Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: WallisDennie    25/09/2017    9 recensioni
Magnus/Alec, accenni di altre coppie | ElisadiRivombrosa!AU | Earl!Magnus, Butler!Alec.
~
In seguito alla morte del padre, Alec Lightwood diviene maggiordomo alla tenuta Bane, preso a servizio per la sua onestà e per il carattere fedele e coraggioso. La contessa Bane lo considera quasi un figlio, ma un dolore pesa sull'anziana donna: il figlio Magnus, arruolatosi nell'esercito, è lontano da casa da ormai otto anni per dimenticare le ferite di un amore non corrisposto.
Sullo sfondo di un complotto ordito da nobili ai danni del re, il ritorno di Magnus scatenerà una catena di eventi che stravolgerà le vite di ognuno dei personaggi, ma soprattutto, il cuore di un giovane ragazzo dagli occhi blu.
Un amore pieno di insidie, forse impossibile, che li spingerà ad affrontare le paure, i pregiudizi e anche i sentimenti.
~
Liberamente ispirato alla serie televisiva di Cinzia TH Torrini, con i meravigliosi personaggi di Cassandra Clare, in un esperimento che mi ha fatto piacere scrivere.
Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 


 

Capitolo secondo.







In paese.


Alcune gocce di pioggia caddero dal cielo, mentre la piccola processione accompagnava il corpo di Jocelyn alla cerimonia funebre.
Amici e conoscenti si erano radunati quel mattino dinnanzi alla casa di Luke per sostenere lui e Clary, anche solo con strette di mano e parole d'affetto.
Luke era distrutto.
Clary, gli occhi gonfi e rossi, aveva reso l'ultimo onore alla madre vestendola con l'abito della domenica, di un rosa pallido con piccoli fiori ricamati sull'orlo e il merletto intorno al collo.
Era il suo abito preferito, nonché il più bello che possedesse.
Tra i capelli aveva deposto dei piccoli fiori di campo, provando a creare una coroncina per quanto possibile.
Poi Luke le si era avvicinato, stringendole le spalle in un gesto di amorevole conforto e l'avevano caricata sul carro del mugnaio, avvolta da un lenzuolo bianco.
Alec affiancava Clary insieme a Simon, mentre altri membri della servitù di Villa Bane li seguivano, tra singhiozzi e mormorii sommessi.
Alec non era abituato a piangere, non lo faceva più da quando era bambino.
In quel momento la sua espressione era afflitta, vuota. Così simile a quella del dottore.
Si chiedeva come sarebbero andate le cose per Clary e se Luke si sarebbe mai ripreso.
Come sarebbero andati avanti senza Jocelyn.
A questo pensava, mentre osservava la ragazza dai capelli rossi stringersi nell'abbraccio protettivo di Simon.
In chiesa, il prete tenne un piccolo discorso, commemorandola per la donna buona e d'animo gentile che era. E quando giunsero al cimitero, tutti le dettero l'ultimo saluto porgendole un fiore ciascuno.
Dopo sua madre Maryse e il piccolo Max, anche Alec depose un fiore nella fossa, ai piedi della piccola croce di legno infilzata nel terreno umido.
Quando la sepoltura fu ultimata, la piccola folla si disperse e ognuno dei presenti ritornò alle rispettive case.
Alec si incamminò sotto la pioggia sottile, diretto alla villa.
Non riusciva a pensare ad altro che a Jocelyn, al suo sorriso e alla nebbia che avvolgeva la barca che l'aveva ritrovata.
Sospirò.
Probabilmente era un fiore troppo fragile per i venti di questo mondo.





Villa Belcourt.


Il duca Valentine Mongerstern entrò nel boudoir di Camille Belcourt senza bussare, scuro in volto.
La marchesa era in piedi, nella stanza avvolta da una luce soffusa, tra i tendaggi cremisi e i toni caldi del mobilio e della tappezzeria.
Indossava soltanto un corpetto di seta rosso e nero, con ricami arabescati e merletti sui bordi.
« Allora? Sono arrivati tutti? » esordì il duca, senza perder tempo nei convenevoli.
Al collo portava un medaglione d'argento, raffigurante una piccola coppa con delle rune incise sopra.
Tessa, la sensuale dama di compagnia della marchesa, continuò a sistemare il corpetto della sua padrona con gesti lenti e carezzevoli.
« Non si usa più bussare, signor duca? » chiese con voce morbida, gli occhi chiari che sembravano riuscire a scrutare ogni cosa.
Camille sorrise maliziosa, posando una mano pallida sul fianco.
« Perdonalo, Tessa » rispose la marchesa. « Il nostro signor duca è di cattivo umore »
Valentine sembrò irritarsi, ma si trattenne dal mostrarlo nella voce.
« Non possiamo tardare, mia signora »
Camille diede un'occhiata a Tessa, che le portò subito l'abito.
Non appena fu vestita, avvolta da un indumento che richiamava nuovamente il rosso e il nero, congedò Tessa, che a malincuore si esibì in una riverenza per la padrona e un cenno con la testa al duca, prima di abbandonare la stanza agitando appena la folta chioma di capelli castani.
« La vostra dama di compagnia è una sfacciata » asserì il duca, avvicinandosi alla marchesa, indugiando sulla profonda scollatura.
« Tessa ha ragione, caro duca. Voi approfittate dell'ascendente che avete su di me e vi rivelate inopportuno » poggiò le mani sul petto dell'uomo. « A volte » concluse, prima di posare un bacio sulle labbra di lui.
« Devo parlarvi »
Camille inclinò il capo, curiosa.
« Di che si tratta? »
Valentine prese le mani di lei tra le sue, prima di sospirare.
« Vostro marito »
Camille, dopo un primo momento di silenzio, rise.
« Mio caro duca! » esclamò, con una finta aria stupefatta. « Non vi starete dichiarando e pregandomi di lasciare quell'insulso individuo per fuggire con voi? » rise, scoprendo i denti bianchi tra le labbra rosse.
Si avvicinò al duca, non lasciando che un centimetro di spazio tra loro.
« Perché in tal caso » aggiunse, provocante. « Mi mettereste in una posizione davvero... difficile » concluse, sfiorandolo con le sue forme procaci.
« Per quanto mi piacerebbe liberarvi da questo peso... » disse Valentine, passando poi a un tono più deciso. « No, non è questa la ragione »
Camille mise su un adorabile broncio.
« Peccato » sospirò, distaccandosi da lui. « Ditemi, dunque »
« I sospetti di vostro marito riguardo i nostri piani stanno diventando sempre più invadenti. C'è pericolo che possa scoprire ognuno di noi »
Camille sorrise. Suo marito era un consigliere fidato del re, pignolo e decisamente testardo, ma non così scaltro.
« Non potrebbe mai risalire a noi »
« Forse a noi no » proseguì il duca. « Ma potrebbe comunque far saltare i nostri piani »
Camille si chiese cosa mai potesse c'entrare lei, allora.
« Posso fare qualcosa per voi? »
« Sì » rispose subito l'altro, prima di voltarsi e passeggiare per la stanza. « Conoscete un certo... Magnus Bane? »
A quel nome, il respiro di Camille si bloccò in gola.
Valentine la fissò con attenzione.
« Deduco che lo conosciate »
Stavolta fu Camille a voltarsi.
Magnus.
I fuggevoli ricordi della festa in occasione del suo ritorno e quelli prepotenti, marchiati a fuoco del suo passato – del loro passato – si ripresentarono davanti ai suoi occhi.
« Solo una vecchia conoscenza » tentò di liquidare il discorso, senza successo. « Perché lo chiedete? »
Valentine le si avvicinò, fermandosi alle sue spalle.
« Perché, mia cara marchesa » sibilò alle sue orecchie. « Questa vostra vecchia conoscenza è l'ultima persona che, a quanto riferiscono le mie fonti, si è incontrata con Madame Dorothea Rollins » aggiunse.
Camille trattenne il fiato, prima di voltarsi indossando la sua totale indifferenza.
« Dunque? »
Valentine le sorrise.
« Dunque » ripeté il duca. « Quando la povera Madame Rollins ha avuto quello sfortunato incidente lungo il viaggio per raggiungere i possedimenti suoi e del fratello morto, in Inghilterra, la sua dama di compagnia ci ha gentilmente rivelato di aver ascoltato una conversazione tra lei e un certo conte Magnus Bane » spiegò. « La poverina, purtroppo, non ha sentito chiaramente cosa si sono detti, ma tra gli effetti personali della contessa non abbiamo trovato nulla che assomigliasse vagamente alla famosa lista »
Camille lo fissò con attenzione.
« Da qui, mia cara, è abbastanza ovvio che questo conte Bane sappia dove si trova la lista » continuò, fingendosi pensieroso. « Anzi, azzarderei addirittura nel dire che probabilmente la tiene con sé »
Il duca girò lentamente intorno alla marchesa.
« Chissà, magari nella sua stessa villa » proseguì. « E magari potreste avere l'occasione di essere invitata a villa Bane, come è avvenuto di recente »
Camille si voltò di scatto verso di lui.
« E voi come fate a saperlo? »
Questa volta, fu Valentine a ridere.
« Mia cara marchesa » le prese il pento con le dita e le sollevò appena il capo verso il proprio viso. « Dovreste sapere che le mie fonti sono sempre molto accurate » e la baciò, reclamando le sue labbra rosse e provocanti.
La marchesa gemette, allacciando le braccia pallide dietro il collo dell'uomo.
Ma fu proprio lui ad allontanarla, godendosi il suo sospiro frustrato.
« Via, via » sorrise. « I nostri amici ci aspettano »
Insieme raggiunsero il sontuoso salone al piano di sotto, avvolto nella semioscurità, in cui otto nobili erano riuniti attorno a un lungo tavolo in noce coperto da un drappo blu, al centro del quale stava un grande candelabro.
Tutti gli ospiti portavano al collo lo stesso medaglione del duca, simbolo della congrega di cui facevano parte e per la quale si erano riuniti.
Il Conclave Nero.
Tra di essi, rischiarato per metà volto dalla luce delle candele, vi era anche il conte Ragnor Fell.
In un silenzio carico di tensione, tutti attesero che anche i due ultimi arrivate prendessero posto.
« Fratelli del Conclave Nero » cominciò il duca, a capotavola. « Siamo qui riuniti per rivendicare giustizia. Le restrizioni che ci stanno venendo imposte, ogni giorno da quando Sua Maestà è al potere, non sono tollerabili »
Alcuni annuirono, borbottando in approvazione.
« Non è più tempo di mezze misure » proseguì. « Non possiamo permettere, data la nobiltà del nostro sangue, di subire senza ribellarci »
Uno dei nobili si intromise. « Fratelli, i decreti di Sua Maestà mi hanno privato di alcune mie proprietà nel New Hampshire per sfruttarne i terreni a favore della plebe. Questo affronto mi ha provocato non pochi imbarazzi! »
Gli altri nobili si esposero con altre lamentele, maledicendo le nuove riforme e diffamando il Re.
« E' inaccettabile! » gridavano alcuni.
« Dobbiamo intervenire! » esclamavano altri.
Persino Ragnor Fell, a un certo punto, disse la sua.
« Il Re non ascolterà mai le nostre ragioni » disse, attirando l'attenzione di tutti. « Segue i consigli sbagliati dei suoi consiglieri, che lo invogliano a preferire in tutto il popolo »
« Avete ragione » disse poi Valentine. « Indebolendo noi, anche la corona è debole. E noi siamo sempre stati la sua forza. Noi, i suoi nobili. »
Tutti i nobili presenti applaudirono.
« Sono contento di vedere che la vostra determinazione è pari alla mia » sorrise il duca. « Ma ho chiesto oggi di riunirci tutti per un motivo ben preciso » aggiunse, facendo segno a tutti di sedersi.
« Le voci di un complotto sono arrivate a corte. Le cose possono precipitare da un momento all'altro »
Molti si guardarono tra loro, allarmati.
« Dobbiamo agire prima che il Re torni dal suo viaggio. E' giunto il momento che le parole lascino spazio ai fatti » proseguì, guardando ciascuno negli occhi, prima di emettere la sentenza. « Dobbiamo eliminare Sua Maestà »






