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Autore: Luxanne A Blackheart    24/09/2017    1 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo dodici.
Gioventù mortale e peccati eterni.
 

“Ho condotto una ben dura esistenza, dal giorno che ho cessato di udir la tua voce. Ma tu devi perdonarmi perché ho lottato solo per te.”
(cime tempestose.)



Will si svegliò di soprassalto, quando qualcuno lo colpì con un oggetto duro e freddo in viso. Sanguinò dalla bocca, sputando liquido rosso e aprì gli occhi, mettendoci qualche attimo prima di riuscire a focalizzare chi lo aveva colpito, chi aveva rovinato il suo momento di riappacificazione con la scrittura.
“Voi bastardi, non capite che la faccia, soprattutto se così bella come la mia, non va mai toccata.”
Si sforzò di ricordarsi l'ultima cosa che aveva fatto, dov'era stato, prima di venire colpito, rapito, legato su una sedia come un animale.
Lucille gli venne subito in mente, bellissima, unica, meravigliosa nel suo abito da sposa e le lacrime che avevano versato, il loro bacio mancato e poi tutta la sua disperazione nel vederla sposata con qualcun altro, il suo dolore, il suo strazio. Poi c'era stata lei, la sua vecchia amica, l'ispirazione, che era venuta a trovarlo in un momento del genere, tra ossa, carne putrefatta, sangue e disperazione più profonda.
“Be', mi dispiace tanto, caro William Nottern, o qualsiasi sia il vostro vero nome, ma è proprio il vostro bel visino che desidero colpire con ardore.”, Katherine si abbassò il cappuccio che le nascondeva il viso, sorridendo. Aveva gli occhi di un rosso surreale, le zanne affilate e insalivate, la faccia ricoperta da peli scuri. Era un dannato licantropo, un dannato licantropo della Confraternita.
“Salve, zuccherino. Siete arrabbiata per non avervi fatto da cavaliere al matrimonio di mia sorella?”, Will le sorrise, cercando di risultare affascinante il più possibile, nonostante la corda intrisa di acqua santa che gli bruciava la pelle in modo terribile e la fama che cominciava a farsi sentire.
“Certo, caro signor Nottern, una donna come me ci tiene a questo genere di cose. Venire rifiutata dal suo cavaliere per un'altra donna, soprattutto se ella è la sorella, fa venire un certo malessere.”, Katherine lo colpì con un sonoro pugno, che gli ruppe il naso. William rise, divertito dal tentativo di quella puttana. Pensava veramente che picchiandolo avrebbe avuto qualcosa da lui? Il dolore era il suo amico più fidato, sia quello fisico che quello psicologico.
“Allora, cosa volete fare? Uccidermi, mettere fine alla mia patetica vita da assassino, immorale, incestuoso? Fatevi avanti, mi farete solo un favore.”
“Lo so benissimo, questo. Siete solamente un poveraccio e vi si legge in faccia il vostro desiderio di morte; ma non vi darò questo, sarebbe troppo facile. Voglio prima di tutto farvi soffrire in maniera indicibile, voglio che vi pentiate per tutto ciò che avete fatto, voglio la mia vendetta. Colpendo voi colpisco i vostri fratelli. Voi Nottern, stranamente, siete molto fedeli verso la famiglia.”, il suo accento americano, prima appena udibile, adesso si fece sempre più marcato.
Katherine gli afferrò il viso con un mano, scoprendogli la gola; si avvicinò al suo collo, ignorando i suoi movimenti di protesta e lo morse. Will gemette, ma non urlò, nonostante bruciasse come l'inferno.
Il veleno delle zanne dei licantropi, mortale per quelli come i Nottern, cominciò a fare effetto da subito e il biondo cominciò a sudare freddo, nonostante lui non sudasse più da anni, e a tremare come preso da convulsioni; il sangue prese ad uscirgli da occhi, narici, orecchie e bocca e Will sembrò affogare nel suo stesso sangue.
Ma quello era solo la punta di tutto ciò che avrebbe subito di lì, fino alla sua morte. Un processo lungo, lento e doloroso.
Katherine, infatti, rise di gusto, afferrando il biondo per i capelli e costringendolo a guardarlo. “Adesso capirete come mi sono sentita, quando i vostri genitori, hanno dissanguato i miei e la mia sorellina di appena un anno. Adesso finirete all'Inferno e brucerete per l'eternità per tutti i peccati commessi da voi e dalla vostra famiglia. Vi ucciderò tutti, uno ad uno.”




