Aranyhíd
Hiraeth
(Welsh)
Un
sentimento di lontananza, di distanza, non necessariamente da casa. Un
forte
desiderio di trovarsi in un altro posto.
.
Era così facile ubbidire agli
ordini.
“Vai
a dare un’occhiata alla situazione.”
Un
ordine era chiaro, preciso, non poteva essere frainteso: non c’erano
margini
che avrebbero potuto essere valicati perché nelle parole stesse era
insito
tutto ciò che doveva fare, senza pensare, senza riflettere, senza
chiedersi se
ciò che stava facendo era giusto o sbagliato.
“Controlla
che non ci sia nessuno nelle vicinanze e riportami la posizione di
tutte le
guardie e dei principi.”
Kaze
era stato perentorio, chiaro, diretto: le aveva dato delle disposizioni
ben
precise e Zoe era stata più che felice di annuire docilmente,
riprendersi la
spada che aveva riposto al proprio fianco durante il suo turno di
guardia e
uscire dalla stanza in cui, immobile, aveva trascorso le ultime ore a
vegliare
il sonno agitato della principessa e quello leggero che Kaze si era
finalmente
permesso dopo giorni di vigilanza costante.
“E,
se dovessi incontrare il principe Takumi di nuovo, torna fra le ombre.”
Quella
era stata l’indicazione più importante di tutte: sapere che cosa
avrebbe dovuto
fare in quel caso, che cosa ci si sarebbe aspettato da lei in quella
situazione, era l’unico conforto che desiderava – l’unico che aveva
permesso a
se stessa di ricevere, nonostante lo sguardo intriso di preoccupazione
che Kaze
le aveva rivolto quando era tornata da lui e da Ileana.
Pensava
di essersi comportata bene, tutto sommato.
Non
aveva pianto, non aveva parlato, non aveva riferito nulla di ciò che
era
successo: si era semplicemente accomodata accanto all’amico, ignorando
le sue
domande silenziose mentre lei si preoccupava di cambiargli l’ormai
vecchio e liso
bendaggio che gli avvolgeva una mano ferita – le erano sembrate
bruciature da
sfregamento, quelle, ma non si era data la pena di chiedergli come se
le fosse
procurate.
Kaze
non aveva insistito più di tanto, per fortuna, e Zoe si era
approfittata della
sua evidente stanchezza per consigliargli di riposare mentre lei
avrebbe
montato la guardia; il Maestro Ninja non aveva
potuto far altro che sospirare, costretto ad
arrendersi davanti
all’espressione troppo assente, troppo vuota, della ragazza che
conosceva da
tutta una vita.
Le
aveva posto soltanto una domanda, prima di lanciare un’ultima occhiata
preoccupata alla figuretta esile della principessa addormentata nella
penombra
dorata che avvolgeva quella stanza, prima di concedersi un piccolo,
raro lusso
e accomodarsi su una confortevole poltroncina foderata posta
direttamente di
fronte al letto di Ileana.
“Hai
litigato con il principe Takumi, vero?”
Sì,
avrebbe tanto voluto sbottare Zoe in quel momento. Sì, aveva litigato
con il
principe Takumi e sì, il suo cuore era a pezzi a causa sua, a causa del
disprezzo che aveva scorto in quello sguardo familiare, a causa delle
parole
colme di cattiveria che le aveva sputato addosso.
Ma
non l’aveva fatto.
Aveva
soltanto annuito, rapidamente, distolto lo sguardo dall’amico per
gettare via
le bende sporche e macchiate di sangue e sguainato silenziosamente la
propria
spada, posandola con delicatezza al proprio fianco e accoccolandosi in
un
angolo della stanza da cui poteva tenere d’occhio tanto la finestra
quanto la
porta.
Soltanto
quando Kaze aveva chiuso gli occhi ed il suo respiro si era fatto più
lento e
regolare – tutti i ninja erano in grado di addormentarsi molto in
fretta, e lei
aveva sempre invidiato quell’abilità che non era mai riuscita a
padroneggiare –
e Ileana si era girata su un fianco, l’espressione finalmente
pacificata, Zoe
si era permessa di piangere.
Takumi.
Le
nocche di una mano strette fra i denti per soffocare ogni rumore, le
unghie
dell'altra piantate fra i capelli e le ginocchia strette al petto,
aveva
versato tutte le lacrime che non si era permessa dinanzi a Takumi:
aveva
lasciato che l’umiliazione ed il dolore prendessero il sopravvento su
di lei,
aveva concesso loro di spazzare via ogni briciola del suo cuore
dolente, si era
abbandonata alla furia con cui le sue emozioni avevano imperversato nel
suo
petto fino a che non era rimasto più niente se non quel vuoto ovattato
in cui,
misericordiosamente, non aveva sentito più nulla.
Forse
Kaze non aveva dormito affatto, rifletté: forse era rimasto lì, in
silenzio, ad
ascoltare il suo respiro affannoso e i suoi singhiozzi soffocati,
rispettando
il suo bisogno di solitudine perché sapeva bene che lei aveva sempre
fatto
così, che aveva sempre sfogato le proprie – tante,
troppe, immense
–
debolezze soltanto quando nessuno avrebbe potuto vederla.
Quando
si era svegliato, però, non le aveva detto nulla: le aveva fatto cenno
di
seguirlo nella stanzetta che fungeva da anticamera per la camera da
letto e le
aveva dato quelle poche, precise istruzioni che lei, senza una parola,
aveva
accettato con un cenno prima di dileguarsi nelle ombre sempre più
lunghe del
tardo pomeriggio – ed eccola lì, adesso, a camminare con un passo molto
meno
spedito e sicuro del solito, una mano appoggiata stancamente sull’elsa
della
spada e lo sguardo assente, la mente vuota, un dolore sordo nel petto.
Faceva
ancora così male.
Sospirò,
massaggiandosi stancamente le tempie.
Quella
stanchezza abissale che era rimasta dopo quelle lunghe ore non sembrava
essere
stata in grado di acquietare del tutto l’agonia che sentiva ancora
fremere in
fondo allo stomaco, che sembrava essersi annidata nei suoi muscoli,
inquieta
come una bestia su cui era calato un sonno leggero e tormentato: il
dolore era
ancora lì, lo sapeva, e l’avrebbe torturata per molti giorni – notti
– a
venire, ma, perlomeno, adesso si sentiva molto più padrona delle
proprie
emozioni e del proprio temperamento.
Non
avrebbe più pianto.
Odiava
piangere, odiava mostrarsi debole, odiava rendersi conto di quanto il
suo animo
troppo tenero fosse così semplice da ferire; quello sfogo che si era
concessa doveva
essere l’ultimo, non aveva proprio voglia di lagnarsi ancora, aveva
così tante
cose a cui pensare che sarebbe stata soltanto un’inutile e dannosa
perdita di
tempo…
Il
suono di una porta che scorreva la riscosse, facendole drizzare le
orecchie e
le spalle.
-Zoe?-
Ryoma.
Sbuffò,
Zoe, sfregandosi furiosamente il viso per cercare di ricomporre
quell’espressione seria e neutra dietro cui sperava di potersi
trincerare
davanti a lui; raddrizzò la schiena, prese un respiro profondo ed
infine si
voltò, pronta per affrontare quell’unica persona che sembrava essere
sempre in
grado di fare a pezzi ogni suo tentativo di nascondersi.
Eccolo
lì, l’Alto Principe, sulla soglia di una stanza che Zoe presunse essere
un
qualche tipo di ufficio: non indossava più l'armatura e, al suo fianco,
non era
più appesa Raijinto – era strano vederlo così, con le occhiaie profonde
sotto
gli occhi e l’espressione esausta, più vulnerabile di quanto lei non
avesse mai
avuto occasione di scorgerlo.
Non
doveva essere stata una giornata facile nemmeno per lui, si scoprì a
pensare,
sorprendendosi di non essere abbastanza provata da non accorgersi di
quanto
Ryoma sembrasse affaticato; non le piaceva affatto vederlo in quello
stato, non
le era mai piaciuto, ma una fitta di frustrazione parve pugnalarla
quando si
rese conto che non c’era proprio niente che avrebbe potuto fare per
lenire un
poco la cupezza incisa in quel volto che, negli anni, aveva visto
scurirsi ogni
giorno di più.
-Sì?-
rispose, detestando quella voce che le uscì così palesemente rauca che
chiunque
si sarebbe accorto che aveva pianto e per tutti gli dei, Ryoma era
l’ultima
persona al mondo che meritava di vederla in quello stato.
-Stavo
per venire a
cercarti.- la informò e, come la guardò, Zoe comprese immediatamente di
aver
fallito almeno quanto lui nel nascondere il proprio turbamento:
l’espressione
preoccupata di Ryoma era la stessa che lei lo aveva visto rivolgerle
tante
volte, nel corso degli anni, sin da quella ormai lontanissima serata di
tanti
anni prima… e dovette distogliere lo sguardo, incapace di sopportare
oltre la
gentilezza in quegli occhi così familiari, così cari.
Annuì,
rimanendo
immobile quando lui si chiuse alle spalle la porta e la raggiunse,
evitando di
proposito di alzare gli occhi – aveva proprio una sfortuna assurda,
oggi: prima
Takumi ed ora lui, accidenti, ma non potevano proprio lasciarla in
pace, quei
dannatissimi principi!?
-Vorrei
parlare con Ileana, se è sveglia. Mi accompagneresti?- le propose,
aggrottando
le sopracciglia quando lei, insolitamente quieta, si strinse nelle
spalle e gli
rivolse soltanto un breve cenno della testa, mentre sperava
ardentemente che
Ileana fosse ancora persa nel mondo dei sogni così come lei l’aveva
lasciata
un’ora prima.
-Sì,
certo.-
accettò, controvoglia, affiancandolo quando lui si avviò lungo il
corridoio
senza alcuna fretta apparente, riempiendo quello spazio così greve con
la sua
figura – diamine,
era davvero strano
vederlo senza quell’orribile elmo cornuto.
Alzò
gli occhi
verso il soffitto, percependo il peso delle domande che Ryoma le
avrebbe posto
di lì a pochi istanti se non si fosse sbrigata a trovare un argomento
con cui
distrarlo – poteva quasi già sentire quella sua voce profonda chiederle
che
cos’era successo per ridurla a quella silenziosa ombra di se stessa, ma
non
aveva proprio voglia di affrontare quell’argomento, con lui o con
chiunque
altro.
-Come…-
si schiarì
la voce, infastidita da quello spettro di debolezza che ancora vi
avvertiva.
-Come sta la regina?- domandò, rammentando l’espressione sconvolta e la
voce
intrisa di dolore di lady Mikoto.
Ryoma
s’incupì,
incrociando le braccia sul petto.
-È
ancora molto
scossa.-
Già,
scossa era un
eufemismo,
avrebbe voluto sbottare Zoe, ma si trattenne: una parte di lei avrebbe tanto
voluto sottolineare quanto l’esplosione di Ileana si sarebbe potuta
tranquillamente evitare con un poco di accortezza in più da parte della
famiglia reale, ma sentiva di aver già fatto abbastanza affidamento
sulla sua
buona stella, quel giorno, per aggiungere alla sua già lunga lista di
mancanze
di rispetto anche quella protesta.
-Non
è stata una
giornata facile per nessuno.- si limitò, quindi, a commentare, gli
occhi pieni
di terrore di Ileana ancora impressi a fuoco nella sua memoria assieme
all’espressione esausta e tormentata di Kaze, a quelle sconsolate dei
suoi
amici.
-Non
avresti dovuto
prendertela con Hinata e Oboro.-
…oh,
beh, la sua
buona stella avrebbe potuto fare ancora qualche piccolo sforzo,
dopotutto.
Si
passò le dita
fra i capelli, digrignando i denti quando i suoi polpastrelli
incontrarono la
resistenza di tanti, troppi nodi fra le ciocche bionde.
-Beh,
forse con
Oboro un po’ sì, ma insomma… non hanno fatto niente di male.- aggiunse,
rinunciando a quel patetico tentativo di sistemarsi i capelli quando
Ryoma le
rivolse un’occhiata penetrante che, ancora una volta, lei si rifiutò di
ricambiare.
-Sono
le sue guardie. Hanno il dovere di proteggerlo.- le spiegò, così come
tante
volte le aveva spiegato tutti quei perché di cui Zoe era sempre stata
avida fin
da bambina e che lui, paziente, non le aveva mai negato. -Anche da se
stesso,
se necessario.- aggiunse, cupo, ma l’unica risposta che ottenne da Zoe
fu
l’ennesimo sbuffo irritato.
-Ci
hanno provato.-
replicò, scoprendosi più caustica di quanto avrebbe voluto essere,
ripensando a
ciò che Hinata le aveva raccontato: lui aveva provato a fare del suo
meglio, ma
come avrebbe potuto trovare un modo per fermare Takumi? In che stato
sarebbe
stato ridotto il suo amico se si fosse opposto più strenuamente alla
follia del
principe?
Serrò
le dita sulla
sua spada, percependo quel suo mostro interiore stiracchiarsi.
Se
Ryoma aveva
urlato contro Hinata, contro Oboro, allora che cosa stava aspettando
per
prendersela anche con lei? Dopotutto, aveva fatto un macello molto più
eclatante dei suoi amici…
-Senti,
se devi
sgridare anche me fallo subito, okay?- sbottò, irritata, fermandosi
all’improvviso e costringendosi a guardarlo in faccia, a sostenere lo
sguardo
perplesso che le rivolse. -Lo so che ho fatto un disastro, ma non__-
-No.-
Ryoma alzò una mano, arrestando con quel gesto soltanto il fiume di
parole che
Zoe sentiva fremere sulla punta della lingua, e si avvicinò – e fu
difficile,
per Zoe, ricordare a se stessa che avrebbe davvero dovuto tacere,
che agire
in quel modo le aveva già causato abbastanza guai, che Ryoma era una
persona
paziente ma che persino la sua pazienza doveva pur avere dei limiti:
tutto ciò
che vedeva, davanti a sé, era l’uomo giusto e leale che lei aveva
sempre ammirato
e che non le aveva mai offerto altro che amicizia e rispetto, che
l’aveva
sempre trattata come una sua pari… e che non sembrava nemmeno
arrabbiato, si
costrinse ad ammettere con se stessa, scrutando con diffidenza quei
pacati
occhi verdi.
…perché
non era
arrabbiato?
Le
labbra di Ryoma
si piegarono impercettibilmente verso l’alto, forse in risposta
all’espressione
sospettosa della Samurai.
-Hai
fatto quello
che ritenevi giusto.- affermò, a voce bassa, e Zoe poté percepire la
sorpresa
allargarsi sul proprio viso quando si rese conto che la calma nella sua
voce
era la stessa che poteva scorgere nel suo sguardo, che Ryoma pensava
davvero
quello che stava dicendo – che era sincero. -E, a
dire il vero… sei
stata l’unica, oggi, che ha agito bene.-
Aveva
agito bene.
Non
si era nemmeno
resa conto di quanto avesse avuto bisogno di sentirsi dire quelle
parole.
-…ah.-
fu tutto ciò
che riuscì a mormorare, sconvolta da quell’affermazione che non si era
aspettata – che non aveva nemmeno osato sperare di sentire, né da lui
né da
nessun altro, perché tutto ciò che aveva ottenuto in cambio del suo
atteggiamento erano state pugnalate in pieno petto… e invece eccola lì,
la sua
certezza, il suo conforto, quella briciola di pace che non era riuscita
a
trovare nemmeno rifugiandosi nel pianto, in poche e semplici sillabe
che,
tuttavia, avevano un valore immenso.
Aveva
agito bene.
Nonostante
tutto,
nonostante le ferite che ancora suppuravano il veleno con cui erano
state
inferte… per qualche attimo, in quelle parole che valevano tutto, Zoe
credette
davvero, ed il ruggito furioso che soffiava dentro di lei parve
acquietarsi un
poco, domato dalla gentilezza di quella voce familiare.
Tuttavia,
imbarazzata, sbuffò, incrociando le braccia ed inarcando un
sopracciglio,
irritata dal calore sospetto che già sentiva bruciare intorno al
colletto del
kimono – ma perché Ryoma non poteva semplicemente
urlarle contro invece
di lodarla!? Era impazzito anche lui come tutti i suoi parenti, quel
giorno!?
-E
allora perché mi
guardi in quel modo?- brontolò, ignorando la fitta di dolore che la
trafisse
quando si accorse che quell’atteggiamento così schivo nei confronti di
un
elogio assomigliava terribilmente a quello di Takumi. Per fortuna Ryoma
la
distrasse, aggrottando le sopracciglia in un modo che Zoe conosceva
tanto bene
e che preannunciava, di solito, grossi guai.
-Sto
cercando di
capire come stai affrontando tutto questo.-
Ecco,
l’aveva
fregata.
-Ma
perché è sempre
così con te?- sbottò, incapace di trattenersi oltre e resistendo alla
tentazione di ficcarsi le nocche in bocca, soffocando con la sola forza
di
volontà l’imprecazione che le era salita in gola nel momento stesso in
cui si
era accorta di essersi lasciata prendere di sorpresa – per
l’ennesima volta.
-Come?-
Il
rossore che le
bruciava la gola parve allargarsi anche sulle sue guance ma Zoe decise
di
ignorarlo, troppo impegnata a chiedersi perché, per tutti gli dei,
Ryoma non le
aveva chiesto di Ileana; non sarebbe stato meglio, non sarebbe stato
più
normale – diamine, dopo tutto il caos che era venuto a crearsi, si era
aspettata un fiume di domande sullo stato di salute della principessa
ritrovata,
discorsi su discorsi su cosa sarebbe cambiato una volta riportata la
sua
sorella perduta a Shirasagi…
E
invece aveva
deciso di chiedere di lei.
-Non
dovresti
preoccuparti per me. Io non sono proprio niente di speciale.- brontolò,
abbassando la testa per tentare di trovare rifugio nelle ciocche più
lunghe
della sua frangia, imbarazzata e risentita allo stesso tempo.
-Mi
sembra di
averti già detto molte volte che non è vero.-
Come
non detto.
Si
morse la lingua,
sopprimendo il desiderio di mettersi ad urlare anche contro di lui, di
ricordargli che dannazione, Ileana era tornata, che
aveva bisogno di
conforto, che lui almeno avrebbe dovuto domandare come si sentisse – e
che
avrebbe davvero, davvero dovuto smetterla di fare così, di dimostrare
tanto
interesse per una semplice Samurai che forse non sarebbe mai nemmeno
diventata
guardia reale e cominciare a trattarla con la distanza che avrebbe
dovuto
tenere, con lei, fin da bambini.
-Lo
è e tu lo sai
bene quanto me e quanto tuo fratello.-
Oh,
sì. Takumi
aveva messo bene in chiaro quanto fosse conscio della differenza di
status fra
loro.
Ryoma
sospirò,
passandosi fiaccamente una mano sugli occhi affaticati.
-Ah,
ora capisco.
Cosa ha fatto?- le domandò, ottenendo però soltanto una scrollata di
spalle
come risposta.
-Niente.-
“Perché
non cominci a comportarti come una serva?”
Oh,
Zoe aveva sentito quelle parole così tante volte da perderne il conto.