Tenuta Bane.



Non appena aveva rimesso piede alla tenuta, i ricordi di quanto era successo con il conte la sera prima tornarono a tormentare prepotentemente la mente di Alec.
La sua testa era così confusa che era certo sarebbe potuta esplodere da un momento all'altro.
Il conte si era mostrato gentile all'inizio, poi tremendamente invadente.
Non era chiaro cosa volesse da lui, però i suoi sguardi sembravano seguirlo ovunque.
Ad Alec non piacevano affatto quegli sguardi.
Il conte era un uomo strano.
Appariscente e totalmente noncurante, a quanto pareva, delle opinioni degli altri.
E poi quelle allusioni...
No, decisamente non era niente di buono.
E la cosa che lo infastidiva di più era che lui stesso sembrava come bloccarsi in sua presenza.
Diventava titubante, indeciso su cosa dire e par quanto si sforzasse non poteva che rimanere immobile a guardarlo negli occhi.
Aveva gli occhi così verdi, come le chiome degli alberi al mattino. Ed erano limpidi, chiari, scivolavano nella pupilla come fosse un pozzo scuro senza ritorno.
Ma che diamine andava a pensare?
Alec scosse la testa vigorosamente, sbatté più volte le palpebre allontanando quei pensieri prima di tornare a concentrarsi sul suo lavoro.
Uno dei giardinieri si era fatto male a una spalla, cadendo dalla scala, e ora Alec si stava occupando della serra, spostando i secchi delle erbacce e gli attrezzi.
Era faticoso, ma a lui non dispiaceva affatto.
In verità si era offerto, poiché non era solito occuparsi di quelle faccende, ma la contessa non lo aveva ancora mandato a chiamare e avendo del tempo libero aveva deciso di sfruttarlo nel posto che più di tutti lo tranquillizzava.
Adorava la serra.
Era una struttura al limitare delle mura che circondavano la tenuta.
Di forma rettangolare e molto ampia, era costituita da quattro pareti in vetro opaco e una struttura in ferro sul soffitto che ricordava tanto una chiesa.
La luce entrava dappertutto e illuminava le piante, i fiori e i piccoli arbusti in crescita.
Era alta quanto la casa di Luke, con aste di ferro orizzontali che permettevano di appendere attrezzi da lavoro, bisacce o altre piante.
L'edera rampicante si era aggrappata a uno dei lati più esterni, creando una volta a botte di foglie verdi dentellate.
Non era nuova, in alcuni punti appariva deformata o addirittura arrugginita.
Al tramonto, però, era spettacolare: si stagliava sul fondo, dalla parte dell'entrata, la sagoma della villa avvolta dai colori caldi del sole morente.
Ma Alec la preferiva come in quel momento, con la pioggia appena trascorsa, i nuvoloni che lentamente si diradavano, le gocce che puntellavano i vetri con migliaia di minuscoli diamanti.
Era un luogo di pace, il suo posto segreto preferito.
Poteva andarci di rado e anche se non gli apparteneva, si sentiva così felice lì che arrivò a immaginarla come fosse stata casa sua.
Sorrise, con in mano ancora un mazzolino di erbacce, e respirò a pieni polmoni l'odore della pioggia e del terreno bagnato.
C'era qualcosa di più bello?
Un rumore di passi lo fece voltare di scatto.
« Disturbo? »
Oh, per l'Angelo.
Quale novità che nemmeno a duecento metri dalla villa potesse respirare un attimo senza la presenza del conte Magnus Bane.
Tutta l'armonia che aveva provato in quel momento si sciolse come neve al sole, non appena i suoi occhi incrociarono quelli dell'altro, la mano appoggiata alla porta-finestra nella finta imitazione di bussare e con il suo abito scuro.
Nero?
Perché mai l'appariscente Magnus Bane, con i suoi merletti alle maniche di braccato e dalle giacche colorate con motivi floreali, indossava un anonimo abito nero?
Non che quello di Alec fosse poi tanto diverso.
Sospirò, pronto a un'ennesima frase di circostanza.
In quei due giorni non aveva fatto altro.
Ma l'espressione del conte sembrò più confusa che gioviale.
« Cosa ci fate qui? » chiese Alec per primo.
« Questo dovrei chiederlo io » rispose l'altro, facendo un passo in avanti. « Siete voi che siete sempre nei dintorni. Non avete una vostra abitazione? » scherzò, sorridendogli.
Alec avvertiva uno strano sentore nell'aria.
Una tensione appena percepibile, quella di qualcosa che sta per arrivare.
Devo dirglielo o non mi lascerà più in pace.
« Signor conte » cominciò, ma l'altro – di nuovo – lo interruppe.
« Siete stato da Luke Garroway? » chiese.
Alla confusione di quegli occhi blu, Magnus indicò i loro vestiti.
« Oh, ecco, sono stato al funerale » rispose, chiedendosi se anche l'altro ci fosse stato di nascosto. Non l'aveva visto né in chiesa, né al cimitero.
L'espressione di Magnus si fece ancora più sorpresa.
« Deve esservi molto cara la loro famiglia se vi siete addirittura scomodato per andare al funerale »
Alec scosse la testa.
« Ci sono andato con piacere » affermò, la voce decisa e lo sguardo serio.
L'altro sorrise.
« Immagino, presenterò anch'io le mie condoglianze » disse. « Luke è stato un mio grande amico »
Alec strinse le erbacce che ancora teneva in mano.
« E ora non lo è più? »
Magnus alzò lo sguardo verso l'alto, pensieroso, come se cercasse ricordi lontani.
« Quando ha rotto il fidanzamento con mia sorella per sposare una serva, molti lo hanno allontanato » spiegò. « Io sono dovuto partire, ma non ho mai cambiato opinione su di lui. E' stato – ed è ancora – un amico prezioso per me » concluse, tornando con lo sguardo agli occhi blu del ragazzo e sul suo sorriso appena accennato. Poi l'espressione di Magnus si tinse di malizia.
« Così come deve esservi preziosa l'amicizia della sua figlia adottiva »
Clary?
All'espressione confusa del ragazzo, Magnus fece un gesto sbrigativo con la mano.
« Si, insomma, per come l'avete sostenuta la notte scorsa e per le parole di conforto che le avete rivolto » spiegò il conte, guardando altrove, il suo immancabile sorriso sulle labbra. « Capisco che possiate provarne... un certo interesse. E' una ragazza molto graziosa » concluse.
Alec era basito.
Il conte pensava che lui e Clary...?
« Oh, no » si affrettò a dire. « E' una ragazza gentile ma... ecco... »
E ci risiamo.
Si sforzò di recuperare la voce ferma e decisa di poco prima.
« Non nutro altro che amicizia verso di lei »
Magnus volse il capo nella sua direzione, pensieroso.
« Posso chiedervi come l'avete conosciuta? »
Di nuovo quella brutta sensazione.
« Lei e mia sorella Isabelle sono amiche fin da piccole »
Magnus annuì.
« Dunque lei e la madre prestavano servizio presso la vostra famiglia? »
Ci siamo. A questo punto è inutile rimandare l'inevitabile. Vada come vada.
Lo guardò dritto negli occhi.
« Signor conte, io devo parlarvi di una cosa importante »
L'altro si avvicinò ancora.
« Prima vorrei sapere il vostro nome » Gli occhi del conte si fecero languidi, mentre una mano si poggiò sulla sua spalla.
« Il mio nome? » chiese. « Alec »
Magnus ridacchiò ed Alec si ritrovò a pensare che, in fondo... era bello quel sorriso.
I suoi denti bianchi e i tratti quasi esotici.
« Si, Alexander, questo lo so » disse, marcando di proposito il suo nome. Dalla spalla, la mano risalì fino a sfiorare il colletto della camicia del ragazzo, che trattenne il fiato. « Parlo del nome della vostra famiglia »
Un fulmine, in quel momento, senza pioggia e senza tuoni, divampò nella mente di Alec.
Abbassò lo sguardo, andando contro ai suoi stessi propositi di fermezza, e chiuse gli occhi.
« Lightwood »
Magnus aggrottò le sopracciglia, cercando di portare alla mente tutte le casate nobiliari dei dintorni.
« Lightwood? Mmm » Alec sentiva ogni parte del suo corpo frantumarsi un pezzo alla volta, il terrore sotto le palpebre. « Strano, non ricordo una casata dei Lightwood da queste parti. Vi siete trasferiti da poco? No, impossibile, perché avete detto che conoscete Luke da molto tempo quindi potreste essere ospite di qualche nobile dei dintorni... » Ma Alec non lo stava ascoltando più.
Perso nelle sue deduzioni, Magnus non aveva notato che l'altro si era allontanato di qualche passo.
« Non vi affaticate inutilmente » lo interruppe, lo sguardo sempre fisso sulle sue scarpe sporche di fango.
Erano così diverse da quelle di Magnus, lucide di vernice e senza neanche un graffio.
Diverse come erano diversi i loro mondi.
Due mondi che non possono incontrarsi.
« Io non sono un nobile » sentenziò, infine. Implacabili le sue parole giunsero all'orecchio di Magnus così veloci che quasi dovette ricredersi.