“Finalmente soli, mia cara.”, Dorian l'afferrò per la vita e le diede un lungo bacio sulle labbra. Tutti gli ospiti se n'erano finalmente andati via e avevano lasciato gli sposini a cominciare una nuova vita.
Lucille forzò un sorriso, quando suo marito le accarezzò la guancia delicatamente, afferrandola poi per la mano e dirigendosi verso i corridoi che precedevano le cucine. Lì, Dorian spinse un piccolo bottone, situato dietro un vaso, facendo aprire una piccola porta, dove prima c'era una perfetta parete.
I due novelli sposi vi entrarono, notando una piccola stanza, tutta impolverata e illuminata da poche candele. In mezzo a essa c'era un quadro enorme, il più grande che avesse mai visto, che rappresentava Dorian, ma non il Dorian che conosceva, perfetto, in saluta e bellissimo; no, quello era una sua versione distorta, vecchia, ridotto in brandelli dalla malattia e con gli occhi rossi, da demone, che sorrideva in modo diabolico, come se sapesse qualcosa che Lucille, dopo tutti quei secoli, ignorava. Sembrava così vivo, magnetico, da farle venire i brividi.
“Che cosa ne pensi?”
“Orribile.”, Lucille gli sorrise, questa volta sinceramente. Lo trovava interessante finalmente, degno del suo avversario. “Ma nel senso buono.”
“Ti ringrazio. Ma non mi chiedi il perché della mia scelta?”, Dorian le prese la mano, baciandogliela. “Non mi chiedi perché ti abbia chiesta in sposa, nonostante la tua bellezza e la tua perfezione?”
“Perché hai bisogno di qualcuno di altrettanto orribile con la quale condividere tutto ciò che hai fatto. Hai ucciso, hai strafatto, hai vissuto in modo sregolato e immorale, hai fatto cose che nessuno potrebbe neanche immaginare, figuriamoci comprendere. Hai bisogno di una come me, con secoli di cattiveria e assassinii alle spalle, per convivere col fatto di aver venduto la tua anima al Diavolo per una sciocchezza. Cosa hai chiesto in cambio?”
“La gioventù eterna.”
“Un classico di voi umani.”, Lucille scosse il capo, sospirando. Guardò per terra e notò un corpo, un cadavere che ormai era ridotto allo scheletro. Tutti i suoi abiti erano rovinati dal tempo e il pugnale con il quale Dorian lo aveva ucciso era ancora fermo sul suo petto. Lucille dopo tanto tempo aveva smesso di fare caso agli odori, anche perché non aveva bisogno di respirare. Solo quando si rese conto del corpo, si accorse della puzza pestilenziale che vi abitava in quella stanza. “Lui sarebbe?”
“Il pittore. E' stata colpa sua se ho fatto quel dannato patto.”
Lucille scosse il capo, sorridendo. “Si meritava una degna sepoltura, Dorian. La colpa delle nostre scelte va attribuita soltanto a noi stessi, non agli altri. E' stata colpa tua se adesso sei immortale, se sei solo come un cane e hai dovuto sposare me, la figlia del diavolo in persona, per sentirti a tuo agio con il tuo senso di colpa.”, Lucille gli sorrise, accarezzandogli la guancia. “Ti aspetto in camera nostra, tesoro.”
Uscì velocemente dalla stanza, portandosi una mano sul petto. Il dolore era tale da farla cadere sulle ginocchia, alla ricerca di un appiglio su cui mantenersi, per cercare di fermare le lacrime e tutto il male. Si trattava di Will, era in pericolo.
Cercò di alzarsi per andare da lui, correre da James e gli altri e salvarlo dovunque si fosse cacciato. Ma non appena fece una piccola mossa, una terribile fitta al cervello, dolorosa come quando ti vengono strappati i denti con una pinza uno ad uno, la fece cadere svenuta in un colpo solo.






