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Autore: BabaYagaIsBack    27/09/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo Tredicesimo
Il Corpo Ricorda
parte prima

 

"We're kings of the killing,
we're out for blood,
We never shoot to stun"

- Monster (Ruelle)

 

Le falcate di Alexandria erano ampie, i suoi piedi toccavano terra con una decisione che Levi non riuscì a spiegarsi: perché stava reagendo a quel modo? Per quale motivo era voluta scappare via? Cosa l'aveva spaventata? Non capiva, seppur lo desiderasse con tutto se stesso. 
Aumentando la velocità tentò di raggiungerla, di afferrarla per fermarla, ma ogni volta che gli pareva d'essere sul punto d'acciuffare un suo polso, una spalla, la sua giacca lei sgattaiolava più lontano, sfuggendogli. Eppure dovevano parlare, gli doveva almeno un confronto prima di gettare la spugna a quel modo - perché seppur lei avesse sacrificato solo una settimana della sua vita, lui aveva aspettato quel momento per mesi.

«Alex! Alex, bevaqashah tafessiq!» Sgusciando tra uno studente e l'altro cercò più volte di chiamarla, di attirare la sua attenzione, ma Z'év finse di non udire nemmeno una delle sue richieste. Lo stava volontariamente ignorando, dopotutto era ovvio che lo stesse sentendo, che il suo udito da predatrice carpisse anche il più lieve dei suoi suoni, eppure si ritrovò a rincorrerla per un intero piano, per decine di corridoi quasi supplicandola di dargli retta finché, lungo il marciapiede da cui erano arrivati, infine, riuscì a prenderla per la manica e trattenerla a sé. 
La strattonò appena e per un istante, quando si voltò, temette di essere stato troppo brusco. L'espressione della sorella era contratta dalla frustrazione, dal fastidio, da un rabbia che non aveva ragione d'esistere; in fin dei conti non avevano scoperto nulla, non gliene aveva dato modo!

«Che diamine ti è preso?» Le chiese allontanando la mano, svelto.

Z'èv si morse il labbro, lo fece con veemenza allontanando appena lo sguardo. La vide cercare qualcosa, forse un appiglio, poi tornò a guardarlo con più decisione: «Non è lui» gli disse in un soffio, bagnandosi il punto in cui gli incisivi si erano premuti - e a quelle parole Levi corrugò le sopracciglia e scosse la testa, confuso. Per quale ragione Alexandria parlava a quel modo? Non era forse stata lei a sentire e riconoscere la şǐyr ʻereş̂? Non si ricordava che di quella stupida ninnananna, che di quella melodia scritta appositamente per loro, non esisteva più alcuno spartito? Nessuno, se non il Re, avrebbe saputo suonarla.

 «C-che stai dicendo?» le sue braccia si alzarono ai lati del busto per poi ricadere lungo i fianchi con un tonfo:  «Lui-» 
La Contessa però non gli diede modo di finire: «Hai visto quanto quel ragazzo fosse spaesato? Hai notato la sua espressione, i suoi occhi e... » fece una pausa, afferrandosi la testa con entrambe le mani. Sembrava esasperata, sul punto di scoppiare in un pianto irrefrenabile, eppure non si fece sfuggire nemmeno una lacrima:  «Non ci ha riconosciuti, Levi!»
 «Non gliene hai dato modo, Alex!» Stavolta la sua voce suonò imperiosa, possente, ben diversa dal tono pacato che aveva cercato di mantenere fino a quel momento. Si rese conto di star digrignando i denti solo quando scorse lo sguardo di Zenas dietro alle spalle della sorella. Lo stava rimproverando, ma al contempo pareva non capirne il motivo.

Nuovamente la vide muovere il capo: «No. No, mi spiace. Quel... ragazzo non è il nostro melekĕ.»
 «E il sigillo? Uh!? Anche tu lo hai sentito, anche a te ha fatto male, o vuoi dirmi che me lo sono immaginato?» L'aveva vista. Con la coda dell'occhio aveva visto la sua mano afferrare la stoffa sopra alla cicatrice, stringere con forza, aggrapparsi a quel ricordo - non poteva mentirgli! E men che meno negare ciò che aveva percepito in quella stanza. L'aveva sentita fremere a ridosso del proprio palmo mentre provava a darle coraggio, l'aveva percepita quasi fosse un'estensione di sé - poteva mentire, ma era certo che nel suo sguardo avrebbe scorto la verità.
Il sigillo che Salomone aveva intagliato nella loro carne aveva reagito, si era risvegliato di fronte a colui che aveva aperto le porte dell'Inferno per ridar loro la vita, lo sapeva lui quanto lei, quindi doveva concedergli quantomeno il beneficio del dubbio. 