I
sussurri degli aristocratici l’avevano seguita per tutta la vita,
chiedendosi
perché le fossero state concesse così tante libertà e insinuando che la
sua
unica utilità fosse soltanto quella di un giocattolo, una balia per la
piccola
Sakura e un piacevole sollazzo per i fratelli più grandi – quale altra
ragione
potevano avere, in fondo, per tenersi vicino quella bizzarra ragazzina
con le
orecchie a punta?
Zoe
aveva imparato a ignorarli, a non dar peso agli sguardi pieni di
cattiverie e a
quelle insinuazioni ributtanti: facevano male – avrebbero sempre fatto
male –
ma si trattava di un prezzo che aveva sempre pagato volentieri, in
silenzio,
pur di avere la possibilità di rimanere accanto a Ryoma, a Hinoka, a
Sakura… a
Takumi.
Sì,
quelle non erano state parole nuove, ma… non le aveva mai
sentite
pronunciare da qualcuno di cui le fosse davvero importato qualcosa –
mai da Takumi,
il
ragazzo a cui da ragazzina si addormentava in grembo leggendo assieme a
lui,
che le chiedeva di pettinargli i capelli dopo gli addestramenti e che
lei aveva
stupidamente pensato non avrebbe mai potuto… che non sarebbe mai stato
capace di…
Per
Hotoke, come poteva essere stata così stupida?
Come
poteva non aver visto il mostro che si annidava dietro il Takumi che
conosceva
da sempre, il mostro che aveva fatto promesse terribili a Ileana, che
aveva
ferito lei?
“Sarebbe
più facile se fossi tu.”
Quelle
parole che l’avevano resa tanto felice adesso si erano tramutate in
braci
incandescenti, che ardevano nella sua carne lasciando alle proprie
spalle
soltanto un vuoto sfrigolante e l’odore della pelle morta e bruciata.
Non
lo era. Non lo sarebbe mai stata.
Lei
non era parte di loro, della loro vita, ed era stata così
maledettamente ingenua
a
cullarsi in quella bugia dorata che era crollata su di lei nel momento
stesso
in cui aveva guardato negli occhi di Takumi e aveva visto soltanto
disprezzo.
Dei,
perché non le avevano impedito di avvicinarsi a loro? Perché non
l’avevano
tenuta a distanza, come sarebbe stato corretto fare, come avrebbero
dovuto
fare? Almeno, almeno
non avrebbe dovuto provare quel dolore atroce che sentiva
bruciarle nella carne quando ripensava al fratello che sentiva di aver
irrimediabilmente perduto quel giorno…
-Zoe.-
La
voce seria e
decisa di Ryoma la costrinse a tornare bruscamente al presente, a
strapparsi da
quei pensieri pieni di rabbia in cui si era ripromessa di non lasciarsi
più
affogare.
-Ha
solo
sottolineato l'ovvio.- mormorò, chiudendosi le spalle fra le dita
perché aveva
così tanto freddo,
lo sentiva affondare
le sue radici fino a stritolarle il petto e renderle impossibile
respirare.
Takumi
non
l’avrebbe mai perdonata, e lei non aveva alcuna intenzione di farsi
perdonare.
Si era spezzato qualcosa, quel giorno, e per un istante Zoe rabbrividì
al
pensiero di come sarebbe stata la vita a Shirasagi da quel momento in
avanti, a
come sarebbe inevitabilmente cambiato tutto – perché, Ileana o meno,
niente
sarebbe stato più come prima.
Ancora
una volta,
con una stanchezza tale insita in quel gesto da dare a Zoe la chiara
impressione che fosse ormai qualcosa che aveva ripetuto un’infinità di
volte,
quel giorno, Ryoma trasse un lungo respiro e le offrì il braccio,
invitandola
silenziosamente ad avviarsi nuovamente lungo quell’infinito dedalo di
curve,
svolte e angoli inaspettati.
Senza
un fiato, Zoe
allacciò cautamente la mano al suo avambraccio, scoprendosi
curiosamente
sorpresa dal candore quasi accecante dei suoi vestiti, così diverso dal
rosso
intenso dell'armatura che Ryoma indossava quasi sempre, lo stesso rosso
acceso
dello stemma di Hoshido… lo stesso rosso vibrante che aveva
scorto sul fondo
degli occhi bronzei di Takumi.
Si
morse un labbro,
scacciando quel ricordo tanto vivido quanto fugace, aggrappandosi
istintivamente al braccio di Ryoma e boccheggiando fra i denti per
costringersi
a riprendere aria, a non lasciarsi travolgere nuovamente da
quell’angoscia
profonda e terribile che, nonostante stesse lottando per non ammetterlo
nemmeno
con se stessa, l’aveva profondamente spaventata.
-Dovrò
parlargli di
nuovo.-
No.
Come
una stilettata
in piena schiena, un repentino senso di panico la trafisse nello stesso
attimo
in cui quella prospettiva – Ryoma alle prese con quel mostro,
con quella
furia pregna di cattiveria, con la vergogna di dover chiamare quella
bestia il
proprio fratello – si affacciò fra i suoi pensieri,
scatenando un brivido
ghiacciato che le risalì la schiena e le ricoprì la pelle scoperta del
ventre
di pelle d’oca.
-Lascia
perdere.-
sussurrò, intrecciando inconsciamente le dita a quelle guantate di
Ryoma quando
lui posò una mano sulla sua.
-No,
non lascerò
perdere.- replicò, a bassa voce, ma Zoe avrebbe disperatamente voluto
dirgli
che non era successo niente che richiedesse il suo intervento, che si
sarebbe
soltanto azzuffato con una persona che non aveva nulla del Takumi che
entrambi
chiamavano fratello – Ryoma proprio non meritava un altro scontro con
lui, non
con tutto quello che stava passando, non con tutto quello che già
pesava sulle
sue spalle… -È per questo che l'hai picchiato?-
Zoe
sussultò,
allibita.
Lo
sapeva?
…ma
cosa stava
succedendo in quella stupida famiglia reale?
D’accordo,
lei e
Takumi erano sempre stati turbolenti, ma al di fuori del campo di
allenamento
lei non aveva mai osato alzare anche solo un dito sul principe, al di
là di
qualche innocente pizzicotto scherzoso: le era sempre stato chiaro che
compiere
un’azione di quel tipo, un gesto come quello che aveva fatto soltanto
poche ore
prima, avrebbe significato un affronto tale da farle rischiare ben più
di
un’innocua lavata di capo, eppure…
-…no.-
Alzò
lo sguardo,
raddrizzando le spalle che non si era accorta di aver ingobbito,
voltandosi per
sostenere quell’espressione serafica con cui Ryoma la stava soppesando.
-L’ho
picchiato
perché ha dato della cagna ad Ileana un'altra volta e non ne potevo più
delle
sue stupidaggini.- affermò, certa che, dopo quell’affermazione, Ryoma
l’avrebbe
come minimo consegnata direttamente a Saizo perché si occupasse di
infliggerle
una delle sue memorabili, massacranti punizioni – eppure, con la stessa
sicurezza
che aveva provato quando Ileana aveva implorato di poter tornare a casa
sua e
lei aveva deciso di prendere a cuore il desiderio di quella ragazza
sperduta e
spaventata, una strana calma parve sorreggerla, aiutandola ad
affrontare il
pensiero di qualsiasi cosa la stesse aspettando al di là del lungo,
enigmatico
silenzio del suo principe.
Aveva
agito bene.
Non
aveva nemmeno
più bisogno di sentirselo ripetere, non per quel motivo, non per quella
reazione di cui non si sarebbe pentita nemmeno sotto tortura: perciò,
quando
Ryoma scosse piano la testa e serrò le labbra, lei rimase serena, anche
quando
quella mano racchiuse la sua in una stretta che la sorprese più di
qualunque
altra cosa – anche quando quegli occhi sempre distanti
parvero riempirsi di
qualcosa di molto simile all’orgoglio.
-Non
lascerai mai
impunito un torto, vero?-
Zoe
trasalì,
esterrefatta, serrando inconsciamente le dita sul cuoio degli spessi
guanti che
Ryoma indossava sempre, sotto cui poteva percepire la forma di una mano
in
grado di infliggere la più cruenta delle morti ma, allo stesso tempo,
capace di
trasmettere una gentilezza così profonda da essere quasi commovente –
perché,
al di là di tutto, al di là di quella sciocca sbandata che ogni tanto
ancora la
punzecchiava, Zoe lo ammirava persino più di quanto, da ragazzina,
avesse
idolatrato Saizo: Ryoma incarnava lo spirito stesso dei samurai, il
codice che
lei si sforzava di seguire ogni giorno, su cui aveva forgiato la
persona che
era e che, un giorno, sperava di diventare… e sentirlo porgerle quella
domanda
con tanta dolcezza, capire quanto Ryoma approvasse ciò che aveva fatto,
fu il
balsamo più dolce dopo tutto ciò che era successo.
-Sono
una Samurai.-
rispose, infatti, rammentando gli estenuanti pomeriggi di allenamento
che Ryoma
le aveva dedicato anni addietro e quelle parole che si erano impresse a
fuoco
nella sua mente e nella sua anima.
L’onore
del samurai
giaceva nel saper discernere il bene dal male…
e lei, quel giorno, aveva agito
bene.
-Hai
reso onore al
tuo titolo, oggi. E a me.-
Quelle
parole, la
stretta rassicurante della sua mano, la sua stessa presenza, furono
quasi in
grado di sopraffarla: non era brava ad affrontare tutte quelle
emozioni, non
era in grado di discernere la profonda commozione che provava dalle
ferite che
le erano state inferte, e per una manciata di secondi non seppe che
cosa dire,
travolta e schiacciata da quel misto di orgoglio e di sofferenza che le
offuscò
la vista e le chiuse la gola.
-Saizo
non sarà
d'accordo.- riuscì a mormorare, dopo qualche istante, trovando non
seppe come
la forza di fare quella debole battuta, di riprendersi, di mantenere la
calma
che ci si sarebbe aspettata da lei.
Le
labbra di Ryoma
si piegarono appena, rapidamente, in un attimo tanto fugace che
soltanto
l’occhio attento di chi lo conosceva bene sarebbe stato in grado di
catturare.
-Posso
parlargli
io, se vuoi.- la rassicurò, ma lei accennò un sorriso e lasciò che le
dita
scivolassero via dalle sue, allontanandosi da lui e voltandosi appena
in tempo
per scorgere i tratti sempre tanto tesi del suo volto sciogliersi
appena,
qualche ruga di preoccupazione distendersi un poco.
-Nah,
lascia
perdere. Sarà interessante vedere se riuscirò a sopravvivere.- replicò,
scovando in quei piccoli segni incoraggianti la forza di cui aveva
bisogno per
mantenere le proprie emozioni sotto controllo, per concentrarsi su di
lui, per
ignorare le domande che le martellavano incessantemente i pensieri.
Sarebbe
stata in
grado di farcela?
Ileana
a Shirasagi
sarebbe stata molto impegnativa, diffidente come si era dimostrata fino
a quel
momento con tutti loro… non rammentava nulla di Hoshido ed era molto
probabile
che nulla avrebbe potuto restituirle quei ricordi, ma come avrebbe
potuto
aiutarla a sentirsi a proprio agio quando il suo unico desiderio era
quello di
tornare sotto il cielo sempre nero di Nohr?
Sarebbe
stata
all’altezza delle aspettative di Ryoma?
Ryoma
si fidava di
lei, la stimava, le era affezionato: era sempre stata la sua pupilla,
se ne era
resa conto quando, anni addietro, dopo la sua investitura a Samurai si
era
preso l’onere di addestrarla in tutto ciò che Saizo non avrebbe potuto
insegnarle; soltanto il pensiero di sbagliare qualcosa, di fare qualche
altro
disastro che nessuno stavolta sarebbe riuscito a mascherare – di non
riuscire a
far sì che la sua sorellina desiderasse rimanere a Shirasagi – le
stringeva il
cuore, perché Ryoma non era affatto una persona che lei aveva alcun
desiderio
di deludere.
Ma,
soprattutto,
sarebbe stata capace di affrontare Takumi?
Sarebbe
stata in
grado di imparare a vivere senza di lui, di accettare i cambiamenti che
di lì a
poco avrebbero stravolto la sua vita e quella di tutte le persone
intorno a
lei, di aver già compiuto i primi passi su un percorso che le avrebbe
inevitabilmente strappato una delle persone più care che avesse?
Per
tutti gli dei,
che vita sarebbe stata?
-Zoe.-
Questa
volta non
sobbalzò quando Ryoma – con tenerezza, con una tenerezza che non usava
mai con
nessun altro – pronunciò il suo nome; alzò semplicemente gli occhi,
imprimendosi per bene quel volto nei pensieri, aggrappandosi a
quell’immagine
con tutta la forza che aveva perché sapeva bene che lei, forte, non lo
era mai
davvero stata… ma lui sì, e lui aveva fiducia in lei, e questo sarebbe
dovuto
bastare per impedirle di lasciarsi sprofondare di nuovo in quei
pensieri tanto
tossici.
Ciò
che non si
sarebbe aspettata, però, fu il gesto che Ryoma fece non appena ottenne
la sua
attenzione: le si avvicinò di nuovo, più di quanto il comune senso del
decoro
permetteva, ed alzò una mano per sfiorarle il volto, per racchiuderle
una
guancia nel suo palmo così grande in confronto al suo viso, scostando
con dolcezza
qualche fuggiasca ciocca di capelli per raccogliergliela gentilmente
dietro
l’orecchio.
“Oh,
per tutti gli
dei.”
Tutti
i suoi sforzi
di mantenere un’espressione compita parvero svanire, spazzati via dal
calore
che percepiva persino attraverso il guanto, da quegli occhi che la
guardavano
con un’intensità tale da ridurre tutto il suo mondo lì, nella tenerezza
di quel
gesto, negli angoli delle sue palpebre che si arricciarono, divertiti,
quando
Zoe si sentì quasi letteralmente andare a fuoco.
-Si
sistemerà
tutto.- le assicurò, rivolgendole uno di quei rari, accennati sorrisi
che si
permetteva così poco, che sembravano sempre un po’ fuori posto sul suo
volto,
che lo facevano sembrare tanto più giovane di quello che la sua
espressione
perennemente corrucciata lasciava intendere.
-Lo
spero.- rispose
lei, sospirando e socchiudendo gli occhi per godersi quel momento, la
bolla di
calore e di pace che era riuscita persino ad acquietare la ferocia con
cui la
sua mente si era rivoltata sino a quel momento – sino a che lui non era
comparso a rischiarare le tenebre che avevano minacciato di soffocarla.
Come
sempre.
Non
sarebbe mai
stata in grado di rinunciare anche a quello: se l’idea di perdere
Takumi le
serrava il cuore in una morsa che le mozzava il fiato, quella di
privarsi anche
di Ryoma era assolutamente inconcepibile, qualcosa che ogni fibra di
lei
rifiutava con la stessa brutalità con cui si era opposta alla crudeltà
di
Takumi…
E
perciò si sarebbe
rimessa in sesto, avrebbe alzato la testa e si sarebbe battuta fino
all’ultimo
per ciò in cui aveva deciso di credere e avrebbe pagato qualunque costo
la vita
le avrebbe imposto… perché lei si aveva fatto la cosa giusta. Perché
lei aveva
agito bene.
Sorrise,
piegando
un po’ la testa per godersi ancora per qualche istante quella coccola,
prima di
arricciare il naso e rivolgergli una smorfia divertita.
-E
questo è
decisamente inappropriato.- commentò, scimmiottando la voce profonda di
Ryoma e
aggrottando le sopracciglia in un’abbastanza convincente imitazione
dell’usuale
espressione solenne del principe – che, in risposta alla sua innocua
burla,
inarcò un sopracciglio, probabilmente indeciso fra il sentirsi offeso o
solamente divertito.
.
.
.
Kaze,
sveglio ormai da
un bel pezzo, rivolse la sua attenzione al letto in cui Ileana
riposava,
scorgendola muoversi nel sonno.
Si
sarebbe svegliata a
breve, ne era certo: si era rigirata nel letto già alcune volte,
nell'ultima
mezz'ora, e le era sfuggito qualche mormorio incomprensibile, ma
l’effetto del
sonnifero che le aveva dato non si era ancora esaurito a sufficienza
per
permetterle di svegliarsi.
Il
ninja si alzò,
distendendo le braccia e piegando la schiena, i muscoli irrigiditi da
quel
breve lasso di tempo che si era concesso per recuperare un po' di
riposo; poi,
senza un suono, si accostò al giaciglio e alla ragazza che ospitava,
concedendosi di osservarla per qualche istante.
C'era
ancora una traccia
di paura, su quel viso non del tutto rasserenato dall'oblio; c'erano
ancora i
segni di giorni trascorsi nel buio in quelle guance più scavate di
quanto non
fossero state all'Abisso, e sotto le sue palpebre inquiete si agitavano
chissà
quali orribili pensieri, sogni, ricordi.
Fu
soltanto la voce che
lo aveva mantenuto sano di mente per così tanti anni ad impedirgli di
allungare
una mano per accarezzarle i capelli, per scostarle un boccolo dietro
l'orecchio, per concedersi di darle almeno quel piccolo gesto di
conforto che
le aveva dovuto negare durante quei terribili giorni di prigionia.
Chiuse
gli occhi,
costringendosi a distoglierli dal viso smagrito della giovane Maga,
costringendo la propria mente a non sovrapporre a quel volto di giovane
donna
quello delicato ed innocente della bambina che non aveva saputo
proteggere
tanti anni prima.
Non
poteva permettersi
altri errori.
Indipendentemente
da
quanto avrebbe voluto poterla confortare – indipendentemente da quanto
Ileana
ne avesse bisogno, da quanto lui
ne avesse bisogno, era
perfettamente conscio di quanto cedere alla propria debolezza avrebbe
soltanto
causato un danno ancor più grande alla ragazza.
Ileana
aveva affrontato
un orrore troppo grande e a cui, chiaramente, non era stata preparata
in alcun
modo: nessun soldato avrebbe mai potuto reagire in quel modo – la
preparazione
per affrontare la tortura e la prigionia, ne era certo, veniva
insegnata tanto
ai nohriani quanto agli hoshijin, ma il modo in cui Ileana aveva agito,
in cui
si era lasciata sopraffare dal terrore, gli aveva suggerito che nessuno
si
fosse mai dato la pena di istruirla su qualcosa di tanto vitale.
Respirò,
Kaze,
reprimendo per l'ennesima volta quella rabbia che aveva covato dentro
di lui
sin dal primo istante in cui aveva incrociato quegli occhi verdi che
non aveva
mai potuto dimenticare.
Se
solo qualcuno, chiunque
avesse pensato di
insegnarle a sopportare le ingiurie di un nemico, le offese, le
minacce, quelle
torture da cui lui non era riuscito a sottrarla… se solo quella
famiglia da cui
Ileana desiderava disperatamente tornare non l'avesse buttata senza
alcun
riguardo in qualcosa di molto più grande di lei…
Lui
non avrebbe dovuto
trattenersi. Avrebbe potuto confortarla senza temere di vederla
aggrapparsi a
lui, senza l'ossessivo, incessante timore di creare un legame malsano
con quella
ragazza che soffriva un'agonia che nessuno aveva fatto niente per
evitarle, che
come acido le aveva corroso la mente, la lucidità, persino il più
basilare
istinto di sopravvivenza.