Le allucinazioni cominciarono qualche ora dopo, passata a soffocare nel sangue e nel vomito. E furono le peggiori.
Vide Lucille, per prima, vestita di bianco e circondata da una luce surreale, divina, sembrava un angelo. Aveva i piedi scalzi, si librava nell'aria al posto di camminare.
Continuava a sorridere, quando gli si avvicinò, sedendosi sulle sue ginocchia. Lo abbracciò, baciandolo sulle guance e togliendoli i capelli sudati e sporchi di sangue dal viso.
“Hai sempre portato i capelli troppo lunghi, William.”, Lucille gli sorrise, accarezzandogli il viso, seguendo la linea della sua mascella e poi quella del collo. “Vattene da qui, Lucie, vattene via prima che ritorni quella stronza e ti faccia del male. Non voglio che ti accada nulla.”
“Non vuoi che mi accada nulla, eh? Eppure tutte le mie sfortune dipendono da te, mio caro William! Ho sofferto per colpa tua, ho pianto talmente tanto! Ho passato secoli a piangermi addosso, a non sentirmi all'altezza, a sentirmi pazza, inadeguata. Ma eri tu il pazzo, eri tu quello che non mi amava abbastanza, che non lo ha mai fatto. Hai preferito le puttane a me, le droghe, l'alcol e il sangue, ad una vita semplice, felice, ma regolata!”
“No, non dire così, Lucille. Non dire così, io ti amo. Ti ho trattata in quel modo per non trascinarti nell'abisso con me.”
“Io ti ho amato più della mia stessa vita, Will, più di qualunque cosa, anche di me stessa, soprattutto di me stessa! Ho rinunciato a tutto, a tutto! Sono dovuta scappare dalla furia di nostro padre, al mio ruolo, a tutto! E ti odio così tanto, ti odio, ti odio, ti odio!”
“No, Lucille, non dire così, ti prego, no, ti prego! Non mi odiare, non mi odiare anche tu, mio bellissimo angelo, mio unico amore! Non puoi odiarmi anche tu, sopratutto tu. Ci sono io che lo faccio per tutti e due...”, William spalancò gli occhi, cercando abbracciarla, ma le corde impregnate di acqua santa glielo impedivano, bruciandogli la carne fino all'osso. Ma non gli importava del dolore, voleva solo Lucille, che adesso giaceva in una enorme pozza di sangue ai suoi piedi.
“Sei stato tu ad uccidermi, il tuo amore malato e manipolatore. Sei stato tu con la tua pazzia e la tua non volontà a curarti! E adesso sto morendo per colpa tua, moriremo tutti per colpa tua!”, Lucille diventava sempre più pallida ad ogni parola che pronunciava, man mano che affogava nel suo stesso sangue. Le avevano tagliato la gola e lei stava morendo.
William chiuse gli occhi, disperandosi, urlando, piangendo, imprecando e ululando come un lupo ferito alla luna. Si dimenava come un matto, ma le corde si stringevano sempre più attorno al suo corpo e si mangiavano ancora più porzioni di pelle.
Vedeva l'amore della sua vita morire davanti ai suoi occhi e non poteva nemmeno correre da lei, per abbracciarla, per stringerla, per cercare di salvarla.
“Ti prego, Lucille, ti prego, non morire. Fallo per me, Lucille, fallo per me. Ti giuro che cercherò di farmi curare, ma tu non morire.”
Ma fu troppo tardi. Lucille emise un orribile suono con la bocca, si contorse, macchiandosi tutta di sangue e morì. Con lei morì anche un ulteriore pezzo della sanità mentale di William.