Alexandria cacciò i pugni in tasca: «No, io...» ma le parole parvero morirle in gola. Con le labbra schiuse e le palpebre serrate Z'év sembrò vacillare. Non sapeva come rispondergli, non aveva idea di come supportare quella sua sciocca teoria e, per un attimo, un fugace e singolo attimo, Nakhaš credette di averla convinta - ma fu certezza breve perché la voce di lei tornò presto a riempire lo spazio vuoto tra di loro, a colmare il silenzio che aveva seguito quella negazione: «Ciò che ti lega a Re Salomone trascende il tempo, la vita e la morte stessa, Levi. Come si può dimenticare una cosa simile? Sono quasi tremila anni che vivete fianco a fianco su questa terra, che esplorate in lungo e in largo il mondo... sì, è vero, l'Ars richiede un prezzo alto ogni volta che la sfidiamo, ma cose del genere l'anima non le dimentica. Possiamo rinunciare a pezzi di memoria, a parti di umanità, ma questo,» sfilando una mano si toccò la bocca dello stomaco: «questo non si potrebbe mai dimenticare.»
Forse in quelle parole c'era del vero, forse, invece, sua sorella si stava solamente facendo soggiogare dalle emozioni, dalla paura di venir ripudiata dal Re dopo ciò che era successo trent'anni prima - non poteva saperlo. A essere sinceri, nemmeno voleva. Tutto ciò che gli interessava era tornare da quel Noah con entrambi i suoi fratelli, parlargli, mettere insieme i pezzi mancanti e capire. Perché anche se non si trattava dell'hagufah c'erano domande che necessitavano una risposta. 
Riportando lo sguardo sul viso della sorella, il Generale si accorse di come gli occhi di lei si fossero fatti lucidi, di come la sua corazza stesse pian piano cedendo sotto il peso della preoccupazione, del fantasma della delusione. La sua fermezza sulla questione, i suoi timori, erano reali e, soprattutto, la stavano logorando dentro.
E in quel momento, pensò,  una sua lacrima sarebbe stata in grado di trafiggerlo come una lama.

A voce rotta Z'év riprese a parlare: «Non posso illudermi, capisci? Non posso sprecare tempo dietro a un tizio che... zeh lo hu» con un braccio prese a indicare l'istituto: «Io ho bisogno di Salomone, ho...» si zittì, riprendendo a mordersi il labbro. C'erano così tante cose che le aveva sempre visto tacere, frasi che non si era mai permessa di finire o addirittura pronunciare, quasi fossero segreti inconfessabili, tradimenti atroci - e aveva sempre sperato, un giorno, di conoscerli. Era sua sorella, dopotutto. Era parte di lui esattamente come Salomone, eppure alle volte gli sembrava che per lei esistesse solo il Re, come in quel momento.
Un brivido freddo gli percorse la schiena, dalla nuca sino al coccige. Fu come risvegliarsi dopo un lungo torpore, come uscire da una trance in cui nemmeno si era accorto d'essere caduto.

«Ed io ti ho portata da lui. Ci ho portati da lui» sibilò stringendo i pugni. D'improvviso un moto di fastidio sembrò assalirlo. Non avrebbe saputo spiegarsi bene il perché di quella reazione, ma per qualche ragione l'associò a lei, a quella sua ostinazione. 
Noah e Salomone erano legati, ne era certo, e non avrebbe permesso alle paure di Z'év di mandare in fumo tutto il lavoro fatto per rintracciarlo, per arrivare a lei, Zenas e in futuro gli altri fratelli. Doveva fidarsi di lui, del suo stesso corpo, delle sensazioni che aveva provato in quello stupido auditorium - perché le veniva così complicato? 
Con che coraggio si opponeva al linguaggio dell'Ars, dell'alchimia che le scorreva nelle vene? Il suo sangue aveva ribollito di fronte a quel ragazzo, si era agitato al pari di un mare in burrasca e volente o nolente sua sorella avrebbe dovuto cedere al cospetto della verità: c'era qualcosa del loro creatore in quell'umano.

Poi, senza preavviso, Alexandria avanzò verso di lui tanto da quasi sfiorargli il petto. A separarli c'erano poche dita, eppure parve che in quello spazio vi fosse una vera e propria voragine. Erano vicini, sì, ma anche terribilmente lontani.
«Ma lui non ci vuole!» si sentì ringhiare contro nonostante la poca fermezza nella voce di lei. A quella distanza fu fin troppo semplice per Nakhaš scorgere sul suo viso i primi segni della mutazione, così come fu facile notare l'annichilante delusione presente nel suo sguardo - e, per la prima volta da quando erano sgattaiolati fuori dall'ateneo, si domandò se quella di Z'év non fosse altro che una scusa.

«E se non ci vuole, che sia o meno il Re, è inutile restare qui.»
Lo spazio tra loro aumentò. Un passo alla volta.
«Non gli hai dato modo di parlare con noi, Alex» Levi insistette ancora.
«I suoi occhi mi hanno detto tutto ciò di cui avevo bisogno.»

«Incontriamolo ancora una volta, ti chiedo solo questo...»
La vide scuotere la testa: «Se tu e Zenas volete farlo, nessun problema, ma io non voglio più prendere parte a questa farsa» e nascondendo ancora una volta le mani in tasca si volse, iniziando a camminare.

«Tishaer kann, akhòt
Non si girò.
«Mazal tov


 

Alex! Alex, bevaqashah tafessiq! : Alex! Alex, ti prego, fermati!
Zeh lo hu: non è lui
Tishaer kann: resta qui
Mazal tov: auguri/buona fortuna

 
   
 
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