No.
Ileana
meritava di
meglio da lui, e lui non si sarebbe mai più permesso di essere debole.
Non di
nuovo.
Si
costrinse a
respirare, a concentrarsi sulla sensazione dell'aria che gli riempiva
il petto,
sul sangue che gli scorreva nel corpo, sul suono regolare del suo cuore
che
batteva: perdere la calma era l'ultima cosa che poteva permettersi,
adesso…
così come non si era potuto permettere di fare ciò che avrebbe
disperatamente
voluto, nel momento stesso in cui Ileana gli si era aggrappata
attraverso le
sbarre annerite di quella maledetta cella buia, una paura folle incisa
negli
occhi.
Essere
costretto ad
affrontare quello sguardo implorante e terrorizzato gli aveva spezzato
il cuore
– quel cuore che già quattordici anni prima aveva, impotente, lasciato
che si
frantumasse guardando gli stessi occhi verdi sparire in quell'orribile
notte di
Cheve, senza poter fare altro che cullare una Zoe priva di sensi fra le
braccia
e nascondere fra i suoi capelli biondi l'atroce consapevolezza di aver
appena
condannato a chissà quale orrido destino una bambina innocente.
E
non poteva fare niente,
ora come allora.
Sentì
i muscoli della
mascella contrarsi, la fronte corrugarsi, i pugni stringersi: il suo
stesso
corpo pareva volersi ribellare al controllo che si era imposto –
urlava,
disperato, urlava il bisogno di avvicinarsi a quella ragazza e
stringerla a sé,
sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbe più permesso
a
nessuno di farle del male.
Ma
non poteva.
Per
il bene di Ileana,
non poteva.
Se
lo avesse fatto, se
le avesse permesso di vederlo come l'unica fonte di speranza e di
sicurezza, le
avrebbe strappato anche quella flebile speranza di potersi riprendere
in modo
sano da ciò che aveva passato, che la sua mente impreparata ed
innocente aveva
affrontato nel peggior modo possibile.
Glielo
doveva. Le doveva
almeno quello, dopo tutti quegli anni, dopo…
Ulteriori
movimenti e un
mugugno indefinito lo strapparono al seminterrato di pietra scura e
pieno di
spade e lance usurate, riportandolo alla stanza di legno laccato
immersa nella
pigra luce dorata del tramonto e di una candela.
Si
allontanò dal letto,
assicurandosi che la principessa nohriana potesse vederlo facilmente
nel
momento in cui avrebbe aperto gli occhi, in modo da non sorprenderla: e
così
attese, osservandola sfregarsi il viso con il dorso della mano,
fermandosi per
massaggiarsi debolmente una tempia.
-Ahia…
la testa…-
brontolò mentre, faticosamente, si alzava a sedere, appoggiandosi sulla
mano e
sul gomito. -K_Kaze? Dove sono? Cos’è successo?-
-Piano,
milady. Ecco.-
il Maestro Ninja le si avvicinò lentamente, a passi pesanti, per
risistemarle i
cuscini in modo che potesse appoggiarci la schiena. Ileana rimase
immobile
finché non ebbe finito, rilassandosi soltanto quando lui si allontanò e
sprofondando
pesantemente in quella morbidezza. -Siamo ancora a Suzanoh. Avete
incontrato la
Regina di Hoshido poche ore fa.-
Ileana
lo fissò come se
gli fossero spuntati dei radicchi tra i capelli.
-La
Regina di__- esalò,
incredula, prima che i suoi occhi cominciassero a riempirsi di ricordi,
consapevolezza e orrore. -Oh. Giusto.-
Kaze
si voltò, dedicando
ostinatamente la propria attenzione ad una teiera, dandole le spalle in
modo
che potesse richiamare alla mente tutto ciò che era successo quel
giorno quanto
più privatamente possibile: forse quel sonno indotto dalle erbe
officinali era
stato una benedizione, forse le aveva permesso di dimenticare per
qualche ora
il tormento che aveva subito, le mani che l'avevano minacciata, gli
occhi che
l'avrebbero inseguita per chissà quanto tempo a venire…
Quando
tornò da lei, lo
fece con una tazza fumante tra le mani.
-Questo
dovrebbe aiutare
con il mal di testa.- le spiegò, porgendole il recipiente con cautela,
prestando attenzione quando lei vi chiuse dubbiosamente attorno le dita.
Ileana
soppesò la tazza
per qualche istante, annusandone il contenuto con un'espressione
diffidente –
ma Kaze non poté fare a meno di sentire il cuore alleggerirsi un poco
quando,
infine, prese un sorso, rassicurata da un suo lieve sorriso.
Quello
era un buon segno.
Rimasero
in silenzio a
lungo, mentre Ileana sorseggiava lentamente la tisana che le aveva
preparato e
si guardava attorno, chiaramente confusa da un ambiente che doveva
apparirle
tanto alieno quanto a lui, tanti anni prima, era sembrata Cheve, con
tutta
quella pietra, quelle piante che non conosceva, quella penombra
crepuscolare a
cui i suoi occhi avevano faticato ad abituarsi.
Distolse
lo sguardo, il
cuore che doleva nel rammentare la bambina esuberante che invece aveva
amato il
Sole, che aveva guardato giocare nei prati sconfinati di Shirasagi
assieme alle
principesse e al più giovane dei principi e imparare da sua madre ad
intrecciare i fiori in infinite catenelle variopinte.
Erano
passati tanti
anni, ma lui non avrebbe mai dimenticato – non avrebbe mai potuto,
adesso più
che mai; se Ileana si trovava in quella situazione, confusa e sconvolta
e
chiaramente a disagio in un mondo che non le apparteneva più da molto
tempo,
era soltanto perché lui non era stato abbastanza forte per opporsi alle
scelte
di suo fratello.
Il
fruscio delicato
della porta che scorreva lo distolse dal suo tormento, spingendolo ad
alzare
gli occhi per accogliere con uno sguardo assente l'arrivo di una Zoe
che, come
lui aveva fatto poco prima, si prese tutto il tempo per segnalare la
propria
presenza ad Ileana, entrando nella stanza con un passo pesante che non
le
apparteneva ma con un sorriso luminoso sulle guance arrossate che,
tuttavia, si
smorzò impercettibilmente quando Ileana alzò lo sguardo su di lei.
-Ah,
siete sveglia.-
mormorò, avvicinandosi cautamente al letto quando la principessa non
diede
alcun segno di fastidio nei confronti della sua presenza, limitandosi
ad
osservarla da dietro il bordo della tazza con la stessa espressione
perplessa
con cui aveva soppesato Kaze.
-Come
state,
principessa?- le domandò, piano, lisciando inconsciamente una piega
inesistente
fra le coperte in punta di dita.
-Zoe.-
sussurrò Ileana,
piano, e Kaze per un istante si domandò se anche Zoe provasse lo stesso
sconcerto che percepiva lui, se anche lei si fosse accorta di quanto
Ileana
pronunciasse il suo nome nello stesso modo in cui lo aveva articolato
da
bambina e provasse una fitta al cuore nel ricordarla. -Sono… sveglia.-
Zoe
le sorrise di nuovo,
incoraggiante e gentile come era stata sin dal primo momento, con lei,
e
persino Kaze percepì la morsa che gli toglieva il fiato da giorni
allentarsi un
poco: era così maledettamente grato che lei fosse lì, che la Regina
avesse
deciso di portarla con sé per incontrare Ileana… non osava nemmeno
immaginare
cosa sarebbe successo se Zoe non fosse stata presente, quel giorno:
l'influenza
che non sapeva di avere sull'intera famiglia reale aveva,
probabilmente,
scongiurato il peggio, ponendo un freno alla pazzia che sembrava aver
preso possesso
di una buona parte di loro.
-Zoe.-
la chiamò, piano,
e lei si voltò immediatamente, raddrizzando le spalle e le orecchie e
chinando
rapidamente la testa in segno di rispetto.
Era
troppo facile
dimenticare chi Zoe era davvero.
Era
così abituato a
vederla come una sua pari – un'amica,
una guerriera, una guardia reale
– che rammentare a se stesso quell'identità così gelosamente
protetta per tanto tempo era progressivamente diventato sempre più
arduo,
mentre gli anni passavano e la speranza di ritrovare Ileana si
assottigliava:
era così semplice guardarle entrambe e dimenticare quale, fra loro,
avrebbe
dovuto essere la sua priorità, la sua protetta, la sua principessa…
-Tutto
regolare, niente
da riferire.- riportò, probabilmente attenta a non dilungarsi in troppe
spiegazioni che avrebbero potuto allarmare Ileana, ma il suo sguardo
scarlatto
dardeggiò per un istante verso la porta. -Ma abbiamo un ospite che temo
proprio
non si possa ignorare.- aggiunse, piano, e qualcosa di familiare nella
sua voce
gli suggerì immediatamente l'identità di quel visitatore sgradito.
Kaze
s'incupì, ma la sua
frustrazione si mostrò soltanto nella stretta improvvisa in cui serrò i
pugni.
Che
cosa volevano,
adesso, da Ileana?
Non
avevano forse già
fatto abbastanza per quel giorno – rovesciando sulle spalle di una
povera
innocente quella mezza verità che si era dimostrata troppo grande per
lei, che
Ileana non era riuscita a sopportare, che aveva spezzato qualcosa sul
fondo dei
suoi occhi verdi?
Purtroppo,
però, non
ebbe il tempo di pensare ad un modo per impedire a lord Ryoma di
entrare: con
molta meno delicatezza di quella che aveva usato Zoe e senza nemmeno
attendere
di essere annunciato, l'Alto Principe di Hoshido aprì la porta,
apparendo sulla
soglia con quella sua figura imponente che, nonostante non indossasse
la sua
caratteristica armatura scarlatta, sembrò riempire l'intera stanza.
Al
di là della spalla di
Zoe, Kaze scorse il viso smunto di Ileana perdere quel poco di colore
che
sembrava aver riguadagnato dopo il meritato, seppur breve riposo.
-Se
non è di troppo
disturbo, ovviamente.-
Ryoma,
ignaro della
reazione che aveva causato, si aggiunse alle parole di Zoe, che rivolse
a Kaze
un'espressione contrita e dispiaciuta che, ai suoi occhi, sembrò
volergli
sussurrare "io
gli avevo detto di aspettare".
Per
un terribile istante
il Maestro Ninja si ritrovò sul punto di rispondere che sì,
era troppo, era
davvero troppo imporre nuovamente la propria presenza ad una ragazza
provata
quanto Ileana… ma chiuse gli occhi, lasciando che quella risposta
tagliente
sprofondasse dietro la sua espressione imperturbabile assieme a tutto
ciò che
aveva dovuto respingere nel corso di quegli ultimi, maledetti giorni.
-Non
ho alcuna
intenzione di infastidirti, Ileana.- si scusò, Ryoma, in un tono
sorprendentemente
gentile, ma Ileana sobbalzò come se avesse ricevuto un insulto e serrò
le dita
sulla tazza con tanta forza che Kaze scorse i suoi polpastrelli sottili
farsi
lividi.
-Principe
Ryoma.-
sussurrò, distogliendo lo sguardo, spostandolo rapidamente su Zoe e
tendendo le
mani verso di lei, consegnandole il recipiente per poi scostare con un
gesto
quasi frenetico le coperte sotto cui era rimasta arrotolata per tutto
il
pomeriggio. -Io__- cominciò, sforzandosi di alzarsi in piedi – troppo
velocemente, troppo impaziente di non mostrare a quello che sicuramente
vedeva
ancora come un nemico una qualsiasi debolezza; e Kaze vide le sue
ginocchia
cedere, i suoi occhi farsi vacui per un istante, la sua testardaggine
cedere
sotto il peso della fragilità che aveva preso possesso di lei.
Prima
di rendersene
conto, prim'ancora di accorgersene lui stesso, si ritrovò al suo fianco.
Si
trattenne
dall'allungare le braccia per sostenerla, per aiutarla, lasciando che
Ileana si
aggrappasse al letto e si rimettesse in piedi da sola, dando prova di
quella
tempra d’animo che Kaze aveva potuto scorgere durante quegli
interminabili
giorni di prigionia, che l’aveva mantenuta viva e che, nonostante
tutto,
l’aveva salvata.
-Avresti
dovuto
aspettare, sai?- sbottò invece Zoe, scoccando al principe
un'occhiataccia a cui
lui rispose scrollando semplicemente le spalle, distogliendo lo sguardo
dalla
Samurai per spostarlo nuovamente sulla Principessa di Nohr.
-Mi
dispiace. Non avevo
alcuna intenzione di spaventarti.- si scusò, chinando la testa ed
accennando un
sorriso conciliante, ma Kaze colse perfettamente il baluginio gelido in
quegli
occhi calcolatori.
Lord
Ryoma non era
soltanto un Principe né, tantomeno, soltanto un guerriero: era anche
uno dei
più abili politici che Kaze avesse mai avuto occasione di vedere
all'opera, ed
era chiaro quanto l'evidente debolezza della Principessa nohriana
avesse
destato la sua attenzione, andando certamente ad incastrarsi in una
delle tante
trame che poteva quasi scorgere intrecciarsi al di là della sua
espressione
controllata.
Lanciò
una rapida
occhiata a Zoe, sollevato dalla smorfia corrucciata che trovò sul suo
viso.
Nonostante la sua adorazione nei confronti del principe fosse in grado
di
accecarla, a volte, era stata comunque capace di notare quel freddo
lampo di
consapevolezza… ed era qualcosa che Kaze avrebbe potuto usare, in quel
momento,
perché Zoe era la migliore – l’unica
– possibilità che aveva
per proteggere Ileana.
Ileana
serrò i pugni,
chiudendo gli occhi per qualche attimo – per
recuperare il suo contegno? Per prepararsi a chissà quale
altro orrore in serbo per lei? –
prima di raddrizzare le spalle, intrecciare le mani dietro la
schiena e fronteggiare quell’uomo che doveva apparirle come una
terribile,
spaventosa incognita.
-Non
c'è alcun bisogno
di scuse, principe Ryoma.- riuscì ad affermare, in quel tono così
educato e
compito che poteva appartenere soltanto a qualcuno cresciuto dalla
nobiltà. -In
cosa posso aiutarla?- aggiunse, ed il ninja scorse la sorpresa minare
per un
istante la tranquillità apparente sul volto del principe in risposta a
quell'educata freddezza – e nascose un sorriso, con la scusa di
avvicinarsi a
Zoe per prenderle la tazza fra le mani e riporla.
-Volevo
soltanto
assicurarmi che tu stessi meglio, e informarti che abbiamo deciso di
partire
alla volta di Shirasagi domattina. È accettabile, per te?- domandò, e
Kaze
dovette impedirsi di alzare gli occhi verso il soffitto, perfettamente
conscio
di quanto quella domanda fosse soltanto un ipocrita tentativo di dare
ad Ileana
una parvenza di scelta.
Ileana
non aveva alcuna
scelta.
Il
ninja distolse
rapidamente lo sguardo, serrando le labbra per trattenere la risposta
mordace e
tagliente che non poteva assolutamente permettersi di dare al futuro Re
di
Hoshido.
Ileana
serrò le labbra,
concedendosi un istante di debolezza per abbassare lo sguardo e
prendere un
respiro tremolante, insicuro.
-D-Di
già?- mormorò,
sobbalzando impercettibilmente quando Ryoma annuì.
-Sì.
Suzanoh è un
avamposto militare e non è attrezzato per ospitare un gran numero di
persone,
nonostante le dimensioni.- le spiegò, incrociando le braccia e
distogliendo lo
sguardo dalla ragazza per qualche attimo. -E la Regina ha pensato che
sarebbe
stato meglio, per te, non rimanere in questo posto, dopo tutto ciò che
è
successo nei giorni scorsi.- aggiunse, ed il tono gentile della sua
voce
profonda, per un istante, parve davvero sincero.
-Oh.-
Ileana
si voltò,
scambiando un'occhiata confusa prima con Kaze e poi con Zoe, cercando
forse sui
loro volti una qualche conferma alle parole del Principe; Kaze non si
mosse,
non osando muovere un muscolo nel timore che i suoi pensieri potessero
trapelare dalla sua non così solida maschera, ma Zoe annuì: quelle
erano
effettivamente parole che la Regina poteva aver pronunciato, ed Ileana,
rassicurata dal suo sorriso incoraggiante, sospirò, crollando
nuovamente a
sedere sul letto.
-Certo.-
sussurrò,
passandosi le dita fra i capelli spettinati un paio di volte prima di
alzare
nuovamente lo sguardo su Ryoma. -È… gentile da parte sua.-
Fu
Kaze, stavolta, a
dover distogliere lo sguardo, incapace di sopportare oltre la
confusione e
l'incertezza che distorcevano quel volto altrimenti elegante.
Chissà
a cosa stava
pensando.
Chissà
come, nella sua
mente spossata, la rivelazione di lady Mikoto era andata ad
incastrarsi, se aveva
creduto alle parole della Regina, se aveva pensato anche per un solo
istante a
lei come madre…
-La
Regina vorrebbe
soltanto aiutarti a superare questa orribile esperienza.-
Suo
malgrado, Kaze si
ritrovò a credere a quelle parole, nonostante la smorfia scettica di
Ileana.
Aveva
servito lady
Mikoto per così tanti anni da aver imparato, ormai, a conoscerla:
sapeva bene
quanto tutte quelle bugie, quei segreti e quel dolore avessero piegato
l’animo
e tormentato ogni giorno della vita di quella che spesso aveva sentito
definire
la
Regina triste:
come poteva, in fondo, essere adirato nei suoi confronti?
Lady
Mikoto era stata
precipitosa, certo: non si era data il tempo di capire la situazione,
lasciando
che le emozioni prevalessero sul buonsenso che l'aveva resa una
regnante tanto
amata, ma aveva atteso così a lungo il ritorno di Ileana, aveva versato
così
tante lacrime… fra tutti, Kaze dovette ammettere con se stesso che lei
era
l'unica a non meritare nient'altro che la sua compassione.
-E
vorrei porgerti le
mie scuse a mia volta.-
Tanto
Ileana quanto Kaze
sgranarono gli occhi, meravigliati, ma il ninja colse con la coda
dell’occhio
il viso di Zoe incupirsi – e
quello non era affatto un buon segno
– alle parole inaspettate di lord Ryoma; Ileana aggrottò le
sopracciglia, senza comprendere, fissandolo con uno sguardo assente ed
alquanto
scombussolato.
-…scuse?-
Anche
Kaze si volse,
perplesso da quell’affermazione che non aveva previsto: il Principe di
Hoshido
aveva intrecciato le mani dietro la schiena e guardava oltre i vetri
chiusi
della finestra, al di là delle persiane lasciate a metà, concentrato su
chissà
quali pensieri, scuro ed imperscrutabile in volto come Kaze aveva visto
soltanto uomini molto più vecchi di lui.
-Mio
fratello ha
disonorato il suo nome, quello di mia madre e il mio con il suo
comportamento
inaccettabile.- commentò, con un tono di voce più aspro di quello che
Kaze era
abituato a sentire, ed immediatamente comprese il motivo del repentino
cambiamento d’espressione di Zoe.
