanti Saelas, incredulo e arrabbiato.
“Quando eravate in Superficie avevate delle armi adeguate e questo vi ha portato a scendere quaggiù e rischiare di morire. Ora siete quaggiù senza armi, quindi c’è qualche possibilità che accendiate il cervello e decidiate di tornare lassù vivi.” Replicò Holly con sdegno.
“Noi siamo pronti a morire per affondare la lama della vendetta nel cuore nero dei drow e dei duergar!” declamò Saelas con arroganza.
“Lo so, ma nemmeno voi fanatici gettereste via le vostre vite in cambio di nulla, dico bene? Ed è proprio per questo che non riavrete le vostre armi. Ho giurato nel nome di Corellon Larethian che avrei fatto tutto il possibile per proteggere gli elfi” affermò Holly, rivelando così che era un Ruathar “...e se questo significa che devo trattarvi come bambini per impedirvi di lanciarvi in una follia suicida, ebbene lo farò.”
Saelas contrasse il viso in una smorfia di rabbia e pensai quasi che si sarebbe gettato su Holly.
“Affermi di essere un Amico degli Elfi, ma un amico rispetterebbe il nostro diritto di autodeterminazione.”
Holly gli rivolse quello sguardo vacuo e inespressivo che rivolge solitamente agli idioti, e che ormai ho imparato a decifrare come Se non fosse stato per me saresti già morto, e ancora che parli?
“Non sono quel tipo di amico.” Tagliò corto. “Ora torneremo tutti in Superficie o vi ci spingerò a calci se sarà necessario.”

