Storie originali > Storico
Segui la storia  |      
Autore: Manuc Warmhour    27/09/2017    0 recensioni
La storia si ispira alla trama di Lady Oscar, ma si discorre in modo molto differente. Siamo nella Francia del XVIII secolo e, come la storia ci insegna, tanto sta per accadere. In questo contesto turbolento nasce Ophelia, una bambina, poi ragazza e poi donna con tenacia da vendere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un uomo. Un bambino. Una donna. Il pianto, la mano del bambino, sulla sua guancia. Era umida. La sua guancia. Gridava, il sangue sgorgava dalla sua bocca. L’uomo s’attanagliava sul corpo della donna, che fremeva dal dolore. Un ultimo esile sospiro si congedò dalle sue labbra. L’uomo piangeva. Riarso, sul corpo della donna, come se volesse proteggerla. ∞ Il tutto mi destabilizzava. 14 Luglio1789. Il sole batteva violento sui campi. In lontananza le grida esultanti dei soldati “Abbiamo preso la Bastiglia!”, “Abbiamo preso la Bastiglia!”. Una lunga e tormentata peritura, quella dei reali di Francia. Lunga, questo è certo. Tormentata? Era ormai sicuro da molto tempo che qualcosa sarebbe andato storto in quello sfarzo non curante, dei cittadini, di quelli che vivevano in condizioni nefande. Diciannove anni prima veniva alla luce un altro parassita, un altro nobile pronto a consumare ancora i beni dello stato, a vivere nel lusso, pronto a fregarsene dell’immensa turpe che regnava fra le genti. La famiglia Sansrêves non poteva avere figli. Il cielo aveva reso sterile la seconda moglie del duca Gervais Maurice de Chartres, Colette. Mesi di disperazione seguirono nella casa dei Sansrêves, lotti e liti fra i due coniugi si alternarono a violenze e un giorno il peggio accadde: l’unico figlio maschio che Gervais ebbe dalla prima moglie Giselle, Antoine, mentre Gervais si scagliava ancora una volta sulla piccola Colette, egli attaccò a sua volta suo padre, che brandiva un coltello. Il coltello che gli serviva per atti orribili. Atti che non andrebbero nemmeno pensati. L’uomo puniva la donna, che era legata in una posizione contorta su di una sedia, a cavalcioni, con la bocca che era costretta a mordere lo schienale della stessa, fatta di un legno maciullato, che pareva quasi che le schegge le infilzassero la lingua. E lì, l’uomo, preso dalla pazzia, la violentava, e si divertiva nel lacerarle la pelle della schiena con un coltello, spellandola e tagliandola seguendo singolari traettorie, mentre lei gridava e si dimenava. Quella schiena liscia e giovane. Antoine corse, in preda alle lacrime, verso il padre, pregandolo di smettere. Il padre si voltò. Lo stiletto si era conficcato fra la terza e la quarta costola. Il bambino, col corpo gracile e tremante si accasciò a terra e morì. Ora più che mai Gervais Maurice de Chartres necessitava un figlio maschio. Andò in cerca di una donna per i bordelli più infimi e nascosti della città. Lui che era ben vestito e armato, stonava in quel contesto, fatto di stracci e di persone che mai ebbero visto un’arma da fuoco da vicino. Fu lì che la vide: era di una bellezza estasiante. Brillava fra l’oscurità e i boccali di vino. Lunghi capelli d’oro, sciolti, ricci e sinuosi si districavano lungo la veste, di un verde smeraldo, che trovava drappeggi e ricami color panna su fianchi e seno. E lo sguardo: blu, intenso. Ubriacava più del vino. Lei era perfetta. Perfetta, avrebbe dato alla luce un bimbo perfetto. Ne era sicuro. Nove mesi dopo un pianto squarciò le grida di dolore. Gervais accorse dal piano inferiore, correndo, arrampicandosi in fretta e furia su di quella che sembrava una scalinata non finire mai. Diruppe nella stanza dove le serve calmavano la donna, per quello che doveva essere stato, uno sforzo sovrumano. Colette teneva in braccio un fagotto rosso sangue. Gervais si avvinghiò a Colette e le strappò via il bimbo. La bimba. Era una bimba. Un’inutile bimba, una donna. Quella che sarebbe divenuta una di quelle svolazzanti dame di palazzo, con abiti costosi da indossare, con il sorriso falso e riluttante che avrebbe nascosto dietro un ventaglio, altrettanto costoso, altrettanto inutile. Come lei. Era inutile, perché era Lei. Gettò la bimba fra le braccia della donna che l’aveva partorita. Incredulo. “Questa, non è mia figlia.” affermò, con tono insofferente, di chi si era arreso. Anni dopo la bimba era divenuta fanciulla. Se ne stava all’aperto, s’era accostata sotto l’ombra di un salice. Leggeva. Un classico, una commedia esuberante a suo avviso: Casina, di Plauto. “Era di dubbio gusto, e di una volgarità sconcertante”, insisteva Colette. Lei la ignorava. Prediligeva le scritture dei classici, amava Shakespeare, lo considerava un “genio assoluto della tragedia e commedia inglese” e aveva letto tutto ciò che lo riguardava, amava il suono stridulo del clavicembalo, le piacevano i salotti, era una perfetta gentil donna. Di lì a poco sarebbe stata pronta per fare il suo debutto in società, avrebbe trovato uomo, e sarebbe stata felice di vivere una vita meravigliosa. Cosí doveva essere. Quando il caldo si fece più afoso e le fu impossibile rimanere fuori casa per gustare quel libricino, che ormai era arrivato agli sgoccioli, pronto con il suo mastino le si avvicinò il padre: erano passati tredici anni da quel giorno, da quello spiacevole giorno. La ragazza non ebbe mai visto suo padre tanto adirato, sebbene non lo ebbe mai visto felice per qualcosa. “Ophelia!”, sgridò l’uomo. La fanciulla balzò in piedi e si inchinò d’innanzi al padre, senza proferire parola. “Io me ne vado a caccia, vedete di calmare vostra madre, che il solo pensiero di dover discutere ancora con quella disgraziata, mi inorridisce!”