Infatti l'espressione del conte non lasciava dubbio alcuno sul suo smarrimento.
« Cosa? » chiese infatti, confuso.
« Era di questo che volevo parlarvi ieri notte. Io non sono un nobile » ripeté. « E nemmeno un borghese » specificò, non lasciando dedito a nessun altro fraintendimento.
L'espressione del conte lasciava ben intendere ad Alec che avrebbe dovuto spiegarsi del tutto, senza tralasciare nulla. Così lo fece, rivelandosi quale maggiordomo della contessa sua madre, che con tanta gentilezza lo aveva accolto assieme alla madre e al fratello nella sua dimora, in seguito alla morte del padre.
« Mi state dicendo che voi siete... » chiese Magnus, a voce bassa e con tono piatto.
Alec si limitò ad annuire e in quel momento l'espressione cordiale e allegra del conte si trasformò, passando da rapida incredulità all'indignazione e poi alla rabbia.
Ma non urlò, non si scompose affatto.
Rimase calmo, niente nei suoi atteggiamenti lasciava intravedere la furia, lo sdegno che avrebbe dovuto divorarlo.
Magnus prese un respiro profondo, passandosi due dita sulle palpebre abbassate, quasi cercando di sigillare le sue emozioni dietro ai suoi occhi verdi.
Quando rivolse nuovamente lo sguardo ad Alec, aveva addosso un'inespugnabile maschera di indifferenza.
Il ragazzo dagli occhi blu si sentì tremare dentro.
« Cosi mi hai preso in giro » disse, il tono calmo. Tremendamente calmo.
Poi, inaspettatamente, sorrise.
Ma non era un sorriso normale, sembrava distorto da una profonda amarezza.
« Immagino ti sia divertito » disse, senza tradire alcuna emozione.
« No, affatto » replicò.
« Hai cercato di cucirti addosso un titolo che non ti appartiene »
« Io non ho mai detto di essere un nobile! » ribatté il ragazzo.
Se prima lo aveva tanto cercato, adesso lo sguardo di Magnus rifuggiva quello di Alec.
« Certo, i tuoi abiti eleganti sono proprio quelli adatti a un servo. Sentiamo, li hai rubati? »
« No, mi sono stati donati »
Il conte rise, denigrandolo
« E da chi? Da mia madre? » La sua risata si spense non appena si rese conto di aver colto nel segno.
In quel momento la sua pazienza traboccò.
« Dio! » esclamò, oltraggiato, con gli occhi spalancati. « Ti diletti con mia madre?! »
« No! » ribatté, respingendo anche solo nella sua mente un'immagine simile. « Per chi mi avete preso?! »
Il conte si strinse nelle spalle, quell'idea terrificante ancora davanti agli occhi.
« Ah, non saprei! Non so davvero cosa pensare di... questo » rispose, indicando tutto Alec.
E' così, dunque? Basta una stupida posizione a cambiare i modi di una persona?
« L'unica cosa che so è che mi sono reso ridicolo » sputò, indignato oltre ogni misura.
Era questo che gli bruciava?
Forse Alec si era sbagliato: forse il conte non era poi così incurante dell'idea che avevano gli altri della sua persona.
Strinse i denti e i pugni con forza, attirando lo sguardo del conte sulle sue mani.
« Questo spiega molte cose: il tuo essere sempre qui alla villa, l'averti trovato sul retro con un attizzatoio da cucina, l'averti visto venire qui alla serra di mia madre... »
A un certo punto Alec smise persino di ascoltare quell'elenco di indizi che il conte, avvolto da chissà quale cieca fantasia, aveva ignorato.
Alec non aveva mentito, non era un bugiardo.
Era stato il conte a non averlo lasciato parlare.
« Se voi mi aveste ascoltato ieri sera... » cominciò.
« Non parlare di ieri sera! »
E anche adesso si rifiutava di lasciarlo finire.
« Se penso che probabilmente avevi intenzione di tirare avanti questa commedia- »
« Io non vi ho mentito! » urlò, zittendo il conte. « Non vi ho fatto mai credere di essere quello che non sono! Siete stato voi! » proseguì, senza riuscire a fermare quel fiume di confusione in cui il conte lo aveva gettato. « Voi che vi siete ostinatamente impuntato nel seguirmi ovunque andassi, senza alcuna ragione! Voi che non mi avete mai fatto concludere mentre cercavo di spiegarmi, per evitare una situazione come questa! Voi che dopo tutti questi anni non siete mai tornato, provocando un dolore indicibile in vostra madre! » Il conte era scioccato. « Non avete nemmeno risposto alla lettera! Avrei dovuto farmi i fatti miei e- »
« La lettera? »
Alec, con il fiato ansante, si zittì di colpo.
« Tu sai della lettera di mia sorella? »
Strinse le labbra, spostando lo sguardo sulla propria mano, che ancora stringeva le erbacce.
Un lampo di consapevolezza schiarì lo sguardo cupo del conte.
« Sei stato tu » sussurrò. « Tu hai scritto la lettera di Catarina »
Lo sguardo di Alec scese a terra, sentendosi colpevole almeno in quello.
Avrebbe dovuto farsi gli affari suoi.
Ora non si sarebbe trovato in questa situazione spiacevole.
Sospirò, pronto a un'altra sfuriata dell'uomo.
Ma l'altro si limitò a fare una semplice domanda.
« Perché? »
« Vostra madre stava male. Ho temuto... che se non vi avesse rivisto al più presto... » si morse il labbro inferiore, trattenendosi dall'urlare in faccia al conte un'altra volta. « Sono stato uno sciocco »
Il silenzio li avvolse.
« Volevo solo farvi tornare »
« Dovevi dirmelo immediatamente » lo rimproverò l'altro.
« E quando? Prima o dopo essere finiti nel fiume? » sbottò, le sopracciglia scure aggrottate sopra gli occhi azzurri.
« Il prima possibile! Così non avrei mai- »
Lo sguardo indecifrabile dell'altro lo bloccò.
« Così non mi avreste mai rivolto la parola » finì per lui Alec. « Vi sareste limitato a insultarmi e magari ordinarmi di pulire gli zoccoli al vostro cavallo »
Magnus scosse il capo.
No, questo mai.
« Non avrei mai fatto niente del genere »
« Però non mi avreste nemmeno aiutato ad alzarmi » Il silenzio dell'altro fu più che eloquente. « Comunque non importa, ormai » fece per andarsene, ma la presa dell'altro glielo impedì.
« Fermo! Non ti ho dato il permesso di andare »
Alec sorrise, amaramente.
« Giusto, ora devo chiedervi il permesso di ritirarmi » disse, sarcasticamente.
Magnus sembrò irritarsi.
« Non avere questo atteggiamento con me » la voce improvvisamente gelida.
« Ma certo. Voi, invece, siete libero di trattarmi come volete » Si liberò dalla sua presa, facendo qualche passo indietro. « Mi dispiace deludervi, ma io sono alle dipendenze di vostra madre, non alle vostre »
Magnus sembrò gonfiarsi il petto, la rabbia lampeggiare negli occhi.
« Non osare parlarmi in questo modo! » esclamò, imperioso. « Io sono il conte Magnus Bane, il padrone della tenuta » gli si avvicinò, minaccioso. « Il tuo padrone » concluse, gli occhi stretti in due fessure e i loro nasi che quasi si sfioravano.
D'istinto, Alec indietreggiò.
« E maggiordomo o meno, tu non sei altro che un servo » Alec conosceva bene quelle parole, era la storia preferita di sua madre da quando era venuto al mondo.
Alec odiava quel mondo, quelle istituzioni, quelle differenze che allontanavano persone dalle altre persone e che affidavano ad alcuni il potere di bistrattare chiunque appartenesse a un ceto inferiore.
Nessun uomo aveva il diritto di decidere della vita degli altri.
« Un servo che si è finto un nobile » Il conte cominciò a girargli attorno, spietato con le parole. « che mi ha ingannato, scrivendo quella lettera, e prendendomi in giro come un qualunque sempliciotto » la sua voce era bassa, ma distinta. Sembrava che stesse esponendo le sue colpe a una corte militare invisibile.
Alec guardò un punto imprecisato di fronte a sé, attendendo il “giudizio”.
« Forza, allora » disse a un certo punto, senza più nemmeno un'ombra di timore. « Licenziatemi, banditemi da qui insieme a mia madre e mio fratello »
Magnus lo osservava, senza dire nulla. Alec si voltò a fronteggiarlo, la determinazione e il coraggio negli splendidi occhi azzurri.
« Se preferite, fatemi frustare. Ma non avrete la soddisfazione di sentirmi chiedere perdono »
Rimasero così, a guardarsi in cagnesco.
Gli occhi ardenti dell'uno specchiati in quelli dell'altro.
La tensione che sembrava sciogliere i vetri circostanti.
Passarono minuti che sembravano ore e nell'aria nemmeno si avvertivano il loro respiri.
Alla fine, fu Magnus ad andarsene, lasciandolo lì senza una parola.
Nel vederlo oltrepassare la soglia, diretto alla villa, Alec si portò una mano al petto.
Quello sguardo aveva fatto più male di un schiaffo.