Non fu necessario. Aveva ragione, togliere loro le armi era l’unico modo per farli desistere dalla missione; ma anche loro non avevano torto, le armi sarebbero state utili per difenderci. Avevamo raccolto le asce dei duergar morti, ma nessuno di noi le sapeva usare al meglio.
Quando si accorsero della nostra fuga, mandarono un piccolo contingente di drow e duergar sulle nostre tracce. Eravamo fuggiti solo da poche ore, che già ci trovammo a combattere ancora.
“Non sprecare i tuoi incantesimi sui drow, sono resistenti alla magia.” Consigliò Holly a Tintagel.
Il mago accettò il suggerimento e diresse i suoi ultimi incantesimi sui duergar. Holly ed io attaccammo i drow; entrambi avevamo una certa esperienza nel contrastare il loro stile di combattimento, ma questi non usavano il classico stile a due lame dei drow. Combattevano perlopiù con spada e scudo, alcuni usavano una specie di picca coniugando la naturale agilità elfica a uno stile di combattimento pensato per gli eserciti più che per i duelli. Nel complesso non erano particolarmente pericolosi, certamente meno di quanto ci aspettassimo. Ricordai quello che Holly aveva detto ad Azadeth tempo prima, riferendosi agli attentatori di Shilmista: sembravano del tutto ignoranti in merito alla cultura drow. Probabilmente erano nati schiavi ed erano stati addestrati al combattimento secondo lo stile dei duergar.
Saelas e Vaelayr combattevano usando le asce dei nani grigi, non certo molto bene ma abbastanza per difendersi. Fra loro e i drow che non combattevano da drow, quel combattimento sarebbe apparso una ridicola farsa se non fossero state in gioco le nostre vite.
“Patetiche creature.” Commentò Holly, tagliando rapidamente la gola all'ultimo combattente drow ancora in piedi. Poi rivolse la sua attenzione contro uno dei duergar e lo pungolò con la sua spada lunga costringendolo a saltellare in modo molto poco dignitoso. Ad ogni mossa di Holly nuovi tagli superficiali si aprivano sul volto e sulle mani del nano grigio, ovunque non fosse coperto dall'armatura. Il nano passò al contrattacco, gettò via l’inutile scudo ed estrasse una mazza chiodata. Si gettò su Holly agitando l’ascia e la mazza, ma una carica frontale serve di rado contro un avversario agile. Holly saltò verso il nano, evitando l’ascia che lo avrebbe falciato alle ginocchia, deviò la mazza con la spada lunga e gli atterrò con entrambi i piedi sulla faccia. I duergar sono più magri dei nani degli scudi e non hanno lo stesso comodo baricentro basso, quindi lo sfortunato duergar perse l’equilibrio e cadde supino per terra. Holly portò la spada dietro la schiena con la punta verso il basso, la puntò contro la placca centrale dell’armatura del duergar e vi si appoggiò con nonchalance.
“Sappiamo bene che questa poca pressione non può trapassare la tua bella armatura di mithril, duergar.” Gli disse in sottocomune, in tono colloquiale. “Ma ci sono dei punti di giunzione, non è vero?” Con una mossa fulminea, Holly riportò la spada davanti a sé e la piantò sotto l’ascella destra del nemico. Il duergar grugnì di dolore, ma si rifiutò di gridare, limitandosi a guardare con odio il suo avversario. “Sì sì. Con l’angolazione giusta, potrei arrivare al cuore. Dovrei farlo, immondo schiavista?” Domandò ancora, con l’aria di provocarlo. Il nano cercò di rialzarsi, ma con un’altra mossa veloce come quella di prima, Holly si girò e gli piantò la spada in un ginocchio. Questa volta, il bastardo urlò. La spada di Holly fu subito alla sua gola. “Urla ancora e ti taglio le corde vocali, poi ti faccio a pezzi un po’ alla volta e lascio i tuoi resti a segnare la via per i tuoi compagni.”
“L-La via per dove?” grugnì il nemico a terra.
“La via per una tragica morte, direi. Allora, quanto lentamente devo ucciderti?”
Il duergar rise, una risata gorgogliante, un filo di sangue iniziò a colare dalla sua bocca. Probabilmente aveva un polmone perforato, ma trovò comunque la forza di dirgli qualcosa in una lingua gutturale che ricordava vagamente il nanico.
“Scusa, non parlo il sottonanico.”
Il duergar stava soffocando nel suo sangue, ma riuscì comunque a mostrarsi offeso.
“La nostra lingua si chiama duergan” lo corresse, parlando in sottocomune.
“Come faccio a sapere come si dice sottonanico in sottonanico, se non parlo il sottonanico?” insistette Holly, divertendosi alle spalle dello sconfitto.
Il duergar lo guardò malissimo, ma non aveva altro fiato da sprecare litigando.
“Ho detto che non mi fai paura, mezzelfo. La tua gente non ha molta inventiva nelle torture.”
Holly gli sorrise candidamente e poi gli sussurrò qualcosa in una lingua che non riuscii a comprendere. In risposta il nano sgranò gli occhi e per la prima volta il suo viso solitamente poco espressivo tradì una concreta e viscerale paura. Per qualche altro interminabile attimo Holly si limitò a fissarlo sorridendo, poi con una piroetta rapidissima fece compiere alla sua spada un cerchio davanti a sé, sfiorando quasi il pavimento e recidendo la testa del duergar appena sopra al collo dell’armatura. La lama era così affilata grazie alla magia che la testa si mosse solo di pochi millimetri. Forse il nano rimase cosciente qualche altro istante prima di morire, ma aveva negli occhi lo stesso sguardo sorpreso e spaventato di poco prima.
“Avresti potuto ucciderlo un po’ più in fretta.” Commentai alla fine.
Holly guardò il cadavere senza celare il suo disgusto. “Detesto gli schiavisti, e se non fosse stato per la loro dannata guerra i drow non sarebbero mai arrivati a Shilmista. Sono solo contento che abbiano perso, questi rifiuti.”
“Che cosa gli hai detto prima di ucciderlo?” domandò Azadeth curioso, mentre ci incamminavamo per tornare in Superficie.
“Gli ho detto che avrei potuto guarire le sue ferite e tenerlo in vita.”
“Ed era così terrificante?”
Holly sorrise di nuovo in quel modo cortese che ormai identifico come una minaccia.
“Spesso non è quello che dici il vero messaggio, ma il modo in cui lo dici.”