Takumi
era l’ultimo
argomento che Ileana avrebbe dovuto sentire.
-Non
sarà dimenticato,
né facilmente perdonato.-
Il
Maestro Ninja
digrignò i denti, serrando le dita fra i cuscini che aveva finto di
sistemare
fino a quel momento, scorgendo il poco colore rimasto sul volto di
Ileana
svanire in un soffio.
Avrebbe
voluto
concedersi il lusso di considerare le parole di lord Ryoma, per quanto
inopportune, un gesto amichevole, un tentativo di apertura verso quella
povera
creatura spaventata di nome Ileana; avrebbe desiderato ardentemente
illudersi e
cullarsi in quella verità, Kaze, ma una parte di lui – quella stessa
parte
meschina, calcolatrice e disonorevole che apparteneva ai più oscuri
meandri
della sua mente, quella parte che aveva saputo comprendere le azioni di
suo
fratello tanti anni prima, che non aveva voluto fermarlo – sapeva
che quelle scuse,
seppur apparentemente sincere, erano soltanto un pietoso tentativo di
ripulirsi
la coscienza.
A
lui non era mai importato
di Ileana. A nessuno era mai importato di Ileana.
-Non…-
la voce della
Principessa incespicò, e sotto i propri occhi Kaze vide l’apparente
tranquillità con cui aveva affrontato fino a quel momento quella
conversazione
accartocciarsi, piegata da ricordi ancora troppo vividi e vicini perché
lei
potesse farvi fronte in quello stato – le minacce, il terrore, il
panico folle
che l’aveva animata soltanto poche ore prima…
Doveva
fare qualcosa.
Serrò
i pugni,
distogliendo a fatica l’attenzione da lei per voltarsi verso il
Principe,
cercando di controllare il furibondo ruggito indignato che avvertiva
echeggiargli nel petto.
-Lord
Ryoma, se posso
interrompere…- cominciò, scoprendo nella propria voce un fremito di
rabbia che
aveva sempre pensato di essere abile a celare, ignorando lo sguardo
sorpreso di
Zoe e quello colmo d’incertezza di Ileana.
Ryoma
alzò gli occhi su
di lui, affatto sorpreso dalla sua intromissione, serrando
impercettibilmente
le labbra quando colse l’espressione tutt’altro che pacata con cui il
Maestro
Ninja accolse i suoi freddi occhi verdi.
-Sì,
Kaze?- domandò, e
Kaze comprese perfettamente l’avvertimento nascosto in quella parvenza
di
educazione – ma non poteva più tacere, non poteva più permettere che ad
una
giovane donna che già aveva patito così tanto a causa loro venisse persino
riportato alla mente il
mostro che avrebbe sicuramente popolato i suoi incubi per molto tempo a
venire.
-È
proprio necessario?
Adesso?- sibilò, fallendo miseramente nel tentativo di essere il più
conciliante possibile, quasi percependo il furioso vento che dominava
l’Abisso
sulla pelle quando comprese di ritrovarsi sull’orlo di un baratro che
lui, al
contrario di Zoe, non poteva assolutamente valicare.
Il
Principe, però, parve
più sorpreso che offeso dalla sua intromissione: lanciò un’occhiata ad
Ileana,
chiaramente incapace di scorgere i segni di un imminente attacco di
panico sul
suo volto, prima di tornare a rivolgersi al ninja.
-No,
ma__-
-Ryoma.-
Tanto
il Maestro Ninja
quanto il Principe sussultarono quando, apparentemente dal nulla, Zoe
apparve
in mezzo a loro con le braccia incrociate sotto il seno, le labbra
strette e le
sopracciglia aggrottate, chiaramente spazientita da tutta quella
situazione.
Kaze,
sorpreso, le
lanciò uno sguardo confuso – si
era distratto così tanto da non accorgersi del suo movimento?
–, ma lei scosse la
testa e si voltò per fronteggiare Ryoma.
-Quello
che Kaze
vorrebbe dirti ma è troppo educato per farlo è che devi andartene,
perché non
stai facendo altro che agitare la principessa. Di nuovo.- sbottò,
rivolgendogli
un'occhiata talmente severa che, per un istante, Kaze poté intravvedere
nei
suoi tratti la stessa espressione seccata che Orochi dedicava a tutti
coloro
che avevano l’ardire di infastidirla.
Se
Saizo l'avesse
sentita, in quel momento, avrebbe probabilmente rischiato di morire
soffocato.
Lui,
però, nascose un
sorriso, mentre una repentina gratitudine gli riempiva il petto e
acquietava
momentaneamente il suo turbamento: Zoe era una benedizione e lui non
era mai
stato così fiero di lei, della sua irruenza e di quella bontà d'animo
che era
riuscita a conquistare persino il cuore di pietra del suo fratello
gemello.
Si
era sbagliato,
dovette rimproverarsi,
guardando quella giovane ragazza così inconsapevole e così coraggiosa
ergersi a
difesa della Principessa senza nemmeno un’ombra d’esitazione: lui non
era
l’unico a preoccuparsi per Ileana, in fondo…
Ryoma
sospirò, come
sempre troppo parziale nei confronti di Zoe per riuscire a
rimproverarla,
replicando alla sua affermazione irritata con una semplice scrollata di
spalle
che, tuttavia, Kaze accolse con un sollievo tale da zittire persino
quella
fitta di rimorso che provò quando si scoprì soddisfatto da
quell'ennesima
reazione impulsiva su cui, come su tutte le altre, aveva contato sin
dall'inizio di quella giornata.
…forse
non era così
diverso da suo fratello, dopotutto.
Si
voltò, scacciando
quel pensiero con una facilità che trasudava ormai abitudine,
riportando la
propria attenzione sulla figuretta di Ileana che, dall’angoscia che
poteva
scorgere contorcersi sul fondo dei suoi occhi chiari, sembrava preda di
un
profondo conflitto interiore.
-Aspetta,
io… dovrei…-
balbettò, serrando le coperte nei piccoli pugni pallidi e stringendo
forte le
palpebre prima di farsi forza – per
l’ennesima volta
– e
rivolgersi, nuovamente, al Principe.
-Principe
Ryoma. Anch'io
ho disonorato l'onore della mia famiglia con le mie azioni. Spero che
non
vogliate ritenerli responsabili per il mio comportamento sconsiderato…?-
Kaze
colse fin troppo
bene l’esitazione e l’angoscia che si celavano dietro l’accento pieno e
rigido
della parlata nohriana: c’era disperazione, nelle sue parole educate,
nel modo
in cui lasciò cadere nel vuoto quella domanda che troppo assomigliava
ad una
preghiera, e paura, ed una briciola di quel panico che Kaze, ormai,
conosceva
fin troppo bene.
Nonostante
si fosse
ripromesso di rimanere a debita distanza, di non imporre la sua
presenza come
baluardo di una sicurezza soltanto apparente, non riuscì proprio ad
impedirsi
di muovere qualche passo per accostarsi a lei, trattenendosi a stento
dal
toccarle una spalla, un braccio: Ileana aveva bisogno
di sostegno, di
gentilezza e di comprensione, e di certo non li avrebbe trovati nella
risposta
seccata e tagliente che poteva quasi già sentire nelle orecchie, che
Ryoma
sembrava pronto a sputare.
Ancora
una volta, però,
Kaze si ritrovò ad essere profondamente grato della presenza di Zoe:
con la
coda dell’occhio la scorse inclinare la testa e poté quasi immaginare
l’avvertimento sul suo viso, le sue orecchie appiattirsi ed il rosso
dei suoi
occhi farsi più cupo – e forse parve funzionare, a giudicare dal modo
in cui il
Principe attese qualche attimo prima di rispondere.
-Certo
che no. Non
preoccuparti di questo, Ileana.- affermò, infine, con una cautela che
non gli
si addiceva e che Kaze sapeva di dover attribuire soltanto
all’intromissione
silenziosa di Zoe – avrebbe
davvero dovuto farle i suoi complimenti, più tardi.
La
tensione che aveva
osservato con ansia montare sul volto di Ileana sembrò svanire nel
momento
stesso in cui la Principessa lasciò andare il fiato che non sapeva di
aver
trattenuto, sprofondando stancamente fra i cuscini del letto e
socchiudendo gli
occhi, esausta, permettendo senza nemmeno sussultare che Kaze le
rimboccasse le
coperte intorno alle spalle.
Era
così stanca, povera
piccola.
-Ora,
come questa
esuberante Samurai ha gentilmente suggerito, dovrei davvero andare.-
Il
sollievo che ruggì
nelle sue orecchie a quelle parole fu talmente violento da impedirgli
di udire
la rispostaccia della Samurai in questione: era
ora,
maledizione, era ora
che se ne andasse, che lasciasse a quella ragazza la tranquillità che
meritava
ma che lui ed il resto di quella famiglia sembravano così testardamente
intenzionati a strapparle… ma poi la porta si aprì di scatto, spingendo
tanto
Kaze quanto Zoe a portare una mano alle proprie armi mentre Ileana si
raggomitolava sotto le coperte, spaventata dal rumore improvviso.
-Kaze!-
Kaze
sospirò
pesantemente, esasperato, udendo nel proprio l'eco di un altrettanto
irritato
sbuffo da parte di Zoe, costringendosi ad alzare lo sguardo sulla donna
dai
capelli color indaco che aveva appena deciso di fare irruzione in
quella già
troppo affollata stanzetta.
Orochi
incrociò le
braccia, assottigliando le palpebre e rivolgendosi direttamente a lui,
senza
preoccuparsi minimamente di rivolgere un saluto al Principe o a
chiunque altro.
-Potresti
cortesemente
spiegarmi come mai tutte le erbe che avevo lasciato nelle cucine di
questo
posto sono sparite?- esordì, ignorando spudoratamente lo sguardo
tagliente che
il ninja le rivolse in risposta, la principessa raggomitolata nel letto
e
l’espressione esasperata che invece le scoccò sua figlia.
Ryoma,
invece, si
schiarì la voce, attirando così la sua attenzione e dando
inconsapevolmente a
Kaze il tempo per trovare una scusa da propinarle.
-Oh,
lord Ryoma, salve!
Non l'avevo notata.- squittì lei, piroettando su se stessa per voltarsi
verso
di lui, quel suo diabolico sorriso impresso sulle labbra dipinte.
-Strano,
considerato il fatto che siete grande e grosso anche senza
quell'armatura…-
aggiunse, picchiettandosi l’indice sul mento ed inarcando un
sopracciglio,
perplessa.
-Mamma.-
pigolò Zoe,
chiaramente mortificata dal suo comportamento, nascondendo il viso
dietro una
mano quando Orochi le fece l'occhiolino.
Kaze
sospirò.
-Non
so di cosa tu stia
parlando, Orochi.- affermò, sentendosi sollevato nell’udire nuovamente
la
propria voce calma e controllata. -Non mi sono nemmeno avvicinato alle
cucine.-
aggiunse, sostenendo l’occhiata indagatrice dell’erborista di corte con
uno
sprezzo del pericolo che persino Saizo avrebbe considerato notevole.
Non
era mai stata una
buona idea mentire ad Orochi.
-Oh,
davvero?- sussurrò
infatti lei, tutt’altro che convinta, soppesandolo con quel suo sguardo
pieno
d’incognite che era sempre stato in grado di ridurre a più miti
consigli persino
suo fratello; Kaze però tacque, mantenendosi impassibile, sperando che
Orochi
cogliesse da sola ciò che lui, in quel momento, non poteva
assolutamente
rivelarle.
Era
stato lui a
trafugare quelle erbe, e gli sembrò di poter leggere quella verità
nelle
intense iridi dell’Onmyoji: Orochisapeva,
sapeva perfettamente
che Kaze le stava mentendo, ma__
-Oh,
lord Ryoma, prima
di dimenticarmene. La Regina vi sta cercando.- trillò, voltandosi
nuovamente
verso il Principe con tanta rapidità da sorprendere tanto Kaze quanto
Zoe, che
gli rivolse un’occhiata confusa mentre, avvicinatasi al letto,
mormorava parole
di conforto ad Ileana, che stringeva convulsamente le coperte fra le
mani e
sembrava sull’orlo del pianto.
Lord
Ryoma, per fortuna,
sembrò comprendere la situazione – una
volta tanto,
avrebbe voluto sibilare Kaze –, ed annuì immediatamente.
-Davvero?
Devo proprio
lasciarvi, allora.- affermò, la voce ammorbidita da una flebile traccia
d’ilarità. -Ileana, Zoe, Kaze.- salutò, chinando la testa in segno di
rispetto
in direzione dei tre, ottenendo un breve inchino da parte del ninja e
uno
sbuffo spazientito da Zoe in risposta. -Orochi, cerca di non turbare
troppo la
nostra ospite.- si raccomandò, stringendo brevemente la spalla
dell’Onmyoji con
una mano quando le passò accanto.
-Da
che pulpito.-
mugugnò Zoe, sgranando gli occhi un istante più tardi quando si accorse
di aver
espresso quel pensiero ad alta voce. Orochi ridacchiò e Kaze si
costrinse a
guardare da un’altra parte, faticando più del solito per nascondere un
sorriso
divertito.
Ryoma,
invece, le scoccò
un'occhiata imperscrutabile, ma lei si limitò a stringersi nelle spalle
sotto
quello sguardo che avrebbe intimorito uomini e donne molto più
altolocati e
potenti di lei ma che, per qualche motivo, non era mai stato capace di
fermarla.
-Ehi,
non ho torto.- si
difese, sarcastica, e Ryoma non poté far altro che sbuffare, lasciando
che
quell'ennesima mancanza di rispetto cadesse nel vuoto.
-No,
suppongo di no.-
ammise, scuotendo appena la testa e mormorando un: -Buonanotte.- prima
di
sparire al di là della porta che Orochi aveva lasciato aperta.
-Oh,
finalmente.-
Il
teatrale sospiro di
Orochi sembrò dar voce ai pensieri di tutti i presenti, e Kaze,
inconsciamente,
si rilassò un poco – per appena un istante, tuttavia, perché
l’attenzione
alquanto prepotente dell’Onmyoji tornò immediatamente su di lui,
tutt’altro che
dimentica del motivo per cui era andata a cercarlo.
-Avanti,
parla.- lo
esortò, le parole affettate e pericolose come la lusinga di un
predatore.
-Orochi,
davvero, non so
di cosa tu stia parlando, e__-
-Strano.
La cuoca mi ha
raccontato che tutte le erbe erano al loro posto prima che Hinata
decidesse di
andare a chiedere il bis, dopo cena.- lo interruppe, inarcando un
sopracciglio
e scrutandolo con lo stesso cipiglio altezzoso che, poco prima, Kaze
aveva
scorto sul viso di Zoe. -Ora, devo andare a chiederlo a lui o
preferisci darmi
tu una spiegazione?-
Il
versaccio soffocato
di Zoe, al pensiero di Hinata alle prese con sua madre, sembrò dar voce
allo
sconforto che Kaze sentì piombargli nello stomaco. Non poteva
costringere quel
povero ragazzo a sopportare l’interrogatorio di Orochi… non sarebbe
sopravvissuto nemmeno un minuto.
-Ho
io le tue erbe.-
ammise, esasperato, passandosi stancamente le dita fra i capelli
sottili. -Sono
nella mia stanza.-
-E
le hai prese
perché…?- sbuffò lei, tutt’altro che soddisfatta da quella risposta
laconica,
ma lui scosse la testa.
-Ti
chiedo perdono, non
avevo alcuna intenzione di infastidirti.- si scusò, distogliendo lo
sguardo dagli
occhi indagatori di Orochi per rivolgere un sorriso rassicurante ad
Ileana,
pallida ed assente e palesemente, profondamente esausta, che sembrava
guardarlo
senza vederlo davvero: sembrava sul punto di crollare, stanca com’era…
e
sembrava essersene accorta anche Zoe che, mentre lui si era distratto
per
parlare con Orochi, aveva silenziosamente porto un’altra tisana alla
Principessa, spiegandole a mezza voce che l’avrebbe aiutata a riposare
e
sorridendole gentilmente quando lei aveva bevuto il blando sonnifero
senza
nemmeno una protesta.
Sì,
forse avrebbe potuto
allontanarsi per un po’.
-La
mia pazienza si sta
esaurendo, Kaze.- lo redarguì Orochi, battendo nervosamente il piede un
paio di
volte.
-Andiamo
a recuperare le
tue erbe.- le concesse, infine, alzando lo sguardo su di lei e
sorridendole
debolmente, tentando di sembrare conciliante. -Ti spiegherò tutto.- le
promise,
accennando ad Ileana con un impercettibile cenno della testa.
-Ah,
ma certo.-Orochi
schioccò le labbra, rivolgendo un raggiante sorriso ad Ileanaquando
comprese le
intenzioni del ninja. -Scusa per l'intrusione, principessa! Dormi
bene!- le
augurò, sventolando allegramente una mano in un entusiasta gesto di
saluto a
cui Ileana, confusa, rispose con un flebile “grazie” che Orochi,
avvicinatasi a
Zoe per schioccarle un bacio sulla guancia, probabilmente nemmeno
sentì.
-Buonanotte, micia!- trillò, guadagnandosi una prevedibile occhiataccia
da
parte della figlia.
-Mamma!-
Kaze
socchiuse gli
occhi, l’ombra di un sorriso sulle labbra sottili, rassicurato da
quella
parvenza di normalità che i bisticci di Orochi e Zoe rappresentavano.
Si
accostò al letto, affrontando finalmente quei grandi occhi verdi che
l’avevano
seguito fino a quel momento, cogliendo già un’ombra di
misericordiosasonnolenza
fra i tratti corrugati di quel viso minuto.
-Tornerò
presto,
milady.- le assicurò, a voce bassa, ed il debole cenno affermativo di
Ileana fu
l’ultima cosa che vide prima di voltarsi per seguire Orochi.
Soltanto
quando si
ritrovò nel corridoio semibuio, lontano da quella stanza che si era
fatta
soffocante, si permise di respirare.
Per
ora, per un po’, non
sarebbe più successo niente.
Orochi,
però, gli
concesse soltanto una manciata di secondi per recuperare la calma, per
rimettere ordine fra i propri pensieri e riempirsi il petto con un
profondo,
agognato sospiro: poi schioccò la lingua, impaziente, prendendolo
sottobraccio
e costringendolo a muoversi lungo il corridoio con una determinazione
che –
come sempre – sfociava quasi nella prepotenza.
-Adesso,
se il tuo
odioso fratello o la mia bellissima moglie non sono nei dintorni,
comincia a
spiegarmi cosa ti è venuto in mente.-
Finalmente,
dopo tutta
la tensione delle ore passate, Kaze si permise un sorriso. Fu un
sorriso
stanco, esausto addirittura, ma l’irruenza dell’amica accanto a cui era
cresciuto, che dietro quel pessimo carattere nascondeva un animo molto
più
gentile di quanto chiunque avrebbe potuto intuire, fu un altro
brandello di
familiarità in quella situazione che nulla aveva di conosciuto.
Ad
Orochi non avrebbe
dovuto nascondere nulla: lei era l’unica persona in tutta Hoshido con
cui aveva
sempre potuto essere sincero, a cui aveva potuto rivelare i propri
dubbi, le
proprie incertezze, i propri demoni; parlare con Saizo era sempre stato
fuori
discussione, e persino Kagero non sarebbe mai stata in grado di capirlo
così
come riusciva sempre a fare l’Onmyoji dai capelli color indaco.