Magnus camminava a passo svelto, lo sguardo implacabile, diretto verso le stanze di sua madre.
La trovò sulla poltrona accanto alla finestra, lo sguardo verso il giardino.
« Perché non me lo avete detto? »
Sul volto dell'anziana si dipinse la confusione.
« Che cosa? » chiese.
« Alexander » spiegò. « Perché non mi avete detto chi è veramente? »
La donna si rivolse con gli occhi nuovamente al giardino.
« Non c'è alcun bisogno di queste scenate. E se ricordi bene io non ho mai incoraggiato il tuo interesse »
Magnus aggrottò le sopracciglia.
« Interesse? »
La contessa si voltò lentamente, con ovvietà.
« Io non provo alcun interesse » replicò, le mani strette nei pugni.
« Mio caro Magnus » cominciò la donna, con voce pacata. « Sono sempre stata a conoscenza della tua... vastità di sguardo. Sono cose che una madre capisce »
Magnus si irrigidì.
« Non ti ho mai giudicato per questo » disse, sorridendogli, prima di tornare seria. « Ma potrei farlo se tu dovessi mettere in difficoltà Alexander »
« Vi sta molto a cuore, vedo » disse, con un sorriso provocatorio. « Non avete fatto altro che tessere le sue lodi! “Alexander è una bravissima persona”, “Alexander è gentile”, “Mi è stato molto vicino”» disse, ricordando le parole della madre e camminando avanti e indietro per la stanza.
« Sì » asserì la donna immediatamente. « Perché è la verità »
« E come diamine avrei potuto capire che si trattava di un servo?! » sbottò, fermandosi di colpo.
« Alexander è di umili origini, è vero, ma è sempre stato gentile e rispettoso con tutti » affermò la donna, l'espressione decisa così simile al figlio. « Qualità che vorrei possedessi anche tu nei suoi riguardi »
Magnus le si avvicinò.
« Voi, madre, avete elaborato una menzogna fondata su frasi ambigue! Come avrei potuto capirlo? » sbottò ancora.
La madre alzò lentamente una mano, ammonendolo come un bambino capriccioso.
« Magnus, calmati »
« Gli avete persino dato dei vestiti nobiliari! »
« Certo, perché non voglio vederlo con una casacca sporca di fango. Lui merita di meglio » spiegò, con voce gentile.
Adesso Magnus sentì montare dentro di lui un altro genere di rabbia.
« “Merita di meglio”? E' solo un servo »
« Io non l'ho mai considerato tale, mi è caro come un figlio »
« Sono io vostro figlio! » esclamò.
La donna in un primo momento divenne silenziosa, poi sorrise amorevolmente.
« Mio caro » si allungò a sfiorargli una mano, con dolcezza. « Non mi dirai che sei geloso? »
Lui si scostò.
« Non trattatemi come un bambino »
« Ma i tuoi discorsi sembrano quelli di un bambino » ribatté, prima di aggiungere: « In ogni caso Alexander è il mio maggiordomo, decido io per lui. Se vederlo ti infastidisce come vuoi far credere, nessuno ti obbliga a stargli vicino. E nemmeno a seguirlo ovunque vada »
Lo sguardo di Magnus saettò verso la madre.
« Come- »
« Ci si annoia terribilmente in questa stanza, sempre a guardare le finestre »



Il giorno successivo, come sempre, Alec si trovava nelle cucine per impartire gli ordini del giorno che la contessa aveva dispensato per il pranzo: aveva richiesto arrosto di vitello e carote, pasticcio di mais con patate bollite e involtini di spinaci e mele.
Con il suo taccuino in mano, con sopra segnato il necessario, si assicurava che nessuno dimenticasse nulla.
« Ho bisogno che Lucy vada a comprare le patate in paese » disse, voltando uno dei fogli scritti. « Ne abbiamo solamente per appena due persone »
Lucy, una ragazza minuta con il naso pieno di lentiggini, annuì e si allontanò dalla cucina.
« Dobbiamo anche procurarci il vitello... Robert? Dov'è? » chiese, guardandosi intorno.
Si fece avanti una delle cameriere.
« Ieri ha detto che la sua bambina è stata male, penso sia rimasto con lei a casa »
Alec sospirò.
« Non fa nulla, vado io » disse, appoggiando uno dei due fogli scritti sul tavolo. « Il dosaggio di ogni ingrediente è già scritto, insieme alla ricetta che ha richiesto la contessa. Assicuratevi che sia tutto in ordine per quando sarò tornato »
E detto questo uscì dalle cucine, trovandosi presto nel corridoio che portava all'uscita principale della villa.
Sperò di incontrare Lucy, almeno avrebbero fatto la strada insieme.
Lungo la strada, si scontrò con l'ultima persona al mondo che avrebbe voluto vedere.
« Oltre che bugiardo sei anche maldestro » Il conte lo guardava con un sorrisetto a dir poco fastidioso.
Quella provocazione, tuttavia, non lo scalfì.
Si allontanò di qualche passo e chinò la testa, come un buon servitore che rende omaggio al padrone. Un padrone dapprima gentile e poi spavaldo, insopportabile e colmo di pregiudizi.
« Scusatemi »
« Dove te ne andavi di bello? » chiese l'altro, ignorando le sue scuse. « A farti un giretto tra i boschi? Oppure a rifugiarti da qualche altra anziana contessa che ti regali cavalli e vestiti? »
Ignoralo.
« Ero diretto in paese, per comprare la carne »
Il conte si finse sorpreso.
« Ma davvero? Dev'essere una mansione davvero faticosa » Alec si aspettava qualche altra frecciatina, invece il conte si strinse nelle spalle prima di cominciare ad allontanarsi. « Ebbene, buona passeggiata » concluse, allontanandosi con un gesto di saluto con la mano, senza mai voltarsi.
Alec si sentì stranamente preoccupato.
La strana luce che aveva visto negli occhi del conte, non gli piaceva per niente.



Non si incontrarono per tutto il resto del pomeriggio.
Non che ad Alec la cosa dispiacesse.
Dopo aver tenuto compagnia alla contessa, leggendole una buona parte del libro che avevano iniziato, Alec si diresse al piano di sotto.
C'era qualcosa di strano nell'aria.
Non c'era anima viva nei corridoi.
Dove sono finiti tutti?
Si affacciò alle cucine, ma anche là non vi erano che piatti da pulire e tovaglie da lavare.
Avvertì un vociare indistinto provenire dal salone d'ingresso dinnanzi alla scalinata interna della villa.
Una volta raggiunto, trovò tutti i membri della servitù disposti in fila, ritti con la schiena ad ascoltare gli ordini... del signor conte?
Alcuni lo notarono curiosi, altri lo osservarono con con sguardo smarrito.
Poi il signor conte voltò la testa, seguendo i loro occhi e scontrandosi con quelli di Alec.
Quello strano sorriso, che non premetteva nulla si buono, fece capolino sulle sue labbra.
« Oh! Anche l'ultimo ritardatario si è degnato di arrivare! » esclamò, allegro. « Molto bene, Alexander, prendi posto insieme agli altri »
Alec fece come gli era stato chiesto, affiancando una delle cameriere.
« Come dicevo, ho deciso di ristabilire alcune mansioni » riprese il conte. « Chi si occupa dei cavalli? »
Simon fece un passo avanti. « Io, signor conte »
« Hai svolto un ottimo lavoro » Simon, nervoso, inghiottì un groppo di saliva.
Non vorrà licenziarlo?, si chiese Alec.
« Ed è per questo che ho deciso di premiarti: da adesso ti occuperai solo di dar loro da mangiare. Non dovrai più dedicarti alla strigliatura, al farli passeggiare sotto al sole e alla pioggia o a pulire le loro stalle. Ma niente paura, non ho alcuna intenzione di intaccare la tua paga » spiegò, lasciando Simon più sorpreso che sollevato. « Da oggi a questo ci penserà Alexander »
Tutti gli occhi si puntarono su di lui: c'era chi si chiedeva se fosse stato degradato a stalliere e, se sì, cosa poteva aver combinato il protetto della contessa di tanto grave?
Alec, d'altro canto, non era meno sbalordito.
« S-Signor conte, io- »
Magnus fece un gesto con la mano per bloccarlo.
« No, no » disse, con la calma con cui si parla a un bambino. « Non ti ho dato il permesso di parlare » lo zittì, prima di proseguire.
« Ora, mi sembra di aver capito che uno dei giardinieri è dovuto rimanere a casa »
La cameriera che poco prima dell'arrivo di Alec ne aveva parlato al conte, si fece avanti, confermando che la figlia piccola dell'uomo era molto malata.
« Non c'è alcun problema » aveva, quindi, proseguito. « Siccome la serra sembra piacergli particolarmente, Alexander non avrà alcun fastidio nel sostituirlo » sentenziò. « E già che ci siamo- »
No! Quanti lavori intendeva affidargli?
« Signor conte » intervenne, allora. « Io svolgo già un lavoro che mi impiega molto tempo e- »
« Ma davvero? » lo interruppe a sua volta il conte. « Eppure ti vedo gironzolare a cavallo nei boschi, con i tuoi bei vestiti puliti » disse, guardandolo dalla testa ai piedi. « Non mi sembra educato nei confronti degli altri, che sono nella tua stessa condizione » aggiunse. « Non mi sembra giusto che tu goda di certi privilegi »
Alec non sapeva cosa rispondere.
« Inoltre » Il conte gli si avvicinò. « Mia madre sembra particolarmente soddisfatta del tuo lavoro da maggiordomo, visto come decanta le tue lodi. Questo significa che non ti procura alcuna difficoltà, pertanto un paio di lavoretti in più non ti cambieranno poi così tanto la giornata » sorrise. « Anzi, avrai l'opportunità di non annoiarti »
Quindi era così. Una specie di infantile vendetta.
Voleva farlo lavorare fino a lamentarsene con la signora contessa e magari essere cacciato.
No.
Non gliela avrebbe data vinta.
Così indossò la sua espressione più risoluta e inflessibile.
« Molto bene, signor conte. Farò quanto mi avete ordinato »
Se è la guerra che vuoi...
Magnus sorrise soddisfatto.
« Questo è lo spirito giusto »
...la guerra avrai.