James si recò nella grande tenuta dei Nottern, alla ricerca di Will. Era scomparso da due giorni e nessuno sapeva dove diavolo si era cacciato. Lucille aveva sentito un grande dolore al petto, causa della loro straordinaria e terrorizzante connessione, per la quale se uno dei due era in pericolo o in fin di vita, l'altra lo sentiva fin nelle ossa. Lucille gli aveva detto che il dolore era stato tale, da farla svenire per un giorno intero.
Adesso stava meglio, ma era ugualmente debole; perciò aveva mandato James alla tenuta per vedere se riusciva a trovare qualche indizio. Il prossimo passo sarebbe stato andare da Esmeralda, fare un incantesimo di localizzazione, ma andare da lei, significava metterla in grave pericolo e James era l'ultima cosa che voleva.
Corse velocemente per tutta la casa, non trovando nulla, se non fogli pieni di testi scritti recentemente. Si sedette, cercando di ignorare quella spiacevole e brutta sensazione che gli opprimeva il petto. Non poteva essergli capitato nulla, doveva stare bene. Lo avrebbero trovato in qualche bordello o in qualche casa dell'oppio a sballarsi. Era da Will; lui si comportava sempre in maniera sconsiderata.
Afferrò il foglio, leggendo ciò che aveva scritto. James era un suo grande fan, amava tutto ciò che lui scriveva, anche se molto spesso non lo condivideva. Will aveva una visione distorta, pessimistica della vita, anche a causa del suo animo molto sensibile che lo aveva portato alla pazzia.
Questo era il segreto per diventare grandi scrittori; si doveva essere sensibili, pazzi, autodistruttivi, malati d'amore e maledettamente tristi. E lui lo era. La pazzia, auto distruttività, le pene d'amore e la tristezza, erano tutte cose che aveva inventato lui.
Quello scritto portava il nome di “Tristezza”. Jamie sospirò, si sedette e cominciò a leggere.
“La tristezza è poesia.
La tristezza è poesia perché permette al poeta di trasformare la cosa più banale in arte meravigliosa ed unica.
Quando essa viene a fargli compagnia, il poeta si sente libero di far viaggiare la mente.
Guarda per terra, dove le cicche delle sigarette vengono trasportate dal vento fresco di fine agosto e si chiede se egli avrà una sorte del genere.
Cosa ne sarà di lui nel buio e freddo futuro? Come diventerà e quali saranno i cambiamenti che irrimediabilmente muteranno il suo essere più profondo?
Anche lui verrà trasportato dal vento in modo così leggiadro dalle sue scelte future o resterà ancora inesorabilmente ancorato ai pezzi del suo io interiore, che in pochi conoscono, ma che nonostante ciò non sono in grado di capire, comprendere, analizzare fino in fondo.
La tristezza è amica perché capisce. Capisce ciò che il poeta prova, comprendere il suo stato d'animo e sa che egli non sarà mai come quella sigaretta, leggiadra, consumata, ma felice e senza pensieri.
No, ella sa che il poeta potrà aspirare ad essere un fiore morto. Magari una margherita, una volta semplice, perfetta, bellissima, ma che col tempo per cause esterne è dovuta appassire, diventando brutta e lasciandosi morire poco alla volta.
La tristezza si manifesta in molti modi ed essendogli amica sa che cosa il poeta desideri maggiormente, ovvero la solitudine assoluta e il silenzio tombale di una morte felice.
La tristezza sa quali sono gli antidoti, che rendono meno dolorosi i pezzi del suo animo, del suo cuore, dei suoi sentimenti.
La tristezza è amica della morte perché entrambe sono la via di fuga migliore per il poeta. Una le permette di estraniarsi da un mondo che non sente suo, che lo rende infelice; l'altra per cancellarlo definitivamente da quel posto che lo rende talmente infelice da appassire e rinsecchire.
La tristezza è poesia.
La morte è liberazione e felicità.
Il poeta è solo un burattino nelle mani di un dio sadico e spietato.
E la sua penna? Che cosa è la penna per un poeta?
Semplice anima di inchiostro nero.”



 
   
 
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