Holly ci guidò con sicurezza verso la Superficie; era stato abbastanza previdente da lasciare delle tracce quasi invisibili che lo guidassero sulla strada che aveva percorso all’andata. Lo avevamo fatto anche noi, ma i nostri segnali erano troppo evidenti e grossolani; con un po’ di fortuna i duergar avrebbero seguito quelli (se mai si fossero dati la pena di continuare a inseguirci) e sarebbero caduti di nuovo fra le braccia dei nani. Più probabilmente, avrebbero abbandonato la caccia. Quando finalmente rivedemmo il cielo stellato, perfino gli elfi di Shilmista non riuscirono a contenere il loro sollievo e la gioia di essere di nuovo liberi, di nuovo a casa.
“Se volete accettare il consiglio di un amico che vuole solo il vostro bene, dovreste lasciar perdere l’idea della vendetta.” Disse Holly, rivolto agli elfi in generale ma guardando Saelas in particolare.
“Capisco che vi hanno fatto del male, ma se permettete alle azioni di quei drow di rovinarvi la vita, rifiutando per sempre di essere felici, allora loro avranno vinto. La loro intenzione era portare morte e dolore, quindi vi prego, abbandonate almeno il dolore. I vostri cari estinti hanno certamente trovato la pace e la gioia nei Reami di Arvandor, non vorrebbero vedervi rifiutare ogni gioia e restare soli per sempre.”
“Tu non hai nessun diritto di parlare per i morti, mezzumano” Rispose Saelas, grondando amarezza. “Dal momento che la vita è l’unica cosa a cui sembri dare valore, non parlare dei morti e non parlare di dolore, perché è ovvio che non ne sai niente.”
Holly sorrise come se celasse un segreto, cosa che in effetti era. Si tolse il ciondolo Trappola Fantasma e lo mise in una borsa conservante, dove il suo effetto non poteva più raggiungerci. Immediatamente divenne incorporeo e la borsa conservante gli cadde dalle mani.
“In realtà io sono già morto, Saelas, come puoi vedere.” A questa rivelazione, restarono tutti muti e a bocca aperta come pesci rossi. “Ma ho scelto di restare a calcare queste lande per tenere fede alla mia promessa di proteggere gli elfi, e sì, le loro vite soprattutto. Conosco bene il valore della vita, dal momento che l’ho perduta. E conosco il valore della felicità, anche se non è mai stata una compagna costante nella mia esistenza. Hai udito il mio consiglio, ma ora fai come vuoi. Ricorda solo un’ultima cosa: voi siete stati vittime di una tragedia, e le vittime hanno sempre il diritto di tornare ad essere felici.”

Più tardi, quella notte, io e Holly restammo ad osservare le ultime stelle che impallidivano mentre il sole sorgeva alle nostre spalle, dietro alle montagne.
“Grazie per essere venuto quando avevo bisogno di te.”
Holly odia i ringraziamenti, ma forse aveva bisogno di sentirselo dire.
“Vaffanculo. Che razza di discorso è? Sei mio amico, è mio dovere, che persona sarei se non ti aiutassi quando hai bisogno?”
Okay, forse no.
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L’amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.
“L’amicizia non genera debiti.” Convenni con lui. “Vorrei che riflettessi su questo, anche se forse non puoi davvero comprendere perché sei un fantasma: l’amicizia funziona in due direzioni. Il fatto che tu ci aiuti non genera debiti perché sei nostro amico, ma nemmeno tu sei in debito con noi per l’amicizia che ti abbiamo concesso.” Mi guardò senza capire, come se gli chiedessi di affrontare un concetto nuovo e del tutto alieno al suo punto di vista. Di sicuro era proprio così. “Ti comporti sempre come se fossi in obbligo verso di noi per la fiducia e l’amicizia che ti abbiamo accordato. Come se dovessi continuamente provare che ne sei degno.” Continuai, interpretando il suo silenzio come disponibilità all'ascolto. “Ma gli obblighi che senti nei nostri confronti sono solo un’altra forma, più subdola, di debito. Noi ti abbiamo concesso amicizia unicamente perché tu sei nostro amico. Non devi sentirti in colpa per il disastro di Shilmista, non eri obbligato a essere nel posto giusto al momento giusto.”
Per un lungo momento tenne gli occhi sulla foresta di Shilmista, sotto di noi. Ancora immersa nelle ombre della notte, le cime degli alberi che si muovevano al vento la facevano assomigliare a una specie di mare oscuro.
“Avrei dovuto essere lì. Non perché erano elfi ma perché sarebbe stato giusto. Starei male anche se fosse stato un villaggio umano.”
“Sul serio? Altrettanto male?”
Holly si strinse nelle spalle.
“Conosco gli elfi meglio degli umani, provo un maggiore senso di familiarità verso la tua razza. Quindi no, non altrettanto male, ma penso sia normale.”
Accettai la sua spiegazione con un cenno del capo. Non mi aspettavo che cambiasse idea, e nemmeno che ammettesse la validità della mia argomentazione. Ovvio che avesse trovato una scusa. I morti non cambiano.
Così come Saelas. Era vivo solo per caparbietà, ma chiaramente una parte di lui era morta quella notte in cui era stata massacrata la sua famiglia. Secondo me una parte troppo grande di lui era morta. Non sarebbe mai tornato a essere quello di prima, e mi sorprendeva che Holly non riuscisse a vedere le chiare similitudini fra loro.