Seguirono giorni molto duri.
Alec si era cambiato d'abbigliamento, indossando una semplice casacca grigia e un paio di pantaloni neri, e all'alba si era messo a lavorare nelle stalle.
Aveva pulito ogni singolo giaciglio, spalando il letame, cambiando il fieno e spazzolando tutti i cavalli.
Alla fine di quel duro lavoro era sudato, sporco dal ginocchio in giù e con i capelli arruffati.
Tra questi si erano addirittura incastrati dei rametti secchi, facendolo assomigliare a un bambino che aveva giocato nel fango.
Aveva indossato i guanti da lavoro, ma le mani gli facevano comunque molto male.
Si diresse all'abbeveratoio, facendo scorrere l'acqua mentre si toglieva i guanti, e dopo essersi lavato le mani si passò una mano sulla fronte.
Il sole era alto, alcuni servi erano in cortile: c'era chi spostava degli attrezzi, chi montava sul carretto diretto in paese per delle commissioni e chi sbatteva i tappeti.
Ma nessuno poté evitare di rivolgergli un'occhiata.
Erano increduli nel vedere Alec senza gli abiti puliti, sporco e con il fieno tra i capelli.
Ben presto Simon lo raggiunse, sentendosi colpevole per lui.
« Alec » lo chiamò, la voce titubante, mentre l'altro – ancora davanti all'abbeveratoio – si toglieva il possibile dai capelli.
« Buongiorno Simon » la sua voce era piatta, incolore. Simon si torturò le mani.
« Vuoi che ti dia- »
« No » lo bloccò subito l'altro, sciacquandosi un'ultima volta la faccia. « E' il mio lavoro. Tu pensa a farli mangiare » lo liquidò, prima di prendere accanto all'entrata della stalla un secchio ammaccato, con dentro un beccuccio di riserva, due pinze e una paletta di legno.
Il resto della mattinata lo passava a sradicare erbacce, annaffiare le piante e a pulire gli attrezzi nella serra.
Arrivava distrutto nelle cucine, dopo essersi rapidamente cambiato, ma senza mai dare a vedere la stanchezza.
Ma alcuni servitori più attenti e altri preoccupati per lui, notavano qualche filo d'erba nei capelli, una macchia di terra sul collo e altri piccoli dettagli.
Ma non dicevano niente.
Nemmeno sua madre diceva nulla. Anzi, fingeva addirittura di non vederlo.
L'ora di pranzo, certe volte, Alec era costretto a saltarla, per andare a visionare le stalle.
Non perdeva nemmeno in quella situazione la sua dedizione affinché tutto fosse sempre in ordine.
Il conte non avrebbe potuto dirgli niente per metterlo in cattiva luce con la contessa.
Per quanto riguardava lei, Magnus aveva deciso di occuparsi personalmente di farle compagnia e di leggerle libri, asserendo che voleva passare più tempo possibile con la madre e che Alec era troppo impegnato a svolgere i suoi doveri.
Un pomeriggio, mentre Alec era intento a consumare il suo pranzo modesto nel cortile, il conte gli si presentò davanti, di ritorno da una cavalcata nei dintorni.
Smontò dal suo cavallo con eleganza, afferrò le briglie di Presidente e si diresse verso di lui.
Alec si alzò, salutandolo.
« Voglio che ti occupi di Presidente » gli ordinò. « Striglialo, spazzolalo e pettinalo »
Gli cedette le briglie, la criniera bianca mossa leggermente dal vento.
« Stasera devo recarmi in città, quindi dev'essere impeccabile » aggiunse, prima di allontanarsi verso l'ingresso della villa.
Alec lo guardò allontanarsi, una smorfia infastidita sul viso, mentre guardava sconsolato il pane che aveva dovuto lasciare ai piedi dell'abbeveratoio.
Poi guardò gli occhi marroni del cavallo, carezzandogli il muso.
« Hai un nome tremendo »
Il cavallo nitrì e Alec lo condusse al palo accanto all'entrata delle stalle, dove lo legò.
Poi prese l'occorrente e iniziò a strigliarlo.
Il cavallo del conte era mansueto, ma incontentabile.
Se veniva strigliato in un punto che lo infastidiva, non si asteneva dal farlo notare a suon di nitriti rumorosi e schiaffi al terreno.
Alec si ritrovò più volte a maledirlo nella propria mente e non poteva immaginare che il conte, al contrario, si stava divertendo particolarmente ad osservare i suoi tentativi dalla finestra della sua camera.
Magnus non aveva difficoltà ad ammettere a se stesso che vedere Alexander sporcarsi i vestiti e affaticarsi per portare a termine qualsiasi lavoro gli affidasse, lo compiaceva.
Era quello il ruolo di un servo.
E Alexander meritava appieno quel trattamento.
Si sentiva ferito: il suo orgoglio era stato pugnalato, ma la cosa che lo faceva infuriare di più era essersi lasciato trascinare dai suoi stessi pensieri, non aver prestato maggiore attenzione.
Essere stato cieco.
Lui era un soldato, un ufficiale. E un ufficiale non abbassa mai la guardia, non si fa mai sorprendere impreparato.
E lui, invece, si era fatto sorprendere.
Così, stupidamente. In pochi momenti.
Era stato soggiogato da quegli occhi azzurri, senza ostacoli.
Questo. Questo gli bruciava davvero.
L'essere stato raggirato da un ragazzino che non sapeva nulla di strategie militari, di battaglie, di armi.
Ma quei dannati occhi... Era impossibile essere preparato a quegli occhi.
« ALEC! » un urlo disperato squarciò il cortile.
Gli occhi del conte si puntarono sulla figura che sopraggiungeva dai giardini.
Lucy, la cameriera, corse verso Alec inciampando sui suoi stessi passi, il volto gonfio di lacrime.
Gli afferrò le maniche con urgenza, scossa dai singhiozzi.
« Sta di nuovo male, vieni presto! »
Ad Alec non servì sapere altro, prima di scattare a correre verso i giardini, seguito dalla ragazza, lasciando al palo Presidente.
Max!
Con il cuore in gola, Alec corse senza fermarsi o rallentare, finché raggiunse un piccolo gruppo di persone radunate intorno a un bambino, sdraiato a terra e ansimante.
Max aveva la testa appoggiata alle gambe della madre, che lo guardava addolorata, carezzandogli la fronte bagnata di sudore e sussurrandogli che andava tutto bene.
Max aveva gli occhi e la bocca spalancati e il torace che si alzava e si abbassava convulsamente, in apnea.
« Allontanatevi! Fatelo respirare! » esclamò Alec, con voce ferma.
Le cameriere fecero alcuni passi indietro, lasciando passare il nuovo arrivato, che si avvicinò al bambino, liberandolo dalle braccia di sua madre e facendolo sedere con la schiena appoggiata al proprio petto.
« Max, sono Alec. Mi senti? » Il bambino boccheggiò, gli occhi ancora fissi nel vuoto, agitandosi.
« Dobbiamo chiamare il dottore » disse Maryse al figlio.
« Non abbiamo tempo » Così tirò su il bambino, portandolo in braccio fino al cortile.
Maryse e le cameriere lo seguirono, incapaci di nascondere l'agitazione.
Alec raggiunse il più velocemente possibile Presidente, slegandolo.
« Alec, cosa fai? » chiese allarmata Maryse. Quello era il cavallo del signor conte!
Alec passò il bambino nelle braccia della madre, prima di issarsi a cavallo e riprenderlo.
« Lo porto da Luke » rispose, trattenendo a sé il fratello per impedirgli di cadere.
Incitò il cavallo al galoppo prima di sparire oltre i cancelli della villa, sotto lo sguardo speranzoso delle cameriere, quello preoccupato della madre e quello stravolto del conte.






Dintorni di Villa Bane.