Orochi
era l’unica, vera
amica che lui avesse mai avuto.
-Perché
avete dovuto nascondere le erbe?-lo
incalzò lei, ignara dei suoi pensieri, del profondo senso di affetto e
di
gratitudine che Kaze sentì riscaldare i suoi muscoli intirizziti dal
freddo e
la sua gola riarsa dai continui silenzi.
-Dopo
l'Abisso, la situazione fra lord Takumi e la Principessa ha reso
impossibile il
continuare la marcia assieme all'intero distaccamento.- mormorò, e
quelle
parole bruciarono sulle labbra come pece bollentetanto fu difficile
pronunciarle:una parte di lui avrebbe preferito tenere per sé
l'orribile
comportamento a cui aveva dovuto assistere, proteggendo così l'onore ed
il
decoro della famiglia reale, ma…
Era
così stanco di rimanere in silenzio.
-Hinata
lo ha convinto a mandarci avanti assieme a lei, per impedire che le
succedesse
qualcosa di irreparabile, assieme ad Oboro e ad una lettera per il
comandante
di questa guarnigione.-
Orochi
sventolò una mano, impaziente, invitandolo a proseguire.
-Il
principe ha dettato ordini molto precisi… e molto duri.-
Ordini
che avevano rischiato di peggiorare unasituazione già sull'orlo del
precipizio.
-Nessuno
di noi ha potuto opporsi ad ordini del genere. Reina avrebbe potuto,
forse,
ma…-
La
voce di Kaze si perse, rincorrendo i se e i ma che lo avevano
perseguitato
durante le interminabili notti trascorse nelle prigioni, a vegliare
sulla
Principessa.
Se
Reina fosse rimasta, se a Zoe fosse stato permesso di accompagnare
Takumi in
quella spedizione, se fosse stata lady Hinokaad assumersi la
responsabilità
della ricognizione sull'Abisso e non l'irrequieto, giovane principe
impaziente
di dimostrare il proprio valore – e quale valore, poi, aveva dimostrato…
-Quando
il comandante ha letto quella lettera, deve aver pensato a chissà quale
mostro
sotto le spoglie di una ragazzina.- sibilò, con più veemenza di quanta
avrebbe
desiderato lasciar trapelare.
-Posso
soltanto immaginare.- sospirò, Orochi, meditabonda, arrotolandosi
distrattamente una ciocca dei suoi lunghi capelli fra le dita
inanellate.
-Reina ha parlato con lui quando siamo arrivati, ma io non ero
presente. Che
cosa voleva fare? Voleva drogarla?-
Kaze
annuì.
-Sì.Voleva
tenere sotto controllo la temibile Maga nohriana che lord Takumi ha
sicuramente
descritto come la fonte di ogni male di Euanthe.-
Orochi
sbuffò, forse divertita dal sarcasmo chiaramente percepibile nelle
parole
dell'amico, ma lui scosse la testa: non avrebbe mai voluto esprimersi
in quel
modo, avrebbe disperatamente preferito riuscire a mantenersi neutrale,
a non
lasciare che l'ira che provava nei confronti di ciò che il principe
aveva fatto
soverchiasse il suo autocontrollo, ma…
-Quindi
è per questo che avete sostituito le mie preziose erbe con delle
spezie.-Orochigiocherellò con l'orlo della sua manica, picchiettando
distrattamente le dita sulle lame affilate che portava agli avambracci.
-Quella
povera ragazza non ne sarebbe uscita viva, l'erborista di questo posto
è tutto
fuorché competente e avrebbe sicuramente fatto dei danni.- rifletté, e
Kaze,
rincuorato dalla sua comprensione, le racchiuse lievemente una mano
nella
propria forse per cercare, in quel tocco leggero, un po' di conforto.
-Ho
avuto lo stesso timore.- confermò, la familiare stretta alla bocca
dello
stomaco che tornava a farsi viva. -Inoltre, lasciare una nohriana
drogata nella
cella di un posto pieno di soldati pieni di risentimento non sarebbe
stato
saggio.-
Lui
li aveva visti, quegli sguardi.
Aveva
visto il modo in cui i loro occhi avidi avevano divorato la figuretta
elegante
e troppo poco vestita della Principessa, aveva udito i loro orrendi,
disgustosi
commenti, le loro congetture, i loro piani ributtanti su come avrebbero
potuto
insegnare ad una reale a piegarsi a loro…
-Ho…
mi sono assicurato che sapessero che io ero lì.-
Nel
buio, nell'oscurità, Kaze aveva celato la propria presenza ma non il
suo
sguardo, il sibilo impercettibile dell'acciaio, la promessa
agghiacciante che
rappresentava per coloro che avevano tentato di concretizzare quelle
promesse a
spese di Ileana.
-Non
possono provarlo, non mi sono mai mostrato, ma sapevano.-
Kaze
abbassò lo sguardo, furioso con se stesso e con il mondo intero,
frustrato
dalle misure odiose che aveva dovuto prendere: era qualcosa di
inconcepibile,
per lui, cresciuto dal rigoretalvolta spietato ma sempre ligio ai
propri
principi di Igasato…e, sebbene conoscesse anche troppo bene le
nefandezze di
cui erano capaci gli esseri umani –aveva
visto troppo,
affrontato troppo, per non saperlo
– non sarebbe mai
riuscito ad accettare davvero che qualcosa del genere venisse
perpetrato.
Soprattutto
ai danni di un'innocente.
-Hinata
mi ha coperto, e persino Oboro, con mia sorpresa.- aggiunse,
rammentando gli
occhi cerchiati dalla stanchezza e dall'inquietudine di Oboro, la
temibile smorfia
incattivita che aveva rivolto ad alcuni soldati che avevano avuto la
pessima
idea di farsi sentire da lei.
Non
aveva capito il perché di quell'improvvisa presa di posizione: Oboro
era stata
a dir poco sprezzante, nei confronti della Principessa, ma le minacce
sussurrate nei corridoi sempre bui di Suzanoh sembravano averla spinta
a
superare momentaneamente il suo astio nei confronti di tutto ciò che
riguardava
Nohr…
-Non
è qualcosa che una donna è capace di lasciar succedere, Kaze.- sembrò
rispondergli, Orochi, con un tono di voce che improvvisamente sembrava
aver
perso quel fondo di giocosità che la caratterizzava persino nei momenti
più
bui, ma Kaze non se ne sorprese: rammentava perfettamentegli assassini
che
avevano tentato di introdursi nel castello di Shirasagi anni prima e
che
Orochi, avendoli scorti nelle carte, aveva tentato di fermare da sola…
era
stata Zoe, attirata dal suono dello scontro e dalle urla di sua madre,
ad
intervenire prima che succedesse qualcosa di irreparabile, ma Kaze non
avrebbe
dimenticato facilmente i vestiti strappati di Orochi e l'orrore che
aveva
scorto nei suoi occhi quando era accorso sul posto.
Tacquero,
camminando in silenzio per una manciata di minuti in cui, Kaze ne era
certo, i
pensieri di Orochi erano tornati almeno quanto i suoi a quella notte di
tanti
anni prima, a quanto tempo aveva impiegato l'Onmyoji a riprendersi dopo
quella
brutta esperienza… come avrebbe potuto, Ileana, sopportare qualcosa la
cui sola
prospettiva aveva rischiato di spezzare una persona molto più adulta e
preparata di lei? Come avrebbe potuto, lui, permettere a quei vili,
spregevoli
esseri di abusare di qualcuno che aveva affrontato già troppo?
-Hai
fatto il possibile per quella ragazza, e anche l'impossibile.- esordì,
all’improvviso, Orochi, sorprendendolo abbastanza da spingerlo a
voltarsi per
lanciarle un’occhiata angosciata.
No
che non aveva fatto abbastanza.
Kaze
avvertì i denti stridere e quel dolore sordo sembrò echeggiare nella
sua mente,
nel suo petto, rimescolando tutte quelle parole che non aveva potuto
dire,
quella furia che aveva imbrigliato così strettamente e che adesso
sembrò
risvegliarsi tutto ad un tratto, pungolata dall’ormai onnipresente
frustrazione
che provava.
-Andare
contro quel piccolo principe è stato pericoloso.- aggiunse lei – e
quella fu la
proverbiale, fatale ultima goccia che distrusse tutto ciò con cui Kaze
aveva
tentato di acquietare la sua ira.
-Perché
quel principe non sa pensare ad altro che alla sua paura di
Nohr!-ringhiò,
serrando le dita fra quelle di Orochi.
Paura.
Era
tutto lì il problema.
La
paura di Takumi aveva preso il sopravvento sul suo buonsenso, sul suo
decoro,
sulla sua decenza, esattamente come la paura di Ileana aveva
soverchiato la sua
razionalità, trasformandola in una creaturina spaventata e feroce che
avrebbe
lottato con le unghie e con i denti contro ogni singolo sforzo che lui
avrebbe
potuto fare di lì in avanti.
Paura.
Anche
lui aveva avuto paura, tanti anni prima. Aveva avuto così tanta paura
che
ancora si svegliava, di notte, madido di sudore persino in pieno
inverno,
terrorizzato all’idea di che cosa era stato capace di fare, di
permettere, gli
occhi verdi di quella bambina innocente mandata a morire a causa della
sua
inerzia ancora così vividi nella memoria…
Si
passò la mano libera fra i capelli, lasciandosi sfuggire un breve
rantolo
angosciato, tormentato.
-Non…
non potevo, Orochi. Non potevo lasciare che le succedesse nient'altro.
Non
posso.-
No,
non poteva.
Non
avrebbe più nemmeno potuto guardarsi allo specchio se lo avesse fatto.
Non
avrebbe potuto vivere con se stesso, non più, se ad Ileana fosse
successo
qualcos’altro perché lui non era stato capace di fermare tutto.
Orochi,
tutt’altro che sorpresa da quell’esplosione che così poco si addiceva
al suo
carattere così tranquillo, scosse la testa.
-Non
l'hai fatto, e non lo farai.-mormorò, inclinando la testa per
dedicargli
un’occhiata affettuosa, gentile, comprensiva
–
quante volte aveva ascoltato quelle parole, quante volte aveva offerto
conforto
a quelle confessioni strozzate che Kaze non si era mai permesso con
nessun
altro… -Non hai fatto tu quella scelta, Kaze. Non puoi continuare a
torturarti
in questo modo.-
Kaze
chiuse gli occhi, spezzando bruscamente ogni contatto fisico con lei e
muovendo
un passo avanti per aprire la porta della propria stanza.
-Una
ragazza innocente sta pagando un prezzo che le è stato imposto a causa
mia.-
Orochi
sbuffò, spazientita.
-Adesso
stanno parlando la tua rabbia e il tuo senso di colpa. Non sei lucido.-
lo
rimbrottò, incrociando le braccia, ma Kaze le diede le spalle ed entrò
per
primo, dirigendosi verso il baule in cui aveva nascosto le piante
officinali
che aveva sottratto dalle cucine mentre Hinata distraeva la cuoca con
le sue
chiacchiere. -Come pensi di poterla aiutare in questo stato?-
Fingendo
di non averla sentita, Kaze agguantò la borsa di fialette e tornò
dall’amica,
evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.
-Ecco
le tue erbe.-
Un
improvviso dolore al viso lo riscosse, costringendolo a riportare
l’attenzione
sull’Onmyoji: Orochi gli aveva pizzicato la guancia con abbastanza
forza da,
probabilmente, lasciargli un segno, ed ora lo stava fissando con la
stessa
smorfia disgustata che, solitamente, dedicava a Saizo.
-Non
provarci nemmeno, mio adorabile Kaze.- lo avvertì, ma lui – ancora una
volta –
non diede peso alla sua velata minaccia.
-Non
posso scusarmi per averle prese, ma sono dispiaciuto per averti
irritata.-
continuò, scostandosi rapidamente per evitare un secondo pizzicotto.
-Sarà
molto più salutare per te se smetterai di comportarti in questo modo adesso,
o
mi costringerai a fare qualcosa di molto disdicevole a questa testa
così
carina.- soffiò lei, irritata, alzandosi sulle punte dei piedi per
picchiettare
un dito sulla sua fronte. -O preferisci continuare a comportarti come
tuo
fratello? Perché, sai, è proprio quello che stai facendo adesso.-
aggiunse,
strappandogli un mezzo sorriso intriso di tristezza.
-Ti
sorprende così tanto?-
Orochi
scosse la testa, piccata. -No, ma è davvero irritante.- replicò,
serrando le
mani sui fianchi e scrutandolo con quel cipiglio severo che Kaze le
aveva visto
usare con una Zoe adolescente e con un Saizo non così tanto adolescente
ben più
di una volta. -Allora, devo legarti per impedirti di sparire nel nulla
o mi
farai la cortesia di ascoltarmi?-
Kaze
aggrottò le sopracciglia, perplesso e, a dirla tutta, un po' intimidito
dalla
serietà nella voce dell'amica.
-…perché
ho l'impressione che tu lo abbia già fatto prima?- si arrischiò a
domandare, ma
Orochi ammiccò, divertita.
-Una
donna deve diventare creativa quando ha una ninja come moglie.-
Kaze
impiegò soltanto un secondo più del solito per comprendere
quell'allusione ma,
nel momento in cui la sua mente gli fornì un alquanto colorito esempio
di cosa
Orochi avesse voluto intendere, sentì un improvviso calore allargarsi
dal
colletto della tunica fino alle guance. -C-Certo.- balbettò, scuotendo
rapidamente la testa per cercare di scacciare quel pensiero prima che
il suo
imbarazzo diventasse ancor più evidente. -N-Non intendevo…-
Orochi
si lasciò sfuggire una risata piena, trillante, quel tipo di risata che
riusciva
sempre a rasserenare l'animo di chi le era accanto.
-Ecco
il Kaze che conosco, finalmente.- miagolò, soddisfatta, avvicinandosi
al ninja
per posare le mani sottili e curate sulle sue guance, costringendolo a
sostenere la fermezza nei suoi grandi occhi violetti. -Ascoltami bene.
Hai
passato gli ultimi quattordici anni flagellandoti per il destino di
quella
ragazza, ma non mi sembra proprio che abbia avuto una brutta vita. È
stata
cresciuta come una principessa, dopotutto, e mi sembra anche che si
siano presi
decisamente cura di lei.-
Kaze
sospirò, per l'ennesima volta, sentendo l'atroce bisogno
di
credere alle parole di Orochi cozzare contro la cocente verità a cui
era stato
costretto ad assistere.
-Come
puoi esserne tanto certa?- mormorò, rammentando l'assoluta mancanza di
preparazione di Ileana: come poteva, una famiglia – la
famiglia reale di Nohr, nientemeno
–, aver gettato una
figlia, una sorella, nelle mani di un nemico di cui non sapeva nulla e
senza
nemmeno avere la decenza di spiegarle che cosa sarebbe potuto
succedere, come
avrebbe dovuto comportarsi?
-Eri
lì quando ha parlato del principe di Nohr.- gli rammentò Orochi,
scostando con
affetto una ciocca dei suoi sottili capelli verdi e raccogliendogliela
dietro
l'orecchio, come faceva sempre per rassicurare anche sua figlia.
-Quella voce e
quegli occhi erano quelli di qualcuno che sa cosa significa essere
profondamente amato.-
Sì,
dovette ammettere Kaze. Sì, il modo in cui Ileana aveva accennato al
principe
Xander gli aveva stretto il cuore, tanto era l'affetto e la
disperazione che
aveva udito intrisi nelle sue parole gonfie di pianto.
-Chiamalo
istinto materno, se vuoi, ma sono certa che sia così.-
Oh,
avrebbe dato qualunque cosa per cullarsi nelle sue parole, per
illudersi che
quella fosse la realtà… ma non poteva, ed Orochi sospirò, forse
leggendo sul
suo volto contratto la sfiducia e la rassegnazione che Kaze sentiva
rimestare
nel petto, nello stomaco.
-O,
visto che non hai intenzione di credere alle parole della saggia
Orochi, pensa
ai suoi bei vestiti pregiati o al modo in cui si muove e in cui parla.-
esclamò, alzando lo sguardo verso il soffitto per un istante e
mormorando
qualche parola che ricordava molto un "Hotoke,
dammi la forza
di sopportare questi ninja"
prima di tornare a lui. -Quella
ragazza è una principessa in tutto fuorché nel sangue, Kaze.- affermò,
e sì, in
quello Kaze poteva credere, quella era una verità che poteva accettare,
con cui
avrebbe potuto lavorare per offrire ad Ileana tutto il sostegno di cui
era in
grado.
Piegò
le labbra in un sorriso lieve ma sincero, posando le mani su quelle
dell'amica
per scostarle dal proprio volto, ignorando la sgradevole sensazione di
vuoto
che provò nel separarsi da quel tocco pieno d'affetto.
-Grazie,
Orochi.- mormorò, allontanandosi di un passo, ma lei rise.
-Oh,
non ringraziarmi. Hai ancora un debito con me.- gli ricordò, sollevando
il
sacchetto pieno di erbe officinali ed inarcando un sopracciglio,
rammentandogli
quanto quel furto, sebbene commesso per nobili motivi, non sarebbe
stato
dimenticato.
Il
ninja, perfettamente conscio di quanto quel debito si sarebbe protratto
per
anni ed anni a venire, soffocò un gemito sconsolato.
-Come
dimenticarlo.-
§
Finalmente,
dopo tutto quel tempo trascorso nel verde intenso della foresta, quel
penoso
viaggio stava per avere fine.
Zoe
passò distrattamente le dita fra le folte, soffici penne del collo di
Katsu,
sentendo il sommesso gemito di approvazione del kinshi riverberare fra
le dita.
Sorrise appena, intenerita, stringendo le ginocchia e tirando
gentilmente le
redini verso un lato per farlo abbassare di quota.
Era
stata Reina a proporle di farsi un volo, forse notando la sua
espressione
insofferente od il silenzio pressante che sembrava essere calato su
tutto il
convoglio e che, a giudicare dalle espressioni contratte di tutti, notò
Zoe,
sembrava non essersi smorzato nemmeno in sua assenza.
Avevano
raggiunto l’inizio della strada che li avrebbe condotti nuovamente a
Shirasagi,
dove avevano lasciato la carrozza su cui viaggiava la Regina al loro
arrivo –
sarebbe stato impossibile attraversare la foresta con quella stupida
baracca
guidata dai Marionettisti, rifletté Zoe, lanciando un’occhiata
diffidente alla
portantina meccanica su cui Mikoto, apparentemente immersa in una
profonda
meditazione, sedeva fra decine di cuscini colorati.
Ryoma
camminava accanto alla vettura della Regina, impegnato a discutere di
chissà
cosa con Reina ed Orochi; Takumi, invece, procedeva dall’altro lato
rispetto al
fratello, silenzioso e cupo in volto come Zoe lo aveva visto ben poche
volte
nella sua vita, seguito a poca distanza da Oboro e da Hinata.