. L’uomo se ne stava nel suo studio gran parte del tempo, fra penne d’oca, carte, manuali, cera rossa e inchiostro. Durante il pomeriggio saliva a cavallo e si dirigeva verso la corte di Versailles, per assolvere al suo dovere di Comandante delle Guardie Reali. Lui era conosciuto al tempo. Freddo, impassibile, pronto a frustare coloro che non adempievano al loro dovere, pronto a cacciare quelli che si rifiutavano di andare in missione, o che semplicemente erano sorpresi ad oziare durante il turno di pattuglia. “Le storie su di lui mi fanno rabbrividire, e ci credo! Con quello che ho passato io per mano di quell’uomo! Se mia madre e mio padre fossero vivi, Di Grazia!” inveiva Colette, ogni qual volta sentiva vociferare questo fra le serve. “Come moglie del duca de Chartres dovrei abitare a corte, dovrei partecipare ai balli più importanti, potrei essere dama di compagnia di vostra Maestà la Regina di Francia, Maria Antonietta d’Austria, e invece, me ne sto qui, in questa umile dimora a ricamare e impedire a quelle scalmanate di portarmi guai!”, “E poi, di quale assurdo nome vi ha reso nota: Ophelia! Si credeva forse, di esser Polonio, o che so io? Quando entrerete a palazzo, vi derideranno tutte!” Ophelia era sempre divertita dagli sbuffi della madre, che camminava per la casa come una vecchia stizzita, e indugiava al vino ogni qual volta l’uomo si allontanava di casa. Ambigua, era la figura di quella donna, giovane, ma con atteggiamenti da vecchia brontolona, severa, ma sottomessa ai voleri del marito, di buona famiglia, ma peggio di una capra ignorante, bella ma molto sgarbata e sguaiata, per niente femminile. “Forse è per questo che nostro padre non la porta a Palazzo” sghignazzavano le quattro sorelle più grandi di Ophelia, quelle che Gervais ebbe dalla prima moglie: Laurenne, Paoline, Margaux e Blanche. Loro erano tutte e quattro entrate in società da diverso tempo, e tutte e quattro erano amate dal loro padre. Ad ogni compleanno, il padre le deliziava di doni meravigliosi: abiti, gioielli, mazzi di rose e cioccolata. Lei riceveva libri, piume, spade, pergamene nuove, e lezioni di clavicembalo! Non che le dispiacessero, ma anche lei avrebbe voluto un bell’abito da indossare, un nuovo fermaglio per raccogliere i capelli o del tè inglese. Tutto le sembrava ripetitivo in quei giorni privi di entusiasmo, che talvolta mettevano a dura prova la sua pazienza: veniva in continuazione presa di mira dalle sorelle, derisa e umiliata davanti agli ospiti, criticata ed offesa da parte della madre, freddamente ignorata dal padre. La cosa che più le spezzava il cuore, era vedere il padre che la guardava con quegli occhi apatici. Di tanto in tanto le sembrava di poter cogliere sul suo volto una lacrima nostalgica incresparsi nelle sue buie pupille nere, ma poi si ricredeva, e pensava d’esserselo immaginato. Spesso rimuginava “Vorrei ci fosse un’occasione anche per me” “Vorrei essere qualcuno!”. Passarono i mesi, e fu ottobre. Il caldo era del tutto sparito, e i venti gelidi infestavano il nord della Francia, fra uno schizzo di sole e l’altro. Era il 6 ottobre del 1784, e Ophelia quel giorno compiva quattordici anni. Per l’occasione, un buon amico di Gervais, Jacques Necker, da poco ritornato da un viaggio in Svizzera, propose a Gervais di festeggiare a Versailles direttamente nella Gallerie du Glaces, che dava sui giardini della Reggia. L’idea attizzava incredibilmente, ma non ci sperava. Con suo grande stupore il padre però accettò di buon grado l’offerta dell’amico Necker, e in men che non si dica Ophelia, Colette e le sue sorelle si ritrovarono in viaggio verso palazzo. Un’opera architettonica che ostentava e si imponeva già da molto lontano. Dalla carrozza si vedevano tutti i giardini, che comprendevano i parterres e i boschetti. Sentiva il padre illustrare alle sorelle il suo luogo di caccia preferito “Il Grand Canal, mie care ragazze, si trova dietro il Bassin des Cygnes… lì io ed il signor Jacques Necker ci incotriamo spesso per discutere di faccende importanti, faccende da uomini veri!” Il signor Necker era di origini Svizzere. Contrôleur général des finances del re di Francia Luigi XVI, era partito per affari del re in Svizzera, ed era tornato due anni prima. Il padre l’aveva avvisata “Ophelia! Una volta a Palazzo ringraziate Jacques, e mi raccomando: lui ha una figlia, una perfetta gentil donna, dovrebbe avere l’età di vent’anni ormai! Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein. Non permettertevi di mancarle di rispetto!".
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Manuc Warmhour