Clary, con il bucato in una cesta, sentì un rumore di zoccoli farsi sempre più vicino.
Vide un cavallo bianco giungere a gran velocità dal viale alberato e si allarmò.
Poi scorse le figure di Alec e del piccolo Max, il cesto le cadde dalle mani e corse a chiamare Luke.
Il cavallo era già fermo dinnanzi al calesse del dottore, quando questi lo raggiunse, prendendo tra le braccia il bambino e portandolo con Alec dentro casa.
« Quando è cominciato? » chiese Luke, stendendo il bambino sul letto e issandolo immediatamente in posizione seduta. Clary gli passò la valigetta, da cui estrasse alcune boccette di vetro.
« L'ho portato qui immediatamente, ma stava già male quando l'ho trovato »
Il dottore ne prese una, ne stappò il tappo in sughero e la mise sotto il naso del bambino.
I respiri affannosi di Max sembrarono tranquillizzarsi, ma gli occhi erano ancora persi nel vuoto, alla ricerca di qualcosa di indefinito.
« Clary, prendi dell'acqua e un pezzo di stoffa » disse, poi si rivolse ad Alec. « Ora ci pensiamo noi, non preoccuparti » lo tranquillizzò.
Alec non mostrava mai le sue emozioni, specie la paura o la disperazione, ma Luke era sempre in grado di capirlo.
Il ragazzo scosse la testa.
« Puoi tornare alla villa, se hai degli impegni che- »
« Non mi muovo di qui » asserì, deciso. Cosa gliene importava degli impegni, dei lavori che il conte gli affibbiava per umiliarlo o vendicarsi o per quale altra futile ragione.
Max stava male e lui non si sarebbe mosso da quella casa finché non si fosse ripreso.
Così il sole cominciò a tramontare e a calare la sera.
Quando finalmente le crisi cessarono e Max si calmò, spossato dalla stanchezza cadde in un sonno profondo.
Alec ringraziò il medico prima di uscire nel cortile della loro casa per prendere un po' d'aria e abbandonarsi a un sospiro liberatorio.
Una lacrima scese sul suo viso, ma non appena sentì Clary raggiungerlo la asciugò con il dorso della mano.
La ragazza teneva tra le mani una tazza di the e gliela porse con un sorriso.
« Grazie » le disse, prendendone un sorso.
« Sai, è sorprendente come ti prendi cura di tuo fratello » disse la ragazza, osservando Alec scrutare il cielo. « Sei corso qui senza pensarci ed è merito tuo se ora sta bene » sorrise la ragazza e gli poggiò una mano sulla spalla. « Alec, non devi avere paura per lui, è un ragazzino molto forte »
Alec le rivolse un sorriso, grato di quelle parole.
Poi il nitrito del cavallo bianco attirò la loro attenzione.
« Quello non è il cavallo del conte Bane? » chiede la ragazza dai capelli rossi.
Alec annuì.
« Dev'essere un uomo davvero gentile se te lo ha prestato per portare qui Max »
« Veramente non me lo ha prestato »
Clary si fece confusa, poi allarmata.
« Non lo avrai- »
« No, no. Ma lo stavo strigliando quando Max si è sentito male » spiegò e la ragazza vide l'espressione di Alec farsi severa e infastidita.
« Tutto bene? » chiese, allora, titubante.
Alec prese un respiro profondo.
Sentiva il bisogno di sfogarsi, di buttare fuori tutto e dire a parole cosa pensava di quell'uomo borioso e insopportabile, che stava facendo praticamente di tutto per rendergli la vita impossibile.
Ma prima che potesse aprire bocca, li raggiunse Luke.
« Max vuole vederti » gli disse, dandogli una pacca sulla spalla e accompagnandolo da bambino.
Max era sdraiato sul letto di Clary, le coperte appena sotto le braccia. Respirava regolarmente e le sue gote avevano ripreso colore.
« Come ti senti? » gli chiese Alec, sedendoglisi accanto.
« Meglio » rispose il bambino. « Mi dispiace di avervi fatto preoccupare »
« Non dirlo neanche » Alec gli sistemò i capelli sulla fronte.
« Dov'è la mamma? »
« Alla villa »
Max provò a tirarsi su.
« No, fermo. Devi riposare » lo ammonì, facendolo stendere di nuovo.
« Ma dovremmo tornare, la mamma sarà preoccupata. E non ho finito di aiutare il signor- »
« Max » intervenne Luke. « Ti sei affaticato molto e devi risposare, al resto potrai pensarci domani. Anche tuo fratello è stanco e poi è già buio, partirete domattina, va bene? » gli spiegò e il bambino annuì.
Quella notte però, Alec non riuscì a dormire.