Saizo
e Kagero, invece, non erano in vista, ma Zoe non se ne sorprese: Kagero
era
sicuramente andata avanti per assicurarsi che il percorso fosse sicuro,
ora che
la foresta era ormai rimasta alle loro spalle, mentre Saizo era più
indietro,
celato allo sguardo dei più a poca distanza da dove Kaze camminava
accanto alla
Principessa di Nohr.
Zoe
spinse Katsu a scendere ancora, cogliendo l’espressione contratta di
Ileana
anche da lontano: la Principessa continuava a guardarsi intorno,
guardinga,
come se potesse percepire la presenza di qualcuno di invisibile che la
seguiva
– perché era effettivamente quello che Saizo stava facendo, chissà se
per
ordine di Ryoma o per sua personale iniziativa: sin da quando erano
partiti, il
giorno prima, Zoe lo aveva scorto sempre nei paraggi della ragazza
nohriana,
nascosto eppure incapace di sfuggire allo sguardo della sua deshi.
Forse
Ileana se n’era accorta o, comunque, capiva che qualcosa non andava:
sembrava
un gatto sul punto di scappare a nascondersi, tesa come appariva
persino da
lassù – e nessuno meglio di lei sapeva quanto snervante potesse essere
sentire
l’onnipresente sguardo di un ninja su di sé.
Certo,
lady Mikoto le aveva offerto di accomodarsi sulla portantina assieme a
lei, ma
Zoe non si era sorpresa nemmeno un po’ quando Ileana aveva rifiutato
con una
rapidità impressionante, lanciando un’occhiata atterrita in direzione
di
Takumi.
Sbuffò,
costringendosi ad inspirare profondamente l’aria fredda e tagliente che
sembrava determinata a mozzarle il fiato.
Quello
stupido non sembrava intenzionato a smetterla di comportarsi come un
idiota.
Già
da quando erano partiti, già dal primo istante in cui Ileana aveva
messo piede
fuori dalla fortezza, Takumi non aveva mai smesso di riservarle quegli
sguardi
pieni di livore e di rabbia che avevano innervosito tanto la
Principessa quanto
tutto il resto dell’entourage,
facendo calare quel silenzio pesante e
soffocante da cui Zoe era riuscita a sfuggire, per un po’,
nascondendosi nei
cieli.
Sospirò,
lo stomaco che si stringeva nel rendersi conto di quanto profonde
fossero le
occhiaie sotto gli occhi di Ileana e strette le sue labbra: essere
guardata a
vista da qualcuno di invisibile e, allo stesso tempo, sapere che la
persona che
l’aveva tormentata così a lungo si trovava a pochi passi di distanza da
lei la
stava logorando, era evidente… maavrebbe
logorato
chiunque, dopotutto.
Katsu
pigolò qualcosa, chiaramente contrariato, quando lei lo diresse verso
il basso,
spingendolo a planare lentamente invece di gettarsi in picchiata;
passarono
accanto alla portantina della Regina, che socchiuse gli occhi per
rivolgerle un
rapido sorriso a cui Zoe rispose con un cenno della testa, e a Takumi,
che alzò
di scatto la testa verso di lei quando l’ombra del kinshi gli passò
accanto.
Zoe
si sforzò di non guardarlo, di non cedere al terribile bisogno che
provava di
cercare nel suo viso qualcosa di familiare, un accenno di pentimento, qualcosa:
si
concentrò invece su Hinata, sulla risata divertita che gli sfuggì
quando l’ala
di Katsu gli arruffò i capelli e sul ricordo ancora così vivido della
prima
volta in cui Zoe lo aveva portato a volare.
Sorrise,
fra sé, ma forse il suo fu un sorriso più triste di quanto avesse
pensato
perché, quando guidò Katsu per atterrare accanto a Kaze e ad Ileana, il
Maestro
Ninja le rivolse un’occhiata perplessa che lei, tuttavia, ignorò.
-Va
tutto bene, milady?- domandò, rivolgendosi con tutta la gentilezza di
cui era
in grado a lady Ileana, che aveva alzato lo sguardo su di lei per
dedicarle
un’occhiata assente. -Sembrate un po' nervosa.-
Zoe
si morse la lingua, sforzandosi di non ridacchiare quando Ileana
raddrizzò
immediatamente le spalle, impettita.
-Sto
benissimo. Ti ringrazio per il tuo interessamento.- rispose, ossequiosa
esattamente com’era stata con Ryoma, ma la Samurai non si lasciò
intimidire:
quella ragazza era uno scricciolo, suvvia, come poteva pensare che
sarebbe
bastato un tono pomposo per farla desistere?
-Ah,
se lo dite voi.- mugugnò, scrollando le spalle e incrociando le
braccia,
scrutando l’altezzosa Principessa con un sopracciglio inarcato. -Avete
mai
volato?- le domandò, cambiando argomento, ma lei scosse rigidamente la
testa.
-Non
posso dire di averlo fatto.- perseverò, rigida, ma dal modo in cui
occhieggiò
Katsu e dal lampo di curiosità che Zoe scorse attraversarle il viso
poté
intuire quanto l’idea non le dispiacesse.
Batté
le mani, sforzandosi di sorridere con un entusiasmo e un’allegria che
non
aveva.
-Beh,
saltate su. Vi porterò a fare il vostro primo volo!- esclamò, dando una
pacca
invitante sulla sella di Katsu, alle sue spalle; Ileana, però,
s’incupì, e Zoe
avrebbe potuto giurare
di sapere che cosa le stesse ronzando nella
testa. -E no, non ho intenzione di buttarvi giù non appena arrivate
abbastanza
in alto.- aggiunse, ironica, accogliendo la prevedibile occhiataccia di
Kaze
con un mezzo sorriso – “Oh,
andiamo, era soltanto una battuta!”.
Ileana
però arrossì, chiaramente sorpresa dell’intuizione corretta di Zoe,
distogliendo lo sguardo da lei per rivolgerne uno pensoso e poco
convinto al
kinshi.
-Gli
animali si innervosiscono, quando mi avvicino. Il tuo pennuto non sarà
felice
di avermi come passeggera.- brontolò, diffidente, ma Zoe si limitò a
scuotere
la testa.
-Non
preoccupatevi, Katsu è perfettamente addestrato. Si comporterà bene
fino a che
terrò io le sue redini.- la rassicurò, rivolgendole il suo sorriso
migliore e
raddrizzando le spalle; Ileana, però, abbassò gli occhi, chiaramente
non
convinta dall’idea.
-Comunque
non credo che__-
Zoe
sbuffò, spazientita.
-Non
volete stare lontana da lui?- sbottò – tanto,
ormai, cosa
importava una rispostaccia in più o una in meno a quella masnada di
reali
impazziti?
–, scoccando un’occhiataccia in direzione di Takumi quando
Ileana, sorpresa dalla sua veemenza, tornò a guardarla. -Lassù, non
potrà
raggiungervi in alcun modo.- continuò, accennando al cielo e
rivolgendosi
nuovamente a lei, il sorriso svanito per lasciar spazio a
quell’espressione
vuota e pacata che detestava ma che immaginava sarebbe stata la sua
arma
migliore nei giorni a venire.
Ileana
tacque per un po’, spostando ripetutamente l’attenzione da lei a Katsu
e poi a
Takumi, mordicchiandosi un labbro e sfregandosi quelle minuscole mani
sulle
altrettanto esili braccia – chissà
se aveva freddo,
si
chiese Zoe: era stata nelle terre nohriane, anni prima, ed aveva potuto
constatare di persona quanto rigido potesse essere il loro inverno,
quindi
magari Ileana era abituata a temperature ben più crudeli di quello che
a
Hoshidoera considerato “freddo”…
-Bene.-
Zoe
trasalì, colta di sorpresa dalla risolutezza che avvertì
nell’esclamazione
asciutta di Ileana, ma tentò di non darlo a vedere; annuì, scostandosi
per
lasciarle spazio alle proprie spalle quando la Principessa si avvicinò
al
kinshi senza mai perderne d’occhio il becco affilato. -Posso salire da
sola.-
sibilò, e Zoe si costrinse a trattenere una risata: aveva un che di
tenero,
quella ragazzina che cercava in tutti i modi di gonfiare le piume per
sembrare
più grande e forte di quello che era…
-Non
l'avrei mai messo in dubbio.- commentò, ignorando il secondo sguardo di
avvertimento che, prevedibilmente, giunse da parte di Kaze, e quello
palesemente irritato che invece le arrivò da Saizo.
Quanto
erano nervosi, quel giorno, quei due.
Rimase
diligentemente immobile, sforzandosi di non offrirsi di aiutare la
Principessa
quando lei, non senza sforzi, si arrampicò un po’ goffamente sul dorso
di
Katsu; si limitò a continuare ad accarezzare il lungo collo sottile del
kinshi,
mormorandogli qualche parola affettuosa finché non avvertì Ileana
finire di sistemarsi
e aggrapparsi, con un’ostinazione davvero ammirabile, al bordo della
sella
invece che a lei.
Scosse
la testa, dicendosi che un altro commento ironico le avrebbe
probabilmente
causato dei guai, sistemandosi le briglie fra le dita.
-Avete
paura dell'altezza? Perché stiamo per andare davvero, davvero in
alto.-la
avvertì, saggiando sui polpastrelli il cuoio ruvido delle redini,
assaporando
la sensazione che le dava scorrendole sulle tante piccole callosità
delle mani;
era qualcosa di familiare, che la riportava ai primissimi voli con
Reina, alle
lacrime di gioia che aveva versato quando aveva visto per la prima
volta il
mondo dal cielo.
-Non
è un problema. Vivevo in una torre, dopotutto, ci sono abituata.-
mormorò
Ileana, meditabonda, quando Zoe diede un deciso colpo di talloni ed il
kinshi
balzò in avanti, spiegando le ali per sollevarsi da terra.
-Una
torre?- domandò, senza pensarci, incuriosita: aveva sentito parlare dei
pinnacoli di Krakenburg, il castello che dominava la capitale di Nohr,
Windmire, ma aveva sempre pensato che la grandiosità di quella reggia
si
sviluppasse verso le viscere della terra piuttosto che verso l’alto…
Ileana,
però, tacque, e lei seppe immediatamente di aver fatto un passo falso.
Che
stupida, accidenti,
si disse, mordendosi la lingua: Ileana si era chiaramente
lasciata sfuggire quel commento, ma Zoe già aveva compreso che
accennare in un
qualunque modo a casa sua o alla sua famiglia era il peggior modo
possibile per
tentare di guadagnarsi la sua fiducia.
-Non
avrei dovuto chiedere, mi dispiace. Non sono affari miei.- mormorò,
dopo una
manciata di minuti, voltandosi appena per lanciare un’occhiata ad
Ileana non
appena il volo di Katsu si fu fatto stabile: la Principessa sembrava
fortemente
intenzionata ad ignorarla, ma a Zoe bastò un’occhiata per scorgere una
scintilla di entusiasmo animare quegli occhi verdi che, fino a quel
momento,
aveva visto pieni soltanto di terrore e di confusione.
Soppresse
un sorriso, congratulandosi con se stessa per l’idea che aveva avuto di
portarla lassù: era palese che ad Ileana non dispiacesse affatto
trovarsi lì,
dispersa nella vastità immensa del cielo…
-Beh,
sembravate parecchio chiacchierona quando ci siamo incontrate, ma
presumo che
la prima impressione non sia sempre corretta.-mormorò, distrattamente,
mordicchiandosi le labbra per trattenersi dal ridacchiare quando la
sentì
muoversi, forse a disagio per quel commento ironico.
Con
un gesto fluido, quasi pigro, tirò le redini verso di sé e guidò Katsu
ancora
più su, lasciandosi sfuggire uno sbuffo divertito quando il kinshi si
tuffò in
una corrente ascensionale e lo sbalzo improvviso di altitudine le
trasmise una
sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco – dei,
quanto amava volare.
Alzò
un braccio, indicando la lontana catena montuosa che, a nord, spezzava
il
gelido cielo terso di Hoshido con il suo candore.
-Vedete
quelle montagne? La Tribù del Fuoco vive sul picco più alto. Sono stata
là, da
piccola, e sempre là ho visto la neve per la prima volta.- spiegò,
sorridendo
quando rammentò la sensazione che aveva provato quando il primo fiocco
di neve
si era sciolto sulla sua mano, lo sterminato manto bianco che sembrava
perdersi
a vista d’occhio, l’aria fredda che le aveva dato l’impressione di
tagliarle a
metà il petto.
Ileana
si sporse un po’, incuriosita.
-Davvero?-
domandò, e Zoe annuì.
-Sì.
Non nevica mai, a Shirasagi.-rispose, e probabilmente anche Ileana si
accorse
del rammarico nella sua voce. -Era bella. Non ho avuto la possibilità
di
godermela, ma era davvero bellissima.- continuò, scuotendo la testa per
scacciare quei ricordi che sembravano così lontani da assomigliare più
ad un
sogno che a qualcosa che aveva vissuto davvero.
Con
un delicato colpo di talloni Katsu si volse verso ovest, verso la
grande
muraglia che svettava in mezzo alla foresta, dorata nella luce fredda
del sole
di mezzogiorno.
-Da
qui potete vedere Suzanoh.- continuò a spiegare, più per riempire quel
pesante
silenzio che per ottenere una qualche risposta dalla taciturna
Principessa.
-Quel muro ha protetto Hoshido da ogni tipo di attacco nei secoli
passati, ma…
non mi piace. Fa sentire le persone piccole, ed è odioso.-
Ileana,
alle sue spalle, sembrò agitarsi.
-Noi
eravamo là, vero?- le chiese e, ancora una volta, Zoe annuì.
-Sì.
È l'ultima linea di difesa della capitale.-
-Quindi…
è lontana da Nohr.-
Zoe
abbassò lo sguardo, sentendo qualcosa dolerle nel petto quando colse la
nota di
sofferenza nascosta nelle atone parole di Ileana.
-Sì.-
ammise, sapendo perfettamente che non esisteva un modo gentile per
dirle che si
trovava più lontano da casa di quanto non fosse mai stata. -Per
arrivare alle
terre nohriane, si dovrebbe tornare indietro da Suzanoh fino
all'Abisso. Credo
che ci vorrebbe circa una settimana, a piedi, da dove ci troviamo
adesso.-
-Capito.-
-Vedete
quelli?- sospirò, riprendendo la sua guida improvvisata perché il
silenzio era
davvero troppo opprimente, perché aveva bisogno
di
distrarsi per non lasciare che la sua mente provasse ad immaginarsi che
cosa
stesse passando quella povera ragazza spaurita. -Quelli sono i tetti
del
castello di Shirasagi. Quando avevo quindici anni, mi sono arrampicata
lassù
assieme ad Hinata. I nostri maestri ci hanno rimproverato per giorni,
dopo, ma
ne è valsa la pena.-
Oh,
sì, Saizo aveva fatto delle urla memorabili, quella volta: aveva preso
in
prestito un pegaso per salire fin lassù e andare a riprenderla, e lui odiava
volare – e per fortuna era arrivato soltanto dopo che lei e Hinata
avevano__
Scosse
la testa, scacciando un ben altro tipo di ricordi perché non
era proprio il caso
di arrossire come una stupida in quel momento.
-Se
il cielo è limpido, da lassù si possono vedere persino le tempeste
dell'Abisso.- continuò, sperando che quella distrazione momentanea
fosse
passata inosservata.
-È
davvero così alto?-
-Sì.
Non so come siano stati in grado di costruire qualcosa di così alto, o
così
grande, anche. Ancora non so quante stanze ci siano in quel palazzo, e
vivo lì
sin da quando ero poco più di un infante.- borbottò, ma Ileana si
limitò ad un
gesto secco della testa e poi tacque di nuovo, sprofondando per
l’ennesima
volta nel suo mutismo.
Zoe
sospirò, accomodandosi meglio sulla sella e rivolgendo la sua
attenzione al
vasto, infinito manto azzurro che si stendeva a perdita d’occhio
intorno a lei.
Non
sapeva cosa fare.
Capiva
il perché del mutismo di Ileana: al suo posto, probabilmente, pur di
proteggere
le persone che le erano care, lei si sarebbe comportata forse persino
peggio di
quanto l'apparentemente altezzosa e cupa Principessa stesse facendo… ma
cosa
poteva fare per aiutarla, per distrarla dai pensieri che sicuramente
continuavano a ronzarle in testa?
Maledizione,
lei era brava con gli animali, non con le persone!
Sbuffò,
piegando la testa di lato un paio di volte per far scroccare i
legamenti
intirizziti del collo.
Forse
stava prendendo quella situazione dal lato sbagliato: diventare matta
cercando
di capire che cosa avrebbe potuto aiutare la ragazza dallo sguardo
scuro che
portava in sella con sé non stava sortendo alcun effetto, quindi forse
avrebbe
dovuto guardare le cose da un altro punto di vista… che cosa faceva,
lei,
quando non riusciva a pensare? Quando sentiva i pensieri cozzare l'uno
contro
l'altro, quando non riusciva a scovare il bandolo di una matassa
intricata che
sembrava assordarla, accecarla, annullare tutto il resto?
Sfiorò
distrattamente le penne di Katsu, meditabonda, perdendosi per qualche
attimo
nei complicati disegni che creavano incastrandosi l'un con l'altra… e
poi
sorrise, dandosi rapidamente della stupida per non esserci arrivata
prima, raddrizzando
le spalle e lanciando un'occhiata speranzosa alla Principessa.
Che
cosa faceva, lei, quando il mondo diventava troppo stretto?
-Posso
dirvi una cosa?- domandò, ottenendo soltanto l’ennesimo silenzio in
risposta,
ma non se ne curò: afferrò più saldamente le redini e strinse le
ginocchia e
Katsu, consapevole di cosa quei gesti significavano, alzò la testa per
lanciare
uno stridio di gioia verso il cielo.
Volava.
-Tenetevi
forte.-
Ed
Ileana fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sella del kinshi, prima
che
quello serrasse le ali contro i fianchi, abbassasse la testa e si
gettasse
verso il basso.
Lo
strillo sorpreso della Principessa si perse nel fischio del vento che,
per un
istante, azzerò qualunque altro rumore: tagliarono l’aria con la stessa
velocità
di una freccia e Zoe rise, esilarata dalla ventata di adrenalina che la
travolse guardando il suolo avvicinarsi ad una rapidità spaventosa,
quando il
gelo le riempì gli occhi di lacrime e lo stomaco le si ribaltò nella
pancia nel
momento in cui Katsu spalancò le ali ad un soffio dal terreno,
sfrecciando
rasoterra e poi puntando di nuovo verso l’alto, gettandosi in un’altra
corrente
calda che cavalcò per ritornare in quota.
Con
uno stupido, esilarato sorriso sulle labbra Zoe si voltò, non riuscendo
a trattenersi
più dal ridere quando scorse l’espressione stralunata e sconvolta della
Principessa.
-Ve
l'avevo detto di tenervi forte.- commentò, divertita, quando Ileana
alzò lo
sguardo per guardarla.
-Tu…
io…- balbettò, ad occhi sgranati, pallida come un cencio… e poi,
riempiendosi i
polmoni dell'aria tersa e fredda di quelle altitudini, scoppiò a
ridere,
lasciando andare il bordo della sella per stringersi le braccia sul
ventre, le
guance che si rigavano delle stesse lacrime che si erano disegnate su
quelle di
Zoe.