“Mi tratterrò qui ancora un po’; sono giunto a Shilmista con la scusa di riallacciare rapporti diplomatici con il loro re, ma in un anno non mi sono mai spostato dalle propaggini meridionali della foresta.” Annunciai la mia decisione senza guardare in faccia il mio amico. “Se me ne andassi ora sarebbe sospetto. Inoltre ho sviluppato un certo interesse per il benessere e il futuro di Azadeth.”
“Aza... ah sì, il Piagnone.”
“Non chiamarlo in questo modo!” gli allungai una gomitata. “Azadeth è un bravo giovane, pieno di buone intenzioni.”
Alzò le mani, in segno di resa e di scusa.
“Va bene. Ma se avessi di nuovo bisogno di me, il trucco che hai usato stavolta non funzionerà di nuovo. Sul mio cadavere c’era un solo laccio per capelli, e ora è già annodato.”
Si riferiva al nodo che avevo insegnato ad Azadeth, quello che usavamo per comunicarci a vicenda Pericolo, richiesta di aiuto immediato.
Azadeth aveva scavato la tomba di Holly, preso il suo nastro per capelli (che quindi era scomparso dalla treccia di Holly in quello stesso momento, richiamando la sua attenzione), lo aveva legato in quella foggia simile a un quadrifoglio e poi lo aveva rimesso nella tomba. Holly se l’era trovato in mano, annodato, e aveva capito subito l’origine del messaggio.
“Mia sorella ha pensato a un modo per farci comunicare quando siamo distanti. Visto che ora sto passando tutti gli inverni insieme a lei.” Cercò nella borsa ed estrasse un sacchettino che conteneva due pietre bianche. Me ne porse una.
Nel momento stesso in cui toccai la superficie liscia con le dita, ne intuii subito l’utilizzo.
“Posso parlarti a distanza con questa?” Domandai, guardando con ammirazione la piccola e anonima pietra.
“Sì, ma solo una volta al giorno. Il tuo messaggio arriverà al possessore della pietra, chiunque sia in quel momento, ma farò in modo di tenerla sempre con me.”
“Tua sorella è stata molto previdente.”
“Sì. Sarà sempre meglio che scavare tombe.” Scherzò.
“Ah, ma tanto finché lo faccio fare alla bassa manovalanza...” Risposi, stando allo scherzo.

Più tardi quella mattina ci salutammo prendendo congedo. Lui non voleva restare nei pressi di Shilmista, troppi ricordi dolorosi.
“Holly, prima di andare, toglimi un’altra curiosità. Perché un mezzelfo?”
Mi guardò come se fosse ovvio e si lanciò in una dettagliata spiegazione.
“Un elfo diventa raramente Ruathar, perché insomma, è già un elfo. Inoltre io parlo l’elfico, ma solo da sessant'anni; quindi non potrei farmi passare per un elfo adulto.” Enumerò, riferendosi alla complicatezza della lingua elfica, che può essere padroneggiata solo con la pratica e poi affinata nei decenni e nei secoli. È impossibile stabilire quanti anni abbia un elfo giudicandolo dal suo aspetto, ma si può capire dal modo in cui parla. “Gli umani a Shilmista non sono i benvenuti. Quindi restava solo un mezzelfo. Le origini elfiche giustificano facilmente il fatto che sia un Ruathar, sai quanto alcuni mezzelfi siano ansiosi di compiacere i loro cugini di razza pura.”
Lo guardai storto, come a rimproverarlo per la sua brusca e fredda considerazione.
“Non parlare così dei mezzelfi. Non prenderti gioco della loro tragica mancanza di identità.”
“Non me ne prendo gioco. Condivido la loro tragica mancanza di identità.”
Quel commento mi colpì. Non l’avevo mai considerata in questo modo. Mi balenarono in mente le sue azioni contro il duergar, è raro che Holly si diverta a tormentare qualcuno prima di ucciderlo.
“Lo sai, mi fa un po’ paura che tu sia così bravo a pianificare una menzogna.”
Si strinse di nuovo nelle spalle.
“È solo un’arte che può rivelarsi utile. Tu continua a fare il nobile ranger, e lasciami fare il furfante.”

           

   
 
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