All'alba, Alec issò il piccolo Max sul cavallo.
Luke gli porse le inalazioni d'erbe che gli aveva prescritto, insieme a alcune raccomandazioni sulla camomilla e la belladonna. Poi lui e Clary li salutarono, augurando al bambino di riguardarsi, e li videro avviarsi verso il viale alberato.
E mentre Max elogiava Presidente, asserendo di aver sempre desiderato cavalcare un cavallo bianco come nei racconti, Alec si perse tra i propri pensieri.
Si domandò cosa sarebbe successo una volta rientrati.
Il conte Bane aveva detto di dover andare in città, quindi doveva essersi accorto della scomparsa del suo cavallo.
Si sarebbe infuriato? Lo avrebbe licenziato?
E la contessa sua madre cosa avrebbe detto?
Si morse le labbra, iniziando a preoccuparsi seriamente.
Era stata un'emergenza! E se il conte non avesse voluto ascoltarlo?
Avrebbe dovuto dare retta a sua madre e prendere un altro cavallo, ma non c'era stato il tempo!
Si passò una mano tra i capelli neri, cominciando a maledirsi.
Poi la risata di Max che lo incitava ad andare più veloce fu come una carezza per le sue orecchie.
E tutte le preoccupazioni, così come si erano presentate, svanirono nella polvere sotto gli zoccoli di Presidente.
Arrivarono alla villa fischiettando una canzone che Max cantava sempre quando lavorava.
Giunti dinnanzi alla scalinata, all'ingresso della villa, alcuni servitori e cameriere si precipitarono ad accoglierli.
Anche Maryse uscì dalle cucine, incuriosita da quel vociare, e Alec vide il suo viso sempre severo illuminarsi nel vedere il figlio minore scendere da cavallo e salutare tutti con allegria.
E quando Max corse da sua madre per abbracciarla, le strette di mano e i sorrisi si riversarono su Alec, che lo aveva salvato.
Nel calore generale, tuttavia, un rumore attirò l'attenzione di tutti.
Il rumore di zoccoli e ruote di legno sulla ghiaia.
Una carrozza nobiliare, con finimenti eleganti e tendine blu scuro, raggiunse il punto in cui Alec e Max si erano fermati con Presidente.
Tutti i servitori ammutolirono, mentre osservavano in silenzio il cocchiere dai prepotenti baffi biondicci e il naso adunco, scendere dal sellino della carrozza e dirigersi alla porticina.
Ma prima che potesse poggiare la mano sulla maniglia di legno, il lieve schiamazzare che proveniva dall'interno si riversò fuori.
« Dai, muoviti! » ridacchiò una voce. « Non costringermi a buttarti fuori a calci! »
Altre risate, mentre il conte Magnus Bane scendeva incespicando dalla carrozza, rosso in volto e con i vestiti smessi. I suoi passi erano talmente incerti che dovette aggrapparsi al braccio del cocchiere.
« Signor conte, fate attenzione » disse quello, allarmato.
Magnus si volse verso di lui solo per scoppiare a ridergli in faccia, seguito dall'amico Ragnor che se ne stava sbracato all'interno della carrozza, con talmente tanto vino in corpo da non ricordare come stare seduto in maniera normale.
« Io » cominciò Magnus, con voce imperiosa. « sono il conte Magnus Bane, primo ufficiale dell'esercito di Sua Maestà »
Ma le risate di Ragnor si fecero più chiassose, sovrastando le sue parole.
Alec guardava quella scena senza parole.
Tra il gruppo di curiosi, alcune cameriere avevano cominciato a bisbigliare. Il rumore sibilante arrivò alle orecchie di Magnus e alla sua testa già dolorante, da che si voltò indicando il gruppo.
« Voialtri, cosa fate qui fuori invece di lavorare? »
Il conte era palesemente ubriaco, così tutti iniziarono ad allontanarsi.
Cameriere e servitori rientrarono immediatamente in casa, i giardinieri si recarono alla scalinata.
Maryse prese per mano il figlio minore, con l'intenzione di portarlo nelle cucine per la colazione.
Anche Alec fece per allontanarsi.
« Oh, Alexander » La voce del conte era roca, avvolgente, si soffermò sul suo nome quasi come volesse cantarlo.
Alec gelò sul posto, voltandosi poi verso il conte. La sua vista sembrava meno offuscata dal vino rispetto all'amico, ma non per questo era più lucido. « Hai riportato Presidente! » esclamò, indicando il destriero. Poi gli si avvicinò, poggiando le mani sulle sue spalle. « Sei un bravo servitore » aggiunse, sorridendogli.
Alec provò a scostarsi, ma l'altro era appoggiato a lui per non cadere.
« E voi siete ubriaco » disse, storcendo il naso al puzzo di vino.
Il conte Ragnor Fell si affacciò dalla carrozza, fischiando.
Fortunatamente intervenne il fidato cocchiere a impedire che il suo padrone si rendesse maggiormente ridicolo e che svegliasse tutti, chiudendo la porticina e ignorando le sue proteste risalì sulla carrozza.
« Arrivederci, signor conte » salutò cordialmente, incoccando la frusta.
La testa di Ragnor spuntò dal finestrino insieme a un braccio, che reggeva nella mano una bottiglia di vino.
« Sì, arrivederci Magnus » rise ancora. « Ti lascio in buone mani! » aggiunse malizioso, mentre la carrozza si allontanava assieme ad altre risate, lasciandoli soli.
Magnus intanto si era voltato a salutarlo con un braccio, avvolgendo l'altro intorno al collo di Alec che allibito non sapeva come comportarsi.
Il cielo stava cominciando a rischiararsi, l'aria notturna che lasciava il posto a quella fresca mattutina.
E adesso?
Il conte si passò una mano sulla fronte, piegandosi appena in avanti.
« La testa mi sta esplodendo » mugugnò, dolorante. Aggiunse qualche altra parola sconnessa che Alec non riuscì a distinguere.
Il ragazzo dagli occhi blu lo sostenne, sperando che non crollasse a terra.
Per tutta risposta il conte gli legò un braccio intorno al collo e l'altro alla vita. Vicinissimi, i loro occhi si scontrarono.
Alec, impietrito, smise di respirare.
« I tuoi occhi » Improvvisamente seria si fece la voce del conte Bane, mentre le iridi si trasformavano in braci ardenti.
Istintivamente il ragazzo arretrò, ma l'altro lo teneva così stretto che i loro vestiti si toccavano. La mano dell'altro si alzò dal fianco per trattenere il suo mento, immobile dinnanzi al suo viso.
« I tuoi occhi » ripeté. E per la prima volta gli occhi di Alec si soffermarono a scrutare con attenzione quel viso.
Quel viso che lo aveva prima guardato con gentilezza, poi con rabbia e scherno.
Il conte Bane non era affatto un uomo brutto.
Era piuttosto alto e muscoloso, gli anni nell'esercito che si riflettevano nella figura slanciata e decisa, con la pelle ambrata e i capelli scuri. Ma i suoi occhi erano più unici che rari: verde giada con piccole striature dorate intorno alla pupilla, così profondi da sembrare quelli di un gatto.
Attenti come quelli di un gatto.
E come un gatto, egli si muoveva. Lo guardava. Lo toccava.
Alec sentiva di poter annegare in quello sguardo.
« I tuoi occhi sono la cosa peggiore che potesse capitarmi » disse con tetra sincerità, guardandolo quasi con rassegnazione.
Magnus vide quelle maledette iridi blu tingersi di confusione.
Quegli occhi che non lo abbandonavano mai, che trovava sempre e ovunque: quando si svegliava al mattino, quando cavalcava tra i boschi e vedeva il cielo azzurro incombere su di lui, quando andava a letto.
Sempre.
Quei dannati occhi blu erano diventati una maledizione.
La sua maledizione.
Perché Alexander era questo: la sua maledizione personale.
Era tutta colpa sua, del suo essere così sfuggente.
Era colpa sua se si era infuriato nel vederlo correre via con Presidente senza chiedergli il permesso.
Perché quel maledetto ragazzino avrebbe dovuto chiedergli il permesso prima di ridurlo in quello stato pietoso!
Sì, era colpa sua se aveva raggiunto Ragnor con il primo cavallo che aveva trovato nelle stalle e se erano andati in città a ubriacarsi alla locanda, tra le donne e il vino.
Era colpa sua se quella notte aveva cercato quei dannati occhi ovunque, in una ricerca estenuante, senza trovarli.
Era dannatamente colpa sua.
E adesso, in quel preciso istante, doveva assumersi quelle colpe.
Alec vide l'espressione del conte fermentare di rabbia, di insoddisfazione. Lo sentì stringere la presa, farsi ferrea, mentre gli impediva la fuga.
Lo vide avvicinarsi.
La bocca accostarsi alla sua, velocemente. Pericolosamente.
Le dita che stringevano il suo mento, altre sul fianco in una morsa tremendamente rischiosa.
E lo scansò, facendolo precipitare a terra.
Magnus imprecò, il nobile didietro sulla ghiaia e la polvere sui vestiti.
Poi il conte si accese di quella rabbia ostinata che Alec ormai conosceva bene.
« Sei uno stupido, Alexander »
L'altro, guardandolo ancora dall'alto, lo vide rialzarsi e ricomporsi.
« E voi siete ubriaco » ripeté, con voce ferma, e prima che potesse aggiungere altro chinò frettolosamente la testa. « Col vostro permesso torno alle scuderie »
Ma l'altro lo afferrò bruscamente di nuovo per il braccio, costringendolo a voltarsi.
Alcuni curiosi, li osservavano di nascosto.
« Tu non vai da nessuna parte! » esclamò.
« Credevo che vi premesse che io rispettassi i miei doveri » ribatté Alec, senza lasciarsi intimidire.
« Appunto » Lo tirò verso di sé. « Il tuo principale dovere è fare quello che ti dico io »
Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, una voce proruppe dalla scalinata più alta della villa.
« Magnus » la voce austera della contessa Bane, dalla cima delle scale, li separò immediatamente.
I servi che osservavano la scena di nascosto si defilarono immediatamente, mentre la contessa scendeva le scale lentamente seguita dalla figlia Caterina, anch'ella con un cipiglio severo.
Alec si voltò verso le due donne, accennando un inchino.
Magnus lo schernì con lo sguardo, denigrando mentalmente il favoritismo verso sua madre in quanto a buona educazione. Ma anche lui si voltò, incrociando le braccia al petto con superiorità.
« Che sta succedendo qui? » chiese l'anziana, le sopracciglia sottili aggrottate dalla scenata a cui aveva parzialmente assistito.
Al silenzio immobile di Alec, Magnus intervenne.
« Nulla, madre. Io e Alexander abbiamo qualche difficoltà ad andare d'accordo » spiegò, sbirciando l'altro con la coda dell'occhio.
L'anziana donna guardò il figlio con disapprovazione.
« Alexander » pronunciò, spostando lo sguardo sull'altro ragazzo. In risposta Alec alzò il capo, mantenendo un atteggiamento servile e composto.
Totalmente opposto a quello che aveva riservato al conte.
« Contessa, buongiorno » Un sorriso fiorì sul volto dell'anziana.
« Catarina mi ha detto di averti visto allontanarti con il cavallo di Magnus e tuo fratello »
Catarina non nascose la sua soddisfazione nel vederlo in difficoltà, rimproverato dalla sua padrona in persona.
Il respiro di Alec si bloccò di nuovo.
« Sono spiacente, contessa » Stava per aggiungere altro, quando la contessa lo precedette.
« Si è sentito male di nuovo? » chiese, con voce dolce e sinceramente preoccupata per le sorti del bambino.
Annuì.
« Sei andato dal dottor Garroway? » A quel nome, Catarina storse il naso infastidita.
« Sì, contessa » rispose. « Gli ha prescritto delle inalazioni di erbe, ma sta già molto meglio »
Magnus, forse per il troppo mal di testa, non riusciva a capire di cosa stessero parlando.
« A chi vi riferite? » si intromise, voltandosi verso il ragazzo.
« Al fratello minore di Alexander. Soffre di un male difficile, che si presenta spesso e a cui pare non esserci una cura definitiva » spiegò la donna, con un po' di malinconia. « Mi fa piacere che ora stia meglio » aggiunse, rivolta al suo maggiordomo.
Guardandolo con maggiore attenzione, gli occhi dell'anziana donna scesero sui suoi abiti, arricciando le labbra e le sopracciglia in un'ovvia disapprovazione.
« Alexander, dove sono finiti i tuoi bei vestiti? »
Il ragazzo non rispose, ma la contessa sapeva dove guardare per cercare le risposte.
« Alexander ha convenuto con me che non fossero appropriati per lavorare »
Catarina sorrise all'affermazione del fratello.
« Magnus » Il tono di rimprovero della contessa sembrò non colpirlo più di tanto. « Vorresti spiegarmi cosa significa tutto questo? »
« Semplicemente che i suoi abiti non erano adatti ad adempiere le mansioni di un maggiordomo, tra le quali vi è dirigere il lavoro degli altri servitori e porre rimedio alle loro mancanze. Per questo Alexander sostituisce uno dei giardinieri e aiuta lo stalliere con i cavalli »
La contessa si indignò.
« Il compito di Alexander è organizzare la servitù, è vero, ma principalmente di fare compagnia a me e leggermi dei libri. Non di insudiciarsi nelle stalle o nei giardini »
« No, madre. Quello è il compito di una dama da compagnia, non di un maggiordomo » sorrise, imitato dalla sorella. « E Alexander non è certamente né una fanciulla né tanto meno uno sciocco »
Alec fissò il conte, con un pizzico di fastidio.
« In ogni caso decido io per lui, non tu » asserì la donna, voltandosi dopo aver fatto un cenno al ragazzo dagli occhi blu. « Vieni, Alexander »
Alec sostenne lo sguardo del conte per qualche secondo, prima di seguire la contessa verso le scale da cui era giunta.
« Per adesso, madre » disse piano Magnus, ma abbastanza chiaramente da arrivare alle orecchie dell'anziana, che si voltò severamente verso il figlio.
« Non sei pienamente cosciente di quello che dici, Magnus, come è evidente » commentò, indicando con il ventaglio che stringeva tra le mani gli abiti smessi del figlio, i capelli disordinati e gli occhi lucidi di vino. « Pertanto farò finta di non aver sentito quello che hai detto » aggiunse. « Sarà meglio che ora tu ti ritiri nelle tue stanze e ti dia un certo contegno. Un conte Bane non rincasa alle prime luci del mattino, rosso in viso e con il vino ancora sulle labbra » lo rimproverò.
Alec nascose un moto di soddisfazione per la strigliata a cui la signora contessa stava sottoponendo la boria e l'arroganza del conte.
« Mi auguro di non assistere più a una scenata del genere » concluse, prima di fare cenno ad Alexander e salire le scale appoggiata al suo braccio.
Una volta che ebbero raggiunto il piano superiore, Catarina si avvicinò al fratello, ancora ai piedi delle scale.
L'espressione della contessa più giovane era indignata, assolutamente stravolta.
« Incredibile che ti abbia dato contro per proteggere quel.... quello stupido servo » pronunciò con sdegno. « Te lo assicuro, sono senza- »
« Basta » la zittì Magnus, lo sguardo nascosto da un ciuffo di capelli. « Sono stanco » aggiunse, sistemandosi i capelli e ritirandosi anch'egli nelle sue stanze, completamente svuotato di qualsiasi pensiero.