-Mi
stavo già aspettando un'altra sessione dei vostri fantasiosi insulti,
lo
ammetto.- ridacchiò la Samurai, sollevata da quella reazione in cui
aveva
sperato e inclinando la testa per ascoltare meglio quella risata, per
imprimersela nella memoria… e, per un breve istante, per lasciare che
quel
suono sincero e cristallino le desse sollievo, per lasciare che
allontanasse
tutti i ricordi e le congetture che l’avevano tormentata in quei giorni.
-È
STATO FANTASTICO!- strillò Ileana, ignara dei pensieri dell’altra,
arrossendo
però quando si accorse che Zoe la stava guardando. -Oh, ehm…
intendevo…-
mormorò, abbassando lo sguardo, ma la Samurai sogghignò.
-Di
nuovo?- propose e, dal modo in cui Ileana le lanciò un’occhiata
speranzosa, fu
chiaro ad entrambe quanto le sarebbe piaciuto.
-Non
dovresti stancare il tuo pennuto a causa mia.- commentò comunque, ma
Zoe rise e
si voltò, arrotolandosi le redini intorno ai polsi.
-Katsu
adora queste cose anche più di voi.- la rassicurò, guidando il kinshi
ancora
più in alto rispetto a prima, fino a che l’intero entourage
della Reginanon parve soltanto una striscia di formichine sulla strada
lastricata.
Guardò
verso l’alto, beandosi della carezza del Sole sulla pelle, socchiudendo
gli
occhi per lasciarsi avvolgere da quell’istante di perfetta immobilità,
dall’odore dell’aria gelida e limpida che le si insinuava sotto i
vestiti e dal
suono meraviglioso del vento che tanto le ricordava lo sciabordio del
mare.
Il
mondo poteva anche essere troppo piccolo, ma il cielo non avrebbe mai
avuto
fine.
-E
vale lo stesso per me.- aggiunse, e poi ci fu soltanto il fischio del
vento, le
grida di giubilo di Katsu e quelle esilarate della Principessa.
-WOAH!
Avverti, prima!- esclamò, sconvolta, non appena riuscì a riprendere
fiato,
passandosi una mano fra i capelli tutti arruffati e sfregandosi il
viso. Zoe
represse un sorriso, arrotolando le redini intorno al pomolo della
sella per
voltarsi verso di lei.
-Mi
dispiace.- si scusò, ma quando Ileana inarcò un sopracciglio, poco
convinta,
ridacchiò. -No, a dire il vero no, neanche un po'.- si corresse,
strappando uno
sbuffo divertito all'altra ragazza che, chiaramente esasperata, scosse
la
testa.
-Allora…
Katsu, giusto?- domandò, piegandosi di lato per lanciare un'occhiata
alla testa
del kinshi.
-Sì!
Questo piccolino è uno dei kinshi più veloci di tutta Hoshido. Mi sono
presa di
lui fin da quando non era altro che una gallina spennacchiata, ma
adesso è
diventato l'orgoglio dei nostri allevatori e la cavalcatura ufficiale
di
Reina.- le spiegò Zoe, dimenticandosi persino di acquietare il suo
entusiasmo
quando si ritrovò a parlare di Katsu, l'orgoglio palpabile nelle sue
parole.
Ileana, però, non ne parve disturbata, anzi: allungò una mano,
incuriosita, per
sfiorare cautamente il dorso del pennuto, lasciando scorrere la punta
delle
dita fra le piume candide.
-Quindi…
non proverà a buttarmi giù finché tu sei qui con me?- chiese, e Zoe,
ancora una
volta, annuì.
-Esatto.
Katsu si fida di me, come tutti i nostri kinshi. Ho passato un sacco di
tempo
nelle stalle, nel tempo, per via di tutte le punizioni…- si morse la
lingua,
ricordando anche troppo bene le lunghe, interminabili ore che aveva
passato a
ripulire le stalle, masticando questo o quell'insulto indirizzato a
Saizo con
la sola compagnia dei kinshi o dei pegasi. -Avete detto che non andate
d'accordo con gli animali, giusto? È perché siete una maga? Anche mia
madre ha
lo stesso problema.- domandò, poi, dicendosi che quella, in fondo, era
una
domanda innocua, che non avrebbe potuto rappresentare alcuna minaccia
agli
occhi della Principessa; ed infatti Ileana annuì, allontanando la mano
dalle
soffici piume di Katsu ed incrociando di nuovo le braccia sul ventre.
-Credo
di sì. Se gli animali non sono abituati alla magia, non si avvicinano
volentieri a me.- spiegò, laconica, e Zoe quasi riuscì a comprendere la
frustrazione che Ileana doveva provare per quel motivo – non poteva
davvero
immaginare una vita senza Katsu o Robusuta, il cagnolino trovatello che
aveva
regalato a Ryoma anni addietro, e tutti gli altri animali che aveva
portato a
casa nonostante la disperazione di Orochi…
-Katsu
è abituato ai maghi, come i nostri pegasi.- mormorò, un lieve sorriso
che si
disegnava sulle sue labbra rammentando l’espressione esasperata di sua
madre
all’ennesimo randagio che aveva portato a casa non più di qualche mese
prima.
-Ho sentito parlare di una razza molto rara che lascia addirittura che
i maghi
li cavalchino.- aggiunse, rivolta più a se stessa che ad Ileana.
-Sì,
li conosco.-
Zoe
sussultò, voltandosi per lanciare un’occhiata sorpresa alla Principessa.
-Davvero?
Oh, adesso sono invidiosa. Non ne ho mai visto uno.- esclamò, conscia
dell’espressione estatica che doveva essersi disegnata sul suo viso –
insomma,
quei pegasi erano quasi una leggenda!
Avrebbe dato qualunque
cosa per poterne avvicinare uno – oh, e le viverne, a Nohr cavalcavano draghi,
accidenti, e…
Sospirò,
mordendosi la lingua, quando comprese di aver detto la cosa sbagliata
per
l’ennesima volta: Ileana aveva serrato le labbra e distolto lo sguardo
da lei,
di nuovo scura e distante, inavvicinabile come una triste, bellissima
bambola
di porcellana al di là di una lontana vetrina di quei negozi che Zoe
aveva
tanto ammirato da bambina.
-Ed
eccoci di nuovo tornate al mutismo. Non che io possa biasimarvi,
dopotutto.-
mormorò, trattenendosi dallo sbuffare, digrignando i denti e riportando
la sua
attenzione sull’infinità che le circondava: c’era qualche nube, a est,
che
sembrava promettere pioggia, notò… ma poi scorse due puntolini più
chiari
stagliarsi in quel grigiore distante, ed i suoi occhi allenati colsero
il
bagliore della luce del Sole, alle loro spalle, riverberarsi su
familiari penne
candide.
-Ah,
parli del kitsune…- borbottò, arricciando le labbra quando distinse un
maestoso
pegaso spiegare le sue ali nel cielo terso e scorse una sciarpa
altrettanto
abbacinante sventolare nella corrente creata dal turbinio del volo.
Hinoka.
Ileana
si sporse oltre la sua spalla, incuriosita, rivolgendole uno sguardo
interrogativo quando parve non comprendere a cosa si stesse riferendo
la
Samurai.
Zoe
si mordicchiò un labbro, irritata.
-Quello
è un pegaso. Il pegaso della principessa Hinoka, per essere precisa…
dev'essersi stancata di aspettare il nostro ritorno, immagino.-
ipotizzò,
tutt’altro che contenta: poteva già immaginare l’irruenza di Hinoka, la
sua
felicità nel poter rivedere, finalmente, la sorellina per cui aveva
sacrificato
così tanto, ma non era affatto certa che sarebbe stato positivo per
Ileana…
La
Principessa aggrottò le sopracciglia, sempre più perplessa.
-Perché?-
chiese, e Zoe in quel momento desiderò ardentemente di trovarsi da
un’altra
parte, di potersi sottrarre a quella domanda a cui non voleva proprio
rispondere.
-Beh…
è la sorella minore di Ryoma, ma è più grande di me e di…- cominciò,
interrompendosi però quando il nome di Takumi si affacciò nella sua
mente e
qualcosa, nel suo petto, stridette.
Takumi
non aveva mai perdonato ad Hinoka di averlo dimenticato.
Hinoka
aveva scelto la strada del guerriero tanti anni prima, in nome di
quella
sorellina perduta per cui aveva sofferto così tanto: era diventata uno
dei
Falconi più temibili che Hoshido avesse mai conosciuto, era rispettata
dai suoi
alleati e temuta dai suoi nemici, ma… il prezzo che aveva pagato per
quella
dedizione, per quelle rinunce, era stato il fratellino che da un giorno
all’altro era stato messo da parte in favore di un ricordo.
Zoe
ricordava con fin troppa chiarezza quanto Takumi ne avesse sofferto.
Ricordava
perfettamente i singhiozzi soffocati di quel ragazzino che si era
sentito
abbandonato in nome di una sorella che faticava persino a ricordare, la
forza
rabbiosa con cui l’aveva stretta, le lacrime che le avevano bagnato il
collo
tutte le volte che lui aveva cercato di nascondere il suo dolore nel
buio della
notte e fra le sue braccia…
Strinse
i pugni, sforzandosi di convincersi che il bruciore che avvertiva agli
angoli
degli occhi fosse dovuto solamente all’altitudine.
“Dei,
per favore, restituitemi mio fratello”.
-Comunque,
si ricorda di voi, tutto qua. Dev'essere impaziente di rivedervi.-
mormorò,
forse con meno tatto di quanto sarebbe stato opportuno usare,
passandosi
nervosamente una mano fra i corti capelli della nuca quando Ileana
s’irrigidì.
-Io…
io non…- balbettò, e Zoe si costrinse a mandar giù tutto quanto, a
spingere in
un angolo quei ricordi tanto dolorosi e a nasconderli dietro la sua
espressione
serena, voltandosi per rivolgere un accenno di sorriso a quella ragazza
spaventata.
-Ehi,
non preoccupatevi. Se non volete parlarle, lo rispetterà. È una persona
piuttosto riservata anche lei.- provò a rassicurarla, sentendo il cuore
stringersi quando colse gli inequivocabili segni della paura nelle mani
convulsamente strette di Ileana, negli occhi che dardeggiavano in
direzione del
pegaso sempre più vicino di Hinoka, nel pallore della sua pelle.
-Posso… posso
dirglielo io, se volete. Siamo amiche, mi ascolterà.- tentò, ma Ileana
scosse
la testa.
-No.-
sbottò, ma Zoe non se la prese per il tono brusco e la smorfia
arrabbiata che
le rivolse – non aveva più voglia di arrabbiarsi per niente, a dire la
verità,
voleva soltanto tornare a casa e riabbracciare Sakura e Hana e invitare
Hinata
a cena con lei e sua madre…
-Come
volete, Principessa.- sospirò, scrollando le spalle prima di alzare un
braccio
ed agitarlo per salutare la Principessa hoshijin ormai vicinissima.
-Hinoka,
ehi!- chiamò, e distinse la rossa aprirsi in un sorriso luminoso e
sincero
quando la riconobbe.
-Ah,
eccoti! Hai rubato di nuovo Katsu?- la salutò, ridendo, non appena si
fu
avvicinata abbastanza perché Katsu ed il suo pegaso potessero
sfiorarsi,
guardandola con quell’affetto e quella gentilezza che Zoe aveva sempre
trovato
sorprendenti in una guerriera tanto micidiale.
-No!
Stavolta ho chiesto.- si sforzò di sorridere, perché Hinoka non aveva
fatto
nulla di male e non meritava di scorgere la sua tristezza – era sempre
stata
così affettuosa, con lei, le aveva insegnato a cavalcare i pegasi e a
prendersene cura, l’aveva coperta quando aveva saltato qualche
allenamento per
vedersi con Hinata… avrebbe tanto
voluto
evitare sia a lei
che ad Ileana quella situazione, quell’incontro che si sarebbe
sicuramente
rivelato spiacevole ed imbarazzante per entrambe – ma sgranò gli occhi,
allibita,
quando scorse Hinoka spostare l’attenzione da lei a Ileana ed il suo
sorriso
spegnersi con una rapidità sconvolgente.
“Ma
che…”
Ileana
prese un profondo respiro e Zoe, nonostante non la stesse guardando,
quasi poté
vederla raddrizzare le spalle e sistemarsi gli abiti: dopotutto, si
disse,
stava facendo esattamente quello che lei e Kaze avevano fatto fino a
quel
momento, nascondendosi dietro maschere e ruoli da giocare per
proteggersi e non
impazzire…
-Salve,
Principessa Hinoka. Sono__-
La
voce sostenuta e formale di Ileana, però, si perse nel vento, quando
Hinoka la
interruppe senza degnarla nemmeno di una seconda occhiata per
rivolgersi
nuovamente a Zoe.
-Takumi
e Ryoma? Sono con mia madre?- domandò, ignorando l’espressione
stupefatta di
Zoe e quella probabilmente altrettanto confusa di Ileana – che
cosa accidenti stava succedendo, ora!?
-Beh…
sì, sono con lei, ma…-
Zoe
la fissò, incredula: Hinoka aveva trascorso la
vita
ad
aspettare Ileana! Aveva sacrificato tutto per lei, si era indurita,
aveva
temprato se stessa per diventare sempre più forte e coraggiosa e
adesso nemmeno la guardava!?
Hinoka
annuì, apparentemente ignara dello sgomento della Samurai, lanciando
un’occhiata pensierosa verso il basso. -Bene. Vai avanti, Setsuna è
proprio
dietro di me. Ti scorterà al palazzo.- le ordinò, e Zoe dovette fare
appello ad
ogni oncia della sua testardaggine per frenare l’istinto che l’avrebbe
spinta
ad obbedire all’istante – qualcosa,
in fondo, Saizo doveva pur averlo
inculcato nella sua testaccia dura, no?
– per scuotere la
testa, confusa, e aprire la bocca per protestare.
-Aspetta,
ma non__- cominciò, ma Hinoka alzò una mano, zittendola con quel gesto
ma
rivolgendole poi un breve sorriso per rassicurarla.
-Ci
vediamo dopo, Zoe. Adesso vai, informerò io gli altri.- la frenò, e
prima che
Zoe potesse fare altro che fissarla, sconvolta, la rossa aveva già
tirato le
redini per spingere il suo pegaso in una picchiata ancor più
vertiginosa di
quelle di Katsu, i capelli rossi che splendevano nella luce del Sole
morente e
la sciarpa bianca che svolazzava nel vento.
Zoe
tacque, allibita, per quella che le parve un’eternità, incapace di
concepire
come fosse possibile quel disinteresse al limite della maleducazione da
parte
di Hinoka – Hinoka,
maledizione, che aveva sempre affermato di combattere per la
sua sorellina perduta, che aveva rinunciato alla vita da principessa
per
diventare abbastanza forte per riprendersi sua sorella e proteggerla
dal mondo,
con cui Zoe aveva condiviso anni di duro addestramento e che… lei…
-…i
reali stanno andando fuori di testa.- sbottò, irritata, stringendo i
denti
quando sentì uno sbuffo altrettanto scocciato provenire dalla ragazza
alle sue
spalle.
-Come
mai dici questo? A me sembra che tu avessi ragione.- fu il commento
laconico
che le rivolse.
-Sì,
ma…- cominciò, ma immediatamente si rese conto che spiegare ad Ileana
quanto
quel comportamento fosse assurdo sarebbe stato inutile e, a dirla
tutta,
decisamente controproducente; e perciò sospirò, arruffandosi i capelli
con un
gesto esausto, scrollando le spalle e lanciando un’ultima occhiata
sospettosa
alla Principessa dai capelli rossi che era appena atterrata accanto al
suo
fratello maggiore. -Credo soltanto che non sapesse cosa dire.- mormorò,
perché
nemmeno lei sapeva più che cosa dire, come spiegare l’improvvisa
idiozia che
aveva definitivamente preso possesso di tutti quanti.
L’ennesimo
silenzio, pesante e fastidioso, fu tutto ciò che Ileana le concesse
come
risposta.
Sbuffò,
esasperata più da tutta la situazione che dalla reazione della
nohriana, e
riprese in mano le redini di Katsu, assottigliando le palpebre per
distinguere
la figuretta esile di Setsuna e del suo kinshi in avvicinamento.
-Beh,
andiamo. Katsu si sta stancando.-
.
-Eccoci
qui, Ileana. Coraggio, entra.- la Regina
sorrise, invitandola con una mano.
Ileana
fece un paio di passi, guardandosi cautamente intorno. Rimase
vicina al muro mentre lasciò che lo sguardo corresse ad ogni angolo
della
stanza, cercando d’istinto tutte le nicchie dove potessero annidarsi
eventuali
trappole o dove si sarebbe potuto nascondere un aggressore.
Niente.
C’era
anche un buon odore – di pulito, per niente umido – e persino
un’imponente finestra.
Fece
un altro passo, in punta di piedi: la stanza era…
sorprendentemente piccola, tutto considerato, più piccola di quanto si
aspettasse – e anche più disordinata: c’erano disegni sparsi per tutto
il
pavimento, e oggetti che non potevano essere altro che giocattoli
abbarbicati
sulle mensole. Non sembrava una stanza appropriata per ospitare un
dignitario
straniero, per niente. Strinse le labbra.
La
regina dovette notare la sua confusione – la sua delusione per non
essere trattata come le si conveniva, di nuovo – e si affrettò ad
aggiungere:
-Questa era la tua camera, tesoro. Nulla è stato toccato da quando sei
stata
rapita.-
Quelle
parole fecero trasalire Ileana. Non poté fare a meno di fare un
passo indietro, finendo per sbattere contro Zoe, che stava entrando a
sua
volta. La Maga sobbalzò e si trovò a dover trattenere un soffio
spaventato, ma
la Samurai alzò le mani per rassicurarla – e c’era qualcosa di curioso,
preoccupato ed esasperato, tutto insieme, nei suoi occhi carmini.
Rifiutandosi
di staccarsi dal muro, Ileana si costrinse a fare dei
respiri profondi. La Regina la fissava con tanta preoccupazione – sembrava così dannatamente sincera –, da
costringerla ad abbassare lo sguardo per mentire.
-Il…
il viaggio mi ha stancata. La stanza va bene.-
La
donna sembrò sollevata nel sentirglielo dire, anche se Ileana poté
scorgere ancora un’ombra di tristezza nei suoi occhi.
Si
era davvero aspettata che lei avrebbe… riconosciuto qualcosa?
Che
follia.
Lei
non era mai stata in quella stanza. E anche se tutto quello che le
avevano detto alla Grande Muraglia fosse stato vero, perché la “sua
vecchia
stanza” non sembrava più… reale?
-Io…
perché ci sono due letti?-
La
domanda sembrò cogliere la Regina di sorpresa. -Oh, ho… ho chiesto
di aggiungere un secondo letto.- sembrava una bugia inventata sul
momento, ma
Ileana decise di non discutere. -Pensavo che magari ti avrebbe fatto
piacere la
compagnia di Zoe. Vi ho viste con Katsu oggi, mi è sembrato che vi
steste
divertendo.-
L’aveva
chiesto a Zoe?,
si domandò Ileana, provando un’immediata repulsione per quelle
parole affettate.