Il resto della mattinata, Alec lo passò a leggere per la contessa, dopo essersi cambiato su sua richiesta e aver indossato una casacca bianca, calzoni neri e una giacca cobalto puliti.
La contessa lo aveva rassicurato, promettendogli che quanto era successo negli ultimi giorni non si sarebbe ripetuto fintato che lei era lì, a dispetto del figlio e delle sue convinzioni.
Magnus, d'altro canto, dopo essersi lavato e cambiato, aveva passato la mattina a dormire, finché un servitore non aveva bussato alla sua porta per recapitargli una lettera.
Una lettera da parte della marchesa Belcourt.

Carissimo Magnus,
penso non ti sia sfuggito quanto il nostro recente incontro alla tua festa di bentornato sia stato a dir poco tiepido. Non puoi immaginare quanto le nostre incomprensioni siano state spiacevoli per me e sarebbe imperdonabile lasciare che i nostri rapporti venissero intaccati da rancori che ormai esistono solo nel passato. Per cancellare ogni inutile ombra tra noi, sarei lieta di riceverti al più presto.
Sono sicura che l'invito di una vecchia amica non potrà impaurirti, o quantomeno, non potrà spaventare il Magnus Bane che mi piace ricordare.

Camille

Magnus strinse il foglio di carta, pronto a stracciarlo.
Camille.
Un fantasma del passato che tornava a tormentarlo, da cui era fuggito otto anni prima per dimenticare.
Esitò, ma non stracciò la lettera. Infine decise di accettare l'invito.
Dopotutto, visto come il suo orgoglio era uscito malconcio in quei giorni e dopo quanto aveva dovuto sopportare dal suo ritorno, forse rivederla avrebbe potuto distrarlo.
Camille poteva rivelarsi quel balsamo di cui sentiva di avere bisogno, più di Ragnor e delle sue bevute fino all'alba.
Così si vestì con una divisa di broccato rosso e oro, stivali scuri e camicia bianca. Voleva risplendere, come faceva un tempo.
Gli mancavano i vecchi tempi.
Scese le scale di fretta, aggiustandosi i polsini.
« Simon » chiamò a gran voce. « Prepara il mio cavallo » aggiunse, raggiungendo l'uscita e bloccandosi nel vedere Alexander issarsi sul suo cavallo con uno scatto agile, il sole sulla pelle e sui capelli neri.
Si accorse della presenza di sua madre, poco distante da lui, che salutava il ragazzo.
« E porgi i miei saluti al dottore e a sua figlia, che siano sempre i benvenuti alla tenuta Bane » terminò la contessa, al cenno di affermazione del ragazzo.
Gli occhi blu incrociarono i suoi per un secondo e Magnus si ritrovò a pensare a quanto sembrava... nobile, in alto su quel cavallo, con quei vestiti che risaltavano lo sguardo fiero e distaccato.
Se fosse stato in groppa a Presidente, lo avrebbe scambiato per un principe.
Al colpo sui fianchi del cavallo, che partì di corsa verso l'entrata della villa, Magnus si ridestò.
Incrociò la madre, che lo vide pronto ad uscire e lo salutò.
Simon lo raggiunse poco dopo con il suo destriero, sellato e pronto per essere montato.
Ma il conte non prestò minimamente attenzione alle parole di Simon riguardo il cielo nuvoloso, non ascoltò il suo augurio di una buona cavalcata.
Il suo unico pensiero, quando incitò Presidente alla corsa in un tuono improvviso di zoccoli sulla ghiaia, era di correre il più veloce possibile.
E recuperare il terreno perso.



Alec era felice di aver avuto l'occasione di allontanarsi di nuovo dalla villa.
Dopo la sceneggiata del conte, era salito a leggere per la contessa e quando lei lo aveva congedato per andare a riposare, Alec era sceso alle cucine per consumare il suo pranzo.
Ma era incappato nelle chiacchiere bisbigliate di due cameriere, che lo avevano bloccato sul posto.
Parlavano di lui.

« Non posso ancora credere a quello che ho visto » diceva una, mentre l'altra si portava una mano a coprire la bocca.
« Anch'io! Sono a dir poco sconvolta »
« Lo teneva così stretto che ho pensato si sarebbero... hai capito »
« Oh no, è impossibile! Non riesco nemmeno a pensarlo »
« Ma sì, ti dico! Stavano per baciarsi! »
« Ma sono due uomini! ...Secondo te... Potrebbero avere già- »
« Ma sicuro! Ci metterei la mano sul fuoco! D'altronde il conte non ha fatto altro che stuzzicarlo da quando è tornato »
« Credi che sia vero quello che dicono del conte? Che abbia interesse anche negli uomini? »
« Oh, andiamo, di quante altre prove hai bisogno? Trovarli a letto insieme? »
« Shhh, abbassa la voce! Se ci sentisse qualcuno... »
« Tanto non sto dicendo niente che tutti non abbiano già capito. D'altronde c'era da aspettarselo »
« A che ti riferisci? »
« Ma è ovvio! La signora contessa ha una certa età e quindi... Secondo me, Alec è già entrato nelle grazie del conte... se capisci cosa intendo »
« Non essere sfacciata, è disgustoso! Non voglio nemmeno pensarci! »
« Alec, l'amante del signor conte. Chi l'avrebbe mai detto! »
« Peccato, sembrava così un bravo ragazzo »

Strinse i denti nel ricordare quella conversazione, mentre incitava Lux a correre più svelto.
Quando si fu inoltrato nel bosco, rallentò e procedette al passo, guardandosi intorno.
Alec avanzava piano, ma ben presto avvertì un rumore di zoccoli in avvicinamento e istintivamente riprese la corsa, ma il nitrito improvviso di Lux destò l'attenzione di chiunque altro fosse nel bosco e quel rumore si fece sempre più distinto, quasi come se stesse seguendo la sua stessa direzione.
Temendo si trattasse di banditi, poiché ne aveva sentito parlare da Luke la sera prima, decise di adoperare la stessa tecnica che usava per far perdere le proprie tracce a Simon quando gareggiavano insieme: saettò tra i boschi, senza seguire un percorso preciso, lasciando tracce confuse e dispersive.
Dopo alcuni minuti, tuttavia, avvertì di nuovo l'inseguitore e decise di affrontare la frazione di bosco di Long Hill meno frequentata, per scoraggiare chiunque lo stesse pedinando.
Era un tratto pericoloso, pieno di rocce e fiumiciattoli a ogni angolo, solo cavalieri esperti potevano affrontarlo ed Alec, pur non considerandosi un esperto, aveva fatto in solitaria quel tratto un paio di volte e si sentiva abbastanza sicuro nell'attraversarlo.
Sperò non fosse lo stesso per lo sconosciuto che aveva alle calcagna.
Il suo unico timore era il dover portare a termine la sua commissione: la contessa aveva voluto ringraziare sinceramente Luke per i servigi offerti al piccolo Max senza richiedere alcun compenso, pertanto aveva deciso di far portare ad Alec personalmente un sacchetto di monete al dottore.
Alec era rimasto senza parole, stupito ancora una volta dalla sincera gentilezza della signora contessa e dalla sua bontà d'animo, propria di una madre verso un figlio.
Ma avrebbe dovuto far aspettare il medico, ora che era bloccato nel bosco, inseguito e sotto un cielo plumbeo che minacciava tuoni e fulmini.
Perfetto.
A conferma di ciò, la luce improvvisa di un lampo imponente fece impennare dalla paura Lux sulle zampe posteriori e al tuono che seguì, a nulla valsero i tentativi di Alec di calmarlo.
« Buono! Buono! » Lux si divincolava, rischiando quasi di far precipitare a terra il suo fantino. « Lux, sta buono! »
Un altro fulmine squarciò il cielo e Lux partì d'impennata in avanti, facendosi strada tra gli arbusti appuntiti e i tronchi svettanti.
Le briglie strette nelle mani, Alec cominciò a sentire la pioggia sul viso e sui vestiti e in men che non si dica venne giù un temporale.
« Lux! Ferm- »
Un ramo appuntito come una sciabola lo ferì di striscio a un braccio, il dolore si fece sentire al fulmine che seguì, inghiottendo l'ennesimo nitrito di Lux e il grido di dolore di Alec.
Il cavallo sembrava impazzito dallo spavento.
Alec si sforzava di stringersi al dorso del cavallo, sperando si fermasse, che incrociasse un ostacolo.
E così fu.
All'improvviso un altro cavallo si stagliò dinnanzi a Lux, che si impennò, cadendo all'indietro.
Alec precipitò a terra sbattendo la testa, avvertendo la stessa sensazione di calore che colava dal braccio scendere anche dalla fronte. E poi un'insopportabile, lancinante dolore alla spalla.
Fradicio di fango e pioggia, l'ultima cosa che riuscì a vedere fu Lux tirarsi su e allontanarsi nella direzione opposta, sparendo tra gli alberi, e una figura in divisa avvicinarsi.
Poi svenne.




















NdA: 
Salve carissimi, lo so sono (leggermente) in ritardo, ma sto organizzando un piccolo viaggio e volevo assolutamente pubblicare prima di partire, quindi... eccoci qui!
Devo dire che sono rimasta molto sopresa, non pensavo ci fossero così tanti fan di Elisa di Rivombrosa come me! Vi adoro, sul serio!
E vi ringrazio davvero tantissimo per le recensioni, come si dice? Le recensioni sono il carburante degli scrittori!
Questo capitolo mi è costato un po' di fatica, visto che non sono stata molto bene in questi giorni (ma non voglio annoiarvi), spero vi sia piaciuto anche se dovrebbe risultare di poco più corto.
Se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, ogni commento (positivo o negativo) è sempre ben accetto!
Ma sappiate che adoro anche voi lettori silenziosi, perchè sono anch'io una di voi ahaha
Beh, che altro posso dire, sto pubblicando l'aggiornamento all'una e mezzo del mattino... sarà meglio che vada a recuperare il sonno!
Un abbraccio dolcissimo a tutti! 


~WallisDennie

P.s. Dal prossimo capitolo le cose si faranno... interessanti.
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: WallisDennie