Se
le aveva mentito riguardo all’aggiunta del letto dopo averle viste
sul kinshi, allora forse a Zoe era stato ordinato di rimanerle
incollata fin
dall’inizio, ma… se Zoe non fosse stata d’accordo? Sarebbe importato a
qualcuno?
Contavano, forse, i sentimenti di chiunque – i
suoi, quelli di Zoe – o la Regina era pronta a calpestare
ogni
opposizione solo per mettere in piedi quella farsa della figlia perduta?
Ileana
scosse la testa.
Era
troppo.
Non
sapeva più a cosa credere, non riusciva più a distinguere la
verità dalle bugie, le buone intenzioni dalle cattive.
Nella
migliore delle ipotesi, la Regina diceva il vero e voleva solo
offrirle una compagnia che potesse esserle di conforto in un posto così
alieno,
e semplicemente non aveva pensato prima di chiederle se l’avrebbe
apprezzato.
Nel peggiore dei casi, questo era un altro dei loro giochetti mentali
per
spingerla a rivoltarsi contro casa sua – contro Nohr.
In
ogni caso, Ileana non gradiva essere guardata a vista tutto il
tempo. -Veramente preferirei dormire da sola, se possibile.-
Quel
poco di speranza rimasta negli occhi della Regina si spense.
-O_oh.
Ma certo. Se è quello che desideri.-
Alla
principessa nohriana si strinse il cuore, perché il dolore della
donna sembrava davvero reale – ma
non
poteva esserne certa, e non poteva mai dimenticare la possibilità che
si trattasse
di un enorme, intricato inganno. -Lo è. Vi ringrazio.- mormorò,
provando un
profondo desiderio nei confronti della solitudine che la aspettava di
lì a
poco, una volta liberatasi tanto della Regina quanto della Samurai.
-…di
nulla, bambina mia.-
A
quelle parole, un silenzio opprimente riempì la stanza.
Ileana
fissò il pavimento, a disagio, avvertendo il peso dello sguardo
della Regina, di quei suoi occhi così tristi, su di lei. La Maga poteva
sentirne il peso sulle spalle e percepire il proprio corpo talmente in
tensione
che quasi fece un salto quando Zoe, probabilmente esasperata, si
schiarì la
gola.
-Lady
Mikoto… forse dovremmo lasciar riposare Ileana, non credete?-
suggerì, ma c’era un’inflessione nella sua voce che lo fece
assomigliare più ad
un avvertimento che un suggerimento.
La
Regina sospirò. La sua voce stillava dolore quando, con un cenno
del capo, parve decidere di accettare il consiglio della Samurai.
-Certo.
Allora vi lascio. Ti spiacerebbe aiutare Ileana a sistemarsi?-
Zoe
scosse il capo, le spalle già meno tese al solo pensiero di
liberarsi della regina. Probabilmente non vedeva l’ora di essere
congedata: era
stata una giornata lunga anche per lei. -Ma certo che no, mia signora.
Sarà un
piacere.-
-Allora
credo di potervi lasciar sole. Buonanotte, cara Zoe.
Buonanotte, tesoro.-
Ileana
strinse i pugni, costringendosi a lasciare che la voce
implorante della regina le scivolasse addosso – era
davvero addolorata, era davvero così piena di sofferenza, o si
trattava della recita più abile che lei avesse mai visto?
-Buonanotte,
vostra maestà.-
-Buonanotte,
milady.- Zoe le fece eco, impostata e formale, allungando
una mano per spingere la porta perché si chiudesse il meno bruscamente
possibile quando la regina ne ebbe finalmente varcato la soglia. Il
suono della
serratura fece sospirare entrambe per il sollievo. -…grazie agli dei se
n’è
andata.-
-Puoi
andare anche tu, se vuoi. Sarai stanca, non voglio trattenerti
contro la tua volontà.- Ileana disse – non poteva certo biasimarla per
averne
abbastanza di principi, regine e principesse.
Ma
la Samurai sorrise, amichevole. -Non sono stanca, e non sono qui
contro la mia volontà.- affermò. L’occhiata sorpresa che Ileana non
poté fare a
meno di scoccarle dovette essere palese, perché Zoe scosse la testa e
aggiunse:
-La regina mi sa sentire… a disagio, ecco tutto.- si fermò, come se
stesse
cercando le parole giuste per darle una spiegazione che Ileana non
aveva
chiesto ma che si ritrovò ad aspettare – perché la sua mente si stava
già
immaginando chissà quali scenari che potessero giustificare come mai un
monarca
dovesse rendere così nervosi i propri sottoposti. -È che non mi piace
che qualcuno
provi pena per me. E lei lo fa, anche se sta solo cercando di essere
gentile. È
premurosa e attenta, ma io sono un soldato, non una bambolina.- fu il
turno di
Zoe di sgranare gli occhi. -…scusate, non volevo straparlare. Forse
sono un po’
stanca, in effetti, non riesco proprio a stare zitta. Cosa posso fare
per voi?-
Ileana
scosse la testa. Era cresciuta badando alle proprie cose da
sola, detestando l’idea di essere servita da coloro che considerava più
amici
che servitori. -Non mi serve molto. Se mi dici dove sono le cose, posso
fare da
sola. Ci sono abituata.-
Ci
volle davvero poco perché Zoe le mostrasse la stanza: era piuttosto
piccola, arredata giusto con un letto, un armadio, un paio di comodini,
una
scrivania, e completa di una porta che conduceva a un piccolo bagno
privato. Il
letto era uno di quelli tipicamente hoshijin, una sorta di materasso
posizionato a livello del pavimento, di cui Ileana aveva solo letto nei
libri
di Leo; l’armadio era pieno di vestiti per bambini di mille stoffe e
colori; i
comodini erano un disastro di boccette di inchiostri colorati e morbidi
pennelli e pergamene di carta di riso; la scrivania era in ordine, ma
solo
perché tutto quello che avrebbe dovuto essere sopra era sparso sul
pavimento.
Perlomeno, il bagno era perfettamente pulito.
Ileana
sospirò. Non le piaceva assolutamente nulla di quella stanza. I
giocattoli con le inquietanti maschere rosse erano la parte peggiore, e
lei non
vedeva l’ora di restare sola per poterle sbattere nell’armadio e non
doverle
mai più vedere.
-E
questo è tutto.- Zoe terminò con un sorriso. -Vi serve altro? Una
tazza di tè, forse?-
Qualcosa
di caldo suonava bene, ma un po’ di tempo da sola suonava
anche meglio. Ileana scosse la testa, sentendola girare per la
spossatezza.
-Non darti pensiero. Non mi serve altro, e tu sei stanca.-
La
Samurai pareva voler discutere, ma un’occhiataccia altezzosa della
principessa la fece desistere. -Allora d’accordo, vi lascio riposare.-
s’inchinò a fondo. -Buonanotte. Spero che dormirete bene, Lady Ileana.-
Quell’augurio
così sentito fece vacillare la maschera altezzosa della
principessa. -Oh, io… grazie. Spero che dormirai bene anche tu.-
Zoe
sorrise a quello sprazzo di umanità. -Grazie.- sussurrò, prima di
andarsene, sparendo al di là della porta silenziosa come un’ombra.
Nel
momento stesso in cui le sembrò che fosse sparita – non poteva
esserne certa, l’aveva vista muoversi con la stessa furtività dei ninja
e non
poteva escludere che fosse ancora nei paraggi – Ileana prese un respiro
profondo.
Sola.
Per
la prima volta dalla sua cattura, si trovava finalmente da sola.
Durante
il viaggio verso la Grande Muraglia c’era stata un’intera colonna di
soldati a
tenerla d’occhio; a Suzanoh le guardie appostate davanti alla sua cella
e Kaze nascosto
nelle ombre; dopo l’incontro con la Regina, Kaze, Zoe e quel ninja dai
capelli
rossi che sembrava sempre arrabbiato – come la salsa piccante preferita
di
Camilla – non l’avevano mai persa d’occhio nemmeno per sbaglio.
…probabilmente
non
sarebbe durata.
Era
probabilmente solo una tregua temporanea, e presto sarebbe stata
rimessa sotto sorveglianza, giorno e notte e notte e giorno. Non che
potesse
biasimarli: era instabile, ai loro occhi, qualcosa che poteva rivelarsi
tanto
una risorsa quanto una minaccia. Doveva cercare di mantenere le cose in
quello
stato il più a lungo possibile: finché l’avessero vista come una
risorsa
potenzialmente collaborativa, tutto quello di cui avrebbe dovuto
preoccuparsi
erano i loro giochetti mentali per tirarla dalla loro parte.
Decise
di approfittare della quiete finché poteva, e si diresse verso
il bagno. C’era una tinozza che era stata portata prima del suo arrivo,
ma non
vedeva alcuna fiammella guizzarvi sotto – e, come aveva immaginato,
l’acqua era
quasi fredda quando la sfiorò con le dita.
Oh,
pazienza, non aveva tutta quella voglia di fare un bagno: lavarsi
via i giorni di viaggio dalla pelle sarebbe bastato. Sospirò,
svestendosi e
afferrando una spugna, rivolgendo la sua attenzione ad allentare almeno
un poco
i nodi nella sua mente, quanto bastava per riuscire almeno a dormire.
Alla
fin fine si riduceva tutto a due possibilità: o gli hoshijin
stavano mentendo, oppure no. Se stavano mentendo, lei stessa e tutto
ciò che
amava erano in pericolo mortale. Se non stavano mentendo, probabilmente
era più
al sicuro di quanto non fosse mai stata, ma tutta la sua vita era stata
una
farsa. Non sapeva quale opzione preferisse.
Ma,
soprattutto, non aveva alcun modo di conoscere la verità: c’erano
troppe domande senza risposta. Tutto quello che poteva fare era
aspettare –
finché non avesse trovato un modo per avere altre informazioni, senza
fidarsi
di nessuno. Doveva mettere in dubbio qualunque cosa chiunque le avrebbe
detto
nei giorni successivi mentre cercava di venire a capo della situazione.
Non
poteva fidarsi di nessuno, non poteva abbassare la guardia.
Non
era una prospettiva incoraggiante, ma sapeva che la situazione non
sarebbe durata a lungo: Xander avrebbe scritto presto. Sì, Xander
sarebbe
arrivato presto e lei avrebbe avuto le sue risposte. Doveva solo
resistere
ancora un po’. Poteva farcela.
Ileana
lasciò cadere la spugna nella tinozza. Si sentiva meglio; e più
stanca. Aveva bisogno di dormire, e lo sapeva – non sarebbe stata in
grado di razionalizzare
un bel niente se non si fosse concessa una notte di sonno ristoratore,
finalmente comoda e al caldo.
Tornò
nella stanza, arrotolata in un asciugamano, e si diresse
all’armadio: per lo più era pieno di vestiti da bambina, ma c’era una
pila di
abiti ripiegati che sembravano essere della sua taglia. Ovviamente,
erano tutti
bianchi – quindi chi era stato incaricato di trovarle dei vestiti non
sembrava
avere lo stesso riguardo di Zoe, si disse con una smorfia. La camicia
da notte
color avorio pareva bruciarle la mano mentre la esaminava. Le sarebbe
piaciuto
tirarla nella tinozza, e invece se la lasciò scivolare addosso – non
sapeva
quando i ninja sarebbero tornati a strisciare tra le ombre, e di certo
non
aveva voglia di farsi trovare nuda solo per principio.
Era
una bellissima camicia da notte, non poteva certo negarlo. Tutta
di seta delicata, con ricami di fiori di ciliegio rosa antico. Sembrava
piuttosto leggera considerato che erano nella stagione delle nevi, ma
aveva già
notato che a Hoshido faceva molto meno freddo che a Nohr. Era per via
dell’Oceano Orientale, non così lontano da Shirasagi: mitigava anche il
freddo
più mordace, e Zoe in effetti aveva menzionato che la neve era rara ad
Hoshido.
Richiuse
l’armadio, ma non prima di averci infilato tutti quegli
inquietanti giocattoli con le maschere rosse; si sarebbe preoccupata di
ripulire il resto del disordine l’indomani.
Ileana
si passò una mano sul viso, poi fissò il letto con disappunto.
A livello del pavimento. Non sembrava comodo, niente affatto. Non le
importava
se fosse normale a Hoshido, ma dormire sul pavimento non le sembrava
per
niente… igienico. Fece un giro della stanza, fermandosi appena arrivò
accanto
alla finestra. Scostò le tende e guardò in alto.
Si
chiese come facessero gli hoshijin a vivere sotto un cielo così
triste: non si vedevano nemmeno la metà delle stelle che rischiaravano
la notte
di Nohr – certo, il loro giorno era vivido e lussureggiante, ma avrebbe
scelto
mille volte le nubi perenni di Nohr piuttosto che le loro notti vuote.
Perlomeno,
la luna brillava come non mai, ed era perfettamente visibile dalla sua
finestra. E il davanzale interno era abbastanza ampio da essere comodo.
Ci
mise solo un secondo a decidere, e solo qualche momento in più per
togliere tutte le lenzuola dal letto per avvolgersele intorno, dopo
averle
scosse dalla polvere. Prima di rendersene conto, era già arrotolata sul
davanzale, appoggiata al vetro della finestra; era freddo al tatto, ma
la
aiutava a respirare. Guardò di nuovo la luna, che si rifletteva vivida
nei suoi
occhi verdi.
Niles
avrebbe odiato le
notti hoshijin,
si ritrovò a pensare, e sentì qualcosa in lei
spaccarsi.
Niles. Odin, Laslow,
Selena. Jakob, Flora, Felicia. Gunter.
Tutti loro
avevano avuto un ruolo importante nella sua vita, come i suoi fratelli
e le sue
sorelle.
Niles
le aveva insegnato a tirare con l’arco e a muoversi
furtivamente. Era stata un’amicizia difficile, la loro, visto quanto si
erano
odiati per anni – da quando lei ne aveva undici finché non ne aveva
compiuti
sedici. Era certa che l’unica cosa ad averlo trattenuto dal romperle
delle ossa
per farla muovere con la flessibilità che pretendeva era stata la
presenza di
Leo. Ma avevano superato quella fase, alla fine, e lui le aveva
insegnato le
stelle.
Odin
era la sua tregua, il suo compagno di giochi. Avevano messo in
scena mille e mille storie, per ore, per giorni
addirittura quando i
suoi fratelli e sorelle passavano la notte alla Fortezza. Aveva avuto
una cotta
per lui, da ragazzina. Non riusciva a immaginare la vita senza di lui.
Laslow
le aveva dato lezioni di danza, per insegnarle tutte quelle
mosse che Xander proprio non riusciva a farle imparare durante il loro
addestramento. Ileana aveva sempre odiato la scherma perché faceva pena
con una
spada in mano, ma Laslow era riuscito a rendergliela sopportabile –
anche
perché poi prendeva sempre il tè con lei e Felicia. Quella grazia che
aveva la
doveva a lui.
Selena
l’aveva portata a caccia, due o tre volte: le aveva insegnato a
uccidere. Ileana l’aveva odiata, aveva strillato e annaspato e pianto;
Selena
aveva lasciato che si sfogasse, e l’aveva abbracciata una volta
calmatasi. Le
aveva detto che andava bene che lo trovasse disgustoso, che era giusto,
ma che
doveva imparare a digerirlo perché un giorno sarebbe entrata
nell’esercito, e
uccidere sarebbe stato all’ordine del giorno. Non poteva fare certe
scenate sul
campo di battaglia. Col tempo, Ileana aveva compreso quelle parole, le
aveva
fatte sue, e si era scusata. E aveva sempre fatto in modo che Selena
sapesse
quanto fosse apprezzata.
Jakob
era un nemico-amico. L’aveva viziata oltre ogni ragionevole
limite e si prendeva cura di lei con un’attenzione che batteva persino
Gunter,
e lei gli era grata. Ma aveva anche quell’orrenda abitudine di andare a
raccontare tutto a Xander – soprattutto quando pensava che la sua
protetta
stesse tramando qualcosa. Una volta, Ileana aveva cercato di scappare
dalla
Fortezza per partecipare alla Festa delle Maschere con le sorelle, e
lui aveva
fatto la spia al Principe Ereditario. Ileana era stata colta sul fatto
e
rispedita in camera sua senza nemmeno mettere piede fuori dalle mura
della
torre. Da allora, aveva smesso di considerare Jakob un complice, ma gli
voleva
comunque bene.
Flora
e Felicia erano state le sue complici, le sue compagne. Avevano
il loro piccolo club del libro, le avevano insegnato a cucinare e a
cucire e a
pulire – beh, Flora le aveva insegnato, perché Felicia faceva più danni
che
faccende. A volte avevano congelato il pavimento del salone della torre
per
pattinare sul ghiaccio. E se Ileana si ammalava, Felicia le stava
accanto per
tenere sotto controllo la febbre, non curandosi del rischio di
ammalarsi lei stessa.
Gunter
era stato il primo – prima di Xander e prima di Jakob, era
stato il primo a tenerla al sicuro e a giocare con lei. E avevano
giocato
tanto, soprattutto a nascondino. E a volte lei si nascondeva così bene,
che
l’unico modo di trovarla era proporle di giocare a palla.
Niles. Odin, Laslow,
Selena. Jakob, Flora, Felicia. Gunter.
Xander, Camilla,
Leo, Elise. Avevano… potevano averle mentito tutti, tutta la sua vita?
Avevano
finto ogni parola, ogni sorriso, ogni abbraccio? Se gli hoshijin non
mentivano…
Esalò
un singhiozzo, e il riflesso della luna s’increspò nei suoi
occhi quando si riempirono di lacrime.
No,
no.
Non
doveva pensarci.
Beneficio
del dubbio, per tutto e tutti. Doveva tenere la mente aperta
e le orecchie tese. Non doveva fidarsi di nessuno e non doveva
abbassare la
guardia. Doveva assorbire ogni briciola di informazione per capirci
qualcosa, e
doveva stare attenta a non farsi scappare niente – giusto per
sicurezza. Doveva
solo aspettare.
Sarebbe
stato difficile, e stressante, e sfibrante. Lo sapeva. Le
sembrava che le stessero strappando il cuore e che lo stessero
schiacciando al
tempo stesso… e allora, in quel momento, Ileana guardò la luna.
-Buonanotte.-
sussurrò.
Lo faceva sempre, quando era ancora nella sua torre e i suoi fratelli e sorelle erano lontani: affidava il suo augurio al vento e lasciava che lo portasse da loro. Stavolta non c’era vento che potesse portar loro il suo affetto, ma lei sperò che potessero sentirlo comunque.
..
..
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Writers' Space:
Eccoci qua!
No, non siamo morte, giuro. Abbiamo avuto un po' tante cose da fare, la vita ha rischiato di risucchiarci via e abbiamo fatto un po' fatica, maaaaa... eccoci qui!
Siamo finalmente arrivate a Shirasagi, con una tensione che si taglia con un grissino e Ileana tesa come un gatto bagnato. Abbiamo avuto un excursus nel punto di vista di quel santo di Kaze, che meriterebbe una statua, e abbiamo fatto un voletto assieme alle nostre ragazze. Ci aspettano crisi isteriche a manetta, ve lo possiamo assicurare!
Grazie infinite per essere arrivati fin qui!
Un abbraccio,
Clarisse&B